Pronti per il 55%? Forse. Le ambizioni europee e le risposte dell’Italia

01 Lug 2024 | articoli, contributi

Introduzione

Il Piano europeo “Fit for 55”, per la riduzione entro il 2030 del 55% delle emissioni climalteranti rispetto ai livelli del 1990, nasce nel 2021 con un’apposita Comunicazione della Commissione Ue[i]. Il documento citato contiene un progetto di lungo periodo, che si situa all’interno del percorso per far diventare l’Europa il primo continente climaticamente neutro entro il 2050, da realizzare mediante l’approvazione di nuove norme e lo stanziamento di fondi ad esso dedicati.

Nello specifico, il pacchetto di proposte mira a fornire un quadro coerente ed equilibrato per il raggiungimento degli obiettivi climatici dell’Ue, finalizzato a: garantire una transizione giusta e socialmente equa; mantenere e rafforzare l’innovazione e la competitività dell’industria dell’UE assicurando nel contempo parità di condizioni rispetto agli operatori economici dei paesi terzi; sostenere la posizione leader dell’Ue nella lotta globale contro i cambiamenti climatici.

A distanza di alcuni anni, e con lo sviluppo e le prime attuazioni di alcune politiche del Green Deal, il “Fit for 55” è già oggetto di discussione: a che punto siamo? Ci si chiede. Le proposte e i progetti previsti hanno tutti visto la luce? E gli Stati? Stanno contribuendo al percorso di decarbonizzazione?

Si possono qui anticipare alcune risposte a questi interrogativi e da queste formulare alcune valutazioni più generali, che saranno riprese nei paragrafi seguenti e nelle conclusioni.

Primo: l’attuale fase di realizzazione del pacchetto in esame è ancora parziale, difficile da giudicare, ma, salvo sorprese, lontana dal traguardo. Secondo responso: molti, ma non tutti, tra i progetti e le proposte contenuti nella Comunicazione della Commissione sono ora norme vincolanti. In terzo luogo, il “Fit for 55” è ancora soprattutto sulla carta e, per la sua attuazione, ci si attende uno sforzo significativo da parte degli Stati membri che devono tradurlo in misure concrete ed efficaci.

Questa situazione, come detto, consente di confermare alcune valutazioni in merito alla concezione, alla ratio e allo sviluppo del Green Deal europeo in questi suoi primi anni di vita.

La prima riguarda la sua realizzazione: il “Patto verde” portato avanti dalla Commissione non è un pranzo di gala, potremmo dire. L’obiettivo della neutralità climatica entro il 2050 è molto ambizioso e realizzarlo non sarà facile. I costi saranno alti e gli ostacoli da superare ancora di più.

Il secondo elemento da evidenziare riguarda il rapporto tra Unione e Stati membri. L’Unione non è da sola in questo percorso, ma rischia di rimanere isolata. L’analisi dell’attuazione del “Fit for 55” lo conferma: non bastano le intenzioni della Commissione e i suoi progetti strategici, e nemmeno l’adozione dei testi normativi per renderlo effettivo, occorre anche la risposta delle autorità nazionali.

Infine, si conferma l’uso dello strumento programmatorio o pianificatorio[ii]. Questo è ibrido, o a due livelli, perché consta di una fase eurounitaria e tante altre che hanno luogo nei territori degli Stati. Le due fasi, inoltre, sono collegate, perché le programmazioni nazionali sono coerenti con quanto disposto in sede Ue e devono passare attraverso un processo di negoziazione e valutazione in capo alla Commissione europea. La scelta di questo approccio, come dimostra anche l’attuazione del “Fit for 55”, ha vantaggi e inconvenienti.

L’Europa e il “Fit for 55”

Nel corso di questi anni, anche grazie all’approvazione di molte delle proposte legislative contenute nella Comunicazione “Fit for 55[iii] e della normativa europea sul clima (Regolamento n. 1119/2021) e nonostante alcuni eventi avversi, come la guerra Russo-Ucraina e le proteste degli agricoltori contro le misure di decarbonizzazione della produzione agro-alimentare[iv], possiamo dire che l’Ue sta portando avanti il suo progetto per perseguire l’obiettivo della neutralità climatica. Obiettivo che, a oggi, deve essere considerato vincolante per gli Stati, come per la Commissione europea.

Nondimeno, adoperarsi per raggiungere l’obiettivo del GD non significa realizzarlo. Perché ciò avvenga, infatti, vi è bisogno di strumenti e misure concrete (di regolazione, incentivo, finanziamento, divulgazione, ecc.), quindi di soggetti che le pongano in essere. Di qui, come si è avuto modo di osservare già in questa sede[v], si conferma la natura articolata e multilivello del Green Deal, che per la sua realizzazione ha bisogno degli Stati e della loro attività amministrativa e di regolazione. Sono proprio questi ultimi a essere chiamati a dare attuazione ad alcune misure scaturenti dal “Fit for 55”, ma ciò non è scontato, come si vede ad esempio per le due direttive sul risparmio energetico: EU/2024/1275 (sulla prestazione energetica nell’edilizia, cosiddetta “Case green”) e EU/2023/1791 (sull’efficienza energetica). La prima, infatti, che prevede che le nuove costruzioni immobiliari dovranno essere a emissioni zero a partire dal 2030 (2028 per edifici pubblici o a gestione pubblica), stabilendo poi un cronoprogramma di decarbonizzazione per quelli preesistenti, mette in difficoltà Stati come l’Italia, che devono affrontare costi e capacità tecniche straordinari per portare a norma i numerosissimi edifici di pregio o particolarmente antichi presenti sul territorio. Ancorché nel caso appena descritto siano previsti criteri flessibili e deroghe agli elevati standard decisi dalla direttiva, si comprende il ruolo decisivo affidato agli Paesi membri, chiamati sopportare sforzi e sacrifici per l’attuazione delle politiche del Green Deal europeo.

Se ne ha un’ulteriore controprova anche nelle raccomandazioni del 18 gennaio 2024, fornite dall’European Scientific Advisory Board on Climate Change (ESABCC)[vi], proprio in tema di Green Deal e politiche di decarbonizzazione europee[vii]. Il rapporto sottolinea come il raggiungimento degli obiettivi del pacchetto “Fit for 55” dipenda dall’azione dei governi nazionali, cui raccomanda di allineare meglio le proprie politiche pubbliche con gli obiettivi di decarbonizzazione[viii].

Il “Fit for 55” negli ordinamenti statali: il caso italiano

Per ciò che concerne gli Stati e la loro capacità di dare seguito alle nuove politiche dirette a ridurre le emissioni e decarbonizzare l’economia, il quadro è molto variegato, anche perché, oltre ai diversi contesti territoriali, riguarda anche i numerosi settori interessati dal processo di transizione ecologica.

In merito allo Stato italiano e con riferimento al settore energetico (protagonista principale del piano del Green Deal europeo[ix]), si segnala che, proprio in ossequio all’approccio Ue agli obiettivi di transizione energetica entro il 2030, la bozza di revisione del Piano Nazionale Integrato per l’Energia e il Clima (PNIEC) italiano evidenzia la necessità di intensificare gli sforzi a livello nazionale. In generale, le sfide ancora aperte riguardano l’incertezza normativa, le inefficienze nelle aste e le lentezze nei processi autorizzativi[x].

Proprio in tema di energia, il 18 dicembre 2023 la Commissione ha pubblicato[xi] le proprie osservazioni sui piani inviati e, nonostante una valutazione complessivamente positiva, essa ha segnalato “lacune di ambizione che ostacolano il raggiungimento dei traguardi e degli obiettivi più ambiziosi concordati di recente per il 2030 in materia di clima ed energia”[xii]: la riduzione di emissioni che emerge dai piani presentati è di circa il 51% rispetto ai livelli del 1990, cioè 4% in meno rispetto all’obiettivo di riduzione delle emissioni del 55% nel 2030.

Se guardiamo all’Italia, proprio il testo della Commissione sottolinea, in molti passaggi, che il contributo programmato è conforme alle aspirazioni del Piano europeo. Nondimeno, il dato non deve trarre in inganno: si tratta dell’aggiornamento di un piano per i prossimi anni, che non può che essere ambizioso, ma che dovrà poi essere portato a compimento, con costi, sacrifici e discontents. Un esempio problematico lo si ritrova nel settore della mobilità elettrica, ove la Commissione evidenzia che, proprio in Italia, come in Francia e Germania, “esistono ancora di regimi di sostegno a favore dei veicoli alimentati a combustibili fossili”[xiii].

A ciò si aggiunga anche quanto riportato dalla Raccomandazione n. 2024/599 della Commissione europea[xiv], specificamente dedicata al PNIEC. Essa si concentra su alcuni aspetti specifici: ridurre i consumi civili, dei trasporti e dell’agricoltura, con ulteriori politiche e misure economicamente efficienti; massimizzare lo sviluppo delle rinnovabili, aggiornando e migliorando il quadro regolatorio attuale – e, ci preme aggiungere, la sua attuazione in concreto, che sconta ancora un grande ritardo[xv]; finanziare la transizione energetica, dopo averne adeguatamente valutato il fabbisogno e specificato le informazioni relative ai fondi disponibili; specificare e fornire i necessari dettagli sugli impatti macroeconomici e sociali delle misure contenute nel Piano (le forme di supporto, l’impatto delle politiche, i gruppi di individui interessati e le risorse dedicate).

Infine, la “Relazione sullo stato di attuazione degli impegni per la riduzione delle emissioni di gas ad effetto serra”[xvi], allegata al DEF 2024 e predisposta dal Ministro dell’ambiente e della sicurezza energetica (MASE), conferma la necessità di migliorare gli sforzi in sede attuativa, per raggiungere gli obiettivi previsti, stimando che, con le riforme più recenti, nel 2030 la distanza tra risultati e target da conseguire sarà minore ma ancora rilevante, perché permarrà “una certa distanza dagli obiettivi di riduzione, che indica la particolare difficoltà ad incidere efficientemente su alcuni settori, in particolare Trasporti e Civile, come già emerso dall’andamento delle emissioni negli ultimi anni”[xvii].

Le valutazioni prese in esame mostrano che l’Italia ha progettato e pianificato le azioni da intraprendere per la decarbonizzazione energetica, ma queste possono essere più ambiziose e vanno valutate alla prova dei fatti, in sede attuazione.

Inoltre, gli aspetti messi in evidenza confermano un secondo dato fondamentale del Green Deal: il suo strutturarsi come una doppia programmazione, che prevede obiettivi e strategie comuni, fissate da piani decisi a livello Ue e usati come parametro per verifiche, approvazioni e negoziazioni, e piani nazionali, finalizzati all’attuazione delle varie misure nei territori degli Stati. Proprio con il “Fit for 55” si è proceduto con un programma di azione, non a caso contenuto in un atto non vincolante, che determina gli obiettivi e le finalità da perseguire, nonché una sommaria descrizione degli strumenti che si intendono adoperare, ma non reca disposizioni cogenti sotto il profilo giuridico. Il testo ha natura di programmazione strategica e politica e non ha efficacia prescrittiva, pur provando a entrare nei dettagli in alcuni passaggi. Lo strumento programmatorio/pianificatorio caratterizza in modo particolare il Green Deal perché serve a definire un disegno condiviso e a dettare la linea politica da seguire, avendo, come destinatari, sia le autorità pubbliche competenti a dare concretezza ed attuare quel disegno, sia i privati. Inoltre, la programmazione serve a ordinare gli interessi, che sono molteplici: le attività al centro della pianificazione coordinano e mettono in equilibrio, inter alia, tutela dell’ambiente, politica energetica e del clima, tutela degli ecosistemi e della biodiversità, economia circolare e sviluppo economico-sociale.

La programmazione ha quindi una doppia valenza: da un lato serve a organizzare, anticipare, predefinire e rendere noti gli strumenti di intervento nell’economia per trasformarla in senso ecologico; dall’altro, è diretta sia alle istituzioni europee sia agli Stati nazionali e alle loro autorità pubbliche, con il fine di guidare, coordinare e rendere coerenti nei contenuti le attività da porre in essere per realizzare in concreto il GDE. Si tratta, per tali ragioni, di uno strumento di governo della complessità, che si rivela particolarmente adatta in un contesto multidimensionale come quello del Green Deal. Ma la programmazione, come detto, è doppia o ibrida: a livello extranazionale vengono fissati obiettivi e approcci, a livello nazionale gli Stati si impegnano a svolgere una serie di attività finalizzate a realizzare quegli obiettivi, ma sono essi stessi a definirne il contenuto, che sarà poi sottoposto alla valutazione di istituzioni sovranazionali per verificarne l’effettiva attuazione. Si tratta di un modello regolatorio che mantiene collegati i regimi ultra-statali e le istituzioni nazionali soprattutto nel momento dell’orientamento e delle scelte delle priorità, e che lascia ampia discrezionalità alle amministrazioni domestiche con riferimento alla scelta delle politiche e alla fase attuativa, mantenendo il controllo in capo agli attori sovranazionali.

Conclusioni

Lo stato di attuazione del “Fit for 55” conferma alcune tendenze che sono emerse nel corso di questi primi anni di realizzazione della strategia del Green Deal: il processo è lento e complicato e deve passare attraverso l’adozione di norme e politiche regolatorie, ma queste ultime non sono sufficienti; la realizzazione in concreto della transizione ecologica progettata dall’Ue poggia, essenzialmente e necessariamente, sull’azione concreta degli Stati, chiamati ad attivarsi in tal senso; nel processo attuativo delle varie misure è necessario un passaggio, comune, fondato sul negoziato tra Commissione e Paesi membri che concordano i contenuti dei piani, affinché siano coerenti e adeguati agli standard previsti; l’attuale fase, ancora di pianificazione più che di esecuzione, non consente di dare un giudizio sull’efficacia degli strumenti previsti per attuare il Piano in parola, se non che occorrerebbe accelerare lo scatto alla fase successiva.

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NOTE:

[ii] I termini «pianificazione» e «programmazione» sono intesi come sinonimi, seguendo l’impostazione di Massimo Severo Giannini, Il pubblico potere. Stati e amministrazioni pubbliche, Bologna, Il Mulino, 1986, 130. In senso contrario, identificando i programmi come l’attuazione dei piani, A. Predieri, Pianificazione e costituzione, Saggi di cultura contemporanea, n. 35, Milano, Edizioni di comunità, 1963, p. 98. Il concetto di programmazione/pianificazione è inteso avendo riferimento all’articolata descrizione e catalogazione svolta da N. Rangone, Le programmazioni economiche. L’intervento pubblico tra piani e regole, Bologna, Il Mulino, 2007, la quale lo definisce come un tipo di intervento pubblico multiforme, che trova espressione in diverse tecniche (p. 10). Seguendo questa medesima impostazione, le programmazioni sono viste come “interventi a carattere esterno, che incidono in modo diretto sulla sfera giuridica di soggetti terzi rispetto ai pubblici poteri” (p. 31) e che incidono su obiettivi e finalità delle attività economiche, che vengono prefissati dai poteri pubblici (pp. 207-209). Tra i tanti si richiama, senza la pretesa di essere esaustivi, M.S. Giannini, Istituzioni di diritto amministrativo, Milano, Giuffré, 1981, p. 627 e Diritto pubblico dell’economia, Bologna, Il Mulino, 1989, p. 292, M. Carabba, Programmazione, in Digesto (disc. pubbl.), Torino, XII, 1997 e E. Picozza, A. Police, G.A. Primerano, R. Rota e A. Spena, Politiche di programmazione per la resilienza dei sistemi infrastrutturali. Economia circolare, governo del territorio e sostenibilità energetica, Torino, Giappichelli, 2019.

[iii] Tra le diverse misure che danno attuazione al cosiddetto pacchetto “Fit for 55”, si possono citare le direttive 2023/958/UE e 2023/959/UE, finalizzate a garantire il raggiungimento dell’obiettivo del 55% previsto per il 2030. Le principali modifiche operate dalla direttiva 2023/959/UE riguardano la fissazione di obiettivi più ambiziosi di riduzione delle emissioni, nonché l’ampliamento dell’EU ETS a nuovi settori. La direttiva 2023/958/UE riguarda invece il contributo del trasporto aereo all’obiettivo di riduzione delle emissioni. In Italia, la delega per il recepimento delle direttive 2023/958/UE e 2023/959/UE è recata dalla legge 21 febbraio 2024, n. 15 (legge di delegazione europea 2022-2023). Per un elenco delle misure derivanti dal piano europeo per il 2030 si veda Senato della Repubblica, Allegato al DEF 2024 – Relazione sullo stato di attuazione degli impegni per la riduzione delle emissioni di gas serra, Dossier n. 12/1, 16 aprile 2024, pp. 3-4.

[iv] Tra le politiche della Comunicazione “Fit for 55” che non hanno ancora trovato attuazione, ad esempio, occorre citare alcune proposte che sono in fase di stallo o che sono andate incontro a un ripensamento da parte delle Istituzioni europee. Nello specifico, si tratta delle misure relative al settore agroalimentare e alla biodiversità. Si prenda in esame, inter alia, la legge sul ripristino della natura, proposta dalla Commissione e approvata dal Parlamento è bloccata in sede di Consiglio dell’Ue perché i ministri dei vari Paesi non riescono a raggiungere un accordo. Similmente, le proteste degli agricoltori di inizio 2024 hanno portato la Commissione europea ad abolire la proposta di legge che limitava l’uso dei pesticidi e a rimuovere dell’obbligo di lasciare a riposo il 4% dei terreni agricoli per favorirne la rigenerazione. Così come è stata rinnovata l’autorizzazione all’uso del glifosato, controverso erbicida dai possibili effetti cancerogeni.

[v] Si rinvia a https://rgaonline.it/articoli/il-green-new-deal-e-globale-ma-lo-fanno-gli-stati/ e a https://rgaonline.it/focus/il-green-new-deal-gnd-e-la-regolazione-pubblica/.

[vi] Organo scientifico incaricato di fornire raccomandazioni alle Commissione Europea sul cambiamento climatico, https://climate-advisory-board.europa.eu/.

[vii] European Scientific Advisory Board on Climate Change, Towards EU climate neutrality Progress, policy gaps and opportunities. Assessment Report 2024, Copenhagen, 2024.

[viii]Key recommendation 1 – Member States should urgently adopt and implement national measures to increase the pace of emissions reductions and reverse the declining EU carbon sink in time. If necessary, the European Commission should take enforcement action to ensure that Member States’ updated national energy and climate plans (NECPs) fully comply with the requirements set out in the Governance Regulation”, Ibidem, p. 8.

[ix] Secondo le stime elaborate da Goldman Sachs la transizione alle rinnovabili avrà successo, già dal 2030, ma sarà costosa: circa 1.650 miliardi nei prossimi dieci anni: 800 miliardi per le reti elettriche e 850 miliardi per la crescita delle rinnovabili.

[x] È da sottolineare che le opportunità economiche, occupazionali e i benefici ambientali in caso di raggiungimento degli obiettivi prefissati sarebbero significativi: si stima un giro di affari in investimenti per le nuove installazioni compreso tra 43 e 68 miliardi di euro con ricadute occupazionali nell’ordine delle 350.000 unità. Ciò senza contare una riduzione delle emissioni di CO2 annuali da produzione di energia compresa tra 39 e 52 MtCO2 a partire dal 2036.

[xi] Commissione europea, Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni. Valutazione a livello di UE delle proposte di aggiornamento dei piani nazionali per l’energia e il clima, Bruxelles, 18.12.2023 COM(2023) 796 final.

[xii] Ibidem, p. 2.

[xiii] Ibidem, p. 7.

[xiv] Commissione europea, Raccomandazione (UE) 2024/599 del 18 dicembre 2023, sulla proposta di piano nazionale integrato aggiornato per l’energia e il clima dell’Italia 2021-2030 e sulla coerenza delle misure dell’Italia con l’obiettivo della neutralità climatica dell’Unione e con la necessità di assicurare progressi sul fronte dell’adattamento, Bruxelles, 7.3.2024.

[xv] Si prenda in esame, come esempio emblematico, la mancata adozione delle linee guida governative per l’attuazione dell’art. 20 del d.lgs. 8 novembre 2021, n. 199 relativo all’individuazione delle aree idonee per l’installazione di impianti da fonti energetiche rinnovabili.

[xvi]https://www.dt.mef.gov.it/export/sites/sitodt/modules/documenti_it/analisi_progammazione/documenti_programmatici/def_2024/DEF-2024-Allegato-MASE.pdf.

[xvii] Ibidem, p. 30.

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