Serre bioclimatiche e accertamento di compatibilità paesaggistica postumo

01 Lug 2023 | giurisprudenza, amministrativo, in evidenza 3

di Ada Lucia De Cesaris e Francesco Naccari Milana

Consiglio di Stato, Sez. I, parere, 19 dicembre 2022 Spedizione, n. 1993 – Pres. Chieppa, Est. Puliatti – M.G.L. (avv. n.d.) c. Comune di Pavia (avv. n.d.), Soprintendenza Archeologica Belle Arti e Paesaggio per le Province di Como, Lecco, Monza e Brianza, Pavia, Sondrio e Varese (avv. n.d.).

[esprime parere su ricorso straordinario al Presidente della Repubblica – Affare n. 121/2022 istruito dal Ministero della Cultura]

Le serre bioclimatiche, ove considerate “volumi tecnici” dalla normativa – anche regionale – applicabile, sono ammesse alla valutazione di compatibilità paesaggistica postuma, dovendosi alle stesse applicare la nozione specialistica di volume tecnico di carattere urbanistico-edilizio.

È illegittimo il diniego della c.d. sanatoria paesaggistica nel caso in cui l’autorità preposta alla tutela del vincolo abbia omesso di considerare l’effettivo contesto in cui il manufatto oggetto della sanatoria si inserisce e che rappresenta il linguaggio architettonico cui fare riferimento. La valutazione di compatibilità paesaggistica di una serra bioclimatica deve concentrarsi su elementi della progettazione diversi da quelli attinenti alle componenti materiche principali e funzionalmente essenziali alla realizzazione dello scopo della serra bioclimatica, ovvero conseguire un risparmio energetico.

Al ricorrere dei presupposti, l’autorizzazione paesaggistica postuma, c.d. sanatoria paesaggistica, può essere rilasciata anche con prescrizioni ex art. 17 del D.P.R. 13 febbraio 2017, n. 31, volte ad adeguare le scelte progettuali alle esigenze del contesto paesaggistico tutelato.

  1. Le posizioni delle parti.

Con la pronuncia in commento il Consiglio di Stato ha espresso parere favorevole all’accoglimento del ricorso straordinario con cui la ricorrente ha impugnato il provvedimento del Comune di Pavia di diniego per “improcedibilità dell’istanza” volta all’accertamento postumo di compatibilità paesaggistica, ai sensi degli artt. 167 e 181 del D.Lgs. 22 gennaio 2004, n. 42, di una struttura adibita a “serra bioclimatica”, realizzata sulla copertura dell’immobile di proprietà con accesso a porzione di sottotetto e dotata di pareti e copertura vetrata con prestazioni di tipo termico.

Ad essere impugnati sono stati anche gli atti presupposti al predetto diniego, adottati dalla Soprintendenza competente in considerazione del fatto che l’immobile, ricadente nel centro storico della Città, è ricompreso tra i beni paesaggistici ai sensi dell’art. 136 del D.Lgs. n. 42/2004.

Sostanzialmente due sono state le motivazioni espresse dalla Soprintendenza e pedissequamente riportate dal Comune nel provvedimento di diniego: i. da un lato, che l’opera avrebbe comportato la realizzazione di volume, integrandosi una delle ipotesi per cui è vietata la verifica di compatibilità paesaggistica postuma ai sensi dall’art. 146, comma 4, del D. Lgs. n. 42/2004, per i casi che non rientrano tra quelli elencati dall’art. 167, comma 4, dello stesso decreto[i]; ii. dall’altro lato, che la serra avrebbe comunque alterato in maniera significativa i caratteri propri del tessuto edilizio e sarebbe risultata dissonante ed estranea al contesto paesaggistico edificato sotto molteplici aspetti: per forma, materiale, linguaggio costruttivo, tipologico e simbolico.

La ricorrente ha contestato le motivazioni alla base del diniego assumendo che: i. ai sensi della disciplina urbanistico-edilizia regionale e comunale, ritenute – in tesi – applicabili anche in sede di valutazione di compatibilità paesaggistica, la serra bioclimatica costituisce un volume tecnico e, in quanto tale, non è valutabile ai fini volumetrici. Di talché, a mente dell’art. 17 D.P.R. 13 febbraio 2017, n. 31, la serra bioclimatica può accedere al procedimento di sanatoria paesaggistica, nell’ambito del quale la rimessione in pristino può essere ordinata solo quando non sia in alcun modo possibile dettare prescrizioni che consentano la compatibilità paesaggistica dell’intervento e delle opere; ii. la documentazione fotografica prodotta in giudizio dalla ricorrente mostra la presenza eterogenea di vari manufatti, estranei al contesto paesaggistico tradizionale del centro storico della Città, con la conseguenza che la serra appare compatibile con il contesto “storico” attuale.

Occorre precisare che il Ministero della Cultura – che aveva istruito l’affare acquisendo deduzioni, controdeduzioni e documenti delle parti – aveva concluso per il rigetto del ricorso, condividendo le tesi espresse dal Comune e dalla Soprintendenza.

  1. La posizione del Consiglio di Stato sul concetto di volume rilevante a fini di tutela paesaggistica.

Il Consiglio di Stato, chiamato a rendere il suo parere in merito al ricorso straordinario, ha innanzitutto osservato “che, effettivamente, nell’interpretazione dell’art. 167, comma 4, lett. a) D.lgs. 42/2004, per quanto concerne il concetto di “volume rilevante a fini di tutela paesaggistica”, la giurisprudenza è divisa”. La soluzione alla querelle interpretativa, tuttavia, è stata ritenuta centrale per definire se la serra bioclimatica in questione (che per la legge regionale lombarda 21 dicembre 2004, n. 39 considera volume tecnico[ii]) costituisse “volume” rilevante ai fini paesaggistici, atteso che il giudizio di compatibilità paesaggistica ex post delle opere realizzate in assenza o in difformità dall’autorizzazione paesaggistica è attivabile nel solo caso in cui esse non costituiscano volume rilevante ai fini paesaggistici[iii].

Il Collegio ripercorre così, nel parere in esame, i due orientamenti giurisprudenziali.

Da un lato, si dà atto di un “indirizzo più rigoroso”[iv], che ingloba nel concetto di volumetria rilevante ai fini paesaggistici ogni tipo di volume perché la natura del volume stesso non rileverebbe nel giudizio di compatibilità paesaggistica postuma delle opere, che prescinderebbe dalla percezione visiva dei volumi e dalla loro destinazione d’uso. Il Legislatore avrebbe infatti inteso presidiare la tutela del paesaggio, “escludendo in radice la sanabilità di opere realizzate in assenza di una preventiva valutazione dell’Autorità preposta alla tutela”, non venendo in rilievo le qualificazioni giuridiche rilevanti sotto il profilo urbanistico ed edilizio.

Fa da contraltare a tale indirizzo un secondo orientamento giurisprudenziale[v], a cui aderisce il Consiglio di Stato nel parere in commento, secondo cui, non essendo rinvenibile nel Codice dei beni culturali e del paesaggio una definizione di volumetria e di superficie utile, non può che farsi appello al significato tecnico e specialistico di tali concetti, così come declinato dalla normativa urbanistico-edilizia[vi]. Diversamente opinando, evidenzia il Collegio, si giungerebbe a “un’astratta preclusione all’accertamento di compatibilità paesaggistica postumo”, laddove, per contro, “il divieto di autorizzazione paesaggistica postuma previsto dall’art. 146, comma 4, del D. Lgs. n. 42/2004 per i casi che non rientrano tra quelli elencati dall’art. 167, comma 4, dello stesso D. lgs., non può essere interpretato in senso estensivo, perché appunto costituisce un limite rispetto al principio generale in passato affermato dalla giurisprudenza, secondo cui la valutazione di impatto paesaggistico non muta in relazione al fatto che l’opera sia stata realizzata o meno”[vii], giacché ad avere unica rilevanza è l’effettiva incidenza dell’opera sui valori paesaggistici tutelati.

Il Consiglio di Stato ha rammentato quindi la differenza tecnica tra volume degli edifici e volume tecnico, chiarendo che tra questi ultimi – al pari della serra bioclimatica – rientrano le opere edilizie a servizio dell’edificio, prive di autonomia funzionale, perché destinate a contenere impianti necessari per l’utilizzo dell’abilitazione, necessariamente posti all’esterno della stessa, così come, ad esempio, la condotta idrica, la condotta termica o l’ascensore. Tali impianti non assumono il “carattere di vani chiusi utilizzabili a fini abitativi”, ma costituiscono interventi di trasformazioni non in grado di generare aumento di carico territoriale o di impatto visivo[viii], anche tenuto conto della loro contenuta consistenza volumetrica.

Il principio sopra enunciato può conseguentemente estendersi a tutti i volumi tecnici, forte anche il rilievo che nel Codice dei beni culturali e del paesaggio sono altresì presenti disposizioni che, ancorché non richiamino letteralmente il D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, utilizzano le categorie di intervento espressamente previste dalla normativa edilizia[ix].

La serra bioclimatica di proprietà della ricorrente, sulla scorta di tali premesse e considerata anche la definizione data alle stesse dalla L.R. Lombardia 21 dicembre 2004, n. 39, è stata quindi ritenuta dal Consiglio di Stato un volume tecnico ai sensi della normativa urbanistico-edilizia alla stessa applicabile[x], e, in quanto tale, da doversi ammettere alla valutazione di compatibilità paesaggistica ex post poiché non costituente volume secondo la disciplina delle costruzioni, idonea ad integrare le disposizioni del Codice dei beni culturali e del paesaggio, altrimenti prive di parametro applicativo certo.

  1. La posizione del Consiglio di Stato sulla valutazione compatibilità paesaggistica ex post della serra bioclimatica.

Nonostante l’accoglimento della prima censura, sufficiente per la caducazione dei provvedimenti gravati, il Consiglio di Stato ha voluto esaminare l’ulteriore motivazione fornita dalla Soprintendenza, in merito all’asserita estraneità e distonia della serra bioclimatica rispetto al contesto paesaggistico edificato ed ai caratteri propri del tessuto edilizio della Città.

La motivazione è stata ritenuta manifestamente illogica e contraddittoria.

In proposito, il Collegio non ha potuto che rilevare come la valutazione di compatibilità paesaggistica non possa arroccarsi sui requisiti tecnico-funzionali per la realizzazione delle serre bioclimatiche e, tantomeno, sulle “componenti materiche principali e funzionalmente essenziali alla realizzazione dello scopo della serra bioclimatica, ovvero conseguire un risparmio energetico”[xi]. Peraltro, nel caso in esame, lo stesso strumento urbanistico comunale ammetteva la realizzazione delle serre bioclimatiche nel “Tessuto di impianto storico”[xii], così come rilevato anche dalla Commissione del Paesaggio. In questo contesto, dunque, la valutazione della Soprintendenza avrebbe dovuto “concentrarsi su diversi elementi di incompatibilità della progettazione”.

Il Consiglio di Stato ha poi velatamente espresso un principio, anche di buon senso, inerente all’attualità della valutazione. E infatti, rilevato che la produzione documentale della ricorrente fosse sufficiente a provare che il “contesto urbano tradizionale” della Città di Pavia non è più integro e uniforme nei suoi caratteri storici, così come affermava la Soprintendenza, il Collegio ha ritenuto che la serra bioclimatica fosse compatibile con contesto paesaggistico esistente, connotato dalla “presenza eterogenea di antenne telefoniche, verande, lucernai e finestre velux raso falda, terrazzi a pozzo con installazione di volumi tecnici e strutture di vetro e materiale plastico tipo serra, finanche una copertura metallica, nelle immediate vicinanze dell’immobile”.

Da ultimo, con un definitivo colpo di coda, il Collegio ha riconosciuto anche la possibilità (non ammessa dalla giurisprudenza in sede di sanatoria edilizia[xiii]) di formulare un giudizio di compatibilità paesaggistica con prescrizioni volte a rendere l’opera compatibile con il paesaggio tutelato; in tal senso, “il manufatto avrebbe potuto, tutt’al più, costituire oggetto di prescrizioni, ex art. 17 del D.P.R. 31/2017, volte ad adeguare le scelte progettuali alle esigenze di tutela del paesaggio, ad es. per renderlo meno visibile dalla strada pubblica (il vicolo Senatore), o dall’alto, e meno “distonico” rispetto al contesto”. Il decreto in parola, infatti, disciplina le ipotesi di autorizzazione paesaggistica semplificata e gli interventi liberalizzati e prevede, all’art. 17, che, nell’ipotesi di modesti interventi soggetti al procedimento autorizzatorio semplificato è applicabile l’art. 167, D.Lgs. 42/2004, con l’ulteriore necessità in sede di verifica della compatibilità di evitare la rimessione in pristino se non quando “non sia in alcun modo possibile dettare prescrizioni che consentano la compatibilità paesaggistica dell’intervento e delle opere”.

  1. Conclusioni e spunti di riflessione.

Le motivazioni alla base del parere del Consiglio di Stato, favorevole all’accoglimento del ricorso straordinario, declinano le modalità applicative di importanti principi in materia di tutela paesaggistica a manufatti di recente regolazione, quali sono le serre bioclimatiche.

Tuttavia, la presenza degli evidenziati indirizzi giurisprudenziali contrastanti rende auspicabile un intervento dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, che possa fornire i canoni di certezza (applicativa) dell’istituto della verifica di compatibilità paesaggistica ex post, a vantaggio sia delle amministrazioni preposte alla tutela dei vincoli, sia della comunità amministrata.

Merita poi notare che il parere in commento ammette, anche in forza di legge, il rilascio della c.d. sanatoria paesaggistica con prescrizioni, mentre ciò, come si è detto, è tradizionalmente escluso dalla giurisprudenza nel caso in materia edilizia.

Inoltre, dalla vicenda contenziosa analizzata appare che alla base della valutazione di ammissibilità della valutazione di compatibilità paesaggistica (a prescindere che sia essa ex ante o ex post) delle serre bioclimatiche aleggi il timore che la loro installazione possa cambiare – e, ad avviso di taluni, forse deturparsi – la tradizione architettonica delle città italiane, in cui si inserirebbero così elementi “di distonia”.

Ad avviso di chi scrive, l’esito della sentenza, oltre a consentirci di riflettere sui principi della materia, la loro evoluzione giurisprudenziale e applicazione a nuove fattispecie, fa anche da monito sulla tutela del paesaggio, per quelle situazioni ove risulta profondamente modificato il tradizionale contesto paesaggistico delle città, disvelandosi illogico – specialmente in questo momento storico particolarmente sensibile al tema – opporsi alla realizzazione di manufatti che consentono di conseguire un valido risparmio energetico. Al fine di garantire la tutela opportuna al paesaggio delle città italiane non si può prescindere da una regolamentazione dei requisiti tecnico-strutturali delle serre bioclimatiche, alla ricerca di un equilibrio che garantisca la loro funzionalità in armonia con il paesaggio.

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RGA Online_Luglio 2023_ CdS_par_ 1993_2022

Per il testo della sentenza (estratto dal sito istituzionale della Giustizia Amministrativa) cliccare sul pdf allegato.

CdS_par_ 1993_2022

NOTE:

[i] In particolare, per quanto qui rileva, uno dei requisiti per l’accertamento di compatibilità paesaggistica, è quello di cui alla lett. a) del comma 4 dell’art. 167 D.Lgs. n. 42/2004, ovverosia che i lavori, realizzati in assenza o difformità dall’autorizzazione paesaggistica, “non abbiano determinato creazione di superfici utili o volumi ovvero aumento di quelli legittimamente realizzati”.

[ii] Ai sensi dell’art. 4, c. 4, della Legge Regionale Lombardia 21 dicembre 2004, n. 39, “Le serre bioclimatiche e le logge addossate o integrate all’edificio, opportunamente chiuse e trasformate per essere utilizzate come serre per lo sfruttamento dell’energia solare passiva, sono considerate volumi tecnici e quindi non computabili ai fini volumetrici a condizione che siano progettate in modo da integrarsi nell’organismo edilizio nuovo o esistente e che dimostrino, attraverso i necessari calcoli energetici, la loro funzione di riduzione dei consumi di combustibile fossile per riscaldamento invernale, attraverso lo sfruttamento passivo e attivo dell’energia solare o la funzione di spazio intermedio”.

[iii] Come noto, l’art. 146, D.Lgs. 22 gennaio 2004, n. 42, nel disciplinare l’autorizzazione paesaggistica, prevede il seguente inciso al comma 4: “[…] Fuori dai casi di cui all’ articolo 167, commi 4 e 5, l’autorizzazione non può essere rilasciata in sanatoria successivamente alla realizzazione, anche parziale, degli interventi […]”. In particolare, per quanto qui rileva, l’art. 167, c. 4, D.Lgs. 22 gennaio 2004, n. 42, così dispone “L’autorità amministrativa competente accerta la compatibilità paesaggistica, secondo le procedure di cui al comma 5, nei seguenti casi: a) per i lavori, realizzati in assenza o difformità dall’autorizzazione paesaggistica, che non abbiano determinato creazione di superfici utili o volumi ovvero aumento di quelli legittimamente realizzati; b) per l’impiego di materiali in difformità dall’autorizzazione paesaggistica; c) per i lavori comunque configurabili quali interventi di manutenzione ordinaria o straordinaria ai sensi dell’ articolo 3 del decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380 ”.

[iv] Cfr. T.A.R. Veneto, Sez. II, 13 giugno 2022, n. 979; T.A.R. Lombardia, Milano, Sez. II, 15 febbraio 2022, n. 359; T.A.R. Campania, Napoli, Sez. III, 21 luglio 2021, n. 5051; Cons. Stato, Sez. VI, 26 novembre 2018, n. 6671.

[v] Cfr. Cons. Stato, Sez. VI, 26 aprile 2021 n. 3352, 6 aprile 2020, n. 2250 e 31 marzo 2014, n. 1512; Cons. Stato, Sez. III 26 aprile 2016, n. 1613.

[vi] Al riguardo, il Consiglio di Stato, nel parere in commento richiama, “in via esemplificativa e non esaustiva, circolare del Ministero dei lavori pubblici 23 luglio 1960, n. 1820; artt. 5 e 6 d.m. 2 agosto 1969; art. 3 d.m. 10 maggio 1977; art. 1 d.m. 26 aprile 1991; art. 6 d.m. 5 agosto 1994”.

[vii] Cfr. Cons. Stato, Sez. VI, 14 febbraio 2005, n. 474; Sez. VI, 21 febbraio 2001, n. 912 e 913; Sez. VI, 12 maggio 2004, n. 2994.

[viii] Al riguardo, il parere cita letteralmente la sentenza del Consiglio di Stato, Sez.VI, 31 marzo 2014, n. 1512: “la nozione di ‘volume tecnico’, non computabile nella volumetria ai fini in questione, corrisponde a un’opera priva di qualsivoglia autonomia funzionale, anche solo potenziale, perché è destinata a solo contenere, senza possibilità di alternative e comunque per una consistenza volumetrica del tutto contenuta, impianti serventi di una costruzione principale per essenziali esigenze tecnico-funzionali della medesima. In sostanza, si tratta di impianti necessari per l’utilizzo dell’abitazione che non possono essere in alcun modo ubicati all’interno di questa, come possono essere -e sempre in difetto dell’alternativa- quelli connessi alla condotta idrica, termica o all’ascensore e simili, i quali si risolvono in semplici interventi di trasformazione senza generare aumento alcuno di carico territoriale o di impatto visivo”.

[ix] Si pensi all’art. 149 D.Lgs. 22 gennaio 2004, n. 42, ai sensi del quale non sono soggetti all’autorizzazione “prescritta dall’articolo 146, dall’articolo 147 e dall’articolo 159: a) gli interventi di manutenzione ordinaria, straordinaria, di consolidamento statico e di restauro conservativo che non alterino lo stato dei luoghi e l’aspetto esteriore degli edifici”. Interventi edilizi che trovano inevitabilmente la loro definizione nel TU dell’Edilizia.

[x] Cfr. art. 4, comma 4, L.R. Lombardia 21 dicembre 2004, n. 39, riportato alla nota (ii).

[xi] Al riguardo, si consideri che “non ogni volume non riscaldato, dotato di una pur minima finestratura che svolge funzioni di isolamento e consente di limitare il consumo energetico, costituisce serra bioclimatica, dovendo considerarsi tale soltanto quei locali principalmente realizzati con superfici vetrate e con copertura tali da ottimizzare lo sfruttamento dell’energia solare” (cfr. T.A.R. Lombardia, Brescia, Sez. I, 11 febbraio 2010 n. 712).

[xii] L’art. 16 delle NTA del PGT del Comune di Pavia, al p.to 3, lett. e), prevede che “A soli fini di comprovato risparmio energetico è consentita, in aggiunta agli interventi di cui al comma 2 [disciplinante gli interventi consentiti in Tessuto di impianto storico – n.d.a.] del presente articolo, la realizzazione di serre bioclimatiche, a norma della legislazione vigente e del Regolamento Energetico Ambientale”.

[xiii] La giurisprudenza in materia di permesso di costruire in sanatoria ex art. 36 D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, ritiene infatti che sia “la stessa qualificazione in termini di sanatoria del provvedimento scolpito dall’art. 36 che import[i] l’esclusione dal suo ambito di quelle opere progettate al fine di ricondurre l’opus nel perimento di ciò che risulti conforme alla disciplina urbanistica e quindi assentibile” (cfr. Cons. Stato, Sez. IV, 21 marzo 2019, n. 1874 e, in termini, Cons. Stato, Sez. VI, 12 ottobre 2022, n. 8713 e 4 luglio 2014, n. 3410).

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