L’abolizione del SISTRI non interrompe la catena di responsabilità nella gestione dei rifiuti: ma la Cassazione ha davvero preso posizione?

15 Giu 2020 | in evidenza 4, articoli, contributi

di Andrea Ranghino 

CASSAZIONE PENALE, Sez. III – 11 dicembre 2019 (dep. 14 febbraio 2020), n. 5912 – Pres. Sarno, Est. Scarcella – ric. Arzaroli

Risponde del reato di cui all’art. 256, comma 1, lett. a), D.Lgs. n. 152/2006 chi, munito di regolare autorizzazione, riceve dei rifiuti da avviare ad attività di recupero da un trasportatore non autorizzato, in quanto quale detentore, ex art. 183, comma 1, lett. h), D.Lgs. n. 152/2006, o commerciante, ex art. 183, comma 1, lett. i), D.Lgs. n. 152/2006 è responsabile di tutte le operazioni compiute nella catena di trattamento prevista dall’art. 188 D.Lgs. n. 152/2006.

Con la sentenza in commento la Corte di Cassazione ha affrontato nuovamente il tema della corresponsabilità nella gestione dei rifiuti in relazione a un caso in cui la catena di trattamento ha visto impegnate più società, alcune delle quali prive dell’autorizzazione richiesta.

In particolare, per quanto qui d’interesse, il legale rappresentante di una società debitamente autorizzata veniva condannato per il reato di cui all’art. 256, comma 1, lett. a), D.Lgs. n. 152/2006, perché aveva ricevuto dei rifiuti da avviare ad attività di recupero senza accertare che il trasportatore, invece, era sprovvisto di autorizzazione. Nella prospettazione difensiva la condotta contestata non poteva essere ricondotta alla fattispecie incriminatrice neppure attraverso un’interpretazione estensiva del precetto. Si deduceva, in sostanza, l’assenza di una norma che imponesse di compiere il controllo richiesto e che prevedesse l’applicazione di una sanzione penale in caso di omissione.

Per risolvere la questione sollevata dal ricorrente occorre, dapprima, verificare se l’omesso accertamento su cui si fonda la condanna possa dirsi giuridicamente doveroso. A tale quesito, la Suprema Corte ha risposto affermativamente, ritenendo che il consolidato principio della responsabilità condivisa nella gestione dei rifiuti ponga in capo a tutti i soggetti in essa coinvolti una posizione di garanzia in merito al corretto smaltimento dei rifiuti stessi. La base normativa su cui si fonda tale affermazione è individuata sia negli artt. 177 e 188 D.Lgs. n. 152/2006 sia, più in generale, nei principi dell’ordinamento nazionale e comunitario.

In particolare, secondo la Corte di Cassazione, lo specifico obbligo di verifica individuato nella sentenza impugnata si trae, “legittimamente”, ampliando il principio di responsabilizzazione e cooperazione sancito dai citati artt. 177 e 188. La responsabilità solidale sussistente in capo a tutti i soggetti coinvolti nell’attività di gestione dei rifiuti implica, dunque, il dovere di verificare anche il regolare svolgimento delle fasi precedenti e successive a quella svolta.

Resta ora da capire se i principi e gli obblighi di verifica affermati a livello di sistema si applichino anche allo specifico caso di chi, come il ricorrente, riceva i rifiuti per avviarli all’attività di recupero. In altri termini: anche questa figura può essere ritenuta responsabile ai sensi degli artt. 178 e 188 D.Lgs. n. 152/2006? Tale quesito ha trovato egualmente risposta positiva. Secondo la Corte di Cassazione, infatti, già prima della riforma introdotta con il D.Lgs. n. 205/2010[i], la responsabilità veniva estesa a chi riceveva i rifiuti da un trasportatore abusivo in base a un’interpretazione “in senso ampio” della nozione di detentore, oggi definito come il produttore dei rifiuti o la persona fisica o giuridica che ne è in possesso. Ecco allora che – a maggior ragione in forza del nuovo dettato normativo – il ricorrente può essere qualificato come detentore, ai sensi dell’art. 183, comma 1, lett. h), D.Lgs. n. 152/2006, in quanto al momento della ricezione dal trasportatore (non autorizzato) entra in possesso del rifiuto. Tale “lettura” è giustificata da una duplice necessità: da un lato, quella di garantire il rispetto dei principi comunitari, in particolare l’art. 15 della Direttiva quadro 2008/98/CE, e nazionali in tema di politica ambientale; dall’altro, quella di assicurare la massima tutela possibile all’ambiente. Per tale ragione i giudici ritengono ragionevole estendere la responsabilità anche a un soggetto che, svolgendo un’attività per cui è richiesta un’autorizzazione, dovrebbe essere in grado di effettuare i controlli formali sui trasportatori da cui riceve i rifiuti. Non si può invece ritenere che, ai sensi dell’art. 188, D.Lgs. n. 152/2006, la responsabilità del detentore sia limitata all’attività effettivamente svolta, in quanto detta norma prevede, all’opposto, una “estensione ascendente della responsabilità”, per cui il produttore/detentore è responsabile anche per le attività compiute dai precedenti e successivi detentori e deve “sommarsi” a costoro nei controlli.

In chiusura, la Suprema Corte osserva, inoltre, che il ricorrente potrebbe essere qualificato anche come commerciante, ex art. 183, lett. i), D.Lgs. n. 152/2006. Con tale rilievo si concludono le argomentazioni sviluppate per rigettare il motivo di ricorso attinente alla sussistenza del reato ex art. 256, comma 1, lett. a), D.Lgs. n. 152/2006.

Sebbene abbia affermato un principio da tempo consolidatosi nella giurisprudenza di legittimità, ossia la responsabilità condivisa nella gestione dei rifiuti[ii], la sentenza in commento fornisce, in ogni caso, alcuni spunti di riflessione.

Il primo riguarda proprio l’estensione del principio in questione. Del resto, per stessa ammissione della Corte, l’obbligo (inadempiuto) posto a carico del ricorrente è stato ricavato “ampliando” i principi di responsabilizzazione e cooperazione di cui agli artt. 177 e 188 D.Lgs. n. 152/2006. La sensazione, dunque, è che non vi sia stata una mera riproposizione del principio di corresponsabilità, ma che ne sia stato piuttosto allargato il perimetro applicativo fino a ricomprendere il caso specifico di chi ha ricevuto dei rifiuti senza accertarsi che il trasportatore fosse sprovvisto di regolare autorizzazione. Tra i precedenti giurisprudenziali di legittimità, infatti, non sembra possibile individuare un caso esattamente sovrapponibile a quello in esame, in quanto il controllo sull’esistenza di una regolare autorizzazione all’esercizio dell’attività veniva posto, semmai, a valle, in capo al detentore che conferiva i rifiuti a un terzo affinché fossero smaltiti[iii]. Un ulteriore rilievo riguarda l’operazione esegetica compiuta dalla Corte di Cassazione: fino a che punto è (davvero) legittimo “ampliare” il concetto di corresponsabilità nella gestione dei rifiuti sancito dagli artt. 178 e 188 D.Lgs. n. 152/2006 senza violare il principio di determinatezza della fattispecie penale? Il dubbio è che l’espressione “conservare la responsabilità per l’intera catena di trattamento” sia eccessivamente generica e non consenta di individuare con sufficiente precisione dove inizi e, soprattutto, dove finisca il perimetro applicativo della fattispecie, né quali siano gli specifici fatti di cui si può essere chiamati a rispondere in sede penale. Posto che la soluzione non può essere quella di attenuare, neppure in minima parte, la tutela di un bene primario come l’ambiente, bisognerebbe forse pensare a una riformulazione della norma che offra maggiori garanzie in termini di determinatezza e tassatività.

Il secondo spunto di riflessione riguarda, invece, un passaggio che la Corte di Cassazione non ha ritenuto di dover approfondire. Come noto, l’art. 6, comma 2, lett. a), D.L. n. 135/2018 (convertito con modificazioni dalla L. n. 12/2019) ha abolito il sistema di tracciabilità dei rifiuti (SISTRI) di cui all’art. 188 ter, D.Lgs. n. 152/2006 abrogando l’art. 16, D.Lgs. n. 205/2010, a cui si deve l’attuale formulazione dell’art. 188 D.Lgs. n. 152/2006. Non solo, l’art. 16 da ultimo citato, al comma 2, nel modificare l’art. 188 D.Lgs. n. 152/2006, prevedeva che le nuove disposizioni entrassero in vigore al momento dell’applicazione del sistema SISTRI. Ora, dal momento che l’art. 16 D.Lgs. n. 2015/2010 è stato abrogato e che il sistema SISTRI non sarà più applicato – perché non esiste più – ci si sarebbe dovuti interrogare se la versione attualmente applicabile dell’art. 188 D.Lgs. n. 152/2006 rimanga l’ultima, introdotta nel 2010, o sia invece quella precedente. E ciò, a maggior ragione, perché la disciplina prevista dal citato art. 188, nella versione del 2010, ha costituito un presupposto giuridico essenziale per ritenere l’esistenza una posizione di garanzia in capo al ricorrente, come più volte sottolineato in sentenza.

C’è chi ritiene che la Corte di Cassazione, nel caso in esame, abbia affrontato, seppur indirettamente, detta questione affermando, con chiarezza, di ritenere tuttora applicabile l’art 188 D.Lgs. n. 152/2006, come modificato nel 2010, e non invece la versione precedente[iv].

Una diversa lettura, tuttavia, potrebbe ritenere che la Suprema Corte non abbia affatto affrontato il tema. Se è vero che in sentenza sembra farsi sempre richiamo all’ultima formulazione dell’art. 188 D.Lgs. n. 152/2006 è altrettanto vero, però, che i giudici non affrontano mai le questioni relative all’abrogazione dell’art. 16 D.Lgs. n. 205/2010, né alla eliminazione del SISTRI. Non ci si chiede, dunque, se l’ultima versione dell’art. 188 più volte citato sia quella ancora in vigore, ma lo si dà per scontato ignorando gli effetti della riforma del 2018. Sembra, così, che la Corte di Cassazione abbia inteso sfuggire al problema, specie quando, per giustificare l’estensione della responsabilità al ricorrente, richiama la giurisprudenza intervenuta prima dell’introduzione del D.Lgs. n. 205/2010 e, addirittura, prima del D.Lgs. n. 152/2006. Quasi a voler significare che nel caso di specie la responsabilità penale sussiste indipendentemente dalle modifiche legislative introdotte e, in definitiva, dalla versione attualmente vigente dell’art. 188 più volte citato.

È una soluzione in chiaroscuro, che non convince sino in fondo. Sarebbe stata preferibile una presa di posizione più netta al fine di chiarire una volta per tutte le conseguenze dell’abrogazione dell’art. 16 D.Lgs. n. 205/2010 e dell’eliminazione del SISTRI. Nel caso, infatti, non si dovesse più ritenere applicabile la disposizione dell’art. 188 D.Lgs. n. 152/2006, come modificata nel 2010, verrebbe a mancare uno dei pilastri normativi della posizione di garanzia individuata dalla Corte di Cassazione. Né pare del tutto sufficiente, al fine di colmare tale lacuna, richiamare la giurisprudenza consolidatasi prima della riforma del 2010 [v], che, pur affermando la sussistenza di una posizione di garanzia in capo a tutti i soggetti coinvolti nella produzione, distribuzione, utilizzo e consumo dei beni dai quali originano i rifiuti stessi, sembra comunque non estendere in capo a ogni soggetto coinvolto una responsabilità per l’intera catena di trattamento, come invece espressamente previsto dall’art. 188, D.Lgs. n. 152/2006.

In definitiva, l’impressione è che la versione pre-riforma del citato art. 188 non consentirebbe di affermare la sussistenza di una posizione di garanzia tanto ampia qual è quella ritenuta dalla Corte di Cassazione nel caso di specie. L’auspicio è che la sentenza in commento non precluda un futuro intervento chiarificatore.

Per il testo della sentenza (estratto dal sito istituzionale della Cassazione) cliccare sul pdf allegato.

Ranghino_sentenza 5912_2020

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Ranghino_12_2020

[i] Che, per quanto qui d’interesse, ha sostituito la precedente versione dell’art. 188 comma 1, D.Lgs. n. 152/2006 con la seguente: “Il produttore iniziale o altro detentore di rifiuti provvedono direttamente al loro trattamento, oppure li consegnano ad un intermediario, ad un commerciante, ad un ente o impresa che effettua le operazioni di trattamento dei rifiuti, o ad un soggetto pubblico o privato addetto alla raccolta dei rifiuti, in conformità agli articoli 177 e 179. Fatto salvo quanto previsto ai successivi commi del presente articolo, il produttore iniziale o altro detentore conserva la responsabilità per l’intera catena di trattamento, restando inteso che qualora il produttore iniziale o il detentore trasferisca i rifiuti per il trattamento preliminare a uno dei soggetti consegnatari di cui al presente comma, tale responsabilità, di regola, comunque sussiste”.

[ii] A. Montagna, La individuazione delle posizioni di garanzia quale ulteriore strumento ambientale, in questa Rivista, 2004, 5, pp. 617 ss. e C. Melzi d’Eril, Illecita gestione dei rifiuti: in relazione alla responsabilità condivisa dei soggetti coinvolti, la Cassazione non rompe le «catene», in questa Rivista, 2013, 6, pp. 730 ss.

[iii] Senza alcuna presunzione di completezza: Corte Cass. pen., Sez. III, 9 dicembre 2015, n. 3860; Corte Cass. pen., Sez. III, 4 giugno 2013, n. 29727; Corte Cass. pen., Sez. III, 21 maggio 2013, n. 26938 in cui si richiede “l’accertamento della conformità dei rifiuti a quanto dichiarato dal produttore o dal trasportatore, sia pure tramite la verifica della regolarità degli appositi formulari” e “delle prescritte autorizzazioni” ma pur sempre in capo al soggetto a cui “i rifiuti sono conferiti per il successivo smaltimento”; ibidem Corte Cass. pen., Sez. III, 28 febbraio 2012, n. 13363.

[iv] G. Amendola, Rifiuti. La Cassazione e il “giallo” dell’art. 188 d. lgs 152/06 sulla responsabilità nella gestione dei rifiuti, in www.lexambiente.it, 10 aprile 2020.

[v] Corte Cass. pen., Sez. III, 21 gennaio 2000, n. 4957; Corte Cass. pen., Sez. III, 1 aprile 2004, n. 21588, relativa all’obbligo, posto in capo al detentore di rifiuti speciali non pericolosi, di controllare che i soggetti incaricati dello smaltimento dei rifiuti siano autorizzati.

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