Sottoprodotti: è necessario l’utilizzo “senza soluzione di continuità”

16 Dic 2019 | giurisprudenza, amministrativo, in evidenza 4

di Emanuele Pomini 

T.A.R. UMBRIA, Sez. I – 2 settembre 2019, n. 484 – Pres. Potenza, Rel. Amovilli – A.A.C.G. & C. S.s. (avv.ti David Zaganelli e Alessandro Formica) c. Agenzia Reginale per la Protezione Ambientale – Arpa Umbria (avv. Paolo Sportoletti), Comune di Marsciano (n.c.) e Regione Umbria (avv. Luciano Ricci) 

Affinché sia integrata la condizione prevista dall’art. 184-bis, comma 1, lett. b), del D.Lgs. 152/2006 occorre che non vi sia soluzione di continuità tra il processo di produzione del materiale (nella specie, effluente da allevamento) e la sua diretta destinazione alla fertirrigazione o il suo conferimento all’impianto di biogas; se tale cesura si verifica, perché il materiale viene stoccato in un sito privo di autorizzazione a tal fine e dunque “abbandonato”, esso deve necessariamente considerarsi rifiuto e non è più suscettibile di perdere tale qualifica.

Nella decisione in commento il T.A.R. Umbria affronta il tema dei sottoprodotti sotto lo specifico aspetto della “certezza” dell’utilizzo, ossia una delle condizioni la cui ricorrenza è richiesta dall’art. 184-bis del D.Lgs. 152/2006 per non incorrere nella qualificazione come rifiuto di una sostanza o di un oggetto originato da un processo di produzione il cui scopo non è la produzione di tale sostanza od oggetto.

La questione sollevata innanzi ai giudici amministrativi riguarda la gestione degli effluenti da allevamento, ma i principi enunciati dal T.A.R. Umbria possono trovare applicazione anche in altri contesti sempre caratterizzati dal compimento di operazioni di gestione analoghe su sostanze o oggetti originati da processi produttivi differenti.

La fattispecie riguarda un’azienda che svolge attività di allevamento soggetta ad autorizzazione integrata ambientale e che, in considerazione della situazione di urgenza creatasi a seguito dell’esaurimento della capacità degli invasi autorizzati a causa delle abbondanti precipitazioni piovose, aveva provveduto a stoccare gli effluenti in eccesso in altro luogo (laguna), posto a una distanza di circa 30 km e sempre di propria titolarità, in attesa di loro conferimento presso un impianto autorizzato alla produzione di biogas di titolarità di un terzo soggetto. La Regione Umbria, informata dalla ricorrente delle proprie intenzioni, avallava la proposta di procedere al conferimento dei liquami stoccati nella laguna presso l’impianto per la produzione di biogas. Sennonché, a seguito di accertamenti compiuti dall’Arpa, il Sindaco adottava un’ordinanza ai sensi dell’art. 50 del TUEL, ordinando alla ditta di sospendere immediatamente l’attività di trasferimento degli effluenti, in quanto classificati come rifiuti e, come tali, da conferire presso impianti autorizzati allo smaltimento/recupero tramite soggetto autorizzato.

La ricorrente impugnava quindi la predetta ordinanza, nonché una successiva nota adesiva di Arpa con motivi aggiunti, lamentando l’erronea applicazione dell’art. 184-bis, comma 1, del D.Lgs. 152/2006, dal momento che gli effluenti in questione non sarebbero qualificabili come rifiuti, bensì come sottoprodotti, essendo assimilabili ai liquami prodotti dagli allevamenti zootecnici destinati a fertirrigazione o recupero presso impianti di cogenerazione di biogas, con conseguente venir meno dell’antigiuridicità della condotta. Si costituiva Arpa eccependo che, nel momento in cui gli effluenti, anziché essere direttamente conferiti all’impianto autorizzato, erano stati stoccati presso un sito non autorizzato, essi erano diventati a tutti gli effetti dei rifiuti, occorrendo per il sottoprodotto che non vi sia una soluzione di continuità tra il momento della produzione e quello del successivo riutilizzo.

In tale contesto è chiaro, come rilevato dai giudici amministrativi, che la questione principale è costituita dall’accertamento della natura o meno di rifiuti degli effluenti prodotti dalla ricorrente alla luce dell’interpretazione data alla condizione di cui alla lett. b) dell’art. 184-bis, comma 1, del D.Lgs. 152/2006 che richiede che “è certo che la sostanza o l’oggetto sarà utilizzato, nel corso dello stesso o di un successivo processo di produzione o di utilizzazione, da parte del produttore o di terzi”.

Il T.A.R. Umbria, aderendo alle argomentazioni prospettate da Arpa, ha affermato che, affinché sia integrata la condizione della certezza del riutilizzo della sostanza o dell’oggetto, non può esserci soluzione di continuità tra il processo di produzione del materiale e la sua diretta destinazione alla fertirrigazione o il suo conferimento a un impianto autorizzato alla produzione di biogas e che ciò non si verifica nel momento in cui il materiale in questione viene stoccato in un sito privo di autorizzazione a tal fine, dovendosi per ciò solo essere considerato oggetto di “abbandono” rilevante ai fini della sua qualificazione come rifiuto. In definitiva, secondo i giudici amministrativi, è decisivo il rilievo secondo cui tra il ciclo di produzione del materiale e il conferimento per il suo successivo utilizzo vi sia o meno una fase intermedia di deposito non autorizzato.

Quanto affermato nella decisione in commento appare certo condivisibile con riferimento al principio comunitario di precauzione. La “certezza” dell’utilizzo, ossia la necessità di dimostrare a priori l’impiego del sottoprodotto, è senz’altro un elemento fondamentale nel contesto della definizione normativa di sottoprodotto e, come tale, da valorizzare quanto più possibile, consentendo di smascherare tutta una seria di situazioni in cui l’applicazione dell’art. 184-bis viene illegittimamente invocata per coprire condotte illecite relative alla gestione, spesso anche improvvisata, di sostanze e materiali in assenza delle necessarie garanzie imposte dalla normativa in tema di gestione dei rifiuti.

Nonostante questo, occorre altresì considerare che un’interpretazione troppo rigorosa del dettato normativo in esame, volta cioè a negare tout court la possibilità di un deposito intermedio per i sottoprodotti, rischierebbe di ingessare eccessivamente l’applicabilità della definizione di sottoprodotto in tutte quelle circostanze in cui sia ragionevole e/o tecnicamente giustificabile dover far ricorso a un deposito dei residui di produzione in un’area intermedia rispetto a quelle della loro produzione e del loro successivo utilizzo e il produttore sia in grado di dimostrare che ciò avviene per un tempo limitato e senza pregiudizio per l’ambiente.

A tale proposito, pare utile richiamare le pertinenti disposizioni del D.M. 264/2016 (regolamento recante criteri indicativi per agevolare la dimostrazione della sussistenza dei requisiti per la qualifica dei residui di produzione come sottoprodotti e non come rifiuti), il cui art. 5 prevede che “fino al momento dell’impiego del sottoprodotto, il deposito ed il trasporto sono effettuati nel rispetto di quanto previsto dall’articolo 8. Resta ferma l’applicazione della disciplina in materia di rifiuti, qualora, in considerazione delle modalità di deposito o di gestione dei materiali o delle sostanze, siano accertati l’intenzione, l’atto o il fatto di disfarsi degli stessi”.

Una situazione di deposito intermedio legittimo potrebbe quindi verificarsi qualora tale deposito venga effettuato nel pieno rispetto delle garanzie e delle modalità del deposito e della movimentazione dei sottoprodotti contenute nel citato decreto ministeriale, il cui articolo 8 prevede, al comma 1, che “al fine di assicurare la certezza dell’utilizzo ai sensi dell’articolo 5, il sottoprodotto, fino a che non sia effettivamente utilizzato, è depositato e movimentato nel rispetto delle specifiche norme tecniche, se disponibili, e delle regole di buona pratica, evitando spandimenti accidentali e la contaminazione delle matrici ambientali e in modo da prevenire e minimizzare la formazione di emissioni diffuse e la diffusione di odori”i; nonché, al comma 2, che “nelle fasi di deposito e trasporto del sottoprodotto sono garantite, tra l’altro, “(…) la congruità delle tempistiche e delle modalità di gestione, considerate le peculiarità e le caratteristiche del sottoprodotto, nel rispetto di quanto indicato nella scheda tecnica di cui all’allegato 2”. Del resto, tra le informazioni indicate nel citato allegato 2 al decreto che la scheda tecnica deve contenere figura anche l’“indicazione del luogo e delle caratteristiche del deposito e di eventuali depositi intermedi”; inoltre, non trattandosi di un rifiuto, non è necessario che il deposito della sostanza o del materiale in questione avvenga nel luogo della sua produzione, come invece richiesto dalla normativa per il deposito temporaneo dei rifiuti (cfr. l’art. 183, comma 1, lett. bb).

Occorre infine dare conto, per completezza di analisi, di come il T.A.R. Umbria abbia rigettato il ricorso anche sotto ulteriori profili, più squisitamente formali, di pretesa illegittimità dell’ordinanza fatti valere dal ricorrente.

Innanzitutto, ricordano i giudici amministrativi, sia l’art. 50 del TUEL che l’art. 192 del D.Lgs. 152/2006 attribuiscono espressamente al Sindaco la competenza a emanare ordinanze in materia di rimozione dei rifiuti, essendo pertanto irrilevante, sotto tale profilo, la diversa competenza della Regione in materia di autorizzazione integrata ambientale cui l’impianto in questione è soggetto e fatta valere dal ricorrente a motivo di illegittimità del provvedimento impugnatoii.

In secondo luogo, parimenti irrilevante è la circostanza che l’ordinanza del Sindaco si sia limitata a richiamare i contenuti dell’accertamento compiuto da Arpa, essendo tale motivazione per relationem idonea a soddisfare l’obbligo motivazionale di cui all’art. 3 della L. 241/1990 “non dovendo l’amministrazione allegare materialmente gli atti richiamati ma soltanto indicarne gli estremi e metterli a disposizione su richiesta dell’interessato” iii.

Da ultimo, quanto ai presupposti tipici della contingibilità e dell’urgenza richiesti per l’esercizio del potere straordinario di cui ai richiamati artt. 50 e 192, “non è necessario (…) il verificarsi di una situazione di concreto danno per l’ambiente e la salute pubblica, essendo sufficiente che sussista una situazione di pericolo non fronteggiabile adeguatamente e tempestivamente con misure ordinarie” v.

Per il testo della sentenza (estratto dal sito istituzionale della Giustizia Amministrativa) cliccare sul pdf allegato.

Pomini_TAR Umbria_484_2019

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Pomini_484_2019

i Nel caso degli effluenti da allevamento viene in rilievo, in particolare, quanto previsto dal D.M. 25.2.2016 sui criteri e le norme tecniche generali per l’utilizzazione agronomica degli effluenti da allevamento, i cui artt. 3, comma 1, lett. j), e 12 si occupano della disciplina del loro stoccaggio.

ii Cfr., in senso conforme, T.A.R. Lombardia, Brescia, Sez. I, 7 gennaio 2019, n. 18.

iii Cfr., ex multis, Cons. Stato, Sez. IV, 6 marzo 2019, n. 1543.

iv Cfr., nello stesso senso, Cons. Stato, Sez. V, 2 dicembre 2002, n. 6624.

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