Responsabilità oggettiva ex art. 2049 c.c. e inquinamento ambientale

27 Lug 2021 | giurisprudenza, amministrativo

di Valentina Brovedani e Micol Saccon

Consiglio di Stato, sezione V, sentenza 23 aprile 2021, n. 3291 – Pres. Maruotti, Est. Sestini.

In caso di sversamento di petrolio, a seguito di incidente stradale tra autocisterne, la responsabilità incombe sui reali responsabili del danno, in linea con il principio “chi inquina, paga”.

Il Sindaco non può, mediante ordinanza contingibile e urgente, estendere la responsabilità del fatto illecito, ai sensi dell’art. 2049 c.c., a soggetti estranei al fatto, trattandosi di ipotesi di responsabilità ai sensi del D.Lgs. 22/1997.

Con la decisione in esame il Consiglio di Stato riforma la sentenza 21 giugno 2014, n. 400 del TAR Basilicata, che dichiarava la legittimità dell’ordinanza contingibile e urgente adottata dal Sindaco del Comune di Viggiano, con la quale, a seguito dello sversamento di circa 25.000 litri di petrolio a causa di un incidente autostradale tra due autocisterne, “estendeva”  la responsabilità del fatto illecito a  AGIP Petroli SpA, ai sensi dell’art. 2049 c.c..

Il Tribunale di prime cure aveva infatti dichiarato infondato il ricorso della società,  e ritenuto la legittimità del provvedimento contingibile e urgente adottato dal Sindaco ai sensi dell’art. 17 del D.Lgs. 22/1997 (allora applicabile).

In particolare, il TAR Basilicata affermava che “qualora i soggetti e gli organi pubblici accertino nell’esercizio delle proprie funzioni istituzionali una situazione di pericolo di inquinamento ne danno comunicazione al Comune che, con propria ordinanza, diffida il responsabile dell’inquinamento ad adottare i necessari interventi di messa in sicurezza d’emergenza, di bonifica e ripristino ambientale” e aggiungeva che, conformemente a quanto previsto dall’art. 17 D.Lgs. 22/1997, il Sindaco ben poteva ampliare la platea di soggetti tenuti a ripristinare lo stato dei luoghi, in applicazione dell’art. 2049 c.c. che, come noto, prevede la responsabilità dei padroni e committenti “per i danni arrecati dal fatto illecito dei loro domestici e commessi nell’esercizio delle incombenze a cui sono adibiti”, in sostanza mediante ricorso ad una figura di responsabilità per fatto altrui.

Il giudice amministrativo motivava tale tesi sul presupposto: a) del principio per cui del danno causato ai terzi deve rispondere chi ricava un vantaggio dal rapporto col preposto, autore dell’illecito, o comunque fa sue le utilità scaturenti dall’attività del preposto, senza che sia necessario individuare  una qualsiasi “culpa in eligendo” o “in vigilando” da parte del padrone o committente; b) del collegamento tra l’attività, le mansioni del preposto e il danno o di natura eziologica o anche solo agevolante il verificarsi di esso; c) del rapporto di preposizione tra padrone o committente, da un lato, e i suoi commessi o domestici, dall’altro, da cui derivi un potere di controllo e di sorveglianza sull’attività del preposto. In particolare, il TAR aveva individuato il rapporto di preposizione nella particolare disciplina negoziale tra AGIP SpA e il vettore.

La singolare posizione del TAR, che sembra dimenticare che si tratta nel caso di specie di un’ipotesi  di responsabilità disciplinata da legge speciale, non è stata condivisa dal Consiglio di Stato.

Il giudice di secondo grado ha infatti accolto l’appello proposto dalla società, (correttamente) ritenendo che il Comune avesse richiamato indebitamente ed erroneamente l’istituto civilistico generale della responsabilità oggettiva del committente ai sensi dell’art. 2049 c.c. – omettendo, tra l’altro, del tutto ogni e qualsiasi riferimento alla disciplina applicabile in materia di contratto di trasporto – per fondare un provvedimento di ripristino e bonifica ambientale ex art. 17 del D.Lgs. 22/1997 che, come noto, presuppone l’accertamento della riconducibilità della responsabilità per aver cagionato l’inquinamento in capo al soggetto obbligato.

E infatti, un tale singolare ampliamento “della platea dei soggetti tenuti, quantomeno sul piano economico” (cfr. sentenza di primo grado citata) alle attività di bonifica e ripristino, comporterebbe un’inammissibile estensione “in via oggettiva” della responsabilità per inquinamento ambientale, in palese violazione dei più basilari e consolidati principi che regolano la responsabilità ambientale in Italia così come in Europa.

Ci pare, quindi, che nonostante la peculiarità della sentenza in esame (ma soprattutto della statuizione del giudice di primo grado), la pronuncia del Consiglio di Stato si ponga del tutto in linea con il principio di matrice europea “chi inquina paga”, secondo cui soltanto l’autore del fenomeno di inquinamento, o di deterioramento dell’ambiente, è tenuto a sostenere i costi volti a contenere o riparare l’inquinamento o il danno ambientale cagionato.

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Cons. stato 3291_2021 19072021 BROVEDANI SACCOM

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Consiglio di Stato 03291_2021

 

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