Sul concetto di rifiuto e sulla sua indifferenza rispetto all’eventuale valore commerciale allo stesso attribuito

03 Nov 2022 | giurisprudenza, penale

di Enrico Fassi

Corte di Cassazione, Sez. III Penale – 17 maggio 2022 (dep. 5 luglio 2022), n. 25633 – Pres. Sarno, Est. Aceto – ric. N.M.

La qualifica di un materiale come rifiuto viene attribuita, in base ai criteri generali dettati dalla normativa nazionale e comunitaria vigente, a seconda delle caratteristiche merceologiche possedute dal bene considerato, da parte del soggetto produttore e che intende disfarsene, non invece dall’acquirente del rifiuto, oltre che a prescindere dalla eventuale e successiva valorizzazione economica che tale ultimo soggetto intende imprimere al rifiuto stesso.

L’eventuale valore commerciale di un materiale classificabile come rifiuto non può incidere sulla classificazione dello stesso come «sostanza od oggetto di cui il detentore si disfi o abbia l’intenzione o abbia l’obbligo di disfarsi»[i].

È questo l’approdo cui giunge la Cassazione nella decisione annotata, con la quale ha dichiarato inammissibile il ricorso presentato da un soggetto imputato nell’ambito di un procedimento pendente avanti la A.G. di Genova.

La contestazione ascritta al ricorrente risultava quella di cui agli artt. 81 cpv. e 483 c.p., art. 259, comma 1, D.Lgs. n. 152/2006, in relazione alla organizzazione di una spedizione transfrontaliera di materiali classificati come rifiuti speciali pericolosi e non pericolosi, in particolare un motociclo già avviato alla demolizione, tre motori usati e non bonificati nonché infine di dieci frigoriferi usati, accompagnata da documentazione doganale considerata falsa in quanto non conforme alle disposizioni specifiche previste dal D.Lgs. n. 49/2014, di attuazione della direttiva 2012/19/UE sui rifiuti di apparecchiature elettroniche (RAEE), oltre che recante indicazioni errate rispetto alla qualità e natura della merce inserita nella spedizione medesima (in quanto rappresentava beni aventi natura integralmente diversa rispetto a quelli che sarebbero stati oggetto della spedizione).

In seguito alla affermazione di responsabilità penale per i reati allo stesso ascritti, l’imputato ha presentato ricorso per Cassazione, fondato nella sostanza – e per quanto qui rilevante[ii] – sulla ritenuta erronea applicazione da parte dei giudici di merito degli artt. 183 e 259 D.Lgs. n. 152/2006, in quanto, essendo i beni oggetto della spedizione destinati alla rivendita (per come sostenuto dal ricorrente), gli stessi non avrebbero dovuto essere classificati come rifiuto.

Nulla quaestio sulla astratta configurazione, nel caso di specie, della fattispecie contravvenzionale di cui all’art. 259 D.Lgs. n. 152/2006, in considerazione delle caratteristiche riscontrate nella condotta contestata all’imputato, appunto di spedizione transfrontaliera di diversi quantitativi e tipologie di rifiuti[iii], perpetrabile attraverso la duplice (e alternativa) condotta di omessa esecuzione delle notifiche dovute alle autorità competenti, ovvero di esibizione di autorizzazioni ottenute per mezzo di documentazione falsa o incompleta, essendo tale illecito disposizione di chiusura del sistema sulla disciplina della gestione e del trasporto di rifiuti, comprendendo un ampio ventaglio di violazioni di obblighi di natura formale e considerati, sulla base di una presunzione assoluta di pericolo, reati di mera disobbedienza[iv].

Il reato risulta infatti incentrata sul concetto di spedizione, che deve essere considerato termine più esteso di quello di trasporto contenuto nell’art. 258 D.Lgs. n. 152/2006, traendo altresì conformazione definitoria dalle disposizioni dell’art. 2, nn. 34 e 35, Reg. CE 2006/1013, che lo identificano – genericamente – nel trasporto di rifiuti destinati al recupero o allo smaltimento previsto o effettuato: i) tra diversi Paesi; ii) tra un Paese e Paesi e territori d’oltremare; iii) tra un Paese ed un territorio che non faccia parte di alcun Paese in virtù del diritto internazionale; iv) tra un Paese e l’Antartico, v) da un Paese attraverso una delle zone sopracitate; vi) all’interno di un Paese attraverso una delle zone menzionate e che ha origine o fine nello stesso Paese; o infine vii) da una zona geografica non soggetta alla giurisdizione di alcun Paese, verso un altro Paese[v].

La contravvenzione, qualora perpetrata attraverso l’utilizzo di false dichiarazioni e frodi, si perfezionerebbe – proprio in quanto considerato un reato di pericolo – con l’accettazione della bolletta doganale da parte dell’autorità preposta e con il controllo eseguito dalla stessa, con la conseguenza che l’eventuale blocco della spedizione costituirebbe un post factum non punibile, irrilevante ai fini della compiuta integrazione dell’illecito di cui trattasi[vi].

Allo stesso modo, anche lo stesso deposito del materiale nel luogo nel quale la spedizione deve avere inizio è stata considerata condotta sufficiente ad integrare il reato, a fortiori se preceduto – come nel caso di specie – dalla presentazione delle merci alla Dogana per l’esportazione e la redazione della relativa dichiarazione doganale; ciò in quanto la giurisprudenza considera rientranti nel concetto di spedizione anche tutti gli adempimenti accessori che rendono giuridicamente e materialmente possibile il trasporto del bene[vii].

Ciò posto e come anticipato, il collegio perviene, con una motivazione sintetica ma puntuale, a dichiarare inammissibile il ricorso presentato dall’imputato, precisando una serie di concetti utili per confermare il quadro definitorio della locuzione rifiuto anche in rapporto alla sua spedizione verso un paese terzo.

Se da un lato, infatti, la Corte ha osservato come l’affermazione del ricorrente circa l’avvenuto acquisto dei beni spediti con successiva destinazione a rivendita fosse generica, in quanto non documentata nel giudizio di merito, dall’altro lato ha affermato essere priva di pregio l’ulteriore tesi per la quale la qualifica di rifiuto cesserebbe soltanto perché i materiali risultino destinati ad una successiva rivendita.

La suggestiva argomentazione dell’imputato viene infatti respinta osservando come al concetto di rifiuto venga attribuita la valenza sua propria, sulla base dell’art. 183, comma 1, lett. a), D.Lgs. n. 152/2006 e dal punto di vista del soggetto cedente il materiale, non invece da parte di chi tale materiale lo ha acquistato (anche ai fini di una successiva rivendita)[viii].

Per la Corte, dunque, la qualifica del bene come rifiuto preesisterebbe, sia per le caratteristiche oggettive possedute, sia per le espresse classificazioni e catalogazioni operate sulla base della normativa nazionale e comunitaria, alle successive – ed eventuali – vicende negoziali, condizionandone l’esecuzione ovvero finanche vietandone il commercio.

La natura di rifiuto, una volta acquisita in forza di elementi positivi (i.e. trattandosi di materiale del quale il detentore si disfi, abbia l’intenzione o l’obbligo di disfarsi, quale residuo di produzione cosiccome sulla base di determinate condizioni volta a volta previste dalla legge) e negativi (assenza dei requisiti previsti dalla legge per l’assunzione della qualifica di sottoprodotto, ai sensi dell’art. 184 bis D.Lgs. n. 152/2006 ovvero di c.d. end of waste, definito ai sensi del successivo art. 184 ter)[ix], non verrebbe meno in ragione di un mero accordo con terzi ostensibile all’autorità (oppure creato proprio a tal fine); e ciò, peraltro, a prescindere dal valore economico o commerciale di questo, specie nell’ottica di chi in tal modo ne entra in possesso a seguito di un accordo di natura privatistica.

Ragionando al contrario, nel senso paventato dal ricorrente, la sola circostanza che quel materiale possa essere commercializzato ed abbia un valore economico, ne escluderebbe la qualifica come rifiuto qualora l’acquirente possa trarne una qualche utilità anche a prescindere dalle operazioni di recupero e trattamento necessarie a pervenire alla cessazione dalla qualità di rifiuto stesso.

Nel caso di specie, come argomenta il Collegio, il fatto che i materiali spediti fossero da qualificare come rifiuti è apparso oggettivo sulla base delle seguenti argomentazioni:

  1. i) dalla oggettiva destinazione del motociclo alla rottamazione o demolizione, in quanto cancellato in un pregresso momento dalla circolazione mediante espunzione dall’ACI;
  2. ii) dalla circostanza che i motori usati e non bonificati, in quanto parti di veicoli fuori uso, fossero necessariamente da classificare quali rifiuti ai sensi degli artt. 184, comma 3, lett. i) e 227, lett. c), nonché dell’All. D alla Parte quarta del D.Lgs. n. 152/2006, oltre che dell’art. 3, I, lett. b), II, d.lgs. n. 209/2003, con attribuzione del relativo codice CER 16.01.04;

iii) infine, per quanto riguarda i frigoriferi usati, dalla parimenti imposta classificazione secondo la c.d. normativa RAEE di cui alla direttiva n. 2012/19/UE come integrata dall’art. 227, lett. a) d.lgs. n. 152/2006 e dall’art. 4, I, lett. e), d.lgs. n. 49/2014, che ne dispone i limiti e condizioni per la loro spedizione.

Proprio con riferimento a tale ultimo profilo, la Corte aggiunge, a chiusura del percorso argomentativo tracciato, come anche seguendo la tesi per la quale i beni poc’anzi cennati fossero da classificare come elettrodomestici usati e non rifiuti, la relativa spedizione sarebbe stata condizionata agli adempimenti previsti dall’Allegato VI del D.Lgs. n. 49/2014[x] e che in ogni caso i c.d. RAEE potrebbero essere oggetto di spedizione all’estero soltanto per l’esecuzione di una successiva operazione di trattamento e non invece per la loro commercializzazione, come previsto dall’art. 21 del decreto legislativo menzionato, che a sua volta rimanda alle disposizioni dei Regolamenti CE nn. 1013/2006 del Parlamento europeo (concernente le spedizioni di rifiuti) e 1418/2007 della Commissione (riguardante l’esportazione all’estero di alcune tipologie di rifiuti destinate al recupero), essendone viceversa vietata la esportazione – per un successivo smaltimento – verso paesi non appartenenti all’Unione Europea o verso paesi EFTA non aderenti alla Convenzione di Basilea[xi], nonché non rientranti nella previsione dell’art. 37 Reg. CE 1013/2006 come il Senegal, luogo di destinazione del carico contestato dall’Ufficio procedente.

SCARICA L’ARTICOLO IN PDF

RGA Online – Fassi 14.10.2022 (rev.)

Per il testo della sentenza cliccare sul pdf allegato.

Cass. 25633-22

NOTE

[i] Come dispone l’art. 183, comma 1, lett. a), D.Lgs. n. 152/2006, dedicato alle definizioni delle locuzioni contenute nel Titolo I della Parte quarta del c.d. Testo Unico dell’Ambiente.

[ii] Il secondo motivo di ricorso, incentrato sulla violazione di legge estrinsecatasi nella erronea applicazione dell’art. 483 c.p. al caso di specie è infatti stato recisamente rigettato dalla Corte, che ha osservato come ai fini della integrazione del delitto sia sufficiente che il documento falso sia consapevolmente esibito al pubblico ufficiale, che sulla base di esso redige l’atto pubblico, senza che debba necessariamente essere manoscritto dal soggetto agente. Si veda sul punto Corte Cass., V, 31 maggio 2012, n. 33218. Conseguentemente, in caso di spedizioni transfrontaliere, è stato ritenuto come per l’integrazione della fattispecie debba considerarsi sufficiente la presentazione della dichiarazione mendace ai fini del rilascio della bolletta doganale di cui all’art. 8 D.Lgs. n. 374/1990, nella consapevolezza della non rispondenza al vero delle informazioni in essa contenute.

[iii] La nozione di “spedizione illegale” di rifiuti, per il vero, risulta introdotta nell’ordinamento dal Regolamento CE n. 1013/2016, mentre viceversa la disposizione di cui all’art. 259 D.Lgs. n. 152/2006 è rimasta rubricata – come inizialmente previsto dal Regolamento CEE n. 259/1993 – quale “traffico illecito di rifiuti”. Anche la necessaria sostituzione all’interno della rubrica della contravvenzione in esame del riferimento tra il Reg. CEE n. 259/1993, abrogato, e il Reg. CE n. 1013/2006, è stato inteso come espressione di una continuità normativa. FICCO, FIMIANI, Trasporti transfrontalieri: il principio di continuità normativa salva le sanzioni del “Testo unico ambientale”, in Rifiuti, 2007, XI, n. 145, p.8.

[iv] Ex multis, CRUPI, Il traffico illecito di rifiuti, in Il nuovo diritto penale dell’ambiente, CORNACCHIA-PISANI (a cura di), Bologna, 2018, pp. 607 e ss; per talune considerazioni critiche rispetto alla impostazione strutturale della fattispecie contravvenzionale, PAONE, Rifiuti e economia circolare, II. Profili penali, in Codice dell’Ambiente, NESPOR-RAMACCI (a cura di), Milano, 2022, pp. 2674 e ss.

[v] SANTOLOCI, Acque ed altri inquinamenti, Roma, 2005, pp. 501 e ss.

[vi] Sul punto, Corte Cass., sez. III, 5 marzo 2015, n. 40753.

[vii] Alla luce delle modalità esecutive che il legislatore ha previsto nel caso di sequestro di rifiuti presso le aree portuali e aeroportuali ai sensi dell’art. 259 D.Lgs. n. 152/2006. Così, Corte Cass., sez. III, 7 maggio 2014, n. 37847, in Ambiente & Sviluppo, 2015, p. 50.

[viii] Il rifiuto, del resto, viene definito e classificato dal produttore dello stesso, e dal cui esito discendono specifiche e particolari modalità di gestione che comportano il trattamento ovvero lo smaltimento in determinati impianti piuttosto che in altri, con correlati differenti costi a seconda della destinazione loro impartita. BOVINO, Rifiuti e imballaggi, in Manuale ambiente, Milano, 2016, pp. 479 e ss.

[ix] Come definiti sulla base delle indicazioni della direttiva CE n. 2008/98, che ha delineato la c.d. gerarchia dei rifiuti e la priorità delle azioni da operare sui materiali di scarto, privilegiando in primo luogo la prevenzione (appunto mediante la categoria del c.d. sottoprodotto, che soddisfi i requisiti indicati nell’art. 184 bis) e successivamente il riutilizzo (attraverso operazioni di recupero che consentono di re-immettere il materiale, definito end of waste, nel ciclo economico, come disposto dall’art. 184 ter).

[x] Che elenca ed indica i requisiti minimi documentali che il detentore deve garantire per la regolarità delle spedizioni di materiali ed apparecchiature classificabili come RAEE.

[xi] Trattasi della Convenzione sottoscritta il giorno 22 marzo 1989, recepita dalla decisione n. 93/98/CEE della Comunità Europea, diretta al controllo dei movimenti transfrontalieri di rifiuti pericolosi e del loro smaltimento, che ha richiesto ai paesi aderenti di garantire la gestione e lo smaltimento dei rifiuti con modalità il meno possibile incidenti sull’ambiente, impegnandosi programmaticamente – con previsioni fatte proprie dalla comunità europea – sia a ridurre al minimo le quantità trasportate, sia a trattare e smaltire i rifiuti il più vicino possibile al luogo ove gli stessi sono stati prodotti, sia infine a prevenire o ridurre al minimo la generazione dei rifiuti alla fonte.

Scritto da