Termovalorizzatori: la sospensione dell’autorizzazione deve basarsi su un pericolo per l’ambiente

01 Mar 2023 | giurisprudenza, amministrativo, in evidenza 1

di Luciano Butti

Consiglio di Stato – sez. IV – 31 gennaio 2023, n. 1096 – Pres.  Lamberti – Est. Verrico – ric. R.A.

È illegittimo sospendere un’attività soggetta ad autorizzazione integrata ambientale (Aia) senza i presupposti del pericolo per l’ambiente e senza indicare un termine per la sospensione.

La vicenda riguarda un termovalorizzatore situato in Basilicata, dotato di autorizzazione integrata ambientale e sottoposto ad assai frequenti controlli da parte degli enti locali e dell’Agenzia regionale per la protezione dell’ambiente.

Nel 2014, la Giunta regionale aveva sospeso le attività relative al forno a tamburo rotante in ragione dell’uscita di fumi ritenuti anomali (emissione di iodio in atmosfera in concentrazione oltre i valori limite) da uno dei camini annessi al forno e destinato ai rifiuti speciali di provenienza industriale.

A seguito di ricorso dei gestori dell’impianto, il TAR Basilicata aveva annullato l’ordine di sospensione, condannando inoltre, in solido, la Regione Basilicata e l’ARPAB sia al risarcimento del danno ai sensi dell’art. 34, comma 4, c.p.a., che al ristoro delle spese del giudizio. Una decisione tanto severa era motivata, in sintesi, dalle ragioni che seguono:

  1. a) l’assenza dei presupposti di legge per disporre la sospensione dell’attività, difettando la prova della sussistenza di situazioni di pericolo per la salute umana o per l’ambiente, tanto più che l’AIA non prevedeva controlli specifici e limiti puntuali per l’analita “iodio”;
  2. b) la mancanza di qualsiasi elemento che supportasse una generica affermazione di ARPAB circa la pretesa inadeguatezza dell’impianto;
  3. c) la “piena collaborazione istruttoria” della società rispetto alle richieste dell’ARPAB;
  4. d) la presenza – al più – dei soli presupposti per l’adozione della mera diffida ex art. 29-decies, n. 9, lett. a), d.lgs. n. 152/2006;
  5. e) la mancata indicazione di un termine per la sospensione.

La Regione Basilicata propose appello per ottenere la riforma della sentenza impugnata, osservando in particolare che la sospensione sarebbe stata disposta in applicazione del principio di precauzione, atteso che, nonostante l’assenza di evidenze scientifiche, sussisteva uno stato di pericolosità del contesto per la salute, essendosi registrato in passato un evento di contaminazione di acque sotterranee. L’appello sosteneva inoltre che il termine per la sospensione dovesse ritenersi implicito, ossia fino all’avvenuta ottemperanza di quanto prescritto al gestore. Anche il Comune presso il quale l’impianto ha sede e l’Agenzia regionale per l’ambiente (ARPAB) impugnarono la sentenza del TAR, chiedendone la riforma.

Il Consiglio di Stato ha rigettato tutti gli appelli.

In primo luogo, infatti, osservano i Giudizi di appello, l’art. 29-decies, comma 9, lett. b), del d.lgs. n. 152 del 2006, anche nella versione applicabile ratione temporis, si basava su un presupposto “duplice ed alternativo: i) il manifestarsi di situazioni pericolose; ii) la reiterazione di violazioni per più di due volte all’anno”. Esso inoltre richiedeva espressamente che la sospensione venisse disposta solo “per un tempo determinato”.  Ed invece, il provvedimento impugnato non offriva alcuna motivazione in ordine alla situazione di pericolo alla salute o all’ambiente, né fissava un termine per la durata della sospensione. Il pericolo peraltro non poteva desumersi dalla mera presenza di iodio nelle emissioni, considerato che l’AIA rilasciata all’impianto con la D.G.R. n. 428 del 14 aprile 2014 non indicava tale sostanza tra i contaminanti che richiedono particolare attenzione o controllo.

In secondo luogo, la società ricorrente aveva prestato ampia collaborazione alle autorità di controllo intervenute per gli accertamenti, sia durante i sopralluoghi che rispondendo alle numerose richieste di documentazione, l’ultima delle quali peraltro concedeva un termine di sole 48 ore, coincidenti con le giornate di sabato e domenica.

Quanto infine al tema del principio di precauzione, per la prima volta introdotto da Regione Basilicata in sede di appello, esso è stato considerato dal Consiglio di Stato un inammissibile tentativo di integrazione postuma della motivazione del provvedimento impugnato, che non lo menzionava. Osserviamo peraltro, nel merito, che il principio di precauzione – uno strumento fondamentale per gestire i rischi in situazioni di non completa certezza scientifica – presuppone, per poter essere utilizzato nell’attività amministrativa, l’esistenza di un rischio “individuato” (così la Comunicazione della Commissione europea sul principio di precauzione COM(2000) 1final).

La decisione del Consiglio di Stato ha condannato la Regione a rifondere le spese anche del giudizio di appello. Nel complesso, pertanto, la sentenza commentata suggerisce alle pubbliche amministrazioni una linea di condotta che deve coniugare l’azione per la salvaguardia ambientale con la correttezza procedimentale, evitando comunque di adottare provvedimenti basati su aprioristica contrarietà ad un determinato tipo di impianto, piuttosto che su una istruttoria completa riguardante gli eventuali profili di rischio. È precisamente in questo modo, riteniamo, che si può proteggere l’ambiente nel modo migliore e più efficace, nel rispetto dei diritti e dei legittimi interessi di tutti.

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Per il testo della sentenza (estratto dal sito istituzionale della Giustizia Amministrativa) cliccare sul pdf allegato.

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