Superamento dei parametri tabellari in materia di inquinamento idrico: individuazione del punto di prelievo e metodologia di campionamento

01 Mar 2024 | giurisprudenza, penale, in evidenza 3

di Andrea Marcora

Corte di Cassazione, Sez. III – 11 ottobre 2023 (dep. 31 ottobre 2023), n. 43815Pres. Ramacci, Est. Galanti, ric. G.M.

Secondo una corretta interpretazione del quinto comma dell’art. 108, D.Lgs. n. 152 del 2006 al fine di accertare il reato di superamento dei parametri tabellari, il punto di campionamento del refluo industriale, va individuato nel punto di confluenza tra acque di processo ed acque di diluizione, sullo scarico proveniente dal ciclo lavorativo – industriale -, e non sullo scarico finale.

1 – La decisione in commento

Nella vicenda in esame all’imputato era contestata una ipotesi di violazione delle prescrizioni del titolo A.I.A., rilevante ex art. 29 quattuordecies, comma 3, lett. a) D.Lgs n. 152/2006, riferita al superamento dei limiti massimi tabellari riscontrati negli scarichi industriali del sito industriale di cui trattasi.

A fronte della condanna pronunciata dal Tribunale di Torino, l’imputato proponeva quindi ricorso per cassazione lamentando l’erronea valutazione operata dal Giudice di prime cure in merito alla disposizione sanzionatoria in contestazione.

Tale vizio veniva in concreto correlato al fatto che il prelevamento del campione non fosse stato effettuato “allo scarico”, ma direttamente “nelle vasche” e di tale circostanza il Tribunale non avrebbe tenuto debito conto.

Il ricorrente lamentava altresì, per quanto di interesse nella presente sede, la mancata applicazione della disciplina sui rifiuti, in luogo di quella sugli scarichi.

A fronte di tali doglianze, la Corte si esprimeva per la inammissibilità del ricorso per genericità dello stesso.

2 – Le questioni in esame

In merito alla prima delle due questioni rimesse alla valutazione della Corte, si desume che presso il sito di cui trattasi fosse presente un punto di scarico finale, da intendersi quale punto ultimo di fuoriuscita delle acque di scarico dal perimetro dello stabilimento; correlativamente, tale punto risultava essere quello di immissione nel corpo recettore esterno.

A monte di tale punto vi era invece una vasca di raccolta ove convergevano due differenti reti: l’una proveniente dal ciclo produttivo (definita in sentenza come “acque di lavorazione”), l’altra proveniente plausibilmente dalla raccolta delle acque meteoriche (definita in sentenza come “acque di diluizione”).

Il ricorrente lamentava in proposito come il prelievo del campione da sottoporre ad analisi di laboratorio sarebbe dovuto avvenire presso il punto di scarico finale in uscita dal sito, cioè in ingresso al corpo recettore.

Sul punto la Corte, respingendo la prospettazione difensiva, ha inteso confermare la sentenza impugnata che già aveva affermato che “secondo una corretta interpretazione del quinto comma dell’art. 108, d. lgs. n. 152 del 2006 al fine di accertare il reato di superamento dei parametri tabellari, il punto di campionamento del refluo industriale, va individuato nel punto di confluenza tra acque di processo ed acque di diluizione, sullo scarico proveniente dal ciclo lavorativo – industriale -, e non sullo scarico finale”.

La validità di tale conclusione viene confermata anche attraverso il richiamo alla “consolidata giurisprudenza della Corte[1], secondo la quale “questa è l’unica interpretazione che evita l’accertamento dopo la confluenza delle acque di processo produttivo con le acque di diluizione, con risultati non genuini: è, infatti, lo scarico proveniente dal ciclo produttivo che deve risultare nei limiti tabellari, non lo scarico finale – unito ad acque di diluizione”.

Ad ulteriore esplicitazione della posizione espressa, la Corte richiama quindi il fatto che “ciò che la norma intende evitare è proprio ciò che viene paventato a pagina 4 della sentenza [di primo grado], ossia che le concentrazioni delle sostanze inquinanti «avrebbero potuto essere diluite dalle piogge»”.

La Corte richiama inoltre il fatto che le previsioni attinenti la regolamentazione delle metodiche di campionamento, ivi compresa evidentemente la fase di individuazione del punto di prelievo valutato come significativo, siano da qualificarsi quali norme di “carattere procedimentale e non sostanziale”; le stesse rappresentano un “mero criterio tecnico ordinario” per la esecuzione del prelievo e non invece una norma integratrice della fattispecie penale.

Conseguentemente, come all’operatore in sede di esecuzione del campionamento e del prelievo è riconosciuto margine per giustificare le modalità in concreto adottate eventualmente anche discostandosi dalle previsioni generali, così anche il Giudice ha possibilità di valorizzare tali ragioni di fatto per attribuire o meno validità e rappresentatività alla singola operazione di campionamento ed al correlato prelievo.

Si consideri ad esempio, quale ipotesi più frequentemente verificabile, il caso di ricorso alla raccolta di campione istantaneo rispetto alla previsione generale di procedere alla raccolta di campione medio ai fini della rappresentatività di uno scarico: ove la modalità in concreto attuata (campione istantaneo) venga correlata a specifiche condizioni fattuali, la scelta così operata, seppure in difformità dalla prescrizione generale, risulta immune da vizi vuoi in sede amministrativa, vuoi anche in sede giudiziaria penale[2].

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Il ricorso proposto avverso la sentenza del Tribunale di Torino prospettava altresì l’erronea valutazione svolta dal Giudice di primo grado in merito alla natura del refluo sottoposto ad analisi, sostenendo che lo stesso avrebbe dovuto essere ricondotto alla disciplina dei rifiuti anziché a quella degli scarichi, in concreto applicata.

La Corte si è limitata sul punto a riproporre i plurimi e costanti precedenti che hanno caratterizzato la “pluridecennale” giurisprudenza di legittimità, che ha individuato “il criterio distintivo tra gli scarichi industriali, sottratti alla disciplina della Parte IV del T.U., ed i rifiuti, nella esistenza di uno «stabile collettamento» con il corpo recettore”.

Richiamando una pronuncia in particolare, la Corte ricorda che “costituisce scarico non autorizzato di acque reflue industriali qualsiasi immissione delle stesse, che deve tuttavia avvenire attraverso un sistema stabile di collettamento che colleghi senza soluzione di continuità il ciclo di produzione del refluo con il corpo ricettore acque superficiali[3].

Sempre nel solco dei precedenti uniformemente espressisi sul tema, la Corte ha quindi ritenuto di svolgere una ulteriore puntualizzazione in ordine alla prescritta condizione di stabilità del collettamento, richiesta per la configurazione di uno scarico, ricordando che “La stabilità del collettamento non va in ogni caso confusa con la presenza, continuativa nel tempo, dello stesso sistema di riversamento, in contrasto con la occasionalità del medesimo, bensì va identificata nella presenza di una struttura che assicuri il progressivo riversamento di reflui da un punto all’altro, cosicché, in altri termini, come già stabilito da questa Corte, la disciplina delle acque sarà applicabile in tutti quei casi nei quali si è in presenza di uno scarico, anche se soltanto periodico, discontinuo o occasionale, di acque reflue, in uno dei corpi recettori specificati dalla legge ed effettuato tramite condotta, tubazioni, o altro sistema stabile nei termini suddetti. In tutti gli altri casi, nei quali manchi il nesso funzionale e diretto delle acque reflue con il corpo recettore si applicherà, invece, la disciplina sui rifiuti[4].

Sulla base delle premesse come sopra riportate, la Corte richiamava quindi un più recente precedente, non massimato, con l’intendimento di concentrare l’attenzione dell’interprete, in ultima battuta, sul fatto oggetto di indagine, ricordando a tale proposito che “le modalità in concreto seguite per lo sversamento dei reflui segnano l’imprescindibile criterio per stabilire se vi sia stato scarico di reflui piuttosto che un abbandono o ancor più in generale uno smaltimento non autorizzato di rifiuti[5].

3 – Commento

La sentenza in esame si presenta in tutto e per tutto in linea con la costante interpretazione giurisprudenziale sviluppatasi rispetto alle tematiche che venivano sollevate in sede di ricorso: individuazione del punto di prelievo e criterio distintivo tra scarico e rifiuto liquido.

Dalle motivazioni esposte dalla Corte è però possibile trarre lo spunto per un commento vuoi rispetto alla premessa introduttiva generale dalla quale la sentenza muove il proprio sviluppo, vuoi rispetto alla significatività che la costante posizione giurisprudenziale può rivelare, non tanto e solo quale criterio orientativo della strategia processuale connessa ad una specifica contestazione, quanto ancor prima quale parametro di riferimento per l’iniziativa imprenditoriale sottoposta alla normativa di cui al D.Lgs n. 152/2006.

Nello sviluppo delle proprie motivazioni, la Corte svolge una premessa con la quale afferma che la ricostruzione della vicenda non sarebbe controversa, “essendo il superamento dei limiti tabellari di cui alla autorizzazione non contestato da ricorrente, mentre costituiscono oggetto di discussione la metodologia dell’accertamento e la natura stessa del refluo prelevato”.

Tale considerazione non appare in realtà del tutto condivisibile, poiché se è vero che il ricorrente non ha contestato di per sé la fase della analisi di laboratorio che ha condotto agli esiti indicati nel referto evidenziante i contestati superamenti, è pur vero che questo fosse propriamente il suo obiettivo, posto che le doglianze elevate muovevano nei confronti del presupposto stesso della fase analitica: la individuazione del punto di prelievo ore raccogliere il campione da sottoporre ad analisi di laboratorio (oltre che del contesto normativo cui ricondurre gli esiti di laboratorio).

Aspetto che, prescindendo dalla fondatezza della relativa prospettazione rispetto al caso in esame, mantiene in astratto una incidenza diretta sulla rilevanza degli esiti generatisi dall’accertamento. 

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Per altro verso, dalle considerazioni ribadite nella sentenza in commento in ordine alla individuazione del punto di campionamento presso il quale raccogliere il campione di acque di scarico da sottoporre ad analisi, pare possibile porre alla attenzione dell’interprete anche un ulteriore spunto di commento, di carattere più marcatamente operativo (e, per così dire, anticipatorio).

A vantaggio del “primo interprete” della normativa in materia, dunque del gestore di installazioni regolamentate da un titolo autorizzativo disciplinante anche gli aspetti ambientali della gestione, risulta una volta ancora confermata la effettiva opportunità che in sede di rilascio della autorizzazione all’esercizio dell’attività industriale venga esplicitato nel modo più chiaro possibile, anche attraverso un previo concerto con gli Enti competenti e le Autorità di Vigilanza e Controllo, il lay-out degli impianti, e conseguentemente vengano individuati e condivisi i punti di prelievo significativi ai fini del rispetto delle prescrizioni in tema di automonitoraggi.

L’obiettivo ultimo deve infatti essere quello di evitare duplicazioni di prelievi (cui potrebbero correlarsi duplicazioni di contestazioni in relazione agli esiti di laboratorio dei campioni così prelevati) o comunque condizioni di incertezza nella individuazione dei punti a tal fine rilevanti (condizione anch’essa che condurrebbe, ragionevolmente, ad una moltiplicazione dei campioni sottoposti ad accertamento di laboratorio, con ogni conseguenza del caso ove i relativi referti dovessero evidenziare superamenti dei limiti tabellari).

Trattasi dunque di uno spunto che rivela la massima efficacia ove venga tenuto in debito conto fin dalla fase di progettazione degli impianti e di definizione degli allegati tecnici alle istanze autorizzative, sui quali auspicabilmente svolgere – come detto – uno specifico confronto con gli Enti competenti e con le Autorità di Vigilanza e Controllo previamente rispetto al rilascio del titolo ed all’esercizio dello stesso.

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NOTE:

[1] Corte Cass. pen., Sez. III, n. 1296 del 10 marzo 2016; Corte Cass. pen., Sez. III, n. 24426 del 25 maggio 2011.

[2] Cfr. Corte Cass. pen., Sez. III, n. 36701 del 3 luglio 2019, e prima ancora Corte Cass. pen., Sez. III, n. 14425 del 24 marzo 2004, nonché Corte Cass. pen., Sez. III, n. 30135 del 5 aprile 2017, che si esprime come segue: “Si tratta di una motivazione conforme al consolidato indirizzo giurisprudenziale secondo cui la metodica normale, quale quella del campionamento medio nell’arco delle tre ore, non esclude che l’organo di controllo possa procedere ad un campionamento diverso, anche istantaneo, in considerazione delle caratteristiche del ciclo produttivo, del tipo di scarico (continuo, discontinuo, istantaneo), del tipo di accertamento, qualora ciò sia giustificato da particolari esigenze”.

[3] Corte Cass. pen., Sez. III, n. 24118 del 28 marzo 2017.

[4] Si veda, da ultimo, Corte Cass. pen., Sez. III, n. 11128 del 24 febbraio 2021, nonché in motivazione, Corte Cass. pen., Sez. III, n. 16623 del 8 aprile 2015.

[5] Corte Cass. pen., Sez. III, n. 5738 del 2 febbraio 2023.