Trasporto di rifiuti non autorizzato: terzo proprietario e confisca obbligatoria

01 Mar 2023 | giurisprudenza, penale

di Andrea Ranghino

CASSAZIONE PENALE, Sez. III – 25 ottobre 2022 (dep. 16 dicembre 2022), n. 47685 – Pres. Aceto, Est. Gai– ric. FO.RI.CA. AMBIENTE s.r.l.

Il veicolo utilizzato per il trasporto di rifiuti non autorizzato non può essere confiscato, ai sensi dell’art. 259, co. 2, D.Lgs. n. 152/06 se è di proprietà di un terzo estraneo al reato, purché quest’ultimo sia in buona fede e non esistano collegamenti, diretti o indiretti, ancorché non punibili con la commissione del reato.

Il proprietario che voglia evitare la confisca dell’autoveicolo ha l’onere di fornire una rigorosa dimostrazione della propria buona fede, ovvero di non essere stato a conoscenza dell’uso illecito del mezzo o che tale uso non era collegabile a un proprio comportamento negligente.

  1. Il caso.

Il proprietario[1] di un autocarro sequestrato in vista della confisca di cui all’art. 259, comma 2, D.Lgs. n. 152/2006, chiedeva alla Corte di Cassazione l’annullamento della misura cautelare e la conseguente restituzione del mezzo sostenendo, tra l’altro, di essere terzo estraneo al reato per cui si stava procedendo, ossia il trasporto di rifiuti non autorizzato. Del resto, non solo gli indagati avevano agito a sua insaputa, ma non vi era neppure motivo di sospettare che questi ultimi, autorizzati alla raccolta di rifiuti, svolgessero anche un’attività secondaria, esorbitante l’autorizzazione concessa e, dunque, di natura illecita.

  1. La decisione.

Nel dichiarare l’inammissibilità del ricorso, con specifico riferimento al motivo di nostro interesse, la Corte di Cassazione richiamava un principio, «reiteratamente affermato» in sede di legittimità[2], secondo cui non è possibile confiscare i mezzi di trasporto appartenenti a un terzo estraneo al reato a patto che al terzo non sia ascrivibile la violazione di obblighi di diligenza e che risulti la buona fede, intesa quale assenza di condizioni che rendano probabile a suo carico un qualsivoglia addebito di negligenza da cui sia derivata la possibilità dell’uso illecito della cosa. Inoltre, non devono esistere dei collegamenti, diretti o indiretti, ancorché non punibili, con la consumazione del reato.

Dovrà poi essere il terzo estraneo al reato a fornire la rigorosa dimostrazione della propria buona fede, ossia di non essere stato a conoscenza dell’uso illecito del mezzo o che tale uso non era collegabile a un proprio comportamento negligente, secondo un meccanismo di inversione dell’onere probatorio che era, secondo la Corte, ammissibile in quanto non attenente l’accertamento della responsabilità penale.

Nel caso di specie, si riteneva che tale onere probatorio non potesse dirsi assolto, in quanto il ricorrente si era limitato a evidenziare il dato relativo alla intestazione del bene. Secondo il Giudice di legittimità, infatti, tale allegazione, di natura meramente formale, non era sufficiente a dimostrare la buona fede del terzo, soprattutto in presenza di indici di segno opposto, quali la disponibilità in via continuativa dell’autocarro in capo a uno degli indagati e il vincolo di coniugio tra quest’ultimo e il proprietario medesimo.

Alla richiesta del proprietario del bene in sequestro, che reclamava la restituzione del mezzo in quanto persona estranea al reato, la Corte di Cassazione ha risposto richiamando un principio di diritto affermato più volte in sede giurisprudenziale al fine di dare un’interpretazione costituzionalmente orientata all’art. 53, comma 2, D.Lgs. n. 22/1997 e, successivamente, all’art. 259, comma 2, D.Lgs. n. 156/06[3].

Entrambe le norme appena richiamate, infatti, impongono, in caso di condanna o di sentenza ex art. 444 c.p.p., la confisca del mezzo impiegato nel trasporto illecito dei rifiuti senza prevedere alcuna deroga nel caso in cui la cosa appartenga a persona estranea al reato. Deroga che, invece, è prevista non solo, come noto, dall’art. 240, comma, 3 c.p., ma anche in ipotesi speciali di confisca come, a mero titolo esemplificativo, quella riguardante i mezzi impiegati nel contrabbando[4] o, sempre in tema di reati ambientali, l’area su cui è stata realizzata una discarica abusiva[5] o, ancora, i mezzi utilizzati per il trasporto dei rifiuti oggetto di combustone illecita[6].

La Corte, ritenendo ingiustificata una tale disomogeneità, ha ammesso, anche nel caso della confisca obbligatoria di cui all’art. 259, comma 2 più volte citato, che, a determinate condizioni, il proprietario del bene, se estraneo alla commissione del reato, possa ottenerne la restituzione.

Quanto più un principio di diritto può dirsi consolidato, tanto più, forse fatalmente, si può incorrere nella tentazione di darvi applicazione con uno spirito critico affievolito, se non proprio in modo meccanico. È come se, in altri termini, la reiterata affermazione del principio, specie se avvenuta in sede di legittimità, rendesse superflua ogni riflessione sui contenuti che vi vengono riportati.

Il rischio insito in un approccio di questo genere, applicato senza dubbio anche nella sentenza in esame, è quello di continuare a riproporre affermazioni che, a una più attenta analisi, non sembrano immuni a rilievi critici.

Con specifico riferimento al caso di specie, a destare qualche dubbio, ovviamente, non è la finalità che ha ispirato l’orientamento giurisprudenziale in commento – essendo più che condivisibile l’applicazione del divieto di confisca di cui, tra l’altro, all’art. 240, co. 3, c.p. anche a casi assimilabili a quello di specie – quanto la sua declinazione pratica.

Anzitutto, a non apparire lineare è la prima parte del ragionamento, in cui si subordina il divieto di confisca nei confronti del terzo estraneo al reato, tanto all’impossibilità di individuare una violazione degli obblighi di diligenza quanto alla sussistenza della buona fede, intesa quale assenza di condizioni che rendano probabile un addebito di negligenza. A ben vedere, infatti, si finisce col chiedere al terzo di dimostrare due volte il medesimo requisito: prima, di essere stato diligente, poi, di non essere stato negligente. In realtà, al terzo in grado di dimostrare di aver rispettato i canoni di diligenza dovrebbe essere riconosciuta automaticamente la buona fede dal momento che, allo stesso tempo, avrà anche già dimostrato l’insussistenza di condizioni che rendano probabile, nei suoi confronti, un addebito a titolo di negligenza.

Forse, allora, nell’enunciazione del principio di diritto in esame, sarebbe stato preferibile limitarsi a chiedere la dimostrazione della buona fede, da desumere, alternativamente, dal rispetto dei canoni di diligenza dovuti alla luce delle specificità del caso di specie o dall’assenza di elementi idonei a contestare profili di negligenza.

Un secondo passaggio che, almeno a chi scrive, non appare così chiaro è quello in cui si precisa che il divieto di confisca non opera se dal comportamento negligente del terzo estraneo sia derivata la possibilità dell’uso illecito della cosa, secondo uno schema tipico del nesso causale. Una precisazione di questo tenore sembra superflua, dal momento che, se la condotta tipica è stata realizzata grazie a un comportamento negligente del proprietario del mezzo, è evidente che non si possa rientrare nel perimetro della deroga alla confisca obbligatoria. In questo caso, infatti, il proprietario del mezzo dovrebbe essere verosimilmente considerato concorrente nel reato[7], non certo terzo estraneo. In altri termini, è come se si dicesse che la confisca dei mezzi di trasporto appartenenti a un terzo estraneo non può essere ordinata, a patto che quest’ultimo non sia terzo estraneo ma, in realtà, compartecipe al reato, così contraddicendo il presupposto iniziale del ragionamento, ovvero la terzietà.

Per evitare questa sorta di cortocircuito logico sembra preferibile limitarsi a prevedere, come, tra l’altro, fanno già gli artt. 256, co. 3 e 256 bis, co. 5, D.Lgs. n. 152/06, che la confisca opera se il bene è di proprietà dell’autore o del compartecipe al reato. Oppure, in alternativa, che la misura ablatoria può essere applicata salvo che il bene appartenga a persona estranea alle condotte tipiche e a patto che non si configuri il concorso di persona nella commissione del reato.

Da ultimo, a non convincere del tutto è la parte finale del ragionamento della Corte, ove si statuisce che, per evitare l’applicazione della confisca, non devono neppure esistere collegamenti, diretti o indiretti, ancorché non punibili, con la consumazione del reato.

Si tratta, infatti, di un’affermazione che, per quanto già utilizzata in diverse occasioni in giurisprudenza per definire il concetto di “estraneità”[8], le Sezioni Unite della Corte di Cassazione, già a partire dal 1999, hanno ritenuto di non poter condividere integralmente, preferendo piuttosto una definizione alternativa, secondo cui è “terzo” chi non ha ricavato dal reato vantaggi e utilità. Nella nota sentenza “Bacherotti”[9], in particolare, le Sezioni Unite hanno precisato che quest’ultima definizione concorre a «conformare la portata della nozione di estraneità al reato in termini maggiormente aderenti alla precisa connotazione funzionale della confisca, non potendo privilegiarsi la tutela del diritto del terzo allorquando costui abbia tratto vantaggio dall’altrui attività criminosa e dovendo, anzi, riconoscersi la sussistenza, in una simile evenienza, di un collegamento tra la posizione del terzo e la commissione del fatto reato».

Nella medesima pronuncia, inoltre, per evitare che in capo al terzo si potessero produrre conseguenze negative su una base puramente oggettiva si è precisato che «il concetto di estraneità al reato è individuabile anche in presenza dell’elemento di carattere oggettivo integrato dalla derivazione di un vantaggio dall’altrui attività criminosa, purché sussista la connotazione soggettiva identificabile nella buona fede del terzo, ossia nella non conoscibilità – con l’uso della diligenza richiesta dalla situazione concreta – del predetto rapporto di derivazione della propria posizione soggettiva dal reato commesso dal condannato. La coessenziale inerenza del requisito della buona fede e dell’affidamento incolpevole alla condizione della persona estranea al reato, cui appartengono le cose confiscate, rappresenta l’inevitabile corollario della impossibilità di attribuire alla confisca una base meramente oggettiva, assolutamente incompatibile col principio di personalità della responsabilità penale, sancito dall’art. 27, comma 1 Cost[10].

Tra l’altro, alla luce dell’orientamento espresso dalle Sezioni Unite, si potrebbe provare a distinguere con più nitidezza i concetti di “terzietà”, “estraneità” e “buona fede”, che al contrario, come evidente anche dalla sentenza in commento, spesso vengono sovrapposti.

In tale ottica, la “terzietà”, potrebbe essere intesa come diversità rispetto alla persona che ha posto in essere la condotta tipica o che ha, in altro modo, concorso alla realizzazione del reato. L’“estraneità”, invece, sempre seguendo l’indicazione delle Sezioni Unite, potrebbe essere ricondotta alla mancata percezione di profitti o vantaggi derivanti dal reato. Sarebbe estraneo, dunque, tanto il terzo che non ha percepito alcun profitto o vantaggio derivante dal reato (estraneità oggettiva), quanto il terzo che, pur avendolo percepito, può dirsi in “buona fede”, ossia nella posizione di chi, pur usando la diligenza richiesta dalla situazione concreta, non poteva avvedersi del rapporto di derivazione (estraneità soggettiva). Viceversa, il terzo che, con l’uso dell’ordinaria diligenza, avrebbe potuto accorgersi di partecipare a vantaggi o profitti provenienti da un’attività illecita, pur senza aver concorso nel reato, non potrà dirsi estraneo e, dunque, non potrà ambire a ottenere la restituzione del bene di sua proprietà.

Se si sposasse questa impostazione, sembra evidente che la buona fede, di cui il proprietario è chiamato a dare «rigorosa dimostrazione», non consisterebbe nella mancata conoscenza dell’uso illecito del mezzo o nell’insussistenza di un nesso tra uso illecito e comportamento negligente, come affermato anche nella decisione in commento, ma nella impossibilità di conoscere il nesso di derivazione tra vantaggio eventualmente percepito e reato. In altri termini, la buona fede colora soggettivamente il concetto di estraneità, mentre, a ben vedere, la dimostrazione di non aver riconosciuto l’uso illecito del mezzo o di averlo reso possibile con un comportamento negligente riguardano più il concetto di terzietà. Del resto, se il terzo fosse stato consapevole dell’impiego illecito del proprio mezzo o lo avesse reso possibile per negligenza, con ogni probabilità, non ci troveremmo in presenza di un terzo, ma piuttosto di un compartecipe.

Ragionando in questo modo, tra l’altro, si eviterebbe che il proprietario debba, di fatto, fornire una «rigorosa dimostrazione» in ordine alla sua mancata partecipazione a un’attività illecita rispetto a cui non è indagato, lasciando così che sia l’autorità giudiziaria a svolgere ogni valutazione in tema di terzietà.

SCARICA L’ARTICOLO IN PDF

Ranghino_contributo_marzo_23 (rev.)

Per il testo della sentenza cliccare sul pdf allegato

Cass. III, 47685_2022 (ranghino)

NOTE:

[1] Si trattava del legale rappresentante di una società di capitali.

[2] Nella sentenza in commento sono citati i seguenti precedenti: Corte Cass. pen., Sez. III, 24 giugno 2004, n. 33281; Corte Cass. pen., Sez. III, 7 novembre 2007, n. 44837; Corte Cass. pen., Sez. III, 20 maggio 2008, n. 26529; Corte Cass. pen., Sez. III, 18 novembre 2008, n. 12108; Corte Cass. pen., Sez. III, 11 marzo 2009, n. 20935. Il medesimo principio di diritto risulta essere stato enunciato anche in Corte Cass. pen., Sez. III, 29 marzo 2019, n. 23818.

[3] Cfr. Cassazione pen., III, n. 26529, cit. Sembra possibile ricondurre detto orientamento alla decisione della Corte costituzionale n. 2 del 1987, che nel dichiarare l’illegittimità costituzionale delle disposizioni che regolano la confisca di opere di interesse artistico o storico esportate abusivamente ha escluso la compatibilità con l’art. 27, comma 1, Cost. di norme che prevedono la confisca anche quando le cose risultino di proprietà di chi non sia autore del reato o «non ne abbia tratto in alcun modo profitto».

[4] Cfr. art. 301, comma 3, T.U. n. 43/1973, secondo cui si applicano le disposizioni dell’articolo 240 del codice penale se si tratta di mezzo di trasporto appartenente a persona estranea al reato qualora questa dimostri di non averne potuto prevedere l’illecito impiego anche occasionale e di non essere incorsa in un difetto di vigilanza.

[5] Cfr. art. 256, comma 3, D.Lgs. n. 152/06, secondo cui alla sentenza di condanna o alla sentenza emessa ai sensi dell’articolo 444 del codice di procedura penale, consegue la confisca dell’area sulla quale è realizzata la discarica abusiva se di proprietà dell’autore o del compartecipe al reato, fatti salvi gli obblighi di bonifica o di ripristino dello stato dei luoghi.

[6] Cfr. art. 256-bis, comma 5, D.Lgs. n. 152/06, secondo cui i mezzi utilizzati per il trasporto di rifiuti oggetto del reato di cui al comma 1 del presente articolo, inceneriti in aree o in impianti non autorizzati, sono confiscati ai sensi dell’articolo 259, comma 2, salvo che il mezzo appartenga a persona estranea alle condotte di cui al citato comma 1 del presente articolo e che non si configuri concorso di persona nella commissione del reato.

[7] Sulla possibilità di concorrere a titolo di colpa alla realizzazione di una contravvenzione si rimanda a Corte Cass. pen., Sez. III, 22 gennaio 2013, n. 20383, che, in tema di reati edilizi, ha osservato: «anche il muratore o l’operaio possono rispondere – in applicazione degli ordinari criteri del concorso di persona ex art. 110 c.p. ed anche a titolo di colpa quanto alla consapevolezza dell’abusività dei lavori – delle contravvenzioni di cui all’art. 44, lett. b) e c), del t.u. edilizia, qualora sia accertata la loro materiale collaborazione alla realizzazione; per la sussistenza dell’elemento soggettivo è sufficiente, quindi, che il comportamento illecito sia derivato da imperizia, imprudenza o negligenza».

[8] Tra le altre si vedano: Corte Cass. pen., Sez. I, 6 novembre 1995, n. 5580.

[9] Corte Cass. pen., S.U., 28 aprile 1999, n. 4.

[10] Così anche E. Dolcini, G. Marinucci, (fondato da), Codice Penale Commentato, IV ed., p. 2755.

Scritto da