Sanatoria: i vincoli paesaggistici prevalgono sulle norme urbanistiche

01 Mag 2022 | giurisprudenza, amministrativo

di Eleonora Gregori Ferri

Consiglio di Stato, Sez. VI, 16 febbraio 2022, n. 1150 Pres. Simonetti, Est. Simeoli – A. H. S.r.l. (Avv. Sorrentino) c. Comune di Napoli (Avv.ti Andreottola, Ferrari, Pizza, Ricci e Camarda) e n.c.d. Regione Campania, non costituita in giudizio.

La presentazione di un’istanza di sanatoria ai sensi dell’art. 36 del d.P.R. n. 380/2001 ha l’effetto di porre l’ordine di demolizione in uno stato di temporanea quiescenza, che termina in caso di rigetto dell’istanza, determinando così il riacquisto dell’efficacia dell’ordine di demolizione stesso, senza che l’Amministrazione sia tenuta ad adottarne uno nuovo.

Ai sensi dell’art. 27, c. 1 del d.P.R. n. 380/2001, il Comune è titolare di un potere-dovere di vigilanza di carattere generale, riguardante l’intera attività edilizia esercitata sul proprio territorio. Nel caso di opere realizzate in assenza di autorizzazione paesaggistica, la potestà ripristinatoria del Comune non viene meno, ma si coordina con quella della Soprintendenza, per evitare che lo svolgimento delle operazioni di ripristino comprometta i valori culturali cui il vincolo si riferisce.

L’art. 36 del d.P.R. n. 380/2001, nel disciplinare l’accertamento di conformità, richiede che gli interventi abusivi siano conformi alla disciplina urbanistica ed edilizia vigente sia al tempo della realizzazione dell’opera, sia al momento della presentazione dell’istanza di sanatoria (cd. “doppia conformità”), escludendo così l’applicabilità di qualsivoglia altro criterio, inclusa la possibilità di una “sanatoria giurisprudenziale”.

Le qualificazioni giuridiche rilevanti sotto il profilo urbanistico ed edilizio non sono automaticamente trasferibili in ambito culturale – paesaggistico. Ad esempio i cd. “volumi tecnici”, irrilevanti in ambito urbanistico nel calcolo della volumetria edificabile, lo sono invece ai fini della valutazione dell’impatto paesistico di un progetto.

La tutela del paesaggio è assicurata dai piani paesaggistici, le cui previsioni, ai sensi del d.lgs. n. 42/2004 (cd. “Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio”), hanno efficacia prevalente sui contenuti degli altri strumenti urbanistici regionali e locali, tenuti dunque ad adeguarsi ai primi, con la sola possibilità di introdurre ulteriori previsioni conformative per assicurare la migliore salvaguardia dei valori paesaggistici.

  1. Introduzione.

Con la sentenza in commento il Consiglio di Stato ha rigettato l’appello presentato da una società proprietaria di un albergo sito in una zona sottoposta a vincolo paesaggistico, avverso la pronuncia del TAR Napoli che, a sua volta, aveva respinto i ricorsi proposti dalla medesima società contro il diniego di sanatoria di alcune opere di ampliamento e il relativo ordine di demolizione.

La vicenda in esame tocca, seppur in termini generali, i fondamenti che regolano l’istituto del cd. “accertamento di conformità” (art. 36 del d.P.R. n. 380/2001, cd. “T.U. edilizia”), che consente al responsabile di un abuso di ottenere la sanatoria di opere realizzate in assenza di titolo abilitativo o in difformità dal medesimo, previo pagamento di un’oblazione. Sotto questo profilo, la sentenza si rivela preziosa perché, in maniera sintetica e puntuale, offre una compiuta spiegazione delle condizioni al ricorrere delle quali è possibile il rilascio di un titolo edilizio in sanatoria per opere abusive.

Tuttavia, ciò che rende davvero interessante questa pronuncia è il coordinamento  tra la disciplina per la sanatoria contenuta nel T.U. dell’edilizia, con quanto previsto dal d.lgs. n. 42/2004 (cd. “Codice dei beni culturali e del paesaggio”).

  1. I fatti di causa e il primo grado di giudizio.

La società appellante, come detto, è proprietaria di un complesso alberghiero sito in Comune di Napoli, nella Conca di Agnano, in zona sottoposta a vincolo paesaggistico apposto con d.m. del 25 gennaio 1958.

In passato la società aveva realizzato nel compendio una serie di opere – poi rivelatesi abusive – comprendenti la costruzione di nuovi corpi di fabbrica, tettoie e piscine. Nel 1999 la società aveva presentato un’istanza di accertamento di conformità in ordine ai citati lavori, che tuttavia era stata rigettata dal Comune di Napoli in applicazione della disciplina urbanistica vigente al tempo, che classificava l’area in questione come “zona agricola”.

Successivamente, lo strumento urbanistico veniva annullato in sede giurisdizionale e l’area riclassificata in zona di recente formazione. Ciò consentiva una nuova valutazione dell’istanza di accertamento di conformità presentata dalla società, che però veniva nuovamente rigettata, trattandosi comunque di opere abusive realizzate in una zona soggetta a vincolo paesaggistico.

Al provvedimento di rigetto dell’istanza di sanatoria seguiva l’ordine di demolizione.

La società impugnava il diniego di sanatoria e l’ordine di demolizione con due distinti ricorsi, che riuniti dal TAR Napoli in un unico giudizio, venivano entrambi rigettati con sentenza n. 3865/2014.

  1. La decisione in appello del Consiglio di Stato.

La società ha proposto appello avverso la predetta sentenza, riproponendo avanti il Consiglio di Stato le medesime censure già sollevate in ordine alla legittimità sia del provvedimento di rigetto dell’istanza di sanatoria, sia dell’ordine di demolizione.

Con i primi due motivi di ricorso la società ha contestato la legittimità dell’ordine di demolizione, anzitutto evidenziando che lo stesso era stato emanato anteriormente (febbraio 2006) al provvedimento di rigetto dell’istanza di sanatoria (maggio 2006). La questione, per il Consiglio di Stato, è di agevole soluzione: l’ordine di demolizione è stato comunque notificato nel mese di luglio 2006 e, dunque, successivamente al provvedimento di diniego, per cui il tema sollevato dall’appellante sarebbe solo pretestuoso. Il Consiglio di Stato, però, non si accontenta di risolvere il punto sul piano formale ed entra nel merito, ribadendo quanto già affermato da giurisprudenza consolidata, ossia che “la presentazione di una istanza di sanatoria, ai sensi dell’art. 36 del d.P.R. 380 del2011, determina soltanto un arresto interinale dell’efficacia dell’ordine di demolizione, ponendolo in stato di temporanea quiescenza […]. In caso di rigetto dell’istanza di sanatoria, l’ordine di demolizione riacquista la sua efficacia, senza alcuna necessità per l’Amministrazione di adottarne uno nuovo[i]. Conseguentemente, sotto tale primo profilo l’ordine di demolizione si configura come pienamente legittimo.

Con ulteriore gravame, la società ha poi contestato il difetto di competenza del Comune ad emanare la sanzione demolitoria a favore della Soprintendenza, in quanto ente preposto alla tutela del bene soggetto a vincolo paesaggistico. Anche con riferimento a questa seconda censura il Consiglio di Stato non si limita a confermare la competenza del Comune ai sensi dell’art. 27 del d.P.R. n. 380/2001, secondo il quale il Comune è titolare di un generale potere-dovere di vigilanza riguardante l’intera attività edilizia esercitata sul proprio territorio. Ferma la competenza del Comune – che, come si è visto, è di carattere generale – il Consiglio di Stato ricorda infatti che anche gli organi preposti alla tutela del patrimonio culturale sono titolari di una “parallela e autonoma potestà ripristinatoria[ii]. Per cui ove l’attività ripristinatoria e demolitoria esercitata dal Comune incida su immobili soggetti a vincolo, lo “svolgimento materiale delle operazioni di ripristino dello stato preesistente” deve avvenire in maniera coordinata tra l’Amministrazione comunale e gli enti preposti alla tutela paesaggistica, “al fine di prevenire che i valori cui il vincolo si riferisce siano materialmente offesi dalle operazioni di riduzione in pristino”.

Pertanto, deve essere confermata la competenza del Comune ad emanare l’ordine di demolizione impugnato,  il quale però, per i beni soggetti a vincolo, dovrà essere eseguito coordinandosi con l’ente competente alla tutela.

Il Consiglio di Stato rigetta inoltre l’ulteriore  tesi sostenuta dall’appellante circa l’applicabilità al caso di specie dell’istituto della cd. “sanatoria giurisprudenziale” (secondo cui non dovrebbe essere sottoposta a demolizione l’opera abusiva, laddove conforme anche solo alla disciplina urbanistica vigente al momento della valutazione dell’istanza di conformità). Sul punto, in linea con la più recente giurisprudenza della medesima Sezione[iii], il giudice amministrativo non solo rigetta (in assoluto) la possibilità di accogliere nel nostro ordinamento il predetto istituto, ma ribadisce chiaramente che la cd. “doppia conformità” richiesta ai sensi dell’art. 36 del d.P.R. n. 380/2001 per la sanatoria degli interventi abusivi (gli interventi abusivi devono essere conformi alla disciplina urbanistica ed edilizia vigente sia al tempo della realizzazione dell’opera, sia al momento della presentazione dell’istanza di sanatoria) è un “principio fondamentale in materia di governo del territorio” che, come ribadito anche dalla Corte Costituzionale è “finalizzato a garantire l’assoluto rispetto della disciplina urbanistica ed edilizia durante tutto l’arco temporale compreso tra la realizzazione dell’opera e la presentazione dell’istanza volta ad ottenere l’accertamento di conformità [iv].

Tanto precisato sui profili più prettamente urbanistico-edilizi della vicenda, il giudice amministrativo affronta i temi connessi alla presenza del vincolo paesaggistico sull’area ove sorge il complesso alberghiero e, segnatamente, l’incompatibilità della creazione di nuovi volumi – come avvenuto nel caso di specie – con le previsioni vincolistiche vigenti per l’area e fatte proprie nel piano paesistico.

Ai sensi di dette previsioni, infatti, “è vietato qualsiasi intervento che comporti incremento dei volumi esistenti”. La perentorietà di tale divieto, spiega il Consiglio di Stato, in disparte alle censure di carattere più prettamente urbanistico-edilizio, avrebbe comunque reso impossibile sia l’accoglimento dell’istanza di accertamento di conformità (anche in presenza della “doppia conformità”), sia il rilascio di una autorizzazione paesaggistica postuma ex art. 167 del Codice dei beni culturali e del paesaggio, come auspicato dall’appellante.

Con riferimento all’impossibilità di una sanatoria edilizia, questa non sarebbe stata possibile anche laddove fosse stato rispettato il requisito della “doppia conformità”, in quanto l’art. 145 del Codice (“Coordinamento della pianificazione paesaggistica con altri strumenti di pianificazione”) prevede, al comma 3, il principio della prevalenza dei piani paesaggistici sugli altri strumenti urbanistici, secondo cui: “[…] Per quanto attiene alla tutela del paesaggio, le disposizioni dei piani paesaggistici sono comunque prevalenti sulle disposizioni contenute negli atti di pianificazione ad incidenza territoriale previsti dalle normative di settore […]”. Pertanto, la creazione di nuovi volumi, anche laddove consentita dalla disciplina urbanistica applicabile all’area, sarebbe risultata comunque contraria alle previsioni del piano paesaggistico vigente, le cui disposizioni, ai sensi del Codice, prevalgono su quelle dettate dagli altri strumenti urbanistici.

A miglior spiegazione del rapporto tra gli strumenti pianificatori sopra citati, il Consiglio di Stato precisa inoltre che: “il Codice dei beni culturali e del paesaggio definisce con efficacia vincolante […] i rapporti tra il piano paesaggistico e gli altri strumenti urbanistici […] secondo un modello rigidamente gerarchico, fondato sui seguenti dispositivi tecnici: immediata prevalenza del primo, obbligo di adeguamento dei secondi con la sola possibilità di introdurre ulteriori previsioni conformative che «risultino utili ad assicurare l’ottimale salvaguardia dei valori paesaggistici individuati dai piani». In base alla disciplina statale resta così escluso, sia che la salvaguardia dei valori paesaggistici possa essere assicurata da strumenti diversi dai piani paesaggistici, sia che essa possa cedere ad esigenze urbanistiche o naturalistiche rappresentate in diversi strumenti di pianificazione”.

Per quanto riguarda, invece, la preclusione al rilascio di una autorizzazione paesaggistica postuma, il giudice amministrativo ricorda nella sentenza in commento che “l’esame di compatibilità paesaggistica deve sempre precedere la realizzazione dell’intervento”. Tanto è vero che l’art. 167 (“Ordine di remissione in pristino o di versamento di indennità pecuniaria”) del Codice prevede la non sanabilità ex post degli abusi commessi su beni tutelati, rispetto ai quali il responsabile è “sempre tenuto alla rimessione in pristino a proprie spese[v].

Per cui, in sintesi, la creazione di nuovi volumi, in quanto contraria alla (prevalenti) disposizioni contenute nel piano paesaggistico e insuscettibili di autorizzazione paesaggistica postuma, non poteva che essere sanzionata dall’Amministrazione comunale con i provvedimenti oggetto di impugnazione, il cui contenuto (in particolare dell’ordine di demolizione) era, di fatto, vincolato senza necessità che oltre all’indicazione dei presupposti per l’individuazione degli abusi edilizi, fosse necessaria altra motivazione aggiuntiva.

In considerazione di quanto sopra, il Consiglio di Stato ha inoltre ritenuto irrilevanti le censure dell’appellante secondo cui la sanatoria si sarebbe dovuta quantomeno applicare ai cd. “volumi tecnici”, che non dando luogo a incrementi volumetrici, sarebbero ininfluenti sul piano paesaggistico.

Così non è. Ribadisce ancora il Consiglio di Stato, che ciò è vero solo in materia urbanistica e ai fini dell’esclusione dei volumi tecnici dal calcolo della volumetria edificabile. Ma tale regola non può “essere invocata al fine di ampliare le eccezioni al divieto di rilascio dell’autorizzazione paesaggistica in sanatoria, il quale tutela l’interesse alla percezione visiva dei volumi, del tutto a prescindere dalla loro destinazione d’uso”. Ciò è confermato anche dall’orientamento della medesima Sezione, secondo cui “il divieto di incremento dei volumi esistenti, imposto ai fini di tutela del paesaggio, si riferisce a qualsiasi nuova edificazione comportante creazione di volume, senza che sia possibile distinguere tra volume tecnico ed altro tipo di volume [vi].

In questi termini il Consiglio di Stato ha confermato la sentenza di primo grado del TAR Napoli e ha rigettato il gravame proposto dall’appellante.

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Per il testo della sentenza (estratto dal sito di Giustizia Amministrativa) cliccare sul pdf allegato.

Consiglio di Stato, VI, 16 febbraio 2022 n. 1150

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NOTE

[i] Sul punto nella sentenza vengono citate, ex plurimis, le sentenze Consiglio di Stato n.1432 del2021, n. 2681 del 2017, n. 1565 del 2017, n. 1393 del 2016, n. 466 del 2015 e n.2307 del 2014.

[ii] Ex art. 167 – “Ordine di remissione in pristino o di versamento di indennità pecuniaria” del d.lgs. n. 42/2004 (“Codice dei beni culturali e del paesaggio”). Le sanzioni ripristinatorie e pecuniarie previste dal Codice sono materialmente irrogate dalla Direzione generale Archeologia, belle arti e paesaggio (art. 16, c. 1, lett. g) del d.P.C.M. n. 169/2019), ma l’istruttoria è condotta dalla Soprintendenza Archeologia, belle arti e paesaggio competente (art. 41, c. 1, lett. p) del d.P.C.M. n. 169/2019).

[iii] Il medesimo principio, infatti, si rinviene anche in Consiglio di Stato VI, n. 5948/2021; id. n. 43/2021, con nota di A. Massimiliano, Il sempre necessario presupposto della ‘doppia conformità’ per gli interventi edilizi in sanatoria, in Diritto & Giustizia, fasc.14, 2021, pag. 7.

[iv] Corte Costituzionale sentenza n. 232/2017.

[v] Fatte salve alcune ipotesi minori riguardanti intervertenti non suscettibili di generale un impatto sostanziale sul bene vincolato e comunque tassativamente elencati al comma 4 dell’art. 167 del d.lgs. n. 42/2004, ossia: “a) lavori, realizzati in assenza o difformità dall’autorizzazione paesaggistica, che non abbiano determinato creazione di superfici utili o volumi ovvero aumento di quelli legittimamente realizzati; b) impiego di materiali in difformità dall’autorizzazione paesaggistica; c) lavori comunque configurabili quali interventi di manutenzione ordinaria o straordinaria ai sensi dell’ articolo 3 del decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380”.

[vi] Consiglio di Stato VI, sentenze n. 3579, n. 5066 del 2012; n. 4079 del 2013; n. 3289 del 2015.

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