PFAS, tra flessibilità dell’ordinamento e necessità di una disciplina normativa

31 Ago 2024 | articoli, contributi

Nel diritto ambientale, il dibattito attorno alle sostanze perfluoroalchiliche (meglio note come “PFAS”) è certamente incrementato nel corso degli ultimi anni, come testimoniato sia dalle numerose sentenze che i giudici amministrativi hanno pronunciato sulla tematica durante l’anno in corso sia dalla sempre maggiore attenzione che soggetti pubblici e privati (ivi incluse compagnie assicurative) riservano verso la presenza di tali sostanze.

Il proliferare del contenzioso in tale materia rappresenta dunque, per chi scrive, l’occasione per tentare di fare sinteticamente il punto sui profili giuridici maggiormente rilevanti in correlazione alle PFAS, ad oggi non particolarmente soggette a commenti da parte della dottrina giuridica.

Come noto, le PFAS rappresentano una famiglia di composti chimici organici alifatici, utilizzati generalmente per rendere resistenti ai grassi e all’acqua materiali di uso comune, come i tessuti, i tappeti, la moquette, la carta e i contenitori per alimenti. Si tratta, dunque, di composti suscettibili di utilizzo molto vasto, resistenti alla degradazione naturale, che presumibilmente non sono presenti in natura, derivando invero da attività antropica, per lo più da procedimenti di produzione industriale[i].

Talune sostanze rientranti nella più ampia categoria delle PFAS (principalmente PFOS[ii] e PFOA[iii]) sono da anni oggetto di particolare attenzione da parte della comunità scientifica internazionale in quanto sospettate di provocare effetti dannosi sulla salute umana per mezzo dell’ingestione delle stesse con acqua potabile contaminata o attraverso cibi con alti livelli di questi composti[iv] (in merito agli effetti, come evidenziato in una recente pronuncia del Consiglio di Stato, “si sospettano principalmente un ruolo nel determinare alti livelli di colesterolo ed acido urico nel sangue, nonché una possibile correlazione con taluni tipi di cancro al fegato, al rene, al testicolo e alla tiroide[v]). Tuttavia, gli approfondimenti scientifici sulla relativa pericolosità sono ancora in corso, e allo stato attuale non si ha piena contezza degli effetti che tutte le sostanze incluse nella categoria delle PFAS possano provocare sulla salute umana.

Ad ogni buon conto, in considerazione dei potenziali effetti dannosi e della vastità del suo impiego, in taluni ordinamenti il legislatore si è già attivato al fine di disciplinarne e limitarne l’utilizzo (tra gli altri si segnala, per completezza della disciplina normativa, l’ordinamento statunitense, in cui sono stati stabiliti limiti fortemente restrittivi[vi]).

Recentemente, anche a livello europeo, una particolare attenzione alle PFAS è stata riservata da parte dell’Agenzia Europea delle Sostanze Chimica (ECHA) che, su iniziativa di cinque Stati membri, ha formalmente avviato il procedimento per disciplinare una ampia varietà di sostanze perfluoroalchiliche all’interno del c.d. “Regolamento REACH” (1907/2006) con l’obiettivo di limitarne l’utilizzo anche nei processi manufatturieri e, in ogni caso, di rendere controllato l’uso delle sostanze in questione[vii].

In attesa di decisioni più stringenti da assumere nel contesto del Regolamento REACH, in Italia il quadro normativo relativo alle PFAS si rivela ancora frammentario, nonostante un’attenzione crescente negli ultimi anni.

In particolare, allo stato attuale la normativa nazionale[viii] ha sostanzialmente implementato le indicazioni europee, con l’emanazione di disposizioni attuative funzionali ad identificare gli standard di qualità ambientali (SQA, i.e. le concentrazioni da rispettare) in relazione alle acque superficiali (d.lgs. 172/2015)[ix] e alle acque sotterranee (D.M. 6 luglio 2016).

Inoltre, è bene in questa sede segnalare:

  • sia il d.lgs. n. 18/2023 (in materia di qualità dell’acqua destinata al consumo umano), sempre attuativo di un atto europeo, il quale indica le PFAS da monitorare e i relativi «valori di parametro», da rispettare entro il gennaio 2026;
  • sia i regolamenti UE 1021/2019 e UE 2022/2388, aventi diretta applicabilità negli ordinamenti europei: il primo è volto a disciplinare (tra le altre cose) le modalità di gestione dei rifiuti che contengono o sono contaminati da inquinanti organici persistenti (l’Allegato IV, in particolare, menziona talune PFAS[x] e il relativo valore limite di concentrazione ammissibile nei rifiuti)[xi], il secondo a regolare i tenori massimi di quattro sostanze rientranti nel novero delle PFAS all’interno dei prodotti alimentari[xii].

Tuttavia, sono molti i settori giuridici ancora privi di limitazioni codificate dal diritto positivo.

Risulta infatti assente, allo stato attuale, una disciplina specificamente diretta a fissare valori limite per le PFAS contenute negli scarichi e nelle emissioni in atmosfera. Inoltre, nessuna delle sostanze rientranti all’interno del novero delle PFAS è stata presa in considerazione dal legislatore ai fini della possibile contaminazione del suolo e, soprattutto, delle acque sotterranee.

Nel frattempo, talune regioni si sono comunque attivate in via autonoma.

Regione Piemonte, in particolare, ha fissato specifici valori limite di emissione allo scarico in acque superficiali, facendo comunque salvi “valori limite di emissione allo scarico maggiormente restrittivi definiti dall’autorità competente in sede di autorizzazione integrata ambientale[xiii].

Ma è soprattutto Regione Veneto che ha vissuto l’esperienza maggiormente rilevante in merito alle PFAS.

A valle del noto caso “Miteni”[xiv] e della scoperta di ARPAV nel 2013 di una elevata presenza di PFAS nella falda freatica di una vasta area regionale, è stata avviata una interlocuzione tra gli enti coinvolti (soprattutto Istituto Superiore di Sanità e Regione Veneto) al fine di indagare il quadro di contaminazione esistente, identificando altresì talune misure implementabili sul territorio. Detta interlocuzione, ancora in corso, ha portato in primo luogo all’identificazione di una “zona rossa” fra le province di Vicenza, Verona e Padova in cui, con parere dell’Istituto Superiore di Sanità (parere 6 aprile 2016, n. 9818)[xv], sono stati definiti limiti allo scarico in acque superficiali (sebbene “con le modalità particolari appena esposte[xvi]).

Ad ogni buon conto, la presenza di un quadro normativo europeo e nazionale ancora in evoluzione comporta che, frequentemente, siano le stesse amministrazioni a dover regolamentare i limiti alla presenza delle PFAS nel contesto dei singoli procedimenti autorizzativi.

A tal fine, il d.lgs. 152/2006 declina numerosi strumenti normativi valorizzabili dagli enti pubblici, consentendo a questi ultimi di attivarsi per tutelare il bene “ambiente” e la salute pubblica nonostante l’assenza di precisi parametri codificati dal diritto positivo.

In particolare, in materia di autorizzazione integrata ambientale (A.I.A), viene lasciato un ampio margine all’autorità competente nel determinare “le opportune misure di prevenzione dell’inquinamento” da porre alla base dell’A.I.A. al fine di evitare il ricorrere di “fenomeni di inquinamento significativi[xvii].

Inoltre, l’articolo 29-sexies prevede che, laddove venga dimostrato che le conclusioni sulle BAT (migliori tecniche disponibili) non considerino “tutti gli effetti potenziali” di un’attività autorizzata (o di un processo facente parte di quest’ultima) sull’ambiente, spetti direttamente all’autorità competente stabilire “le condizioni dell’autorizzazione” alla luce – tra le altre cose – della “natura, effetti e volume delle emissioni in questione” e della “necessità di prevenire o di ridurre al minimo l’impatto globale sull’ambiente delle emissioni e dei rischi”[xviii].

Pure le disposizioni in materia di riesame dell’A.I.A. consentono all’amministrazione competente di disporre d’ufficio il riesame stesso laddove si riveli necessario introdurre nuovi limiti o parametri, non originariamente previsti all’interno dell’atto autorizzativo (ad esempio, in quanto la pericolosità delle relative sostanze non era del tutto nota al tempo del rilascio dell’autorizzazione)[xix].

Alla luce della casistica giurisprudenziale[xx], anche l’assenza all’interno delle CSC (Concentrazioni Soglia di Contaminazione) codificate dal d.lgs.152/2006 di parametri collegati alle PFAS non ha impedito alle amministrazioni interessate di indirizzare ordini di bonifica ai soggetti considerati responsabili di contaminazioni ambientali causate dalla presenza di tali sostanze (ordini che, peraltro, sono stati ritenuti legittimi in sede giurisdizionale). E ciò sulla base dell’ampia definizione di “inquinamento” contemplata dal legislatore nel d.lgs.152/2006[xxi], nonché alla luce della natura non esaustiva dell’elenco dei parametri delle CSC declinati nella tabella 1, dell’Allegato V alla Parte IV[xxii].

Non deve stupire il fatto che la formulazione letterale delle citate previsioni, sia in materia di A.I.A. sia in materia di bonifica, si riveli piuttosto “estesa”. In tal modo, infatti, il legislatore ha inteso volutamente lasciare un buon margine di discrezionalità in capo alle pubbliche amministrazioni nell’adottare le misure ritenute più opportune sulla base di un approccio “sito specifico” (i.e. in considerazione delle caratteristiche del sito e dell’attività in rilievo nel singolo caso di specie), ammettendo altresì approcci più cautelativi – se necessari – in forza del principio di precauzione.

D’altronde, in presenza di PFAS, è proprio quest’ultimo principio del diritto ambientale (precauzione) ad essere frequentemente valorizzato dalle amministrazioni come base giuridica dei propri provvedimenti, consentendo alle amministrazioni stesse di prescrivere misure atte a garantire una “prevenzione precoce” a tutela dell’ambiente e della salute umana[xxiii], pur con un quadro di conoscenze scientifiche ancora in fase di consolidamento.

Concretamente, l’esistenza nell’ordinamento di strumenti altamente “flessibili” ha fatto sì che, nella maggioranza dei casi, l’azione amministrativa posta in essere dalla pubblica amministrazione sia stata ritenuta legittima dai giudici[xxiv].

Si segnala, tra le altre, la recente pronuncia n. 2986/2024 del Consiglio di Stato che, confermando la sentenza di primo grado (pronunciata proprio dal TAR Veneto), ha ritenuto legittime le prescrizioni imposte da Regione in sede di riesame dell’A.I.A. funzionali a stabilire valori-limite di PFAS negli scarichi[xxv].

Tale pronuncia risulta di particolare rilievo in quanto, oltre a confermare l’attuale esistenza nel d.lgs.152/2006 di strumenti normativi valorizzabili dagli enti al fine di imporre limitazioni alla presenza di PFAS (tra cui le previsioni in materia di A.I.A. e, più in generale, il principio di precauzione), ha fornito chiarimenti sotto ulteriori due profili.

In primo luogo, il giudice amministrativo ha ritenuto che l’imposizione da parte dell’amministrazione regionale di limiti agli scarichi per il parametro PFAS non si ponesse in violazione dell’assetto organizzativo declinato dall’art. 101 del d.lgs.152/2006 (il quale – secondo la tesi dell’appellante – non consentirebbe alle Regioni di integrare le sostanze identificate nell’Allegato V[xxvi], ammettendo unicamente un intervento regionale volto a modificare, in termini quantitativi, i relativi valori-limite)[xxvii]. Infatti, secondo il Consiglio di Stato, anche assumendo che le Regioni non siano titolate ad integrare l’Allegato V[xxviii], l’identificazione di valori-limite nel caso di specie (e in circostanze assimilabili) non si configura come un intervento generale inteso a modificare il citato Allegato V su base regionale, trattandosi al contrario di una specifica prescrizione imposta in conseguenza di un “approccio sito specifico” e, in quanto tale, ammessa laddove prescritta nel contesto dei singoli procedimenti autorizzativi.

Inoltre, all’interno della pronuncia in questione viene dato atto di come la pericolosità (quantomeno potenziale) delle PFAS debba considerarsi ormai pacifica all’esito degli studi condotti dall’Istituto Superiore di Sanità, donde l’infondatezza di qualsivoglia tesi diretta a qualificare i potenziali rischi correlati alla presenza di PFAS come “presunti” e privi di base scientifica.

Le affermazioni del Consiglio di Stato si pongono in linea con altri precedenti giurisprudenziali[xxix], consolidando così la “bontà” di un’azione amministrativa fondata su un approccio cautelativo e precauzionale in presenza di PFAS, purché non manifestamente abnorme o illogico[xxx].

Tuttavia, residuano alcune criticità che, in questa sede, si ritiene opportuno segnalare.

Anzitutto, per la pubblica amministrazione non si rivela agevole operare un corretto bilanciamento tra tutela dell’ambiente e della salute umana, da un lato, e interesse privato alla prosecuzione dell’attività di impresa, dall’altro.

L’adozione di un approccio altamente cautelativo da parte degli enti interessati rischia infatti di tradursi, su un piano operativo, nell’imposizione di misure restrittive per le imprese destinatarie (frequentemente società titolari di impianti di trattamento e/o recupero), suscettibili di comportare costi e oneri di assoluto rilievo a carico di queste ultime. Dunque, in sintesi, si impone un corretto bilanciamento tra principio di precauzione e principio di proporzionalità.

Anche sotto tale profilo, la giurisprudenza fornisce utili coordinate.

In primo luogo, ènecessario che le amministrazioni interessate conducano un’istruttoria approfondita[xxxi]  e in pieno contraddittorio, idonea a ricostruire nel dettaglio il quadro fattuale sulla base del quale, poi, identificare le cause e i rischi che possano derivare per l’ambiente e/o per la salute umana dall’esercizio dell’attività o del processo.

Successivamente, una volta chiarito il quadro fattuale e rilevati i rischi, le pubbliche amministrazioni dovrebbero identificare correttamente (con il supporto degli organi tecnici) le specifiche misure attuabili dall’impresa che consentano di raggiungere l’obiettivo desiderato (tutela ambiente e salute umana) con il minor sacrificio per il privato.

Applicando tali linee-guida, a titolo esemplificativo sono stati ritenuti illegittimi approcci “estremamente” cautelativi e destinati ad impattare “in modo drastico ed immediato sull’attività economica” delle imprese, che avrebbero di fatto comportato il “blocco dell’attività” (nel caso in questione, si sarebbe potuto raggiungere un esito ugual modo efficace assegnando all’impresa “un congruo periodo di adeguamento degli impianti per ottenere risultati significativi” [xxxii]). Allo stesso tempo, sono state annullate misure restrittive adottate sulla base di dati fattuali e scientifici non sorretti da adeguata istruttoria, non avendo quest’ultima considerato analisi più recenti rispetto ai dati valorizzati nel provvedimento gravato[xxxiii].

Al contrario, potrebbero invero considerarsi astrattamente legittime misure “ponderate”, oppure provvedimenti restrittivi laddove ne venga dimostrata l’assoluta necessità in sede motivazionale.

In aggiunta alla difficoltà “giuridica” di operare il corretto bilanciamento di interessi di cui sopra, in assenza di previsioni e standard positivizzati gli enti, nella prassi, si scontrano altresì con la difficoltà “tecnica” di identificare i valori-limite applicabili alla circostanza specifica[xxxiv], nonché di individuare con correttezza le soluzioni tecniche maggiormente adeguate per contrastare la presenza di tali sostanze.

Le problematiche tecniche e giuridiche si rivelano, peraltro, in tal caso strettamente correlate; l’assenza di sistemi consolidati per l’abbattimento delle PFAS non di rado porta gli enti ad imporre misure restrittive, quali l’interruzione di scarichi con presenza di PFAS[xxxv] nonché l’esecuzione di indagini sui rifiuti in ingresso di non agevole sostenimento per le imprese[xxxvi] .

Le suddette “criticità” dimostrano, dunque, che, per quanto l’ordinamento contempli attualmente strumenti flessibili e idonei a prevenire danni ambientali anche in assenza di un quadro scientifico consolidato, l’esigenza che la disciplina normativa sulle PFAS venga completata il prima possibile è molto forte sia per gli operatori, sia per gli enti pubblici: soggetti, questi, che necessitano di operare in un contesto regolamentare maggiormente certo.

Tuttavia, la sensazione è che il raggiungimento di tale obiettivo richiederà ancora tempo.

Com’è stato giustamente rilevato[xxxvii], i PFAS pongono problemi originali, trattandosi di sostanze molto differenti tra loro, e anche a livello scientifico non vi è totale uniformità di vedute, con approfondimenti tutt’ora in corso.

Altro profilo da non sottovalutare è la necessità di rinvenire sostanze idonee a sostituire le PFAS nei processi produttivi nel momento in cui l’uso di dette sostanze (o, quantomeno, una parte) verrà definitivamente limitato.

Tutti questi elementi richiedono risposte prima scientifiche, e poi giuridiche. La speranza è che dette risposte non tardino ad arrivare, e che il legislatore, quando sarà il momento, sia abile ad anticipare già in sede legislativa un bilanciamento di interessi che non si rivelerà agevole.

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NOTE:

Lorenzo Ugolini è Avvocato presso lo Studio Legale Chiomenti.

[i] Si veda, tra i documenti tecnici disponibili, le linee-guida di ISRA del dicembre 2018 recanti “Indirizzi per la progettazione delle reti di monitoraggio delle sostanze perfluoroalchiliche (PFAS) nei corpi idrici superficiali e sotterranei”. All’interno delle stesse si legge quanto segue: “Questi composti non sono naturalmente presenti in natura; la loro presenza proviene da attività antropica, per lo più da procedimenti di produzione industriale, operazioni di smaltimento o dal rilascio nell’ambiente derivante dagli innumerevoli prodotti che li contengono. Infatti, in coerenza con le loro capacità di rendere un materiale impermeabile, antimacchia (resistente ai grassi) e antiaderente, sono composti chimici utilizzati in molteplici prodotti di largo consumo e applicazioni industriali, che è possibile suddividere in tre categorie: 1) trattamento di rivestimento dei contenitori di carta per alimenti, in modo da renderli repellenti ad acqua, grassi ed oli e fondi antiaderenti per cottura (Teflon) e pentole, 2) trattamenti superficiali, in particolare tessili (tappeti, tappezzerie antimacchia e tessuti gorotex), di pelli e pellicole fotografiche, 3) vernici, schiume antincendio, imballaggi, mobili. Riguardo alla tossicità, i principali dati disponibili sono riferiti ai PFOS, PFOA e anche perfluoroesano sulfonato (PFHxS) in base alla loro diffusa presenza e al loro bioaccumulo nell’uomo e nell’ambiente. Per le altre sostanze appartenenti ai PFAS, invece, l’informazione sulla tossicità è ancora frammentaria. In particolare l’Acido perfluoroesanoico (PFHxA) e l’Acido perfluorobutansolfonico (PFBS) sono rispettivamente in corso di identificazione come SVHC per le proprietà PBT e come SVHC per le proprietà PBT/vPvB equivalente”.

[ii] Acido perfluoroottansulfonico.

[iii] Acido perfluoroottanoico.

[iv] Cfr. documento del Ministero della Salute intitolato “Le sostanze perfluoroalchiliche: PFOS e PFOA” (2016).

[v] Consiglio di Stato, Sez. IV, 2 aprile 2024, n. 2986.

[vi] Gli Stati Uniti stanno sviluppando una regolamentazione molto ampia (anche a livello nazionale, e non solo federale), in particolare sugli aspetti dell’inquinamento del suolo e delle acque sotterranee, e si è segnalata la recente decisione da parte dell’Agenzia per la Protezione dell’Ambiente (EPA) diretta a fissare sostanzialmente a zero i limiti per la presenza di PFAS nelle acque potabili.

[vii] https://echa.europa.eu/it/-/echa-receives-pfass-restriction-proposal-from-five-national-authorities.

[viii] Per un riepilogo della normativa, si rinvia anche a TAR Lombardia, Brescia, Sez. I, 278/2019.

[ix] In attuazione della direttiva europea n. 2013/39/UE.

[x] PFOS, PFOA, PFHxS,

[xi] L’art. 7 del regolamento in questione declina specifiche modalità di gestione dei rifiuti laddove questi ultimi contengano le sostanze elencate nell’Allegato IV.

[xii] L’acido perfluorottano sulfonato (PFOS), l’acido perfluoroottanoico (PFOA), l’acido perfluorononanoico (PFNA) e l’acido perfluoroesano sulfonico (PFHxS). Si legge nei consideranda del regolamento quanto segue: “Il 9 luglio 2020 l’Autorità europea per la sicurezza alimentare («Autorità») ha adottato un parere sul rischio per la salute umana connesso alla presenza di sostanze perfluoroalchiliche negli alimenti. L’Autorità ha concluso che il PFOS, il PFOA, il PFNA e il PFHxS possono provocare effetti sullo sviluppo e possono avere effetti nocivi sul colesterolo sierico, sul fegato nonché sul sistema immunitario e sul peso alla nascita. Essa ha considerato gli effetti sul sistema immunitario come l’effetto più critico e ha stabilito una dose settimanale tollerabile (DST) di gruppo di 4,4 ng/kg di peso corporeo alla settimana per la somma di PFOS, PFOA, PFNA e PFHxS, che protegge anche dagli altri effetti di tali sostanze. Ha concluso che l’esposizione di parti della popolazione europea a tali sostanze supera la DST, il che desta preoccupazione. Al fine di garantire un livello elevato di protezione della salute umana dovrebbero pertanto essere fissati tenori massimi di tali sostanze nei prodotti alimentari”.

[xiii] Art. 74 L.R. 25/2021.

[xiv] Sulla vicenda, si veda C. MARCOLUNGO, Riflessioni a margine del “caso Miteni”: oltre la stasi?, in Federalismi.it, 28 giugno 2023.

[xv] Con riferimento allo scarico in acque superficiali o di fognatura, all’interno della sentenza del TAR Lombardia, Brescia, Sez. I, 278/2019, si legge quanto segue: “La nota ISS del 6/4/2016, in merito alla situazione della Regione Veneto), raccomanda “di adottare le migliori tecnologie disponibili idonee a mantenere i valori più bassi in scarico” in acque superficiali per le sostanze perfluoroalchiliche. L’obiettivo per tali sostanze dovrà essere quello di “virtuale assenza”. In via provvisoria sono stati indicati i seguenti limiti: PFOS ≤ 0,03 ug/l; PFOA, PFBA, PFBS ≤ 0,5 ug/l; somma altri PFAS ≤ 0,5 ug/l. Rileva altresì il verificatore che tali limiti “coincidono con quelli identificati per le acque destinate al consumo umano per l’Italia” stabiliti con nota ISS 16/1/2014. Tali limiti sono stati recepiti dalla Regione Veneto per il rinnovo dell’autorizzazione allo scarico nel corso d’acqua denominato “Fratta” a Cologna Veneta (VR) e all’esercizio del collettore del Consorzio A.Ri.C.A. che raccoglie acque reflue urbane depurate, avendo come obiettivo il più breve termine possibile (e comunque entro il 30/6/2020). Ad oggi, lo scarico deve rispettare i seguenti limiti: PFOS ≤ 0,06 ug/l; PFOA ≤ 0,5 ug/l; PFBA ≤ 0,5 ug/l; PFBS ≤ 0,8 ug/l; somma altri PFAS ≤ 0,5 ug/l”.

[xvi] Consiglio di Stato, Sez. IV, 2 aprile 2024, n. 2986.

[xvii] Art. 6, comma 16.

[xviii] Comma 5-ter, in combinato disposto i criteri di cui all’Allegato XI. Sul punto, è bene rilevare che, allo stato attuale, il paragrafo 1.2 della Decisione di Esecuzione UE 2018/1147, in cui è riportata la B.A.T. 7 prevede una BAT in materia di monitoraggio relativa alle PFAS, ma “non prende in considerazione gli effetti potenziali delle immissioni sull’ambiente dei PFAS, ovvero la possibilità che incidano sulla salute dell’uomo e che necessitino in via precauzionale di essere abbattute” (TAR Veneto, Sez. II, 4 luglio 2023, n. 976).

[xix] Cfr. Articolo 29 octies, comma 4, lett. a): “Il riesame è inoltre disposto, sull’intera installazione o su parti di essa, dall’autorità competente, anche su proposta delle amministrazioni competenti in materia ambientale, comunque quando: a) a giudizio dell’autorità competente ovvero, in caso di installazioni di competenza statale, a giudizio dell’amministrazione competente in materia di qualità della specifica matrice ambientale interessata, l’inquinamento provocato dall’installazione è tale da rendere necessaria la revisione dei valori limite di emissione fissati nell’autorizzazione o l’inserimento in quest’ultima di nuovi valori limite, in particolare quando è accertato che le prescrizioni stabilite nell’autorizzazione non garantiscono il conseguimento degli obiettivi di qualità ambientale stabiliti dagli strumenti di pianificazione e programmazione di settore”.

[xx] Ex multis, TAR Veneto, Sez. II, 17 luglio 2024, n. 1902, TAR Veneto, Sez. IV, 27 maggio 2024, n. 1192 e TAR Veneto, Sez. IV, 6 maggio 2024, n. 896.

[xxi]Sostanze, vibrazioni, calore o rumore o più in generale di agenti fisici o chimici, nell’aria, nell’acqua o nel suolo, che potrebbero nuocere alla salute umana o alla qualità dell’ambiente, causare il deterioramento dei beni materiali, oppure danni o perturbazioni a valori ricreativi dell’ambiente o ad altri suoi legittimi usi” (cfr. art. 5, comma 1, lett. i-ter) D.Lgs. 152/06). Alla definizione di “inquinamento” si ricollega altresì quella di “bonifica”, definita come “l’insieme degli interventi atti ad eliminare le fonti di inquinamento” (cfr. art. 240, comma 1, lett. p) D.Lgs. 152/06). Inoltre, è bene rilevare che anche la definizione di “inquinamento” prevista dalla disciplina in materia di tutela delle acque prende in considerazione l’ipotesi di pericolo solo potenziale, come correttamente evidenziato dalla giurisprudenza amministrazione (tra le altre, Consiglio di Stato, Sez. IV, 2 aprile 2024, n. 2986); ai sensi dell’art. 74, c. 1, lett. cc) del d.lgs. 152/2006, con “inquinamento”, ai sensi di tale sezione, si intende “l’introduzione diretta o indiretta, a seguito di attività umana, di sostanze o di calore nell’aria, nell’acqua o nel terreno che possono nuocere alla salute umana o alla qualità degli ecosistemi acquatici o degli ecosistemi terrestri che dipendono direttamente da ecosistemi acquatici, perturbando, deturpando o deteriorando i valori ricreativi o altri legittimi usi dell’ambiente”.

[xxii] Tant’è che una nota alla medesima tabella afferma espressamente “che per le sostanze non esplicitamente indicate in Tabella i valori di concentrazione limite accettabili sono ricavati adottando quelli indicati per la sostanza tossicologicamente più affine”.

[xxiii] Ex multis, sul principio di precauzione, TAR Valle d’Aosta, Sez. I, 29 aprile 2021, n.32. In merito all’applicazione del principio di precauzione in caso di presenza di PFAS si segnala, in particolare, TAR Piemonte, Sez. II, 19 aprile 2024, n. 380.

[xxiv] In particolare, dal TAR Veneto, protagonista – per le ragioni precedentemente accennate – del maggior numero di pronunce sul tema PFAS.

[xxv] Consiglio di Stato, Sez. IV, 2 aprile 2024, n. 2986. Si trattava, nel caso di specie, di prescrizioni imposte ad una società titolare di un impianto di smaltimento di rifiuti liquidi. Peraltro, le acque reflue trattate dall’impianto in questione recapitavano nella condotta fognaria la quale, a sua volta, confluiva nel depuratore pubblico e, a valle di ulteriori “passaggi”, sarebbero confluite nell’acquedotto comunale.

[xxvi]Limiti di emissione degli scarichi idrici”, non includente le PFAS.

[xxvii]Tutti gli scarichi sono disciplinati in funzione del rispetto degli obiettivi di qualità dei corpi idrici e devono comunque rispettare i valori limite previsti nell’Allegato 5 alla parte terza del presente decreto. L’autorizzazione può in ogni caso stabilire specifiche deroghe ai suddetti limiti e idonee prescrizioni per i periodi di avviamento e di arresto e per l’eventualità di guasti nonché per gli ulteriori periodi transitori necessari per il ritorno alle condizioni di regime. Ai fini di cui al comma 1, le regioni, nell’esercizio della loro autonomia, tenendo conto dei carichi massimi ammissibili e delle migliori tecniche disponibili, definiscono i valori-limite di emissione, diversi da quelli di cui all’Allegato 5 alla parte terza del presente decreto, sia in concentrazione massima ammissibile sia in quantità massima per unità di tempo in ordine ad ogni sostanza inquinante e per gruppi o famiglie di sostanze affini. Le regioni non possono stabilire valori limite meno restrittivi di quelli fissati nell’Allegato 5 alla parte terza del presente decreto: a) nella Tabella 1, relativamente allo scarico di acque reflue urbane in corpi idrici superficiali; b) nella Tabella 2, relativamente allo scarico di acque reflue urbane in corpi idrici superficiali ricadenti in aree sensibili; c) nella Tabella 3/A, per i cicli produttivi ivi indicati; d) nelle Tabelle 3 e 4, per quelle sostanze indicate nella Tabella 5 del medesimo Allegato” (art. 101, c. 1 e 2 del d.lgs.152/2006).

[xxviii] Circostanza non del tutto pacifica (si veda nota a seguire).

[xxix] Tra le altre, TAR Veneto, Sez. III, 19 gennaio 2023, n. 91 (in tale sede, peraltro, era stata ritenuta ammissibile la possibilità per le regioni di integrare, anche da un punto di vista “qualitativo”, l’allegato V a fronte della “facoltà delle Regioni di adottare, nell’esercizio delle loro competenze legislative, norme di tutela più elevate”). In merito alla ormai certificata potenziale pericolosità delle PFAS, si veda anche TAR Piemonte, Sez. II, 19 aprile 2024, n. 380 (“Nel caso di specie sussistono tutti i presupposti di applicazione del principio di precauzione, in quanto sussistono dati scientifici dimostranti rischi per la salute”).

[xxx] Ex multis, TAR Veneto, Sez. IV, 4 giugno 2024, n. 1297: “Va innanzitutto ricordato che l’autorità amministrativa, nel condurre procedimenti riguardanti casi di inquinamento ambientale e dovendo quindi risolvere questioni tecniche di particolare complessità dispone di una discrezionalità tecnica molto ampia, sindacabile in sede giurisdizionale solo nel caso di risultati abnormi, o comunque manifestamente illogici (cfr. T.A.R.Veneto, Sez. IV, 31 ottobre 2023 n. 1531, che richiama Consiglio di Stato, Sez.IV, 2 maggio 2022, n. 3424; Consiglio di Stato, Sez. II, 7 settembre 2020 n.5379; Consiglio di Stato, Sez. IV, 9 gennaio 2014 n. 36.)”.

[xxxi] Cfr. TAR Piemonte, Sez. II, 19 aprile 2024, n. 380: “Infatti, il principio di precauzione non vale in via automatica a paralizzare qualunque attività che possa ipoteticamente condurre a un rischio per la salute umana o per l’ecosistema (risultando invece necessario un giudizio di “stretta necessità della misura” in concreto adottata, cfr. sentenza C.d.S., sez. VI, 15 dicembre 2022 n.10992 e sez. III, 3 ottobre 2019, n.6655), e, una volta che l’amministrazione ha accertato in concreto la sussistenza di un tale rischio, l’individuazione di possibili soluzioni deve attestarsi su quella che – pur essendo idonea a prevenire il rischio – risulti essere la meno gravosa per il privato o comunque non inutilmente e sproporzionatamente gravosa. Da qui l’importanza, in procedimenti siffatti, di condurre un’adeguata istruttoria, che nel caso specifico è stata compiuta, come il Collegio ha già esposto nell’esaminare il merito del ricorso iscritto al n. 402/2021r.g., con considerazioni che possono essere qui richiamate per respingere le censure sollevate L’amministrazione ha infatti adeguatamente ponderato i possibili rischi per la salute umana e l’ambiente, che, seppur non ancora definiti con carattere di oggettività, sono stati paventati in alcuni studi condotti dalla comunità scientifica di riferimento e, all’esito di tale compiuta istruttoria, ha ritenuto di autorizzare l’attività di -OMISSIS- imponendo le prescrizioni giustificate dalla proporzionata applicazione del principio di precauzione”.

[xxxii] TAR Lombardia, Brescia, Sez. I, 26 marzo 2019, n. 278. In merito a tale pronuncia, si segnala L. GAVONI, La gestione dei percolati di discarica e la “problematica PFAS” tra principio di precauzione e principio di proporzionalità, in RGA on line, 16 settembre 2019. Nel caso di specie, era stato impugnato il provvedimento di riesame dell’A.I.A. che, a causa della introduzione di prescrizioni particolarmente restrittive (ivi incluse specifiche verifiche aventi ad oggetto la presenza di PFAS su rifiuti in entrata classificati con CER 190703 ai fini dell’accettazione nell’impianto), avrebbe di fatto comportato il blocco dell’attività.

[xxxiii] Si veda, sul punto, L. FRIGERIO, Emissioni in atmosfera (PFAS) e potere di ordinanza contingibile e urgente: invocare il principio di precauzione non basta, in RGA online, 1 dicembre 2023.

[xxxiv] Con riferimento agli scarichi, sono stati spesso “mutuati” i limiti dettati dalle norme vigente in materia di standard di qualità ambientali in relazione alle acque superficiali (ad esempio, con riferimento alle acque superficiali, il d.lgs. 172/2015). Ad esempio, nel caso oggetto della già menzionata pronuncia del Consiglio di Stato Sez. IV, 2 aprile 2024, n. 2986, la conferenza di Servizi “non ha applicato meccanicamente i valori stabiliti nel parere dell’ISS 6 aprile 2016 per le acque potabili della zona rossa, ma li ha considerati assieme ad altri dati, ovvero il valore ammesso nelle acque superficiali dal d. lgs. 172/2015 e le concentrazioni in fatto rilevate negli scarichi di cui si tratta, dipendenti dalla tecnologia disponibile”.

[xxxv] Cfr. caso oggetto di decreto del TAR Veneto, Sez. II, 10 luglio 2023, n. 238, relativo ad un provvedimento contenente la seguente prescrizione: “A seguito di successivi verifiche con gli uffici regionali competenti per il Servizio Idrico Integrato, i quali hanno evidenziato che le attuali tecnologie di depurazione non permettono un efficace abbattimento delle sostanze PFAS presso gli impianti di depurazione pubblici, con la presente si comunica che codesta Ditta è tenuta ad interrompere ogni scarico contenente le sostanze sopra citate in fognatura. Parimenti, codesta Ditta deve provvedere a isolare i relativi flussi, individuando la fonte della contaminazione e comunicando tutte le informazioni agli Enti in indirizzo. Si precisa inoltre che il corretto destino dei rifiuti contaminati da PFAS, anche prodotti presso l’installazione di cui trattasi, deve essere individuato nel trattamento termico”.

[xxxvi] TAR Veneto, Sez. II, 10 ottobre 2022, n. 1518. All’interno della stessa sentenza si evidenzia che manca “allo stato, nell’ambito del trattamento reflui, una tecnologia o un processo, “sviluppato su una scala che ne consenta l’applicazione in condizioni economicamente e tecnicamente idonee nell’ambito del relativo comparto industriale”.

[xxxvii] C. MARCOLUNGO, PFAS: La questione normativa e amministrativa degli inquinanti eterni, in Quotidiano Legale, 3 aprile 2024.

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