di Dario Bevilacqua
Introduzione
L’economia circolare non si riduce a un mero recupero degli scarti, per esempio nel settore dei rifiuti, ma costituisce un modello che nel rigenerare e riciclare materiali ed energie impiegate “affronta le problematiche della sostenibilità al di là della semplice conservazione e il cui scopo non è semplicemente quello di investire di più nella tutela dell’ambiente ma invece quello di spingersi verso la rigenerazione”[i]. Per questo, seguendo ancora questa visione, nell’economia circolare l’ambiente non è un limite o un costo, diventando invece “un vero e proprio driver dello sviluppo economico e istituzionale”[ii]. Di qui, il sistema produttivo in parola non è semplicemente un metodo da incentivare perché meno inquinante o per contribuire alla salvaguardia degli ecosistemi, ma costituisce un cambio di paradigma nella tutela ambientale: tale approccio – non a caso al centro di molti progetti di transizione ecologica – nel preservare l’ambiente, non ostacola e anzi favorisce la produzione di ricchezza e crescita economica, eliminando o riducendo il consumo di risorse e diminuendo i costi senza sacrificare la produzione.
Per tali ragioni l’economia circolare risulta coerente con le politiche riconducibili al Green New Deal[iii], in special modo a quelle del progetto adottato in Europa (GDE)[iv] ed è richiamato in più circostanze dallo stesso programma europeo, che fa di esso uno strumento-obiettivo. Nell’attuazione di questo percorso, sia con riferimento al GDE, sia all’economia circolare, risulta determinante il ruolo svolto dai poteri pubblici: la conversione dei metodi produttivi secondo una visione circolare – così come lo sviluppo delle politiche di transizione ambientale – solo raramente proviene in modo spontaneo dagli operatori economici. Ciò dipende da una serie di ragioni: la prevalenza di una visione di breve periodo; costi iniziali di riconversione o per il recupero di prodotti e risorse piuttosto alti; necessità di investire in ricerca; elevati rischi di fallimento insiti in settori e attività innovative.
Per fronteggiare queste problematiche lo Stato o, per meglio dire, i poteri pubblici (sovranazionali, nazionali e subnazionali) promuovono, favoriscono, quando non realizzano direttamente, le azioni per attuare tale sistema economico-produttivo. Non solo tramite atti di natura legislativa con funzione di definizione e agevolazione, o con limiti e standard, ma anche con interventi di natura programmatoria, di regolazione diretta, di promozione e incentivo, nonché di investimento nelle infrastrutture. Questo percorso, come detto, ha come attori fondamentali le istituzioni e le autorità amministrative dell’Unione europea, degli Stati e dei territori locali.
L’economia circolare come politica del Green Deal europeo
L’art. 2, n. 9 del Regolamento Ue 2020/852, concernente la tassonomia degli investimenti sostenibili[v], definisce l’economia circolare come “un sistema economico in cui il valore dei prodotti, dei materiali e delle altre risorse nell’economia è mantenuto il più a lungo possibile, migliorandone l’uso efficiente nella produzione e nel consumo, così da ridurre l’impatto ambientale del loro uso, riducendo al minimo i rifiuti e il rilascio di sostanze pericolose in tutte le fasi del loro ciclo di vita, anche mediante l’applicazione della gerarchia dei rifiuti”. Questa definizione è coerente e in linea con la politica economica con cui la Commissione ha lanciato il Green Deal europeo, ossia la combinazione reciproca tra economia e ambiente, tra strumenti di tutela degli ecosistemi e meccanismi per creare crescita e profitti.
L’economia circolare non è solamente uno dei vari strumenti indicati dalle politiche del Green Deal per realizzare la transizione ecologica, ma lo stesso programma politico della Commissione è in più circostanze richiamato dalle norme che disciplinano l’economia circolare. Ne costituisce un esempio la “Strategia nazionale per l’economia circolare”, adottata in Italia il 24 giugno 2022, la quale fornisce una definizione di economia circolare coerente con quella, già citata, del Regolamento tassonomia[vi]. Inoltre, nel richiamare in più occasioni il GDE, lo definisce come “una nuova visione dell’economia e dello sviluppo fondata sulla sostenibilità” e “l’unico modo con cui potremo rispondere alla richiesta di futuro che ci arriva dalle nuove generazioni”[vii].
Infine, il riferimento all’economia circolare è presente in numerose disposizioni che compongono il pacchetto del Green Deal europeo: dal Fondo per una transizione giusta[viii], alla Comunicazione “Fit for 55%”[ix], dalle disposizioni in tema di rinnovabili[x] a quelle sull’agricoltura[xi], senza contare l’adozione del Nuovo Piano d’Azione per l’economia circolare[xii], che è uno dei pilastri della nuova politica di transizione ecologica.
Il Green Deal, l’economia circolare e lo “Stato conformatore”
Nel rapporto tra l’economia circolare e il progetto del Green Deal europeo occorre mettere in evidenza alcuni elementi peculiari e caratterizzanti.
In primo luogo, l’economia circolare è uno strumento e, al contempo, un obiettivo: la transizione ecologica deve puntare a creare modelli produttivi di questo genere sia perché essi sono strumentali a preservare l’ambiente sia perché consentono la tutela degli ecosistemi secondo un approccio che non limita – ma condiziona e orienta – la crescita e la ricerca del profitto. Questa duplicità è propria del Green New Deal e della sua visione innovativa: la tutela dell’ambiente non è un freno all’intrapresa privata, ma è una funzionalizzazione – di matrice pubblicistica – di quest’ultima, che viene indirizzata e supportata a produrre secondo modelli ecologicamente compatibili. In tal senso, infatti, l’economia circolare è in linea con il Green Deal perché consiste in una politica per rilanciare lo sviluppo e la crescita e, al contempo, tutelare l’ambiente attraverso la riduzione del consumo di risorse e materiali.
In secondo luogo, come detto, è decisivo il ruolo dei poteri pubblici sia nel normare tale modello sia nel promuoverlo in concreto, anche se, al contempo, questo approccio non è esclusivo, giacché talvolta l’economia circolare può svilupparsi senza il contributo delle amministrazioni e su iniziativa meramente privata. Tuttavia, giacché sistemi economici che si alimentano con la convenienza commerciale e necessitano solo di regole di funzionamento sono piuttosto rari o poco sviluppati, l’economia circolare viene promossa con interventi pubblici intrusivi: con pianificazioni e finanziamenti a sostegno di settori e soggetti svantaggiati dalla transizione ecologica; con strumenti di regolazione e condizionamento tesi a promuovere e incentivare l’utilizzo di fonti energetiche rinnovabili; con un’azione diretta nel porre in essere alcune fasi del recupero di scarti, altri materiali o rifiuti, rendendo così possibile la realizzazione concreta della filiera circolare. A riguardo, l’azione delle amministrazioni non mira a sostituirsi a quella dei privati, ma a indirizzarla, dando luogo a collaborazioni, partnership, accordi e azioni comuni.
In terzo luogo, l’azione dei pubblici poteri interessa livelli di governance e strumenti regolatori diversi. Quanto ai primi, le politiche che compongono la transizione ecologica, anche con riferimento all’economia circolare, prevedono finanziamenti e indirizzi provenienti dall’Ue, pianificazioni nazionali e azioni attuative, progetti o accordi realizzati a livello locale. Con riferimento agli strumenti, invece, coesistono sistemi di finanziamento sottoposti a condizionalità; pianificazioni generali e per obiettivi; attività di ricerca, promozione e investimento a carico di enti pubblici; svolgimento di servizi forniti in via diretta da enti amministrativi o da aziende municipalizzate.
I tre elementi peculiari sono tra loro collegati, perché proprio il Green Deal si fonda sul ruolo preponderante e invasivo dei poteri pubblici nell’indirizzare, orientare e promuovere scelte, investimenti e attività dei privati, quotidiane o imprenditoriali, con il coinvolgimento dei vari livelli di governo competenti a intervenire. Proprio perché attraverso tale approccio si intende realizzare un nuovo equilibrio tra tutela dell’ambiente e convenienza economica e tra perseguimento di profitti individuali e limiti pubblici all’impresa, la realizzazione di questa combinazione e convergenza di obiettivi ha bisogno dell’azione promotrice e attiva di istituzioni e amministrazioni.
Di qui, si registra un cambio di paradigma rispetto al passato, segnatamente negli ultimi anni: l’intervento pubblico a tutela dell’ambiente non si limita a vietare, controllare e punire e nemmeno si fa da parte (a favore di un mercato autoregolantesi), ma si spinge fino a promuovere, incentivare, indirizzare e conformare l’attività economica verso obiettivi predefiniti dalle istituzioni. Il Green Deal, quindi, si afferma quindi come una pianificazione ragionata e mission-oriented[xiii], da attuarsi in una prospettiva di medio e lungo periodo, elaborando una strategia diretta a creare una trasformazione duratura della società, sulla base di una problematica che non ha i caratteri dell’urgenza, ma che è sufficientemente decifrata nei suoi effetti potenziali e che richiede un necessario cambio di passo sul piano delle attività private e pubbliche.
Se in passato si è parlato di Stato regolatore e, più di recente, di Stato promotore[xiv], ora l’intervento pubblico progettato con il Green Deal può tradursi nell’espressione “Stato conformatore”, perché i poteri pubblici non sono più meri regolatori e garanti dei diritti, né si limitano a incentivare determinate attività o a reagire a una crisi, ma si spingono a conformare le attività dei privati, condizionandoli nel modo di produrre beni e servizi mediante l’uso di strumenti giuridici di varia natura: di incentivo, limitazione e programmazione economica. Nondimeno, questa nuova forma di programmazione pubblica è organizzata secondo un disegno originale, che va oltre i modelli più recenti: i poteri pubblici non realizzano monopoli, né alterano il gioco della concorrenza e nemmeno condizionano la gestione capillare delle imprese, ma, seguendo una missione di valore pubblico, adottano piani, individuano politiche, determinano obiettivi, sostengono investimenti, creano nuove infrastrutture e pongono in essere misure condizionanti per dare vita e consolidare un diverso modello di produrre ricchezza basato su attività ecologicamente compatibili.
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Note:
[i] G. Pauli, Blue economy 2.0, Ed. Ambiente, 2015, p. 30.
[ii] F. De Leonardis, Economia circolare: saggio sui suoi tre diversi aspetti giuridici. verso uno stato circolare? In Diritto amministrativo, XXV, Fasc. 1-2017, p. 169.
[iii] Sul tema si rinvia al primo contributo di questo focus e alla letteratura ivi citata: https://rgaonline.it/article/il-green-new-deal-gnd-e-la-regolazione-pubblica/.
[iv] Il GDE è stato adottato con una Comunicazione della Commissione europea: Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni. Il Green Deal europeo, Bruxelles, 11.12.2019 COM(2019) 640 final. Si tratta di un documento di 116 punti che impegna i Paesi dell’Unione a mettere in moto «interventi ambiziosi per far fronte al cambiamento climatico e alle sfide ambientali, allo scopo di limitare il riscaldamento globale a 1,5º C ed evitare una perdita massiccia di biodiversità». I vari obiettivi sono poi elencati in una tabella allegata alla Comunicazione, con delle scadenze temporali per la loro attuazione https://ec.europa.eu/info/sites/default/files/european-green-deal-communication-annex-roadmap_en.pdf, p. 2. Sul tema è utile consultare la pagina web predisposta dall’Ue: https://ec.europa.eu/info/strategy/priorities-2019-2024/european-green-deal/delivering-european-green-deal_it.
[v][v] Regolamento (Ue) 2020/852 del Parlamento europeo e del Consiglio del 18 giugno 2020 relativo all’istituzione di un quadro che favorisce gli investimenti sostenibili e recante modifica del regolamento (UE) 2019/2088, 22/06/2020, L 198/13.
[vi] “Un nuovo modello di produzione e consumo volto all’uso efficiente delle risorse e al mantenimento circolare del loro flusso nel Paese, minimizzandone gli scarti, costituisce una sfida epocale che punta all’eco-progettazione di prodotti durevoli e riparabili per prevenire la produzione di rifiuti e massimizzarne il recupero, il riutilizzo e il riciclo per la creazione di nuove catene di approvvigionamento di materie prime seconde, in sostituzione delle materie prime vergini”, MASE, Strategia nazionale per l’economia circolare, cit., p. 8.
[vii] Ibidem, p. 20.
[viii] Regolamento (Ue) 2021/1056 del Parlamento europeo e del Consiglio del 24 giugno 2021 che istituisce il Fondo per una transizione giusta, art. 8, comma 2, lett. j).
[ix] Commissione Ue, Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni “Pronti per il 55 %”: realizzare l’obiettivo climatico dell’UE per il 2030 lungo il cammino verso la neutralità climatica, Bruxelles, 14.7.2021 COM(2021) 550 final (https://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/PDF/?uri=CELEX:52021DC0550&from=HR), pp. 1 e 14.
[x] European Commission, Communication from the Commission to the European Parliament, the European Council, the Council, the European economic and social committee and the Committee of the regions. REPowerEU Plan, Brussels, 18.5.2022 COM(2022) 230 final {SWD(2022) 230 final}, p. 10.
[xi] Commissione Europea, Comunicazione della Commissione al Parlamento Europeo, al Consiglio, al Comitato Economico e Sociale europeo e al Comitato delle Regioni Una strategia “Dal produttore al consumatore” per un sistema alimentare equo, sano e rispettoso dell’ambiente, Bruxelles, 20.5.2020, COM(2020) 381 final
Velasco-Muñoz J.F, Mendoza J.M.F, Aznar-Sànchez J. A., Gallego-Schmid A. (2021), Circular economy implementation in the agricultural sector: Definition, strategies and indicators, Resources, Conservation & Recycling 170 (2021)
[xii] Commissione europea, Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni. Un nuovo piano d’azione per l’economia circolare. Per un’Europa più pulita e più competitiva, Bruxelles, 11.3.2020, COM(2020) 98 final, https://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/PDF/?uri=CELEX:52020DC0098&from=EN.
[xiii] L’approccio mission-oriented è stato definito come quello oche richiede di “decidere la direzione che vogliamo imprimere all’economia e poi mettere i problemi che devono essere risolti per ottenere quel risultato al centro del nostro modo di progettare il sistema economico. Significa realizzare politiche che catalizzano gli investimenti, l’innovazione e la collaborazione tra un’ampia varietà di attori dell’economia, coinvolgendo sia le imprese sia i cittadini”, M. Mazzuccato, Missione economia. Una guida per cambiare il capitalismo, Roma, Laterza, 2021, p. 9.
[xiv] “Soprattutto a seguito della crisi economica e finanziaria del 2008 si è sviluppato, dunque, un intervento pubblico specificamente volto a catalizzare le competenze e i capitali privati di operatori economici e di investitori istituzionali su progetti e investimenti d’interesse pubblico, caratterizzati da un orizzonte temporale di lungo termine. In questa prospettiva, l’intervento dello Stato che promuove gli investimenti dei privati (Stato «promotore») si differenzia dallo Stato «imprenditore», che agisce in economia gestendo direttamente specifiche attività di mercato, dallo Stato «regolatore», che stabilisce in modo terzo e indipendente le regole di specifici settori di mercato e, infine, dallo Stato «finanziatore» o «investitore», che realizza gli investimenti, finanziando direttamente infrastrutture e opere pubbliche principalmente a valere su risorse del bilancio pubblico”, S. Cassese (a cura di), La nuova costituzione economica, Roma, Laterza, 2021 p. 46. In tal senso si v. anche A. Tonetti, Lo Stato promotore e le nuove forme di interventismo economico, in Giornale di diritto amministrativo, 2016, n. 5 e il volume ASTRID-IRPA, Lo Stato promotore. Indagine sul mutamento degli strumenti di intervento pubblico nell’economia di fronte alle crisi e alle trasformazioni del XXI secolo, a cura di F. Bassanini, G. Napolitano e L. Torchia, Bologna, Il Mulino, 2021, passim.