Verifica di assoggettabilità a VIA degli impianti di gestione rifiuti in regione Lombardia e loro insediabilità nei Piani Cave.

18 Feb 2020 | giurisprudenza, amministrativo, in evidenza 1

di Chiara Galdenzi

T.A.R. Lombardia, Brescia, Sez. I, 18 ottobre 2019, n. 897 – Pres. Politi – Est. Pedron – Legambiente Lombardia Onlus (Avv. P. Garbarino) c. Provincia di Brescia e altri (Avv.ti M. Poli, G. Donati e R. Rizzardi). 

La verifica di assoggettabilità a VIA degli impianti di gestione rifiuti nella Regione Lombardia è disciplinata dalla D.G.R. 10/2/2010 n. 8/11317, in base alla quale l’esistenza di una situazione ambientale già compromessa non comporta di per sé la necessità di sottoporre l’impianto a VIA. Gli impianti di recupero di rifiuti, inoltre, sono attività produttive omogenee e coerenti con l’attività di coltivazione di cava; quindi il loro inserimento in un ambito estrattivo non richiede l’approvazione di una variante urbanistica.

Questa sentenza concerne un impianto di recupero di rifiuti da realizzare su un’area ricompresa in un Ambito Territoriale Estrattivo (“ATE”) del Piano Cave della Provincia di Brescia.

In particolare, il giudizio ha avuto ad oggetto i provvedimenti, impugnati da Legambiente, con i quali la Provincia aveva escluso il progetto dell’impianto dalla procedura di Valutazione d’Impatto Ambientale (“VIA”) e ne aveva autorizzato l’installazione e l’esercizio all’interno di un ATE, ai sensi dell’art. 208 D.Lgs. n. 152/2006.

Con riferimento al provvedimento di esclusione dalla VIA, il TAR ha respinto le censure rilevando come la Provincia avesse correttamente applicato al caso concreto la D.G.R. Lombardia 10/2/2010 n. 8/11317 (non contestata in giudizio): in base a questa deliberazione regionale, la presenza di fenomeni di inquinamento nell’area prescelta non comporta di per sé la necessità di sottoporre il progetto a VIA.

In effetti, con l’indicata deliberazione Regione Lombardia ha dettato una metodologia e dei criteri applicativi uniformi per la verifica di assoggettabilità a VIA degli impianti di smaltimento e/o recupero di rifiuti. Si tratta di un “manuale” tecnico-scientifico, che fornisce istruzioni precise e parametri oggettivi (“semiquantitativi”) per individuare l’impatto del singolo progetto e per stabilire in quali casi la VIA non sia obbligatoria, secondo quanto previsto sul punto dal D.Lgs. n. 152/2006.

Nella D.R.G. citata, la metodologia “semiquantitativa” di valutazione del progetto ai fini della verifica di VIA è proposta come uno strumento di supporto per l’Autorità competente, la quale quindi mantiene margini di discrezionalità. Tuttavia,  il tenore scientifico di questa metodologia e il livello di dettaglio nei parametri individuati lascino poco spazio per contestarne i risultati: in astratto, si possono ipotizzare errori dovuti all’omessa acquisizione da parte dell’Autorità competente di dati riferiti al singolo caso concreto che, se fossero stati correttamente inseriti nella “griglia” di valutazione prevista dalla D.G.R. 10 febbraio 2010 n. 8/11317, avrebbero condotto a valori di incidenza dell’impianto quantitativamente maggiori e di conseguenza soggetti a una diversa valutazione anche in base agli indici di verifica indicati nella stessa deliberazione regionale.

La sentenza in commento si occupa inoltre dei rapporti tra Piano Cave e impianti di recupero rifiuti, affermando che questa tipologia di attività è sempre complementare a quella estrattiva, anche nel caso in cui i rifiuti non provengano da operazioni di scavo. In altre parole, secondo la prospettazione assunta in sentenza, gli impianti di recupero di rifiuti sarebbero “pertinenze di cava” e quindi sarebbero sempre insediabili nel perimetro di un Piano Cave.

Questa posizione è coerente con i principi cui si ispira la proposta di progetto di legge “Disciplina della coltivazione di sostanze minerali di cava”, approvata con D.G.R. Lombardia n. X/7096 in data 25/9/2017. Questa proposta specifica infatti che: – della cava fanno parte gli impianti di lavorazione, trasformazione, valorizzazione e deposito temporaneo del materiale lavorato, anche se proveniente dall’esterno della cava; – è incentivata l’installazione in ambito di cava di impianti di recupero di rifiuti.

Le prospettive di riforma in materia di attività estrattiva, quindi, individuano e valorizzano espressamente l’esigenza di promuovere l’installazione di impianti di recupero di rifiuti all’interno dei Piani Cave, anche al fine di ridurre il consumo di materie prime di cava.

La questione, però, non è altrettanto univoca in base alla normativa regionale ancora vigente. L’art. 35 L.R. Lombardia n. 14/1998 prevede infatti che all’interno degli ATE possano essere installate soltanto le “pertinenze della cava”, da intendersi “quali impianti di lavorazione, selezione, trasformazione e valorizzazione dei materiali coltivati, strutture e manufatti per uffici e servizi per il ricovero degli automezzi e quanto altro di supporto alle attività dell’impresa” che svolge l’attività estrattiva.

Questa normativa si presta a letture che interpretano in modo restrittivo la nozione di “pertinenzialità” e che pertanto riducono significativamente le tipologie di impianti ammessi all’interno dei Piani Cave. Così, ad esempio, è avvenuto nell’ambito del procedimento di adozione del Piano Cave di Città Metropolitana di Milano 2019-2029: nella proposta pubblicata di Piano Cave, l’Amministrazione metropolitana aveva infatti deciso di estromettere dalla perimetrazione del nuovo Piano Cave gli impianti la cui attività non risultasse direttamente ed esclusivamente diretta alla lavorazione del materiale cavato, escludendo quindi dal Piano anche gli impianti destinati al recupero dei rifiuti. A seguito del contraddittorio intervenuto all’interno del procedimento, la Proposta di Piano Cave definitivamente adottata da Città Metropolitana è stata poi modificata ed è oggi ispirata a un’interpretazione della nozione di “pertinenzialità” più elastica, nella quale opportunamente si valorizzano gli indirizzi normativi europei in materia di ottimizzazione e di integrazione dei cicli produttivi, nella prospettiva di incentivare un’economia circolare dei materiali e dei rifiuti[1].

Resta però allo stato l’esigenza di rendere palese, mediante una riforma della L.R. Lombardia n. 14/1998, il fatto che una corretta pianificazione dell’attività di cava debba non solo disciplinare l’attività propriamente estrattiva, ma anche promuovere all’interno dei Piani quei processi produttivi da cui derivano e nei quali vengono lavorati materiali (rifiuti) che possono essere utilizzati come materia prima in sostituzione del materiale di cava.

Per il testo della sentenza (estratto dal sito istituzionale della Giustizia Amministrativa) cliccare sul pdf allegato

Galdenzi_TAR Brescia n. 897-2019

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Galdenzi_897-2019

[1] La documentazione relativa al procedimento in corso di approvazione del Piano Cave di Città Metropolitana di Milano 2019-2029 (compresa la prima proposta di Piano e i relativi principi ispiratori) sono pubblicati sul sito istituzionale di Città Metropolitana.

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