di Elisa Maria Volonté
Consiglio di Stato, Sez. IV – 24 gennaio 2022, n. 439 – Pres. Giovagnoli, Est. Loria – Provincia di Brindisi (Avv. Guadalupi) c. Omissis (Avv. Grippa) e nei confronti di Omissis e Omissis S.r.l. (non costituiti)
Tra i valori di concentrazione soglie di concentrazione (CSC) individuati dalla Tabella 1, allegato 5, del Titolo V della parte Quarta del D.Lgs. n. 152/2006, devono essere utilizzati quale riferimento per la valutazione della contaminazione di un’area, quelli più aderenti all’utilizzo effettivo del sito medesimo. Ciò indipendentemente dalla destinazione d’uso assegnata dagli strumenti urbanistici e, a maggior ragione, nei casi in cui la destinazione d’uso sia stata mutata nel tempo dagli strumenti urbanistici.
La sentenza in commento rigetta l’appello proposto dalla Provincia di Brindisi avverso la sentenza del T.A.R. Puglia (Lecce) n. 1497 del 30 dicembre 2020, con la quale è stata annullata l’ordinanza dalla medesima Provincia n. 773 del 13 gennaio 2020.
La citata ordinanza aveva imposto l’adozione delle misure di prevenzione e del piano di caratterizzazione necessari per far fronte alla contaminazione ambientale di una ex cava sita nel Comune di Brindisi. Tali attività venivano poste in capo all’appellato, quale rappresentante legale della società responsabile dell’inquinamento, come per altro accertato anche con sentenza penale passata in giudicato.
Nell’ambito del campionamento del materiale depositato sulla parete della ex cava erano stati accertati i superamenti di alcuni valori delle concentrazioni soglie di contaminazione (CSC) previste dalla Tabella 1, colonna A, allegato 5 alla parte IV del D.Lgs. n. 152/2006, applicabili quindi alle aree ad uso verde pubblico / privato e residenziale. Al contrario, i valori evidenziati dal campionamento non avrebbero evidenziato alcun superamento delle CSC di cui alla colonna B della medesima Tabella, applicabili alle aree ad uso commerciale / industriale.
L’appellato aveva proposto ricorso per l’annullamento dell’ordinanza sopra descritta, adducendo principalmente la violazione dell’art. 244 del D.Lgs. n. 152/2006[i]: la Provincia avrebbe infatti erroneamente ritenuto applicabili i valori di CSC di cui alla colonna A, relativi ad aree “ad uso verde pubblico/privato e residenziale” anziché quelli di cui alla colonna B della medesima Tabella, riferiti invece a siti “ad uso commerciale/industriale”, che sarebbero stati più consoni per la valutazione della contaminazione dell’area. Tale ricostruzione veniva avvallata dal T.A.R., il quale aveva – come già anticipato – annullato l’ordinanza impugnata.
La Provincia appellava così la sentenza di primo grado: secondo l’appellante, infatti, il T.A.R. avrebbe, erratamente, individuato i valori di CSC applicabili alla ex cava basandosi esclusivamente sull’utilizzo pregresso del sito anziché sulla vigente classificazione urbanistica, ai sensi della quale l’area avrebbe destinazione agricola. Ad opinione della Provincia, questa tesi sarebbe confermata anche dal disposto letterale dell’art. 240 D.Lgs. n. 152/2006 che definisce il “ripristino ambientale” come gli interventi di riqualificazione ambientale, anche costituenti completamento di interventi di bonifica o messa in sicurezza permanente che consentono di “recuperare il sito alla effettiva e definitiva fruibilità per la destinazione d’uso conforme agli strumenti urbanistici”.
Alla luce di tali disposizioni, la Provincia riteneva quindi corretto il confronto tra i valori della ex cava con i valori di CSC riferibili al verde pubblico/privato, essendo ciò in linea con la destinazione impressa dal Piano di Governo del Territorio applicabile al momento della bonifica.
Anche in sede di appello, l’interpretazione della Provincia di Brindisi viene ritenuta non condivisibile: infatti, la Tabella 1 dell’allegato 5 del Titolo V della parte Quarta del D.Lgs. n. 152/2006 individua le CSC nel suolo e nel sottosuolo riferite specificamente alla “destinazione d’uso dei siti da bonificare”, dividendole tra “verde pubblico/privato e residenziale” e “commerciale/industriale”. Tale destinazione non può che riferire all’effettivo utilizzo del sito in questione, indipendentemente dalla classificazione attribuitagli dagli strumenti urbanistici. Ciò a maggior ragione nei casi in cui, quale quello che caratterizza la sentenza in commento, la destinazione urbanistica dell’area sia mutata nel tempo.
Il ricorso al criterio dell’utilizzo effettivo dell’area oggetto di campionamento è fondamentale nell’impostazione del D.Lgs. n. 152/2006, che finalizza il ripristino delle condizioni ambientali alla tutela della salute dell’uomo: la Tabella 1, infatti, prevede due soli possibili utilizzi dei siti a fronte invece di una pluralità di destinazioni urbanistiche degli atti pianificatori, comportando spesso problemi classificatori con tale eccessiva semplificazione[ii].
Pertanto, la divisione tra zone di cui alle colonne A e B di cui alla Tabella 1 riferisce non già alla specifica destinazione urbanistica delle aree, ma a una summa divisio tra zone “ad uso verde pubblico / privato e residenziale” (colonna A) e zone “ad uso commerciale / industriale” (colonna B), ai fini della individuazione dei valori soglia[iii].
In aggiunta e in applicazione a quanto sopra, giova richiamare un ulteriore tassello fornito dalla giurisprudenza amministrativa sul tema, ai sensi del quale l’individuazione della colonna di riferimento della Tabella 1 debba riferirsi alla situazione di arrivo del sito[iv], in quanto la presenza di inquinanti deve essere valutata dalla prospettiva di chi subirà in concreto le conseguenze della trasformazione dell’area[v].
Conformemente a quanto sopra, il Consiglio di Stato ha ritenuto corretto il ragionamento del T.A.R. di primo grado secondo il quale, nel caso di specie, avrebbero dovuto trovare applicazione i valori di CSC riferibili ai siti commerciali: infatti, l’area oggetto dell’ordinanza originariamente impugnata è stata storicamente utilizzata quale cava e, pertanto, la destinazione della medesima non può che essere assimilata a quella “commerciale / industriale”.
Infine, secondo il Consiglio di Stato sarebbe irrilevante l’effettivo utilizzo dei terreni circostanti ai fini dell’individuazione delle CSC applicabili. Ciò, a dire il vero, discostandosi parzialmente da precedenti pronunce sul tema ai sensi delle quali i valori di CSC di riferimento devono essere identificati anche tenendo conto del contesto di destinazioni d’uso in cui andrà a collocarsi l’area oggetto di campionamento, applicando quindi limiti di inquinamento più conservativi[vi].
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Volontè RGA_Maggio – EMV letto rt
Per il testo della sentenza (estratto dal sito istituzionale della Giustizia Amministrativa) cliccare sul pdf allegato.
[i] L’art. 244 D.Lgs. n. 152/2006 citato recita come segue: “1. Le pubbliche amministrazioni che nell’esercizio delle proprie funzioni individuano siti nei quali accertino che i livelli di contaminazione sono superiori ai valori di concentrazione soglia di contaminazione, ne danno comunicazione alla regione, alla provincia e al comune competenti.
- La provincia, ricevuta la comunicazione di cui al comma 1, dopo aver svolto le opportune indagini volte ad identificare il responsabile dell’evento di superamento e sentito il comune, diffida con ordinanza motivata il responsabile della potenziale contaminazione a provvedere ai sensi del presente titolo.
- L’ordinanza di cui al comma 2 è comunque notificata anche al proprietario del sito ai sensi e per gli effetti dell’articolo 253.
- Se il responsabile non sia individuabile o non provveda e non provveda il proprietario del sito né altro soggetto interessato, gli interventi che risultassero necessari ai sensi delle disposizioni di cui al presente titolo sono adottati dall’amministrazione competente in conformità a quanto disposto dall’articolo 250.”
[ii] In tal senso, si veda T.A.R. Calabria (Catanzaro), Sez. I, 5 giugno 2021, n. 1132.
[iii] Così recita T.A.R. Puglia (Lecce), Sez. II, 30 dicembre 2020, n. 1497.
[iv] Nel caso in commento, il sito era interessato da un progetto di realizzazione di una discarica di rifiuti non pericolosi.
[v] T.A.R. Lombardia (Brescia), Sez. I, 29 luglio 2015 n. 1020.
[vi] Si veda nuovamente T.A.R. Lombardia (Brescia) n. 1020/2015, la quale ha ritenuto che i valori CSC riferiti ad aree ad uso verde pubblico/privato e residenziale fossero applicabili a un’area a uso produttiva, localizzata in un ambito prevalentemente residenziale.