Economia circolare e società del riciclaggio: la discarica nell’attuale quadro normativo

04 Lug 2019 | articoli, contributi, in evidenza 3

di Eva Maschietto

In attesa del recepimento, previsto entro il 5 luglio 2020, delle quattro direttive del pacchetto economia circolare approvato dall’Unione Europea lo scorso anno, (Direttiva 2018/849/UE in materia di RAEE pile e accumulatori[i], Direttiva 2018/850/UE in materia di discariche[ii], Direttiva 2018/851/UE in materia di rifiuti[iii] e Direttiva 2018/852/UE in materia di imballaggi e rifiuti da imballaggio[iv]) assistiamo a un moltiplicarsi delle discussioni e a un fiorire delle iniziative su questo tema generale nei diversi ambiti della società civile.

Non si contano oramai i convegni delle associazioni di tutte le filiere industriali, gli incontri istituzionali e quelli promossi dalle organizzazioni professionali dedicati all’analisi del significato e dei risvolti del transito dall’economia lineare tradizionale a quella circolare, finalizzata all’ottimizzazione dell’uso delle risorse naturali e dei materiali esistenti, nell’attuale epoca dell’antropocene[v].

Al di là della diffusione di una cultura collettiva del riuso e del recupero, che non si può che supportare e incentivare prima di tutto da un punto di vista etico, sotto un profilo strettamente giuridico, è interessante osservare come l’uso esplicito di termini come “economia circolare” e “società del riciclaggio” abbia riscontrato un primo ingresso nella giurisprudenza amministrativa.  Tale riscontro riveste un certo interesse considerando che, anche recentemente, la stessa giurisprudenza è stata da più parti criticata per un approccio che poco contribuisce e, anzi, sembra disincentivare le prassi più orientate a un’interpretazione estensiva dei principi della materia[vi].

Due sono i recenti precedenti, entrambi del TAR di Bari, che affrontando alcuni temi in materia di rifiuti, affermano apertamente che l’obiettivo della normativa in materia è appunto quello di creare una società del riciclaggio, in un’ottica di economia circolare.

Le decisioni sono la n. 342[vii] e la n. 396[viii] rese a un paio di settimane l’una dall’altra dal medesimo collegio giudicante del TAR Puglia (Bari) e sono interessanti perché si concentrano, con una motivazione diffusa e piuttosto ricca di spunti, sul principio di gerarchia delle forme di gestione dei rifiuti.

Entrambe prendono diretta ispirazione dalle politiche dell’Unione Europea e citano, in una prospettiva certamente molto ampia, oltre alle quattro Direttive, anche il Piano d’azione dell’Unione europea per l’economia circolare, di cui alla comunicazione COM (2015) 614 final della Commissione europea del 2 dicembre 2015[ix][x], affermando il carattere tassativo della gerarchia dell’elencazione tra le diverse forme di gestione dei rifiuti e confermando che, sul piano nazionale, l’art. 179 del D. Lgs. 152/2006 (il “Codice dell’Ambiente”) istituisce un vero e proprio ordine di priorità, vincolante in modo tassativo per le amministrazioni[xi], le quali sono chiamate a minimizzare attivamente l’impatto sull’ambiente, sul paesaggio e sulla salute umana della gestione dei rifiuti.

In questo senso, tra tutte le opzioni di gestione disponibili, il TAR di Bari ribadisce, seguendo un orientamento pacifico oramai da qualche decennio, che il conferimento in discarica è la meno preferita delle scelte (anche tra le diverse forme di trattamento, si deve aggiungere) e deve considerarsi del tutto residuale.

In concreto il TAR rigetta due ricorsi aventi un oggetto del tutto consimile, contro provvedimenti dell’amministrazione che avevano negato l’autorizzazione integrata ambientale per la realizzazione di due discariche nel territorio pugliese.  Nel primo caso l’amministrazione aveva negato l’A.I.A. – autorizzazione integrata ambientale – per la realizzazione di una discarica di rifiuti speciali non pericolosi, con annessa cella per rifiuti di amianto (rifiuto questo, invece, pericoloso), sul territorio del comune di Serracapriola in Provincia di Foggia.

Il secondo caso, il diniego di A.I.A. era relativo ad un progetto per la costruzione di una discarica per rifiuti speciali non pericolosi e servizi annessi nel Comune di Lucera.

Le motivazioni specifiche delle due decisioni, rese dal medesimo collegio, sono sostanzialmente sovrapponibili sia nella parte intitolata “quadro normativo di riferimento” sia nelle “conclusioni” e risultano ugualmente interessanti sia per la ricostruzione della normativa nazionale e comunitaria sia per la connotazione dei termini “economia circolare” e “società del riciclaggio”.

Il collegio, in entrambi i casi, si pone inizialmente in una prospettiva interpretativa classica, seguendo la più solida tradizione amministrativistica italiana, preoccupandosi in primis di sottolineare il carattere di “pubblico interesse” della materia della gestione dei rifiuti nella sua accezione più ampia.  In questo senso, il TAR ricorda attraverso un excursus storico della normativa, come accanto alla disciplina sostanziale sulla gestione dei rifiuti, la normativa ambientale si sia sempre occupata dell’interesse pubblico all’ambiente salubre in senso lato, regolando non solo la gestione del rifiuto nelle sue diverse fasi, ma anche la pianificazione della localizzazione degli impianti di gestione, ponendo particolare riguardo alle discariche, dettando espliciti requisiti per la loro ubicazione e le caratteristiche tecniche per la loro realizzazione, in un’ottica appunto di interesse generale volto alla minimizzazione dell’impatto sull’ambiente come bene comSune.

Entrambe le decisioni, poi, passano a inquadrare il tema in un’ottica comunitaria, rilevando come l’orientamento impresso dalle Direttive dell’Unione porti a considerare oramai imprescindibile, nella gestione di un bene a fine vita o di un rifiuto, la prospettiva del reimpiego, del riutilizzo degli oggetti e delle sostanze residue in nuovi processi e, via via, ancora in altri fino al momento di raggiungere una vera e propria “impossibilità tecnico-economica” di re-immissione del rifiuto nel ciclo economico.

Il TAR, sotto questo profilo, quindi, interpreta la normativa comunitaria affermando che la medesima si spinge sino a richiedere la sussistenza di una vera e propria impossibilità sia tecnica sia economica di ricavare una qualche utilità dal rifiuto prima di poterne consentire lo smaltimento.

Ciò significa, in sostanza, che l’economia circolare e la società del riciclaggio impongono di mantenere la “cosa-rifiuto” nella sua interezza o nelle sue parti, all’interno del ciclo delle materie derivate sino al momento in cui non vi sia alcuna utilità residua ricavabile dal medesimo.

I destinatari di tale imposizione, peraltro, sono – nella prospettiva delle due decisioni – innanzitutto le amministrazioni pubbliche, le quali sono non solo autorizzate, ma letteralmente tenute a incentivare al massimo il mantenimento del “bene-rifiuto” nel ciclo economico attivo.

In questo senso, tutte le operazioni di recupero e riciclaggio del bene-rifiuto potrebbero visivamente essere descritte come spirali successive, dalle quali fuoriescono, da un lato le utilità tecniche o economiche ricavate da reimmettere in cicli produttivi, e che generano, dall’altro lato, scarti sempre più piccoli destinati a combinarsi tra loro al fine di ricercare nuove utilità.

Con l’avanzare della tecnica, evidentemente le spirali possono farsi sempre più piccole e le possibilità di gestione utile degli scarti sempre maggiori, pur essendo verosimile che alla fine vi sia sempre un residuo inutilizzabile.

L’economia circolare, quindi, in questa visione diventa rappresentabile non solo tramite un ciclo unico, ma attraverso spirali successive che si irradiano nei diversi settori economici, portando al minimo scarto e quindi al minimo conferimento in impianti di trattamento.

Sulla base di queste premesse, è quindi ovvio, che il conferimento in discarica costituisca solo l’extrema ratio e quindi la soluzione meramente residuale, perché con tale sistema di gestione non vi è alcun utilizzo o valorizzazione del rifiuto, ma solo un rischio per l’ambiente[xii].

Il carattere cogente del rispetto della predetta gerarchia, appunto primariamente indirizzato alle pubbliche amministrazioni, determina la guida dell’azione amministrativa nell’esercizio della discrezionalità spettante nel singolo procedimento.

In casi come quelli sui quali è stato chiamato a decidere il TAR di Bari, dove si tratti di localizzazione di insediamenti tanto impattanti nei confronti dell’ambiente e della salute, come quelli relative alle discariche, le amministrazioni sono chiamate a svolgere un’attività di pianificazione e programmazione specifica sulla base dei predetti principi.

E, dal lato dei privati, le imprese che intendano cimentarsi in questo genere di attività devono conoscere le peculiarità del procedimento amministrativo che si presenta particolarmente articolato e complesso, coinvolgendo profili urbanistici, ambientali, di salute e sicurezza e di igiene pubblica e devono essere pronti a sostenere la propria idea imprenditoriale sulla base di una evidente necessità della realizzazione dell’impianto di trattamento, piccolo (in ottica prospettica) anello finale della catena di spirali descritta innanzi.

In particolare, ai fini della realizzazione di una discarica, il rilascio dell’A.I.A., autorizzazione “costitutiva” che sostanzia il provvedimento massimamente cautelativo sotto il profilo della tutela ambientale[xiii]è tutto fuori che scontato.  Essa è “concessa” (e le virgolette sono proprie del TAR in entrambe le decisioni) per un tempo prestabilito e la sua natura è tale da far concludere che non sussista in capo al destinatario alcun diritto precostituito a ottenerla.

La discrezionalità nell’ambito della quale si muove il giudizio dell’amministrazione in relazione a ciascuna autorizzazione è di tipo misto, implicando sia apprezzamenti di carattere tecnico sia valutazioni di opportunità.  Il carattere misto della discrezionalità si evidenzia anche tenendo in considerazione che il giudizio spetta collegialmente ad una pluralità di amministrazioni con diverse competenze, alcune prettamente tecniche[xiv] (preposte al giudizio tecnico scientifico) e altre di carattere più generale[xv] (preposte alla valutazione più latamente amministrativa di opportunità sotto il profilo dell’interesse pubblico, per tornare al punto iniziale).

Il giudizio concreto, quindi, è estremamente composito e complesso, coinvolge interessi e peculiarità i cui confini non sono predeterminabili a priori, costituendo ogni situazione un caso a sé, da esaminare e discutere nell’ambito della conferenza dei servizi, con una vera e propria ponderazione di tutti gli interessi coinvolti, sempre avendo presenti le finalità della normativa europea in materia di “società del riciclaggio” ed “economia circolare”.

Sulla base delle considerazioni della giurisprudenza testé analizzata, a questo proposito, la posizione del privato interessato alla realizzazione di una discarica sembra assumere contorni diversi dalla classica posizione pretensiva di un semplice soggetto richiedente una autorizzazione alla realizzazione di un’installazione. Anzi, sembra che lo stesso privato debba in qualche modo inserirsi tra le maglie dell’interesse pubblico e dimostrare che, nell’ambito delle diverse valutazioni operate dall’amministrazione, la propria posizione si ponga in continuità con l’interesse pubblico “al corretto smaltimento dei residui delle attività antropiche in modo economico efficiente ed efficace, senza però nuocere all’ambiente”.

In questo senso, quindi, la natura della domanda del privato avrebbe un carattere propulsivo rispetto ad un’esigenza, ineliminabile (quantomeno allo stato attuale della tecnica) anche nella “società del riciclaggio”, di carattere pubblicistico, e cioè quella di porsi come punto finale di un processo di riuso, riciclo e recupero comunque orientato alla soddisfazione del pubblico interesse.

L’attività del privato che si proponga di realizzare una discarica, secondo il TAR di Bari, deve quindi essere “utile e necessaria, nell’ambito della programmazione della gestione dei rifiuti, quale invero ultima ipotesi rispetto alla vigente implementazione dei parametri della vigente società del riciclaggio contemplata dalla direttiva U.E. 2008 (attuata dal d.lgs. 3 dicembre 2010 n. 205), che sarà abbinata alla strategia della economia circolare introdotta dalle direttive U.E. 2018” (tale parte della motivazione conclusiva è identica in entrambe le decisioni).

Sotto questo profilo, quindi, l’ottica della “società del riciclaggio” e dell’”economia circolare” si pone in una prospettiva strategica che, da un certo punto di vista, pone un limite o comunque un vincolo alla libertà imprenditoriale del privato, tutelata a livello costituzionale nella sua accezione più tradizionale. Infatti, chi desideri intraprendere l’esercizio di una discarica deve provare all’amministrazione (o, meglio, a tutte le amministrazioni comunque interessate, sotto un profilo tecnico o di opportunità generale) la sussistenza di un vero e proprio pubblico interesse nella realizzazione della medesima, comprovandone – in sostanza – la necessità (quantomeno in prospettiva), stante il principio di tassatività della gerarchia delle forme di gestione del rifiuto.

Nel ciclo a spirale dell’economia circolare, di cui si è trattato prima, quindi la discarica deve costituire il recettore dell’ultimo granello “inutile” residuato dalle diverse operazioni di reimpiego, riciclo e recupero (anche di energia, dopo la materia) e, quindi, deve utilmente assolvere al pubblico interesse di segregare i rifiuti, al fine di non compromettere l’ambiente, l’igiene e la salute.

Ci sembra, quindi, che la prospettiva del privato debba porsi in un’ottica sostanzialmente diversa rispetto al passato: essendo egli onerato di dimostrare all’amministrazione, caso per caso in ciascun procedimento, che il ruolo della discarica che egli intende realizzare in quella specifica area e con quelle specifiche assolve, quale ultimo tassello totalmente residuale, alle esigenze ultime della società del riciclaggio, rimanendo coerente ai principi europei in materia di economia circolare.

SCARICA L’ARTICOLO IN VERSIONE PDF

Maschietto_Economia circolare

[i] Modifica le direttive 2000/53/CE sui veicoli fuori uso, 2006/6/CE in materia di pile e accumulatori e ai loro rifiuti, e 2012/19 UE in materia di RAEE.

[ii] Modifica la Direttiva 1999/31 sempre in materia di discariche.

[iii] Modifica la direttiva “madre” in materia di rifiuti, cioè la Direttiva 2008/98/CE.

[iv] Modifica la direttiva 94/62/CE sempre in materia di imballaggi e rifiuti di imballaggio.

[v] Il termine antropocene, come noto, coniato a metà degli anni ’80 negli Stati Uniti, si è progressivamente diffuso dopo la pubblicazione del libro di Paul Crutzen (premio Nobel nel 1995 per alcuni studi sul buco nell’ozono) nel libro Benvenuti nell’Antropocene. L’uomo ha cambiato il clima, la Terra entra in una nuova era. È comunemente utilizzato per indicare una nuova era geologica nella quale l’impatto determinante dell’uomo sul clima e sull’ambiente domina ogni altro fattore, compromettendo e distruggendo gran parte degli ecosistemi esistenti, tramite una riproduzione velocissima che sta determinando l’estinzione di specie vegetali e animali.

[vi] Ci si riferisce, innanzitutto, alla nota decisione sul riparto di competenza in tema di determinazione della cessazione della qualifica di rifiuto – end of waste – del Consiglio di Stato 1229 del 28 febbraio 2018, commentata da R. Gubello, in Rivista Giuridica dell’Ambiente, 2018, pag. 374 ss.  Per vero anche la stessa Corte di Giustizia UE nella sentenza C-60/18 del 28 marzo scorso (commentata in questa Rivista, 2 Giugno 2019 da D. Camici “Fanghi da depurazione e cessazione della qualifica di rifiuto”) ha ridimensionato i poteri dell’amministrazione nella determinazione dell’end of waste.

[vii] T.A.R. PUGLIA, Bari, Sez. II – 4 marzo 2019, n. 342 – Pres. Adamo, Est. Ieva – Società AA&E srl (Avv. Sechi e Triggiani) /c. Provincia di Foggia (Avv. Martino) – Comune di Serracaprila (Avv. Pasqualone) – Regione Puglia, Ministero Beni e attività culturali, ASL Bari, ARPA Puglia.

[viii] T.A.R. PUGLIA, Bari, Sez. II – 18 marzo 2019, n. 396 – Pres. Adamo, Est. Ieva – Società B srl (Avv. D’Ambrosio e Pastore) /c. Provincia di Foggia (Avv.ti Lagrotta e Martino) – Comune di Lucera (Avv. Lagrotta) – Regione Puglia, Autorità di bacino per la Puglia, Ministero Beni e attività culturali, ASL Foggia, ARPA Puglia, Comune Pietra di Montecorvino.

[ix] In https://eur-lex.europa.eu/resource.html?uri=cellar:8a8ef5e8-99a0-11e5-b3b7-01aa75ed71a1.0009.02/DOC_1&format=PDF

[x] Si veda fra tutti la relazione della Commissione Europea del 19 gennaio 2011 in https://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/?uri=CELEX:52011DC0013.

[xi]L’art. 177, comma 5, del d.lgs. n. 152 impegna espressamente e direttamente le pubbliche amministrazioni a perseguire, nell’esercizio delle rispettive competenze, iniziative dirette a favorire il rispetto tassativo della suddetta “gerarchia” nel trattamento dei rifiuti”.

[xii] Sotto questo profilo entrambe le decisioni ricordano la pesantissima condanna (giunta sino a 42,8 Milioni di Euro a semestre sino all’adozione delle misure opportune) inflitta all’Italia dalla Corte di Giustizia per ben due volte, con la sentenza del 26 aprile 2007 (C – 135/05) e con la successiva sentenza del 2 dicembre 2014 (C- 196/13) a causa della presenza di oltre duecento discariche abusive, la maggior parte proprio in Puglia per non aver l’Italia adottato “tutti i provvedimenti necessari per assicurare che i rifiuti siano recuperati o smaltiti senza pericolo per la salute dell’uomo e senza usare procedimenti o metodi che potrebbero recare pregiudizio all’ambiente e per vietare l’abbandono, lo scarico e lo smaltimento incontrollato dei rifiuti”…: si leggono in http://curia.europa.eu/juris/liste.jsf?td=ALL&language=it&jur=C,T,F&num=C-135/05 e http://curia.europa.eu/juris/document/document.jsf?text=&docid=160245&pageIndex=0&doclang=IT&mode=lst&dir=&occ=first&part=1&cid=3655816.

[xiii] Essa permette “l’esercizio di una “installazione” di trattamento dei rifiuti, con prescrizioni idonee a prevenire, evitare o contenere al massimo emissioni inquinanti nell’aria, nell’acqua e nel suolo, secondo le migliori tecnologie disponibili (c.d. best available techniques), pur sempre nell’ambito della pianificazione strategica e della programmazione operativa, predisposta dall’amministrazione regionale (artt. 179-180 del d.lgs. n. 152), inerente alla gestione dei rifiuti, quale attività di pubblico interesse (art. 178, comma 1, del d.lgs. n. 152), secondo la “gerarchia” (art. 179, commi 1-2, del d.lgs. n. 152), in conformità alla legge ed al diritto U.E., nel trattamento dei rifiuti” (ibidem).

[xiv] Tra le quali, nella specie, A.R.P.A., A.S.L., Comitato tecnico V.I.A., ma anche – per gli interessi non strettamente ambientali – quelle preposte alla tutela paesaggistico-culturale (Soprintendenza competente del Ministero dei Beni culturali).

[xv] Tipicamente quelle rappresentate dagli enti locali esponenziali delle istanze territoriali, quali regione, provincia e comune.

Scritto da