Principio di precauzione e politiche ambientali

01 Lug 2024 | articoli, contributi

1. Che cos’è il principio di precauzione in materia ambientale

Il principio di precauzione è un approccio alla gestione del rischio per cui, qualora sia possibile che una determinata politica o azione possa arrecare un danno specifico e individuato ai cittadini o all’ambiente, la mancanza di completo consenso scientifico su tale danno non è una valida ragione per evitare misure di cautela, fatta salva la possibilità di riesaminare la questione non appena si rendano disponibili maggiori informazioni scientifiche.

Il principio di precauzione è stabilito dal Trattato sul funzionamento dell’Unione europea (art. 191) e, in Italia, dal Testo unico ambientale (D. lgs. N. 152/2006, artt. 3ter e 301).

Il contenuto del principio di precauzione – insieme con le modalità per la sua applicazione – è stato indicato in dettaglio in una Comunicazione della Commissione europea, adottata nel febbraio 2000 (Comunicazione (COM(2000) 1final) sul principio di precauzione)[1].  

Questa Comunicazione chiarisce in primo luogo che tre principi specifici devono sottendere il ricorso al principio di precauzione:

  • una valutazione scientifica la più completa possibile e la determinazione, nella misura del possibile, del grado d’incertezza scientifica;
  • una valutazione del rischio e delle conseguenze potenziali dell’assenza di azione;
  • la partecipazione di tutte le parti interessate allo studio delle misure di precauzione, non appena i risultati dalla valutazione scientifica e/o della valutazione del rischio sono disponibili.

Inoltre, la Comunicazione della Commissione indica con estrema chiarezza che – per evitare esiti di eccessiva o insufficiente precauzione – la scelta delle misure precauzionali da affrontare deve essere effettuata alla luce del principio di proporzionalità e, pertanto, sulla base di una analisi costi-benefici.

Proporzionalità, in particolare, significa, secondo la Commissione, “configurare le misure secondo il livello di protezione prescelto”, con la precisazione che “il rischio può essere raramente ridotto a zero, ma una valutazione incompleta del rischio può ridurre notevolmente l’ambito delle opzioni possibili per coloro che debbono gestirlo” e che “non sempre un divieto totale può essere una risposta proporzionale al rischio potenziale” (anche se, “in alcuni casi, è la sola risposta possibile”).

Quanto poi all’analisi costi-benefici, necessaria per scegliere le specifiche misure di cautela da adottare, essa “comporta un confronto fra i costi generali … dell’azione e dell’inazione, nel breve e nel lungo periodo”. Non si tratta tuttavia semplicemente “di un’analisi economica costi/benefici”, in quanto “la sua portata è molto più ampia e comprende considerazioni non economiche, quali l’efficacia delle possibili azioni e la loro accettabilità da parte del pubblico”, avendo comunque chiaro che la protezione della salute prevale su considerazioni puramente economiche.

In ogni caso, il “principio di precauzione può essere invocato solo in caso di rischio potenziale e non può mai essere utilizzato per giustificare decisioni arbitrarie”. Ciò appare necessario non solo per evitare inutili sprechi economici per gli Stati o l’industria, ma anche – e soprattutto – per rafforzare sempre più il prestigio e la credibilità del principio di precauzione, invece messi in crisi da sue applicazioni arbitrarie od eccessive.

2. Casi di insufficiente applicazione del principio in Italia

Ogni analisi scientifica oggettiva mostra che i già ben visibili effetti del cambiamento climatico in corso e l’inquinamento urbano nella Pianura padana sono i più gravi problemi ambientali e sanitari che affliggono l’Italia. Di fronte a questi problemi, l’approccio italiano appare del tutto insufficiente dal punto di vista del principio di precauzione.

Quanto al primo aspetto[2], i periodici rapporti dell’IPCC (Intergovernmental Panel on Climate Change) mostrano ormai con elevatissima credibilità scientifica che:

  • Gli effetti del cambiamento climatico saranno drammatici, in particolare per le generazioni future, se dovessimo avviarci a superare, alla fine del secolo, l’incremento di 1,5° della temperatura rispetto ai livelli pre-industriali.
  • Già oggi, l’aumento di temperatura già verificatosi rende più frequenti e più gravi, rispetto al passato, eventi metereologici estremi, con ovvie ricadute sull’ambiente, sulla salute e sulla vita stessa delle persone.

Sul primo aspetto (incremento di temperatura prevedibile), gli ultimi rapporti dell’IPCC avvertono che, in mancanza di una intensificazione dello sforzo a livello mondiale, il contenimento a 1,5° dell’aumento di riscaldamento alla fine del secolo non potrà essere conseguito[3].

Sul secondo aspetto (maggiore gravità e frequenza degli eventi metodologici estremi), le evidenze scientifiche circa un’importante influenza del cambiamento climatico su eventi metereologici estremi sono negli ultimi anni divenute robuste, tali perciò da poter integrare i requisiti per l’ingresso della prova scientifica nei provvedimenti giudiziari (cd. “Daubert standard”)[4]. Qui si apre uno spazio notevole proprio per la “Attribution Science”, vale a dire per quella branca della scienza che studia la correlazione causale fra gli eventi estremi e il cambiamento climatico. Particolarmente rilevante, da questo punto di vista, la recentissima sentenza della Corte europea dei diritti umani del 9 aprile 2024, che ha riconosciuto come l’inerzia o un contrasto non efficace da parte dei governi possano violare – anche in relazione ad eventi metereologici estremi – il diritto al rispetto della vita privata e familiare[5].

Ebbene, di fronte a questo grave rischio, l’Italia purtroppo si muove sulla scena internazionale come un attore in parte frenante ed in parte disinteressato[6], nonostante le prevedibili conseguenze del riscaldamento eccessivo siano particolarmente gravi proprio per il nostro Paese[7]. Mentre è solo attraverso l’impulso della comunità internazionale che si potrà realizzare quanto necessario per invertire la rotta, nell’interesse nostro e delle generazioni future (come oggi espressamente richiesto anche dalla nostra Costituzione, a seguito delle modifiche apportate con legge costituzionale n. 1/2022)[8].

Quanto al secondo aspetto, il pesante inquinamento dell’aria dovuto alla combinazione infelice fra la presenza di molte emissioni inquinanti (riconducibili, nelle città, soprattutto al traffico, al riscaldamento e alle attività agricole e di allevamento) e la situazione metereologica particolare della Pianura padana. I danni alla salute prodotti da questa concentrazione di inquinanti sono notevoli[9]. Di fronte a queste due emergenze, i provvedimenti adottati dal Governo centrale, da quelli regionali e da buona parte dei Comuni sono gravemente insufficienti. Quanto al traffico, la discussione pubblica pare incentrata in questo periodo sugli incentivi per le auto elettriche. Fermi i vantaggi di queste vetture su quelle tradizionali a combustione, non è soltanto in questo modo che si risolve il problema dell’inquinamento da traffico. Per affrontarlo adeguatamente, come insegnano gli esempi del Nord Europa, (tutto) il traffico privato va severamente limitato, in particolare nelle città, privilegiando il trasporto pubblico di massa e la viabilità ciclabile e dolce. Ciò può richiedere anche e soprattutto misure economiche, volte a scoraggiare l’uso dell’auto privata e il parcheggio di superficie nelle città. Quanto al riscaldamento, le distorsioni collegate alle modalità del cd. “Superbonus 110%” hanno comportato un enorme impiego di denaro pubblico senza corrispondenti vantaggi per l’isolamento e la classe energetica degli edifici, in particolare di quelli condominiali. Quanto infine ad agricoltura ed allevamento, le difficoltà della politica ad affrontare adeguatamente l’impatto ambientale di queste attività è noto da decenni.

3. Casi di applicazione arbitraria del principio in Italia

In altri ambiti, invece, l’Italia sembra adottare un atteggiamento precauzionale poco rispettoso del principio di proporzionalità e della necessaria sostenibilità di ogni politica ambientale.

Così, ad esempio, nel settore della gestione dei rifiuti, grandi città italiane sono ancora prive sia degli impianti di trattamento finale della frazione indifferenziata, sia degli impianti di compostaggio della frazione umida e di trattamento delle frazioni raccolte separatamente. Questo per varie ragioni, fra le quali appare preponderante la difficoltà di localizzare ogni genere di impianti, a causa dell’opposizione delle popolazioni locali, naturalmente presentata come necessità di rispettare il principio di precauzione (tracce di inquinanti potrebbero uscire da un impianto di trattamento, quindi non realizziamolo). Le conseguenze di questa situazione di carenza impiantistica sono molteplici. Il turismo dei rifiuti che ne deriva – spesso anche verso l’incenerimento all’estero – comporta, nel migliore dei casi, rilevanti emissioni dovute al trasporto e costi enormi.  Nel peggiore dei casi, la carenza di moderni impianti di trattamento lascia spazio ad impianti di vecchio tipo (discariche) nella cui gestione spesso la criminalità organizzata tenta di inserirsi e che comunque comportano emissioni di rilievo. L’urgenza, su questo tema, di un cambio di strategia in Italia deriva anche dalla recentissima pubblicazione (sulla G.U. dell’Unione del 30 aprile 2024) del Regolamento 2024/1157 “Relativo alle spedizioni di rifiuti, che modifica i regolamenti UE n.1257/2013 e 2020/1056 e abroga il Regolamento n.1013/2006”[10]. Tale regolamento infatti vieta (a partire dal 21 maggio 2026) ogni esportazione dei rifiuti, qualora il detentore non sia in grado di dimostrare che gli stessi rifiuti non possano essere smaltiti in modo tecnicamente fattibile e economicamente sostenibile nel paese in cui sono stati prodotti (tra le cause della deroga al divieto non è ovviamente prevista l’incapacità delle amministrazioni territoriali di localizzare gli impianti).

Altri ambiti di applicazione impropria del principio di precauzione riguardano le difficoltà spesso frapposte dagli enti locali alla realizzazione dei necessari impianti legati alle energie rinnovabili (pannelli fotovoltaici e impianti eolici)[11] e ad alcune applicazioni dell’economia circolare che presuppongono una utilizzazione sufficientemente ampia del concetto di sottoprodotto (e una conseguente applicazione più ristretta del complesso regime dei rifiuti)[12].

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NOTE:

[1] https://eur-lex.europa.eu/IT/legal-content/summary/the-precautionary-principle.html.

[2] In termini generali, sulla questione climatica e sulla risposta anche giuridica della comunità internazionale, v. L. Butti e S. Nespor, Il diritto del clima, Mimesis, 2022.

[3] Cfr. https://www.ipcc.ch/report/sixth-assessment-report-cycle/.

[4]  Cfr. cfr. Hackney, Flipping Daubert: Putting Climate Change defendants in the hot seat, Environmental Law, vol 40:255, 2010.

[5] Cfr., sulla sentenza della CEDU, A. Gallarini, La CEDU sul Cambiamento climatico: l’inerzia o un contrasto non efficace da parte dei governi violano il diritto al rispetto della vita privata e familiare, in RGA online, 1 giugno 2024 (https://rgaonline.it/articoli/la-cedu-sul-cambiamento-climatico-linerzia-o-un-contrasto-non-efficace-da-parte-dei-governi-violano-il-diritto-al-rispetto-della-vita-privata-e-familiare/).

[6] Da ultimo ciò è avvenuto, fra l’altro, con riferimento alla direttiva cd. “Case Green” (v. https://www.vaielettrico.it/case-green-in-europarlamento/).

[7] Cfr. sul punto https://www.cmcc.it/it/analisi-del-rischio-i-cambiamenti-climatici-in-italia.

[8] Cfr. M. D’Amico, Una riforma costituzionale importante, RGA online, 26 febbraio 2022 (https://rgaonline.it/articoli/una-riforma-costituzionale-importante/), nonché L. Butti, Costituzione, ambiente e future generazioni, in RGA online, 2 novembre 2023 (https://rgaonline.it/articoli/costituzione-ambiente-e-future-generazioni/).  

[9] Cfr. ad esempio, recentemente, questo rapporto dell’Agenzia spaziale europea: https://www.esa.int/Space_in_Member_States/Italy/Le_fluttuazioni_dell_inquinamento_atmosferico_sulla_Pianura_Padana.

[10] https://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/ALL/?uri=CELEX:32024R1157.

[11] Cfr., sul punto, F. Peres, L’interesse alla produzione di energia da fonti rinnovabili e quello alla tutela del paesaggio, in RGA online, 1 marzo 2024 (https://rgaonline.it/giurisprudenza/linteresse-alla-produzione-di-energia-da-fonti-rinnovabili-e-quello-alla-tutela-del-paesaggio/).

[12] S. Palmisano, Sottoprodotti: il cuore del diritto dell’economia circolare, in Altalex, 9 dicembre 2022 (https://www.altalex.com/documents/news/2022/12/09/sottoprodotti-cuore-diritto-economia-circolare).

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