Sanatoria edilizia e Piano di Assetto Idrogeologico

20 Mag 2021 | giurisprudenza, amministrativo

di Federico Vanetti e Andrea Oggioni

Consiglio di Stato, Sez. VI, 10 marzo 2021, n. 2038 – Pres. Montedoro, Est Orsini – D.R.E. S.r.l., (poi E. S.r.l.) (avv. Nicolardi) c. Regione Puglia, Comune di Gagliano del Capo, Comune di Gagliano del Capo (n.c.), Autorità di Bacino della Puglia, Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio (Avvocatura Generale dello Stato)

Se è evidente che i limiti e i vincoli fissati dal PAI non possono che riferirsi alle opere successive alla sua entrata in vigore, ciò non vale per quegli interventi realizzati senza titolo sui quali gli interessati richiedono l’accertamento di conformità e per i quali è necessario rispettare il parametro legislativo della “doppia conformità” alla disciplina urbanistica vigente sia al momento della realizzazione sia al momento della presentazione dell’istanza

La decisione del Consiglio di Stato in commento offre l’opportunità di esaminare i profili di correlazione tra la disciplina speciale dei Piani di Assetto Idrogeologico (“PAI”) e la normativa ordinaria di carattere edilizio-urbanistico nell’ambito di una richiesta di sanatoria di un intervento realizzato in assenza di idoneo titolo edilizio.

Nel caso di specie, a seguito della pubblicazione ed entrata in vigore del PAI di riferimento per il territorio, il privato aveva presentato ricorso avverso il parere negativo adottato dall’autorità di bacino competente che avrebbe comportato – di conseguenza – il rigetto dell’istanza di accertamento di conformità volta al rilascio di un permesso di costruire in sanatoria. Il parere era motivato sul presupposto che il PAI – per la zona di riferimento – non ammettesse la realizzazione di nuove costruzioni.

Le censure proposte tramite ricorso miravano principalmente a sostenere che il PAI fosse applicabile alle opere realizzate successivamente alla sua entrata in vigore e che, di conseguenza, il manufatto abusivo non avesse i requisiti della nuova costruzione, essendo stato realizzato – senza titolo – prima dell’entrata in vigore del PAI.

Inoltre, veniva rilevato che il mancato recepimento della normativa tecnica del PAI nell’ambito della disciplina urbanistica comunale impedisse la diretta applicazione della normativa idrogeologica.

In particolare, l’art. 36, D.P.R. n. 380/2001 richiede che l’accertamento di conformità delle opere eseguite in assenza di titolo abilitativo abbia esito positivo solamente nel caso in cui “l’intervento risulti conforme alla disciplina urbanistica ed edilizia vigente sia al momento della realizzazione dello stesso, sia al momento della presentazione della domanda”. Si tratta del noto principio di matrice legislativa della “doppia conformità”, al giorno d’oggi confermato senza riserva dalla giurisprudenza amministrativa e penale[1].

Si tratta, quindi, di capire se i Piani di Assetto Idrogeologico, introdotti con la legge n. 183/1989 – oggi confluita per quanto di competenza negli artt. 65 e ss. del D.lgs. n. 152/2006 – sono da considerare meri strumenti di pianificazione ambientale/idrogeologica ovvero se possano rivestire una rilevanza urbanistica, con il che le relative prescrizioni inciderebbero direttamente sulla verifica della “doppia conformità” necessaria per il rilascio della sanatoria.

In particolare, occorre comprendere se la normativa urbanistico-edilizia debba necessariamente recepire e fare proprie le disposizioni del PAI o se le stesse trovino diretta applicazione.

Sul punto, rappresenta orientamento consolidato in giurisprudenza il principio che gli strumenti di pianificazione connessi alla tutela dell’assetto idrogeologico “costituiscono un “prius” logico e funzionale” della pianificazione del territorio e che, di conseguenza, le previsioni dei PAI producono effetti diretti sugli usi e sui livelli di programmazione locale[2].

Il carattere invasivo delle disposizioni PAI trova giustificazione nel bene che la norma ambientale intende tutelare al fine di affrontare, anche tramite interventi di urgenza, le situazioni di rischio idrogeologico che interessano il territorio nazionale, imponendo alle amministrazioni di considerare prevalente tale disciplina in caso di contrasto con gli strumenti urbanistico-edilizi eventualmente già adottati o con usi del territorio non autorizzati ad essa non conformi[3].

Ne è evidente e ulteriore dimostrazione la necessità per l’amministrazione comunale di dover acquisire il parere dell’autorità di bacino competente che non può che essere riferito anche alla compatibilità dell’opera con la disciplina in vigore al momento della richiesta.

In tale prospettiva, il parametro di riferimento della “doppia conformità” richiesto per il rilascio di un titolo edilizio in sanatoria non può non essere influenzato dal diretto recepimento delle disposizioni inerenti alla tutela dal rischio idrogeologico nella disciplina urbanistico-edilizia in vigore.

Dunque, poiché il giudizio di conformità prescrive che l’amministrazione operi una sorta di fictio iuris considerando l’opera abusiva proprio come se fosse una “nuova costruzione” anche con riferimento alla disciplina in vigore al momento della presentazione della domanda di sanatoria (nonostante la concreta realizzazione in tempi precedenti), la lettura sistematica operata dal giudice amministrativo non poteva che decidere per la conferma del provvedimento comunale di rigetto, laddove la conformità del PAI rappresentava evidentemente il requisito per il rilascio del titolo in sanatoria.

Per il testo della sentenza (estratto dal sito istituzionale della Giustizia Amministrativa) cliccare sul pdf allegato.

CDS sez VI n 2038.21

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Vanetti Oggioni maggio2021

Note:

[1] È invece più risalente una corrente favorevole alla c.d. ipotesi di “sanatoria giurisprudenziale”. Tale orientamento, oggi non più condiviso, permetteva l’applicazione di un criterio maggiormente favorevole per il privato riconoscendo la conformità di opere che divenivano conformi esclusivamente per effetto di una nuova normativa edilizio-urbanistica compatibile con l’intervento abusivo. Ad oggi sono numerose le pronunce della giurisprudenza amministrativa e penale che considerano la “sanatoria giurisprudenziale” ormai superata e il carattere recessivo della medesima rispetto al disposto normativo vigente. In particolare si veda: Consiglio di Stato, sez. VI, 4 gennaio 2021, n. 43; Consiglio di Stato, sez. II, 25 maggio 2020, n. 3314; Consiglio di Stato, sez. VI, 9 settembre 2019, n.6107; Cassazione penale, sez. III, 19 settembre 2019, n. 45845.

[2] In merito si veda Consiglio di Stato sez. IV, 26 settembre 2019, n. 6438 e Consiglio di Stato, sez. IV, 22 giugno 2011, n. 3780, T.A.R. Sardegna, Cagliari, sez. II, 13 gennaio 2014, n.18.

[3] Cfr. Cassazione penale sez. III, 16 giugno 2016, n. 55003.

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