Responsabilità del produttore dei rifiuti per conferimento a impianto non autorizzato

26 Gen 2021 | giurisprudenza, amministrativo

di Federico Peres

Cons. Stato, Sez. II, 27 novembre 2020, n. 7509 – (Pres. Greco, est. Ciuffetti – Cogne Acciai Speciali S.p.A. (avv.ti Sanino e Vivani) c. Comune di Magliano Sabina (avv.ti Boncompagni e Vespaziani) ed a.

Colui che conferisce i propri rifiuti a soggetti terzi per il loro recupero e lo smaltimento, ha il dovere di accertare che questi ultimi siano debitamente autorizzati allo svolgimento delle operazioni rimanendo altrimenti corresponsabile dell’illecita gestione dei rifiuti.

La responsabilità del produttore non costituisce una responsabilità per l’altrui illecito bensì una responsabilità colposa per violazione di una specifica regola di cautela connessa all’esercizio di attività imprenditoriale.

Il caso deciso dal Consiglio di Stato riguarda un produttore di rifiuti che, nel conferirli a un terzo per sottoporli a recupero, aveva omesso di verificare che il destinatario fosse in possesso della necessaria autorizzazione. Ritenuta la responsabilità del produttore per non avere compiuto in modo completo questa verifica, il Consiglio di Stato ha, di conseguenza, ritenuto legittima l’ordinanza sindacale ex art. 192 d.lgs. n. 152/2006 che gli aveva imposto di rimuovere i rifiuti, di fatto abbandonati presso il terzo, nel frattempo fallito. In buona sostanza, il Consiglio di Stato ha ravvisato il comportamento colposo (che giustifica l’adozione dell’ordinanza ex art. 192 d.lgs. n. 152/2006) nella incompleta verifica condotta dal produttore del rifiuto.

Come noto, le autorizzazioni alle operazioni di recupero e smaltimento possono essere rilasciate in due modi: in regime ordinario quando richiedono un provvedimento espresso dell’Autorità oppure in regime semplificato dove è previsto che, decorsi novanta giorni dalla comunicazione di avvio dell’attività senza osservazioni da parte della P.A., l’autorizzazione si intende rilasciata.

Il caso concreto riguarda questa seconda ipotesi; il produttore dei rifiuti si era, infatti, limitato a verificare che la comunicazione di inizio attività fosse stata spedita dall’aspirante recuperatore e, ottenuta conferma, gli aveva conferito i rifiuti senza però attendere il decorso dei novanta giorni entro i quali la P.A. avrebbe potuto vietare l’avvio.

La vicenda si è consumata nel vigore del d.lgs. n. 22/1997 (cd. decreto Ronchi), ma la sostanza anche oggi, con la disciplina offerta dal d.lgs. n. 152/2006, non muta. Ed invero, per quanto riguarda le operazioni di recupero in regime semplificato, l’art. 216 (art. 33 del decreto Ronchi) stabilisce che «[…] l’esercizio delle operazioni di recupero dei rifiuti può essere intrapreso decorsi novanta giorni dalla comunicazione di inizio di attività alla Provincia territorialmente competente. […] La Provincia, qualora accerti il mancato rispetto delle norme tecniche e delle condizioni di cui al comma 1, dispone, con provvedimento motivato, il divieto di inizio ovvero di prosecuzione dell’attività […]».

Parimenti, sul tema della responsabilità, l’art. 188 (allora art. 10 del decreto Ronchi), a seguito delle modifiche apportate dal d.lgs. n. 116/2020, prevede: «Il produttore iniziale, o altro detentore, di rifiuti provvede al loro trattamento direttamente ovvero mediante l’affidamento ad intermediario, o ad un commerciante o alla loro consegna a un Ente o impresa che effettua le operazioni di trattamento dei rifiuti, o ad un soggetto addetto alla raccolta o al trasporto dei rifiuti, pubblico o privato, nel rispetto della Parte IV del presente decreto […] 4. La consegna dei rifiuti, ai fini del trattamento, dal produttore iniziale o dal detentore ad uno dei soggetti di cui al comma 1, non costituisce esclusione automatica della responsabilità rispetto alle operazioni di effettivo recupero o smaltimento. Al di fuori dei casi di concorso di persone nel fatto illecito e di quanto previsto dal regolamento (Ce) n. 1013/2006, la responsabilità del produttore o del detentore per il recupero o smaltimento dei rifiuti è esclusa nei seguenti casi: a) conferimento dei rifiuti al servizio pubblico di raccolta; b) conferimento dei rifiuti a soggetti autorizzati alle attività di recupero o di smaltimento a condizione che il detentore abbia ricevuto il formulario di cui all’articolo 193 controfirmato e datato in arrivo dal destinatario entro tre mesi dalla data di conferimento dei rifiuti al trasportatore ovvero che alla scadenza di detto termine il produttore o detentore abbia provveduto a dare comunicazione alle autorità competenti della mancata ricezione del formulario […]».

Il dato letterale consente (e consentiva nel vigore del decreto Ronchi) di escludere la responsabilità del produttore dei rifiuti in caso di conferimento a soggetto privato se ricorrono due condizioni: (1) il conferimento avvenga in favore di un soggetto autorizzato alle attività di recupero e smaltimento (2) sia tornata la quarta copia del formulario o il mancato ritorno sia stato segnalato alle Autorità.

La verifica del possesso dell’autorizzazione incombe sul produttore che conferisce i rifiuti. Sotto questo punto di vista, la sentenza del Consiglio di Stato richiama precedenti conformi della Corte di Cassazione sezione terza penale secondo le quali «colui che conferisce i propri rifiuti a soggetti terzi per il recupero o lo smaltimento ha il dovere di accertare che questi ultimi siano debitamente autorizzati allo svolgimento delle operazioni rimanendo altrimenti corresponsabile dell’illecita gestione dei rifiuti (Cass. pen., sez. III, 4 giugno 2013, n. 29727; cfr. Cass. pen., sez. III, 15 aprile 2014, n. 19884, e 20 marzo 2014, n. 13025)». Anche nel vigore del decreto Ronchi questo principio era condiviso in giurisprudenza; si era affermato infatti che «il produttore-detentore di rifiuti speciali non pericolosi […] può, ex articolo 10, d.lgs. n. 22/1997, consegnarli ad altri soggetti ma, in tal caso, ha l’obbligo di controllare che si tratti di soggetti autorizzati alle attività di recupero o smaltimento; ove, per contro, tale doverosa verifica sia omessa, il produttore-detentore risponde a titolo di concorso con il soggetto qualificato (nella specie smaltitore), nella commissione del reato di cui all’art. 51, comma 1, d.lgs. n. 22/1997» (Cass. Pen., Sez. III, 17 aprile 2003, n. 16016; nello stesso senso Cass. Pen., Sez. III, 19 ottobre 2004, n. 40618; Cass. Pen., Sez. III, 25 febbraio 2007, n. 8367; Cass. Pen., Sez. III,11 febbraio 2008, n. 6420; Cass. Pen., Sez. III, 1° marzo 2012 n. 8018[1]).

La sentenza in commento aggiunge poi che «la responsabilità del produttore non costituisce quindi una responsabilità per l’altrui illecito […] ma una responsabilità colposa per violazione di una specifica regola di cautela connessa all’esercizio di attività imprenditoriale. L’estensione della posizione di garanzia a tutti i soggetti coinvolti nel ciclo della gestione dei rifiuti poggia sui principi di responsabilizzazione e di cooperazione di cui agli artt. 178 e 188 del d.lgs. n. 152/2006, sul principio comunitario “chi inquina paga”, di cui all’art. 174, par. 2, del Trattato CE, allo scopo di assicurare un elevato livello di tutela dell’ambiente».

Anche in merito alla c.d. responsabilità condivisa, che trova puntuale attuazione nell’art. 188, la giurisprudenza penale e quella amministrativa convergono. Di recente, infatti, la Corte di Cassazione sezione terza penale ha ricordato che «Deve ritenersi consolidato il c.d. principio della responsabilità condivisa nella gestione dei rifiuti. Ciò comporta che la responsabilità per la corretta gestione dei rifiuti grava su tutti i soggetti coinvolti nella loro produzione, detenzione, trasporto e smaltimento, essendo detti soggetti investiti di una posizione di garanzia in ordine al corretto smaltimento dei rifiuti stessi. Occorre tener conto, infatti, dei principi generali di responsabilizzazione e di cooperazione di tutti i soggetti coinvolti nel ciclo afferente alla gestione dei rifiuti, ai sensi del combinato disposto di cui agli art. 178 e 188, d.lgs. n. 152/2006, e più in generale dei principi dell’ordinamento nazionale e comunitario, con particolare riferimento al principio comunitario “chi inquina paga”, di cui all’art. 174, par. 2, del trattato, e alla necessità di assicurare un elevato livello di tutela dell’ambiente, esigenza su cui si fonda, appunto, l’estensione della posizione di garanzia in capo ai soggetti in questione» (Cass. Pen. sez. III, 14 febbraio 2020 n. 5912).

Quanto infine alla valutazione, nello specifico, del comportamento tenuto dall’appellante-produttore del rifiuto, il Consiglio di Stato condivide «la conclusione cui è pervenuto il Tar nel ravvisare, da parte dell’appellante, una “non sufficiente diligenza nell’attività di controllo sulla sussistenza dei titoli autorizzativi in capo ai soggetti gestori”, dato che l’onere gravante sul produttore dei rifiuti non poteva ritenersi esaurito nella verifica dell’invio alla Provincia di R. della comunicazione della ditta C.U., estendendosi anche alla verifica che il titolo abilitativo si fosse poi regolarmente perfezionato».

Pertanto, in relazione al caso concreto dove – come detto – è mancata la verifica del perfezionamento del titolo abilitativo, la motivazione è senz’altro congrua e condivisibile. Merita invece una riflessione il passaggio nel quale la sentenza, forse solo per rafforzare la conclusione alla quale è giunta, richiama un altro precedente del 1999, sempre della terza sezione penale, di cui riporta il seguente stralcio: «gli adempimenti relativi al controllo dell’autorizzazione del soggetto autorizzato sulle attività di recupero o di smaltimento, alla restituzione del formulario e, in caso di omissione, alla comunicazione della provincia, previsti dal citato precetto, non esauriscono completamente la misura della diligenza richiesta al detentore e/o produttore dei rifiuti» (Cass. Pen., sez. III, 17 dicembre 1999, n. 1767).

L’inciso fa ritenere che la responsabilità del produttore permanga anche nel caso in cui egli abbia adempiuto agli obblighi previsti dall’art. 188. Tuttavia, esaminando la sentenza del 1999, questa affermazione può essere temperata.

In primo luogo il caso affrontato all’epoca si riferiva a un conferimento avvenuto vigente il D.P.R. n. 915/1982. Correttamente quella sentenza ricordava che «Il formulario d’identificazione di cui all’articolo 15 Dlgs cit. [n. 22/1997 n.d.a.] era previsto, nel vigore del Dpr 915/1982 soltanto per i rifiuti tossico nocivi in virtù dell’articolo 18, sicché l’impossibilità di un’applicazione retroattiva di detta speciale causa di esonero della responsabilità, la cui interpretazione analogica in bonam partem non può essere propugnata in considerazione della natura della stessa, deriva dalla presenza di una serie di condizioni inattuabili sotto il vigore del regime preesistente. Tuttavia una simile conclusione non esclude che i presupposti ed i requisiti richiesti dall’articolo 10 del decreto legislativo n. 22 del 1997 e successive modificazioni possano costituire un’indicazione tendenziale dei criteri da seguire in tema di affermazione di corresponsabilità del detentore e/o produttore dei rifiuti destinati allo smaltimento o al reimpiego». In altre parole, la sentenza n. 1767/1999, applicando la normativa vigente al tempo (il d.p.r. 915/1982), non ha ravvisato le condizioni puntuali (oggi invece previste) in presenza delle quali la responsabilità del produttore può essere esclusa.

Sempre la pronuncia del 1999 aggiungeva poi che anche con il sopravvenuto regime (decreto Ronchi) potrebbe configurarsi una responsabilità del produttore nonostante l’assolvimento, da parte sua, degli obblighi imposti dalla legge, infatti «in base ai principi generali in tema di concorso di persone nel reato, le esenzioni di responsabilità previste dall’articolo 10 Dlgs cit. operano solo quando non esista in capo al detentore c/o produttore dei rifiuti un comportamento doloso, che lo renda compartecipe della commissione degli illeciti materialmente realizzati dallo smaltitore […] In definitiva l’articolo 10 in esame escluderà la responsabilità di quei detentori o produttori di rifiuti che si siano affidati a soggetti autorizzati allo smaltimento, abbiano adempiuto alle condizioni indicate in detto precetto e non si siano resi responsabili di comportamenti materiali o psicologici tali da determinare una compartecipazione, anche a livello di semplice istigazione, determinazione, rafforzamento o facilitazione, negli illeciti commessi dai soggetti dediti alla gestione dei rifiuti».

In conclusione, l’assolvimento degli obblighi di cui all’art. 188 esclude la responsabilità del produttore, fatti salvi suoi comportamenti dolosi (inquadrabili, secondo la sentenza n. 1767/1999, anche nella forma del c.d. dolo eventuale).

Resterebbe tuttavia da chiarire, nella pratica, il grado di diligenza che può essere richiesto al produttore nel caso in cui l’autorizzazione dell’impianto finale, sussistente al momento della firma del contratto di appalto, venga meno, in via temporanea (per sospensione) o definitiva (per revoca), durante la fase di esecuzione dello stesso. Da ultimo diverso è il caso dello spirare del termine di legge per la validità delle autorizzazioni; in questo caso è infatti ragionevole ritenere che un produttore/operatore professionale debba conoscere tale scadenza e preoccuparsi, avvicinandosi lo scadere, di ottenere, dall’interessato e dall’Ente competente, conferma del rinnovo.

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PERES

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Note:

[1] In questa Rivista, n. 5/2012 pag. 576 con nota di commento La responsabilità del produttore di rifiuti per culpa in eligendo di Biancamaria Di Lella

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