Quale il rapporto tra i procedimenti autorizzativi della “Seveso” e il procedimento unico ambientale, c.d. PAU?

21 Set 2020 | articoli, contributi, in evidenza 2

di Paola Brambilla

Imperversa, tra le stanze delle amministrazioni coinvolte in procedimenti autorizzativi che hanno ad oggetto impianti a rischio di incidente rilevante, da assoggettare a VIA, il quesito sull’applicabilità o meno della procedura di cui all’art. 27 bis del T.U.A. anche a tali fattispecie; i fautori della tesi positiva sostengono che la logica della semplificazione e concentrazione non trovi eccezioni, i sostenitori della specialità ambientale della disciplina dettata, da ultimo dal D. lgs. 105/2015, affermano invece che quest’ultima sfugga a detta logica ed abbia un’indiscussa autonomia procedimentale.

La soluzione può essere data solo analizzando il quadro normativo europeo e nazionale di riferimento, trattandosi di normative di derivazione unionale, che come tali richiedono un’interpretazione conforme.

Partendo dunque dal corpus dedicato agli impianti a rischio di incidente rilevante, l’intreccio tra il procedimento di valutazione d’impatto ambientale e le procedure autorizzative degli impianti a rischio di incidente rilevante è stato chiaramente affrontato nel D. lgs. 105/2015 in primo luogo all’art. 24. La disposizione, dedicata alla “consultazione pubblica e partecipazione al processo decisionale” amplia la dimensione della trasparenza e dell’accesso all’informazione ambientale della popolazione, prima mero recettore di informazioni riservate, alla dimensione e rango di un’interlocuzione vera e propria, presupposto indefettibile del processo valutativo e decisionale.

Si legge infatti che: “1. Il pubblico interessato deve essere tempestivamente messo in grado di esprimere il proprio parere sui singoli progetti specifici nei seguenti casi….2. In caso di progetti sottoposti a procedura di valutazione di impatto ambientale, il parere di cui al comma 1 è espresso nell’ambito di tale procedimento, con le modalità stabilite dalle regioni o dal Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare secondo le rispettive competenze.  3. Per quanto riguarda i singoli progetti specifici di cui al comma 1, il Comune ove ha sede l’intervento, all’avvio, da parte del Comune medesimo o di  altro  soggetto  competente  al  rilascio  del  titolo abilitativo alla costruzione, del relativo  procedimento  o  al  più tardi,  non  appena  sia   ragionevolmente   possibile   fornire   le informazioni, informa il pubblico interessato,  attraverso  mezzi  di comunicazione elettronici, pubblici avvisi o in altra forma adeguata, sui seguenti aspetti:

  1. a) l’oggetto del progetto specifico;
  2. b) se del caso, il fatto che il progetto è soggetto a una procedura di valutazione dell’impatto ambientale in ambito nazionale o transfrontaliero o alle consultazioni tra Stati membri ai sensi dell’articolo 5, comma 2, lettera b);
  3. c) i dati identificativi delle autorità competenti responsabili del rilascio del titolo abilitativo edilizio, da cui possono essere ottenute informazioni in merito e a cui possono essere presentati osservazioni o quesiti, nonchè indicazioni sui termini per la trasmissione di tali osservazioni o quesiti;
  4. d) le possibili decisioni in ordine al progetto oppure, ove disponibile, la proposta del provvedimento che conclude la procedura di rilascio del titolo abilitativo edilizio;
  5. e) l’indicazione dei tempi e dei luoghi in cui possono essere ottenute le informazioni relative al progetto e le modalità con le quali esse sono rese disponibili;
  6. f) i dettagli sulle modalità di partecipazione e consultazione del pubblico.
  7. Per quanto riguarda i singoli progetti specifici di cui al comma 1, il Comune provvede affinchè, con le modalità e secondo i termini di cui al decreto legislativo 19 agosto 2005, n. 195, il pubblico interessato abbia accesso:
  8. a) ai principali rapporti e pareri   pervenuti   all’autorità competente nel momento in cui il pubblico interessato è informato ai sensi del comma 3;
  9. b) alle informazioni diverse da quelle previste al comma 3, che sono pertinenti ai fini della decisione in questione e che sono disponibili soltanto dopo che il pubblico interessato è stato informato conformemente al suddetto comma.
  10. Il pubblico interessato può esprimere osservazioni e pareri entro 60 giorni dalle comunicazioni di cui al comma 3 e gli esiti delle consultazioni svolte ai sensi del medesimo comma 1 sono tenuti nel debito conto ai fini dell’adozione del provvedimento finale da parte del Comune o di altra amministrazione competente.
  11. Il Comune, o altro soggetto competente al rilascio del titolo abilitativo alla costruzione, a seguito della conclusione del procedimento di cui al comma 1, mette a disposizione del pubblico attraverso mezzi di comunicazione elettronici, pubblici avvisi o in altra forma adeguata:
  12. a) il contenuto del provvedimento finale e le motivazioni su cui e’ fondato, compresi eventuali aggiornamenti successivi;
  13. b) gli esiti delle consultazioni tenute prima dell’adozione del provvedimento finale e una spiegazione delle modalità con cui si è tenuto conto di tali esiti.…

Si cita la norma nella sua interezza perché è significativa per molti aspetti sollevati dal quesito. In primo luogo essa dispone espressamente l’integrazione della consultazione del pubblico, a tutti i suoi livelli, propria della terza versione della normativa “Seveso” all’interno delle apposite procedure di VIA, dunque chiarendo l’assorbimento di questa procedura settoriale, di natura autorizzativa, all’interno della VIA.

E’ uno dei primi indizi eloquenti che chiariscono i rapporti tra le due discipline. Non solo: è evidente altresì come la VIA allevii molte delle improbe fatiche che altrimenti gravano sui Comuni, spesso dimentichi di questi obblighi normativi, o non sufficientemente dotati di professionalità interne al corrente degli adempimenti; senza contare che quando gli enti locali minori reclutano professionalità esterne per seguire gli aspetti RIR di impianti localizzati sul proprio territorio, solitamente scelgono tecnici che prediligono gli aspetti impiantisti a quelli della normativa in tema di informazione e partecipazione ambientale.

Viene poi in rilievo l’art. 18, rubricato “Modifiche di uno stabilimento”, che prevede in tal caso l’obbligo – alla lett. c) – di comunicare “la modifica all’autorità competente in materia di valutazione di impatto ambientale, che si pronuncia entro un mese, ai fini della verifica di assoggettabilità alla procedura prevista per tale valutazione” Senza VIA o Verifica di VIA non può esservi modifica, o nuova autorizzazione. Dunque è da escludere un’autonomia del NOF, in sostanza, rispetto alla procedura di valutazione ambientale, ove prevista.

Ancora più drastico è l’art. 31, il quale per gli stabilimenti di stabilimenti di soglia superiore dispone, al comma 2, in tema di prevenzione incendi, che “2. Gli atti conclusivi dei procedimenti di valutazione del rapporto di sicurezza sono inviati dal CTR agli organi competenti perché ne tengano conto nell’ambito delle procedure relative alle istruttorie tecniche previste in materia ambientale, di sicurezza sul lavoro, sanitaria e urbanistica, in particolare dal: a) decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, e dalle relative leggi regionali, in materia di valutazione di impatto ambientale, di autorizzazione integrata ambientale e di rifiuti”.

Ecco dunque che gli atti conclusivi del RdS confluiscono nella valutazione d’impatto ambientale, e dunque tale confluenza può altrettanto agevolmente realizzarsi all’interno del procedimento di PAU, al fine del rilascio di questo procedimento che realizza un’acquisizione unitaria e contestuale di tutti i titoli necessari sia alla realizzazione del progetto che all’esercizio dell’impianto, cosicchè pare evidente che vi siano ricompresi anche i NOF o altri adempimenti previsti dalla Seveso ter.

Ad analoga e ancor più rafforzata conclusione si perviene analizzando la speculare disposizione contenuta all’art. 14, comma 4, della L. 241/1990, che detta appunto le norme generali sul procedimento amministrativo. Tale disciplina, per nulla settoriale, afferma che “qualora un progetto sia sottoposto a valutazione di impatto ambientale di competenza regionale, tutte le autorizzazioni, intese, concessioni, licenze, pareri, concerti, nulla osta e assensi comunque denominati, necessari alla realizzazione e all’esercizio del medesimo progetto, vengono acquisiti nell’ambito di apposita conferenza di servizi, convocata in modalità sincrona ai sensi dell’articolo 14ter, secondo quanto previsto dall’articolo 27bis del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152”. Si tratta di una disposizione che non prevede alcuna deroga, diversamente da quanto invece precisano altri articoli della stessa L. 241/90, che dove intendevano sottrarre specifici settori alle regole generali del procedimento amministrativo, l’hanno fatto esplicitamente (vedasi ad esempio l’art. 3 quanto all’esenzione degli atti normativi e di contenuto generale, come quelli di pianificazione urbanistica, dall’obbligo di specifica e puntuale motivazione).

Le due norme, art. 27 bis del D. lgs. 152/06 e 14, comma 4 della L. 241/90 disegnano dunque un procedimento che vuole realizzare – in sede di primo rilascio, si badi bene – l’acquisizione unitaria e contestuale dei titoli comunque necessari, sia che li indichi espressamente il proponente, sia che lo stesso non vi provveda, tanto che la norma attribuisce all’amministrazione il compito di avvisare tutte le autorità comunque “potenzialmente” coinvolte.

Invece, ed è bene ricordarlo, i successivi atti modificativi e via dicendo, diventano di nuovo terra di svolgimento dei singoli procedimenti settoriali: cfr. art. 27 bis comma 9 per cui queste ultime (autorizzazioni settoriali confluite nel PAU) sono “rinnovate e riesaminate, controllate e sanzionate con le modalità previste dalle relative disposizioni di settore da parte delle amministrazioni competenti per materia”.

La finalità è dunque quella di consentire una valutazione complessiva del progetto, anche tramite il confronto con le altre amministrazioni titolari di potere autorizzativo, in tempi certi e brevi per il proponente; con la conseguenza, si afferma, che il PAUR deve comprendere, per essere legittimo in senso formale e sostanziale, effettivamente tutti i titoli necessari, poiché la conclusione di un PAUR che comprenda solo parte di tali titoli potrebbe essere censurata per violazione di legge e quindi rischiare l’invalidità.

In sede interpretativa, peraltro, la recente autorevole iniziativa “Creiamo P.A.” ha preso ufficialmente posizione contro quegli interpreti che “adottando un’interpretazione restrittiva della norma, ritengono non annoverabili tra i titoli abilitativi da includere nel PAUR tutti i titoli contenuti in normative speciali.”

Al contrario, come sopra osservato, nel caso di questo strumento formativo dedicato proprio alle P.A., si conclude che l’intenzione del legislatore è quella di estendere l’applicazione del PAUR a tutti i titoli autorizzativi necessari per la realizzazione ed esercizio del progetto, e che in tal senso militano le chiare espressioni contenute, come si diceva poc’anzi, sia in un testo normativo “speciale” (D.lgs. 152/2006), sia all’interno di una disciplina generale (art. 14, comma 4, L. 241/1990), assumendo natura derogatoria rispetto alla disciplina di settore (id est: speciale) propria delle singole autorizzazioni.

Da ultimo, che tale lettura sia conforme alle norme comunitarie in cui affondano le proprie radici sia la disciplina nazionale della VIA che la normativa RIR, emerge pure dalla rilettura di alcuni passaggi emblematici proprio della direttiva 2012/18.

Ebbene, il considerando (18) chiarisce che “per proteggere maggiormente le zone residenziali, le zone di consistente uso pubblico e l’ambiente, incluse le zone di particolare interesse naturale o particolarmente sensibili, è necessario che le politiche in materia di pianificazione territoriale e/o altre politiche pertinenti applicate negli Stati membri, garantiscano opportune distanze tra dette zone e gli stabilimenti che presentano tali pericoli e, per gli stabilimenti esistenti, pongano in atto, se necessario, misure tecniche complementari per mantenere a un livello accettabile i rischi per le persone o per l’ambiente. Le decisioni dovrebbero essere adottate sulla base di adeguate informazioni relative ai rischi e relativi pareri tecnici. Quando possibile, al fine di ridurre gli oneri amministrativi, in particolare per le piccole e medie imprese, le procedure e le misure dovrebbero essere integrate con altre procedure previste da pertinenti disposizioni legislative dell’Unione.

Ecco quindi palesata l’integrazione nella VIA, a chiare lettere suggerita e incentivata dall’UE.

Poi il punto motivazionale prosegue ricordando come “in conformità alla convenzione di Aarhus, è necessario che il pubblico interessato possa partecipare effettivamente al processo decisionale, esprimendo in merito a esso pareri e preoccupazioni che possono essere rilevanti, dei quali i responsabili decisionali devono tenere conto. Ciò permetterà di rafforzare la responsabilizzazione delle istanze decisionali e aumenterà la trasparenza del processo decisionale, contribuendo in tal modo a sensibilizzare i cittadini ai problemi ambientali e a ottenere il loro sostegno alle decisioni adottate.” Si tratta dell’integrazione realizzata dall’art. 24 del D. lgs. 105/2015, a livello nazionale, che include nella VIA tale processo partecipativo.

Pure l’art. 13 comma 4 si muove in questa direzione: “Le disposizioni di cui ai paragrafi 1, 2 e 3 del presente articolo si applicano fatte salve le disposizioni della direttiva 2011/92/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 13 dicembre 2011, concernente la valutazione dell’impatto ambientale di determinati progetti pubblici e privati (15), della direttiva 2001/42/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 27 giugno 2001, concernente la valutazione degli effetti di determinati piani e programmi sull’ambiente (16), e di altre disposizioni legislative pertinenti dell’Unione. Ove possibile e opportuno, gli Stati membri possono prevedere procedure coordinate o congiunte per applicare le disposizioni del presente articolo e delle direttive delle normative in parola al fine, fra l’altro, di evitare la ripetizione di valutazioni o consultazioni.”

Possiamo concludere, quindi, che se la disciplina unionale del RIR fa salva la normativa sulla VIA, è evidente che quest’ultima è espressamente prevalente sulla prima, di cui è esclusa ogni valenza derogatoria.

E proprio nella logica di tale rapporto le autorizzazioni proprie della Seveso ter devono essere incluse nel PAU, secondo quella integrazione che, in ogni caso, era stata ben posta in termini di primazia della VIA anche da due studi del MATTM e del CNR.[1]

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Brambilla_Seveso-PAU

NOTE:

[1] http://www.cnr.it/commesse/Allegato_24179.pdf?LO=01000000d9c8b7a6090000000c000000492b00009d5b9b53000000000100000000000000000000000000000000000000000000000000000000000000000000000000000000000000&type=application/pdf

http://conference.ing.unipi.it/vgr2006/archivio/Archivio/2006/Articoli/300172.pdf

 

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