Salvi i criteri localizzativi regionali in materia di discariche (indice di pressione) nell’attesa della regolazione statale.

31 Dic 2023 | giurisprudenza, amministrativo

di Paola Brambilla

TAR LOMBARDIA, Milano, Sez. IV – 26 novembre 2023, n. 2567– Pres. Nunciata, Est. Marongiu – E. s.r.l. (avv.ti Ferraris, Robaldo, Araneo, Sinopolis) c. Città metropolitana di Milano (avv. Ferrari, Gabigliani, Zimmitti, Grandesso), Regione Lombardia (avv. Pujatti), Comune di Cerro Maggiore (avv. Franco Ferrari).

Gli atti regionali di natura programmatoria e non regolamentare che hanno introdotto il fattore pressione quale criterio limite per la realizzazione o l’ampliamento di discariche sono legittimi, in quanto se è riservato allo Stato il potere di fissare livelli di tutela uniforme sull’intero territorio nazionale, è peraltro consentito alle Regioni di prevedere livelli maggiori di tutela che implicano logicamente il rispetto dei livelli adeguati e uniformi contenuti nelle leggi statali; ciò sia in ragione della loro competenza concorrente nella materia della tutela della salute sia per la mancata emanazione, ad oggi, dei criteri nazionali previsti dall’art. 195, comma 1, lett. p), del d.lgs. n. 152/2006.

I temi della sentenza

La pronuncia in commento tocca temi complessi e ricorrenti nei contenziosi giusambientali: il riparto di competenze in materia di rifiuti tra Stato e Regione quanto alla pianificazione, la natura programmatoria o regolamentare dei criteri localizzativi, la conformità di detti criteri rispetto alle previsioni tecniche settoriali dettate dalla normativa eurounitaria e dai relativi atti di trasposizione nazionale, infine il rapporto tra previsioni generali aprioristiche di tenore escludente e lo strumento della valutazione di impatto ambientale, viceversa orientato all’analisi caso per caso della compatibilità di un singolo progetto con il contesto locale.

Dunque un piatto ricco, stimolato anche dalla varietà delle questioni sollevate dalla società ricorrente, che reagisce all’archiviazione dell’istanza di ampliamento di una discarica in fase di recupero disposta per improcedibilità stante il contrasto con l’indice fattore di pressione, superato nel Comune di riferimento.

L’indice fattore di pressione discariche.

Il contenzioso verte sul criterio localizzativo “fattore di pressione” che Regione Lombardia ha introdotto nell’art. 1.6.3. delle norme tecniche di attuazione del Programma Regionale di Gestione Rifiuti approvato con D.G.R. 1990/ 2014, rivisto con successiva D.G.R. 7144/2017 e riconfermato da ultimo con l’aggiornamento operato con D.G.R. 6408/2022. In sintesi, si tratta di un indice volumetrico che fissa due soglie: la prima, fattore di pressione areale, identifica il volume massimo di rifiuti – 64.000 mc – conferibili in discarica su un’area della superficie compresa nel raggio di 5 Km intorno alla discarica interessata, mentre la seconda, fattore di pressione comunale, fissa il volume massimo di discariche ammissibili nel territorio comunale in 145.000 mc.

Piano o regolamento? Quali rapporti con la VIA?

La questione è già stata affrontata dal TAR Brescia nella sentenza 240/2023 e dal TAR Milano nella pronuncia 281/2020, nel senso della natura programmatica e non regolamentare dei criteri localizzativi, da cui l’esclusione della necessità di approvazione consiliare stabilita anche dalla pronuncia in commento.

È inoltre proprio questa valenza pianificatoria dell’indice che ne fa un vaglio ex ante di procedibilità delle istanze, suscettibile di determinare l’arresto dell’iter a una fase preliminare del procedimento: dunque prima dell’ingresso nell’istruttoria autorizzativa, ma anche prima ancora dell’istruttoria di compatibilità ambientale dell’impianto che viene svolta nell’ambito della procedura di VIA o di PAUR. Il superamento dell’indice porta ad una pronuncia, per così dire, in rito.

Quanto alle censure del ricorrente, che sostiene come invece dovrebbe essere la VIA a doversi far carico di scandagliare la compatibilità in concreto del progetto, si osserva che sebbene la riforma dell’istituto operata dal d.lgs. 104/2017 abbia reso l’analisi degli impatti ambientali indipendente dallo scenario programmatico, tuttavia ragioni di logica e di economia procedimentale hanno mantenuto alta, anche in seguito, l’attenzione dell’autorità competente sulla coerenza del progetto con il livello pianificatorio a monte.

Questa verifica di coerenza tra progetto e piano è opportuno sia condotta specie in presenza di limiti negativi inderogabili, come nel caso dei criteri c.d. escludenti.

Ora, i giudici amministrativi hanno confermato la correttezza di questa lettura, osservando che l’indice di pressione rappresenta un criterio tassativo il cui superamento non consente di autorizzare né l’insediamento di un nuovo impianto, né l’ampliamento di uno già esistente (e ciò in base al mero criterio dell’aumento dei volumi di rifiuti conferiti, a prescindere dall’aumento perimetrale dell’impianto); né questa inderogabilità e tassatività contrastano con il d.lgs. 36/2003, in quanto ispirata al concetto di “soglia-limite” – oggi diremmo “boundaries” –  “al di sopra della quale non è possibile incrementare la portata di una discarica, a causa della completa saturazione del territorio”; ciò che è stato affermato anche dal Consiglio di Stato nella sentenza 5340/2016, in una delle prime pronunce di convalida del fattore di pressione[i]. Nell’occasione è pure stato evidenziato che la chiarezza delle disposizioni regionali, self-executing ci verrebbe da dire, è tale da escludere la necessità di un’intermediazione ad opera della pianificazione provinciale di settore, per cui la carenza di un piano provinciale rifiuti non può in alcun modo paralizzare l’immediata operatività dell’indice.

Sempre per il Consiglio di Stato, nella successiva pronuncia 6770/2022, seppure il criterio localizzativo denominato “fattore di pressione” non sia applicabile a procedure già in corso di svolgimento all’atto della sua prima introduzione come causa automaticamente escludente (stante la norma transitoria che ne preclude l’applicabilità alle istanze già pendenti), esso può essere correttamente tenuto in considerazione dall’amministrazione competente nell’ambito del complessivo giudizio di compatibilità ambientale di una discarica, “in ossequio al principio euro-unitario di precauzione in materia ambientale”. In siffatti casi risulta allora possibile istruire nel merito il procedimento di VIA, altrimenti destinato a chiudersi in limine.

Applicazioni concrete dell’indice.

Tra le più interessanti casistiche che hanno riguardato l’applicazione dell’indice di pressione, si segnala sempre la sentenza del Consiglio di Stato 6770/2022 che, con approccio rigoroso, ai fini del calcolo della soglia volumetrica ha valorizzato nel computo dei volumi già presenti anche quelli di discariche cessate, affermando che le stesse non perdono – per il solo fatto della cessazione dell’attività – l’impatto ambientale proprio, in mancanza di adeguate opere di bonifica.

Altrettanto cauto il TAR Milano, con la decisione 326/2023, che non ritiene possibile aumentare capacità produttiva dell’impianto, intesa come capacità volumetrica dell’invaso destinato a ospitare i rifiuti, scomputando dalla volumetria complessiva autorizzata quella occupata dal maggior spessore del fondo di impermeabilizzazione asseritamente realizzato, o quella che dovrebbe liberarsi in conseguenza degli assestamenti fisiologici dei rifiuti abbancati; secondo questo orientamento i parametri in questione sono necessariamente fissati in termini numerici sia nell’ambito della VIA che dell’AIA, perchè deve trattarsi di soglie certe, non opinabili né rimesse a future quantificazioni; e ciò sia al fine di consentire i periodici controlli sulla corretta gestione dell’impianto da parte degli enti competenti, sia al fine di stabilire quando l’impianto abbia raggiunto la quantità massima di conferimenti ritenuti compatibili con l’ambiente e con lo specifico contesto territoriale in cui l’impianto è inserito. In questa logica si può inferire quindi che la modifica volumetrica comporterebbe il supero (inammissibile) dell’indice fattore pressione ove esso sia già raggiunto a livello territoriale.

Per contro, solo nei limiti della volumetria assentita, così definita, si può istruire una modifica, che per i giudici si qualifica come non sostanziale[ii].

Nello stesso senso il TAR Brescia, con la decisione 150/2022, che respinge al mittente il tentativo dell’operatore di rimettere in discussione le prescrizioni limitative apposte agli atti autorizzativi in ordine alla quantità massima di rifiuti conferibili (apposte ab origine ai titoli autorizzativi sulla base degli esiti della valutazione di impatto ambientale della discarica) affermando che il dato volumetrico potrebbe essere modificato soltanto in esito all’attivazione di un procedimento di modifica sostanziale. Ebbene, i giudici chiariscono, senza tentennamenti, che siffatta istanza sarebbe vocata all’insuccesso, stante l’avvenuto superamento del parametro fattore di pressione nel territorio in considerazione.

Aree idonee e inidonee.

Le questioni affrontate sui criteri localizzativi richiamano – quasi in automatico – il dibattito analogo che ha accompagnato l’evoluzione e l’espansione degli impianti FER. Questa dinamica è stata caratterizzata dal susseguirsi di norme statali di favore e di normative regionali eversive, di tenore restrittivo, emanate in luogo delle previsioni pianificatorie delle aree non idonee invece consentite dal d.lgs. 387/03 e dalla Linee Guida 2010; attualmente vede invece un nuovo fermento legislativo e regolatorio su scala regionale, che dovrebbe dare attuazione alle nuove disposizioni del d.lgs. 199/2021 disegnando le aree idonee e poi anche le zone di accelerazione, nel rispetto delle indicazioni della Conferenza Stato Regioni.

Esattamente come in quel caso, in cui l’attesa di disposizioni di indirizzo ha generato soglie e limiti regionali, anche in materia di impianti di smaltimento di rifiuti è accaduto lo stesso fenomeno, ovvero una proliferazione di iniziative normative volte a disegnare criteri e soglie escludenti, di inidoneità.

Ora, se la pianificazione, strumento programmatorio generale, presidiato da una VAS,[iii] può avere questi contenuti (TAR Milano, 281/2020), non altrettanto è consentito alla norma, come si vedrà a breve.

Tornando invece alla programmazione regionale, i giudici da subito ne hanno stabilito la legittimità anche in assenza dell’emanazione dei “criteri generali relativi alle caratteristiche delle aree non idonee alla localizzazione degli impianti di smaltimento dei rifiuti” contemplati dall’art. 195, comma 1, lett. p, del d.lgs. 152/06, che non ha trovato attuazione. Il Consiglio di Stato, già nella pronuncia capostipite del 2016, ha sancito che in tale situazione di vuoto normativo di prescrizioni puntuali e di dettaglio, la citata disposizione regolamentare contenuta nel Programma Regionale di Gestione dei Rifiuti, non trova alcuna preclusione.

Il parallelismo con le aree idonee e inidonee in materia di FER è ulteriormente corroborato proprio dalle recentissime pronunce intervenute anche in quel campo, che legittimano l’introduzione a livello regionale di soglie limitative dell’installazione di impianti: così TAR Umbria 615/2023, ma anche TAR Piemonte 808/2023, decise nel valorizzare il concetto della necessità della fissazione di indici massimi di densità, nell’attesa dell’intervento statale.

Per dirla con Prezzolini, in Italia non c’è nulla di più provvisorio del definitivo e nulla di più definitivo del provvisorio.

I criteri localizzativi nella giurisprudenza costituzionale.

Anche i giudici costituzionali sono stati più volte coinvolti nella disamina della competenza, statale o regionale, di regolazione dei criteri localizzativi degli impianti di smaltimento, giungendo a conclusioni del tutto coerenti con quelle ripercorse dalla sentenza in commento.

In particolare, è stato sempre ribadito come i limiti dell’intervento regionale in materia siano riconducibili alla competenza legislativa esclusiva dello Stato (ai sensi dell’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost. e del novellato art. 9) la quale postula che sia apprestata su tutto il territorio nazionale una disciplina unitaria e omogenea che superi gli interessi locali e regionali, mediante la fissazione di «standard minimi di tutela» volti ad assicurare una tutela «adeguata e non riducibile dell’ambiente», «non derogabile dalle Regioni» (Corte Cost. 187/ 2011), neppure se a statuto speciale, o dalle Province autonome (Corte Cost. 234/2010 e 133/ 2012, 215/2018, 272/2020), fatta salva – nell’esercizio delle competenze legislative relative ad altre materie (salute, governo del territorio) – la fissazione di livelli maggiori, che dunque comportano di per sé  il rispetto degli standard statali (Corte Cost. 315/2010).

La pronuncia in commento conclude che l’indice di pressione sia conforme a questo insegnamento, e dunque che esso non introduca una soglia inferiore di tutela ma persegua livelli di tutela più elevati nel legittimo esercizio di una competenza concorrente in materia diversa da quella ambientale, ovvero di tutela della salute ai sensi dell’articolo 117, comma 3, della Costituzione (cfr. Corte Cost. 248/ 2009); contemperando dunque, come chiarito dalla Corte Costituzionale in questi casi, la libera iniziativa economica con le esigenze di una maggiore tutela della salute, del lavoro, dell’ambiente e dei beni culturali, da intendersi in senso sistematico, complessivo e non frazionato, da cui l’infondatezza della censura di straripamento di potere.

Ciò che inoltre il giudice delle leggi ha sempre censurato è l’utilizzo, nella fissazione di criteri localizzativi, dello strumento normativo (Corte Cost. 272/2020) in luogo di quello amministrativo, ritenendo la fonte in contrasto con le previsioni nazionali in quanto è “solo nella sede procedimentale …che può e deve avvenire la valutazione sincronica degli interessi pubblici coinvolti e meritevoli di tutela”, affermando inoltre che detta sede pianificatoria  “è per propria natura devoluta a realizzare una trama unitaria nell’assetto del territorio, ove confluiscono i più vari, e talvolta divergenti, interessi che la legge persegue. Sempre più presente nell’ordinamento, e tipica dell’attività amministrativa, è perciò l’esigenza di raggiungere un punto di sintesi, adottando scelte non frazionate, ma sensibili al contesto di pianificazione al quale vengono a sovrapporsi“.

Similmente è accaduto anche di recente, quando, sempre in materia di discariche, il legislatore regionale si è addentrato nella normazione delle procedure di messa in sicurezza: la legge regionale è stata caducata dalla Corte Costituzionale con la recente sentenza 50/2023, chiarissima nell’ascrivere proprio alla scelta della fonte e ai suoi contenuti la violazione, in peius, della disciplina nazionale in tema[iv].

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Brambilla_commento tar Milano fattore pressione

Per il testo della sentenza (estratto dal sito istituzionale della Giustizia Amministrativa) cliccare sul pdf allegato.

Tar milano n. 2576_2023

NOTE:

[i]E perfettamente logico che una simile soglia debba sussistere (neppure parte appellata si spinge ad affermare che vi possano essere aree nelle quali l’avvenuta compromissione a livello ambientale riscontrata possa non trovare mai limite): la circostanza che nel vuoto regolamentare detta soglia sia stata individuata dalla Regione non appare affatto collidere con il suindicato principio localizzativo generale.”

[ii] Cfr. L’autorizzazione integrata ambientale: l’estensione della vita della discarica non è una modifica sostanziale, dell’Autrice, in questa Rivista, n. 34/2022.

[iii] Si ricorda come con sentenza 8 maggio 2019 la Corte di Giustizia UE, nella causa C-305/18 ha affermato che una normativa nazionale volta a definire un insieme di criteri per l’autorizzazione di progetti avanti ad oggetto lo smaltimento di rifiuti, idonei ad avere un impatto notevole sull’ambiente, rientri nella definizione di “piani e programmi” e dunque debba prevedere un percorso partecipato di VAS.

[iv] La Consulta, in particolare, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale – in riferimento all’art. 117, comma 2, lett. s), Cost. – dell’art. 12, comma 1, lett. a), della legge regionale Lombardia n. 9 del 2022, nella parte in cui ha sostituito il secondo periodo del comma 12 dell’art. 21 della legge regionale Lombardia n. 26 del 2003, prevedendo non più che la messa in sicurezza avrebbe dovuto essere realizzata “secondo i criteri e le modalità previste dal D.Lgs. 36 del 2003”, bensì “in coerenza con gli obiettivi di tutela ambientale, fissati dal D.Lgs. 36 del 2003”, perché, attraverso siffatta formula generica, non è più assicurata l’applicazione automatica dei criteri e delle modalità previsti dal citato D.Lgs. n. 36 del 2003.

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