Vicinitas e impugnazione dell’AIA: uno sguardo di insieme (forse non definitivo) da parte del TAR Milano

22 Set 2021 | giurisprudenza, amministrativo

di Andrea Gallarini

Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia, Sezione Terza, 23 giugno 2021, n. 1533 – Pres. Ugo Di Benedetto, Est.  Valeria Nicoletto Flammini – Omissis (Avv.ti Riccardo Villata, Andreina Degli Esposti e Elisabetta Patelli) c. Città Metropolitana di Milano (Avv.ti Marialuisa Ferrari, Naida Marina Gabigliani, Alessandra Zimmitti e Giorgio Giulio Grandesso), nei confronti di Omissis (Avv.ti Pietro Ferraris e Luca Prati) e del Comune di Busto Garolfo, Comune di Casorezzo, Comune di Inveruno, Comune di Canegrate, Comune di Parabiago. Comune di Nerviano, Parco Locale di Interesse Sovracomunale del Roccolo, ARPA Lombardia, ATS Milano, Consorzio di Bonifica Est Ticino Villoresi, Riserva Naturale “Bosco Wwf di Vanzago”, Regione Lombardia, Soprintendenza Archeologica Lombardia (non costituiti) e con l’intervento ad adiuvandum del Parco Locale di Interesse Sovracomunale del Roccolo e dei Comuni di Busto Garolfo e di Casorezzo (Avv. Cristina Seccia)

In materia ambientale, il parametro della vicinitas è sufficiente a fondare sia la legittimazione ad agire, sia l’interesse al ricorso. In particolare, nel caso di realizzazione di una discarica, è sufficiente – ai fini della ammissibilità del ricorso giurisdizionale – la circostanza per cui i ricorrenti vivano abitualmente in prossimità del sito prescelto per la realizzazione dell’intervento o abbiano uno stabile e significativo collegamento con esso.

Poiché è solo con il rilascio dell’A.I.A. che diventa definitiva la lesione conseguente alla localizzazione dell’impianto oggetto della stessa Autorizzazione Integrata, deve ritenersi ammissibile l’impugnazione della sola A.I.A.

L’effetto variante allo strumento urbanistico di cui all’articolo 208 comma 6 del D.lgs. 152/2006 deve ritenersi automatico e prescinde da un eventuale atto di assenso da parte dell’amministrazione locale. Resta salvo in ogni caso l’obbligo di adeguata motivazione dell’amministrazione procedente ove il Comune abbia espresso, in seno alla conferenza di servizi, il proprio dissenso sulla base di ragioni di pianificazione urbanistica.

La sentenza in commento merita attenzione in quanto con essa il TAR Lombardia prende posizione su questioni che – pur differenti tra loro – risultano tutte attuali e di portata sostanziale.

Questi i fatti sui quali si è pronunciato il giudice amministrativo meneghino.

Nel giugno 2015, una società a responsabilità limitata presenta alla Città Metropolitana di Milano un progetto di recupero e gestione produttiva di un sito – precedentemente interessato da attività estrattiva e discarica – articolato sulla base di tre direttrici: (a) riempimento con rifiuti non pericolosi dell’area di pregressa escavazione; (b) gestione produttiva della parte del sito ancora interessata dalle attività estrattive; (c) recupero ambientale dell’intero sito.

La presentazione del progetto determina l’avvio di un complesso e articolato procedimento amministrativo all’esito del quale vengono rilasciati la valutazione di incidenza ambientale, la pronuncia di compatibilità ambientale e l’autorizzazione integrata ambientale.

Tutti i sopracitati provvedimenti (unitamente ai relativi atti presupposti, connessi o consequenziali) sono impugnati da un gruppo di cittadini residenti nelle aree limitrofe al sito interessato dal progetto di recupero e sfruttamento e da alcune società agricole.

I ricorrenti affidano le loro censure a quattro differenti motivi:

  1. a) la Città Metropolitana avrebbe mal interpretato le previsioni di cui all’articolo 208 comma 6 D.lgs. 152/2006 “[…] il quale pur prevedendo la variante automatica dell’Autorizzazione alla pianificazione locale avrebbe ciò consentito solo laddove non vi fosse stato l’espresso dissenso del/i Comune/i interessati ovvero laddove, su tale dissenso, si fosse compitamente motivato in ordine alla superiori ragioni di interesse pubblico sottese alla localizzazione/realizzazione dell’impianto […]”. Nel caso di specie – pur a fronte del dissenso espresso in conferenza di servizi dal Comune di Busto Garolfo e dal Parco Locale di Interesse Sovracomunale del Roccolo – la Città Metropolitana di Milano avrebbe comunque adottato gli atti impugnati, senza peraltro motivare adeguatamente in merito al mancato riconoscimento di qualsiasi rilievo a tale dissenso;
  2. b) l’A.I.A. sarebbe stata adottata “[…] nonostante un quadro tecnico decisamente critico […]”, da ricondurre – in particolare – alla presenza, entro soli 50 metri dal sito, di un’altra discarica;
  3. c) l’A.I.A. sarebbe stata adottata in violazione delle norme che regolano le modalità di assunzione della relativa determinazione conclusiva;
  4. d) il progetto autorizzato sarebbe risultato difforme rispetto a quello originariamente presentato, con conseguente necessità di regressione dell’intero iter procedurale alla fase iniziale.

Costituitasi in giudizio, la controinteressata (proponente il progetto di riqualificazione) ha eccepito:

– l’inammissibilità del ricorso per difetto di legittimazione e carenza di interesse dei ricorrenti;

– l’inammissibilità del ricorso per tardiva impugnazione della pronuncia di compatibilità ambientale (eccezione, quest’ultima, sollevata anche dalla Città Metropolitana di Milano all’atto della costituzione in giudizio).

Trattenuta la causa in decisione, il TAR Lombardia ha accolto il ricorso limitatamente ad uno solo dei motivi di censura proposti dai ricorrenti, rigettando al contempo entrambe le eccezioni sollevate dalla controinteressata e dalla amministrazione resistente.

Quanto al difetto di legittimazione e alla carenza di interesse, il giudice amministrativo ha aderito all’orientamento secondo il quale parametro della “vicinitas” – ovverosia, la circostanza per cui i ricorrenti vivano abitualmente in prossimità del sito prescelto per la realizzazione dell’intervento o abbiano uno stabile e significativo collegamento con esso – costituisce, soprattutto nell’ambito del diritto ambientale, condizione sufficiente a comprovare la sussistenza sia della legittimazione sia dell’interesse a ricorrere[i].

Sulla base di tale presupposto, il TAR ha, quindi, concluso affermando che “[…] pacifico e non contestato che i ricorrenti abbiano tutti il possesso, a vario titolo, di terreni se non ricompresi, comunque limitrofi […] è evidente la sussistenza sia della loro legittimazione ad agire che del loro interesse ex art. 100 c.p.c. con conseguente ammissibilità, sotto questo profilo, del gravame […]”.

Per completezza occorre precisare come la scelta compiuta dal Tribunale Amministrativo – per quanto condivisibile e coerente con l’orientamento maggioritario[ii] – non rappresenti l’unica soluzione elaborata dalla giurisprudenza. In seno allo stesso Consiglio di Stato e in alcune decisioni di merito ha, infatti, trovato spazio (soprattutto nell’ambito del contenzioso in materia edilizia) un orientamento opposto secondo il quale la vicinitas sarebbe condizione sufficiente – di per se stessa – a fondare la sola legittimazione ad agire ma non anche l’interesse a ricorrere, “[…] dovendo sempre il ricorrente fornire la prova concreta del vulnus specifico inferto dagli atti impugnati alla propria sfera giuridica, quali il deprezzamento del valore del bene o la concreta compromissione del diritto alla salute e all’ambiente, o alla proprietà […]” (Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Siciliana, Sezione Giurisdizionale, n. 759/2021).

Proprio l’esistenza di tale contrasto giurisprudenziale ha spinto il Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Siciliana – in relazione ad una controversia in materia di edilizia e urbanistica – a rimettere la questione all’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato (si veda la sopra citata sentenza n. 759/2021, nella quale il giudice amministrativo siciliano opera – peraltro – una approfondita ricognizione dei due orientamenti oggi in essere).

Nell’attesa che i giudici di Palazzo Spada si pronuncino – anche al fine di poter “testare” l’applicabilità della futura decisione (che sarà comunque assunta in relazione ad una particolare questione urbanistica) alla sfera del “contenzioso ambientale” – chi scrive ritiene comunque condivisibile la posizione fatta propria dal TAR Lombardia. A tal proposito non si possono non richiamare le lucide osservazioni del TAR Emilia-Romagna (n. 756/2021, pubblicata mediante deposito in cancelleria in data 18 agosto 2021), il quale – in una controversia avente ad oggetto l’impugnazione di una delibera di adozione di un provvedimento autorizzativo unico regionale (comprensivo di V.I.A., A.I.A. e permesso di costruire) – dopo un breve excursus sui due orientamenti in materia di vicinitas ha chiarito che “[…] con specifico riferimento alla materia ambientale, viene in rilievo, oltre ai beni fondamentali del paesaggio e del patrimonio storico-artistico, garantiti dall’art. 9, comma 2, Cost., il bene primario della salute umana, garantito dall’art. 32 Cost. come «fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività», la cui soglia di tutela giurisdizionale, nella relativa declinazione di salvaguardia dei valori ambientali, deve intendersi anticipata al livello di oggettiva presunzione di lesione. Conseguentemente, ai fini della sussistenza della legittimazione e dell’interesse ad agire risulta sufficiente la “vicinitas” […] Pretendere la dimostrazione di un sicuro pregiudizio all’ambiente o alla salute, ai fini della legittimazione e dell’interesse a ricorrere, costituirebbe in effetti – come condivisibilmente evidenziato dai ricorrenti – una “probatio” diabolica, tale da incidere sul diritto costituzionale di tutela in giudizio delle posizioni giuridiche soggettive, essendo sufficiente la “vicinitas” (Consiglio di Stato sez. II, 10 marzo 2021, n. 2056; id. sez. V, 9 novembre 2020, n. 6862; id. 31 maggio 2012, n. 3254). Può aggiungersi, quantomeno in riferimento alle doglianze più strettamente ambientali, che la stessa procedura di VIA di cui alla parte II del Codice Ambiente – di cui i ricorrenti contestano l’esito positivo – è diretta ad individuare e misurare gli impatti “potenziali” negativi che una determinata opera potrebbe avere sull’ambiente circostante, nell’ottica di una tutela di norma doverosamente preventiva (ex multis C.G.U.E. sez. I, 26 luglio 2017, C-97) […]”.

Rigettata l’eccezione relativa al difetto di legittimazione ad agire e alla carenza di interesse, il TAR Lombardia ha rigettato anche l’eccezione relativa alla tardività del ricorso (fondata sulla scelta dei ricorrenti di impugnare solo l’Autorizzazione Integrata Ambientale e non anche la precedente valutazione di impatto ambientale[iii]).

Rispetto a tale profilo il giudice amministrativo – richiamando il consolidato orientamento giurisprudenziale formatosi sul punto[iv] – ha ribadito che “[…] sebbene […] la pronuncia di compatibilità ambientale (V.I.A.) e l’A.I.A. essendo atti preordinati ad accertamenti diversi ed autonomi possano avere, ciascuno, un’autonoma efficacia lesiva e, per l’effetto, essere oggetto di separate impugnazioni, è pur vero che è soltanto con il rilascio dell’AIA, che esprime un giudizio definitivo sull’opera proposta, che acquisisce definitività la lesione recata dalla localizzazione dell’impianto, oggetto del giudizio di V.I.A. Ne consegue che, stante la facoltà dell’impugnazione separata, ben può essere impugnata unicamente l’A.I.A. […] posto che è soltanto quest’ultimo l’atto certamente lesivo […]”.

Chiarita l’ammissibilità del ricorso, il TAR Lombardia, sede di Milano, è passato all’analisi dei motivi di impugnazione proposti dai ricorrenti, accogliendone parzialmente il primo e rigettando tutti gli altri. E’, dunque, sul primo motivo che ci si concentrerà in questa sede.

I ricorrenti – eccependo l’errata interpretazione, da parte della Città Metropolitana di Milano, dell’articolo 208 comma 6 D.lgs. 152/2006 – hanno affermato che la capacità dell’AIA di incidere sugli atti di pianificazione locale sarebbe limitata alla sole ipotesi in cui non sia stato espresso, in conferenza di servizi, un formale dissenso da parte degli enti locali interessati o alle ipotesi in cui “[…] superiori ragioni di interesse pubblico sottese alla localizzazione dell’impianto consentano di superare tale dissenso, con obbligo dell’Amministrazione di compiutamente motivare in proposito […]”.

All’opposto, la società controinteressata e la Città Metropolitana di Milano hanno affermato la totale irrilevanza di un eventuale dissenso rispetto alla realizzazione dell’impianto non conforme alla normativa urbanistica locale.

Nel pronunciarsi sulla questione, accogliendo il motivo, il TAR Lombardia assume una decisione che risulta certamente apprezzabile e condivisibile, quantomeno per l’opera di bilanciamento svolta con essa.

Se, infatti, in relazione a tale specifica questione, il giudice amministrativo dichiara subito di non condividere l’orientamento giurisprudenziale citato dai ricorrenti[v] e di voler al contrario far proprio il diverso orientamento richiamato dalla controinteressata e dalla amministrazione comunale[vi], il TAR Lombardia si preoccupa comunque di precisare che l’eventuale dissenso “[…] seppur […] non dotato di potere di veto, deve comunque essere oggetto di attenta e specifica attenzione da parte dell’Amministrazione procedente e, per l’effetto, in base ai principi generali in materia, può essere superato soltanto attraverso un’adeguata motivazione […]”.

Richiamando i precedenti conformi del Consiglio di Stato[vii] e di alcuni Tribunali Amministrativi Regionali[viii], il TAR Lombardia fa derivare tale obbligo motivazionale “[…] dalle stesse regole generali del modulo procedimentale della conferenza di servizi, che prevedono il superamento dei dissensi attraverso una adeguata motivazione […]”.

Posta tale premessa, il Tribunale Amministrativo dichiara – con riferimento al caso specifico – la mancanza di una adeguata motivazione (la Città Metropolitana di Milano essendosi limitata a ritenere il dissenso delle amministrazioni locali superato sulla base della semplice previsione di cui all’articolo 208 comma 6 D.lgs. 152/2006) e, quindi, l’illegittimità del provvedimento impugnato limitatamente a tale profilo: “[…] una tale motivazione […] non può ritenersi adeguata e/o sufficiente. Con essa, infatti, si è semplicemente dato atto dell’esistenza dello strumento normativo atto a superare il dissenso degli enti, ma non è stato effettuato alcun vaglio dell’assetto pianificatorio inciso e delle superiori ragioni che, in ultima analisi, hanno giustificato il sacrificio delle scelte locali da tempo consolidate […]”.

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Commento TAR Lombardia 1533.2021

Per il testo della sentenza cliccare sul pdf allegato (estratto dal sito di Giustizia Amministrativa).

TAR Lombardia 1533_2021

Note:

[i] Nella motivazione della sentenza il TAR Lombardia richiama, in particolare, i precedenti del TAR Lazio, Sez. I, quater, 31/03/2020 n. 3728 (“[…] in materia ambientale, e specialmente di gestione dei rifiuti, ai fini della sussistenza della legittimazione ad agire è sufficiente la vicinitas, intesa come vicinanza dei soggetti che si ritengono lesi dal sito prescelto per l’ubicazione di una discarica avente potenzialità inquinanti, non potendo loro addossarsi il gravoso onere dell’effettiva prova del danno subito; Inoltre, va rilevato che il riconoscimento della legittimazione attiva non può essere subordinato alla produzione di una prova puntuale della concreta pericolosità dell’impianto di discarica, dovendosi ritenere sufficiente una prospettazione delle temute ripercussioni su un territorio comunale collocate nelle immediate vicinanze dell’impianto da realizzare”) e del TAR Abruzzo, Pescara, Sez. I, 31/07/2014, n. 368.

[ii] Ex multis, nella giurisprudenza amministrativa, Cons. St., sez. II, 10 marzo 2021 n. 2056. Nella giurisprudenza civile, Cass. Civ., SS.UU, ordinanze 30 giugno 2021 n. 18493 e 27 agosto 2019 n. 21740.

[iii] L’eccezione della controinteressata e della amministrazione resistente è così riassunta dal TAR Lombardia in motivazione: “[…] non sarebbe possibile rimettere in discussione le scelte adottate dall’Amministrazione in sede di VIA attraverso l’impugnazione dell’atto autorizzativo rilasciato con l’AIA, che si è invece limitata a imporre l’adozione di tutti i presidi tecnici e gestionali per assicurare il rispetto delle norme ambientali […]”).

[iv] Di particolare chiarezza si rivela la sentenza, citata in motivazione dal TAR Lombardia, n. 3559/2017 del Consiglio di Stato.

[v] Orientamento secondo il quale l’“[…] effetto vincolante sarebbe precluso dall’espresso dissenso comunale manifestato in sede di conferenza di servizi: la norma, infatti non potrebbe, ex se ed in via automatica, sottrarre competenza urbanistica al Comune. Quest’ultimo – vantando una sorta di riserva di attribuzioni intangibile da parte delle altre amministrazioni coinvolte nel procedimento autorizzatorio – sarebbe quindi titolare, in concreto, di un potere di veto alla localizzazione dell’impianto ritenuto incompatibile con i propri strumenti urbanistici. Così ricostruita la ratio dell’art. 208, comma 6, la disposizione non avrebbe portata sostanziale, ma meramente procedimentale e semplificatoria (mirerebbe, infatti, semplicemente ad evitare, per in caso di assenso del Comune, l’avvio dell’ulteriore procedura di variante urbanistica) e la conferenza di servizi […] rappresenterebbe uno strumento di mera emersione e comparazione di tutti gli interessi coinvolti”. In questo senso, cfr. TAR Emilia-Romagna, Parma, 24 giugno 2015 n. 196.

[vi] Orientamento secondo il quale “[…] l’effetto variante sarebbe automatico, a prescindere dall’assenso o dal dissenso del Comune. Diversamente opinando, si sostiene, il disposto dell’art. 208 comma 6 – che impone una gerarchia tra l’autorizzazione e la strumentazione urbanistica locale – sarebbe, di fatto, svuotato, accordando sempre e comunque prevalenza, per effetto del dissenso del Comune, alla pianificazione locale […] Con l’art. 208, comma 6, il legislatore ha infatti inteso ridefinire […] le competenze in materia di pianificazione urbanistica accordando prevalenza alla determinazione dell’Amministrazione procedente rispetto a quello dell’Amministrazione locale, il cui interesse è, peraltro, ampiamente salvaguardato dalla partecipazione al procedimento e dalle norme che, di questo, costituicono presidio […]”. In questo senso, cfr. in particolare, TAR Lombardia, Sez. II, 22 aprile 2021, n. 1031.

[vii] Cons. Stato, Sez. IV, n. 4991/2020.

[viii] In particolare, TAR Lombardia, n. 1031/2021: “[…] L’Amministrazione procedente può̀ superare il dissenso del Comune imperniato su ragioni di pianificazione urbanistica e quindi l’autorizzazione ex art. 208 del d.lgs. n. 152 del 2006 può̀ costituire variante dello strumento urbanistico, ma a condizione che sia articolato un iter logico argomentativo in grado di esplicare, puntualmente e in modo esauriente, le motivazioni a fondamento di scelte in contrasto con il parere comunale, da cui emergano cioè̀ le ragioni giustificatrici che, a seguito di un bilanciamento degli opposti interessi, hanno portato a far prevalere le esigenze legate all’insediamento dell’impianto. L’onere di motivazione esaustiva si ricava dalle stesse regole generali del modulo procedimentale della conferenza dei servizi, che prevedono il superamento dei dissensi attraverso una “adeguata” motivazione. La norma di legge infatti ancora ad un preciso e predeterminato parametro di giudizio il contenuto dello sforzo di motivazione, pretendendo che la stessa sia adeguata […]”.

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