I nostri primi 33 anni (Editoriali a confronto)

15 Apr 2019 | articoli, editoriale

di Stefano Nespor

È questo il primo numero della Rivista giuridica dell’ambiente in versione online che d’ora in poi affiancherà la tradizionale rivista cartacea. È un progetto che da molti anni era in discussione: l’obiettivo era quello di integrare la versione cartacea, che esce a cadenza trimestrale e con spazi forzatamente limitati dal numero di pagine consentito dall’editore, con uno strumento pubblicato mensilmente e quindi più aderente al rapido evolvere delle materie ambientali. Anche la versione online mantiene la suddivisione tra contributi e note a sentenza: seppur di pari livello sotto il profilo dell’approfondimento e della riflessione, saranno più concisi e presentati in modo da essere utilizzabili anche da tutti coloro che seguono le questioni ambientali senza essere dotati di una specifica preparazione giuridica. Non essendovi online limiti di spazio, cercheremo di offrire nel settore riservato alla documentazione, atti e rapporti ufficiali, italiani, stranieri e di organismi internazionali sui principali temi ambientali.

Per segnare la continuità della Rivista online con la lunga storia della Rivista giuridica dell’ambiente, abbiamo pensato di ripubblicare l’editoriale del primo numero del 1986, composto mentre si era appena verificato l’incidente di Cernobil. Oggetto delle considerazioni lì svolte è il pericolo posto dall’energia nucleare. Ma molte di esse mantengono la loro validità, a così tanti anni di distanza, se rapportate all’emergenza globale costituita dal cambiamento climatico.

Questo primo numero della Rivista giuridica dell’ambiente era già in stampa allorché è esplosa la centrale nucleare di Cernobil e l’Italia, alla pari di numerosi altri paesi, si è trovata per la prima volta concretamente di fronte all’emergenza nucleare. Improvvisamente, tutto il contenuto della Rivista è apparso inutile e superato.

Superato non tanto perché era accaduto un fatto di centrale rilevanza per gli argomenti che la rivista si propone di affrontare, del quale non si era potuto tener conto: in fondo, da sempre il diritto insegue la realtà, raggiungendola solo allorché essa è passata, o non è più quella di prima, sicché non deve apparire poi così grave se a questo inseguimento partecipi anche una rivista giuridica, per di più appena nata come questa.

È invece apparso superato sotto un altro, ben· più importante profilo: con Cernobil, infatti, non si è solo prodotto un danno all’ambiente di catastrofiche proporzioni, ma si è determinata una frattura profonda – e probabilmente irreversibile (a differenza degli effetti concreti del danno) – negli stessi concetti di ambiente, di tutela ambientale e di diritto all’ambiente, così come si erano venuti faticosamente costruendo – e non solo nel nostro Paese – negli ultimi decenni.

Cinque aspetti sembrano «a caldo» tra i più significativi di questa frattura.

A.Prima di tutto, lo spostamento del baricentro della problematica ambientale dal livello nazionale a quello sovranazionale.

Certamente, era ben presente negli anni passati la dimensione trasnazionale di molti temi dell’ambiente, cui sempre più la comunità internazionale e, soprattutto, la Comunità europea avevano dedicato la propria attenzione e i propri interventi, spesso propulsivi rispetto alle diverse realtà nazionali.

Ma se, prima di Cernobil, l’osservazione della problematica ambientale da un punto di vista nazionale poteva sembrare, al più, incompleta o priva di lungimiranza, risulta oggi all’improvviso di miope e superficiale ingenuità. Non solo infatti ci si è resi conto della sostanziale inutilità di una battaglia per far chiudere o per rendere sicure le centrali nucleari in un solo paese, o anche in molti paesi, se esse restano in funzione, o restano insicure, in altri, ma si è cominciato ad avvertire che molti istituti – il danno per esempio, o la responsabilità, sinora mutuati dal diritto privato e adattati alla dimensione nazionale della problematica ambientale, richiedono una profonda riflessione per coprire l’emergente – e non più trascurabile – valenza trasnazionale di quella problematica.

In altri termini, si è aperta una frattura tra tutela e diritto dell’ambiente da un lato e il tradizionale schema centrato ·sulla sovranità dello stato e del diritto statuale «temperato» dal diritto internazionale e, per l’Europa, comunitario dall’altro; è una frattura che proietta verso dimensioni nuove e non più eludibili il diritto di qualsiasi individuo umano (sovietico, americano, polacco o italiano) alla sicurezza (quantomeno) di ciascuna centrale atomica, ovunque essa sia collocata, ma, più in generale, alla sicurezza di qualsiasi fattore potenzialmente produttivo di danni ambientali non circoscritti o non facilmente circoscrivibili.

  1. Il passaggio da una centralità dell’ambiente come oggetto di tutela a un ambiente come oggetto di diritti. La dimensione di tutela e protezione ambientale, dal suo aspetto più comune, quello conservativo, a quello di tipo trasformativo e innovativo, che, in Italia e all’estero, ha prodotto interminabili discussioni (e sottilissime analisi giuridiche) sulla legittimazione ad agire, sugli interessi collettivi, diffusi o esponenziali dei gruppi ambientali, e, in definitiva, sulla titolarità dell’interesse alla tutela, appare oggi scavalcata dal profilarsi in modo preciso e consistente di un diritto all’ambiente il cui rango di diritto primario deriva dall’essere somma di molteplici diritti fondamentali e, in molti paesi, costituzionalmente garantiti (per ciò che riguarda il nostro paese, il diritto alla salute, il diritto alla vita di relazione, il diritto ad esplicare e sviluppare la propria personalità e a realizzare la propria persona).
  2. Un altro diritto è stato trascinato prepotentemente in gioco dagli ultimi avvenimenti: il diritto all’informazione, sia nei suoi versanti di diritto all’essere informati e di diritto ad informare, sia nel suo pendant del dovere di informare. Questo diritto, nei giorni e nelle settimane successive al disastro di Cernobil, è stato ovunque ripetutamente dimenticato e travolto: dal governo sovietico per ragioni di ordine pubblico interno, dagli Stati Uniti per brutali finalità di propaganda, dalla Francia per ragioni di autoconservazione del proprio sistema di produzione energetica, dall’Italia e da ogni altro paese perché qualsiasi governo è del tutto inaffidabile allorché si entra nel campo dell’energia nucleare (molti dimenticano, infatti che l’uso pacifico dell’energia trova il suo presupposto e la sua giustificazione nell’uso bellico dell’energia nucleare).

Ma proprio queste ripetute e diversificate violazioni rendono evidente che il diritto all’informazione è presupposto essenziale del diritto dell’ambiente.

Quest’ultimo, infatti, non può essere scollegato dal diritto di tutti i cittadini ad essere correttamente informati sul tipo di rischi ambientali cui sono esposti, sull’entità del rischio, sugli effetti dannosi che possono verificarsi a breve, medio, lungo periodo, sulle modalità per ridurre tali effetti. Più a monte, ma non meno rilevante per una sussistenza non puramente formale del diritto dell’ambiente (e del presupposto· diritto all’informazione) è il problema di chi controlla i dati oggetto di informazione, di chi li elabora e di chi li diffonde.

  1. Inoltre, non meno importante del diritto all’informazione, con questo strettamente collegato e alla pari di questo ampiamente violato, è il diritto alla sicurezza e alla salute di ciascuna collettività e di ciascun individuo, che significa anche diritto di autodeterminare e di scegliere, sulla base di un’informazione corretta, il livello di sicurezza o di rischio cui ci si vuole assoggettare.
  2. Infine il periodo successivo all’incidente di Cernobil ha fatto concretamente emergere il tema dell’ambiente come crocevia non solo di diritti, ma anche di contrapposti e conflittuali interessi pubblici e collettivi. Per ciò che riguarda l’Italia, agricoltura, industria, politica energetica, sanità, sicurezza e ordine pubblico, protezione civile hanno tutti variamente – e in modo non sempre trasparente – giocato un ruolo nella vicenda e sono sorte molteplici aree di conflitto che certo non hanno agevolato la tutela dei diritti.

Non sembra azzardato affermare che non c’è forse interesse pubblico di settore o collettivo di categoria che non possa «entrare in contatto» con un problema ambientale, e non possa entrare in conflitto con altro interesse pubblico per un problema ambientale.

Finora, nella gerarchia degli interessi pubblici, la considerazione data all’ambiente è stata scarsa e raramente l’interesse ambientale è prevalso su altri. La prossima istituzione del Ministero dell’Ambiente può costituire, se non altro, un’occasione, per effettuare quel ribilanciamento dell’importanza e del peso della «pubblicità» dei vari interessi, che costituisce la premessa di una seria politica dell’ambiente.

Certamente, questi cinque punti non esauriscono l’elenco delle ragioni per le quali la questione ambiente oggi non può più essere come prima di Cernobil e per le quali, per tornare alla considerazione iniziale, questo primo numero può apparire in un certo senso invecchiato ancor prima di uscire.

Su questa trasformazione, e sui molti altri problemi che oggi sono sul tappeto la Rivista si impegna a ritornare fin dal prossimo numero.

 

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