Responsabilità ambientale degli enti pubblici e degli eredi: due pesi e due misure?

28 Gen 2022 | giurisprudenza, amministrativo

di Eleonora Gregori Ferri

Consiglio di Stato, Sez. IV, 2 dicembre 2021, n. 8032 Pres. Poli, Est. Lamberti – ricorso n.r.g. 3828/2021: S. N.V. (Avv.ti Butti, Manzo, Peres e Balestrieri) c. Città Metropolitana di Torino (Avv.ti Picco e Scaparone) e n.c.d. Comune di Moncalieri (Avv.ti Longhin e Mirabile), Comune di Torino (Avv.ti Colarizi e Lacognata), GTT – S.p.A. (Avv. Scapaticci), C. S.r.l. (Avv. Massaia), A. C. (Avv.ti Crisafulli e Marocco), M.C.B., C.A.M., T.G.B. (Avv. Russo) e altri non costituiti in giudizio; ricorso n.r.g. 4912/2021: M.C.B., C.A.M., T.G.B. (Avv. Russo) c. Comune di Moncalieri (Avv.ti Longhin e Mirabile) e S. N.V. (Avv.ti Butti, Manzo, Peres e Balestrieri) e n.c.d. GTT – S.p.A. (Avv. Scapaticci) e altri non costituiti; ricorso n.r.g. 4928/2021: M.R. e V.R. (Avv. Coscia) c. Comune di Moncalieri (Avv.ti Longhin e Mirabile) e S. N.V. (Avv.ti Butti, Manzo, Peres e Balestrieri) e n.c.d. GTT – S.p.A. (Avv. Scapaticci) e A. C. (Avv.ti Crisafulli e Marocco) e altri non costituiti; ricorso n.r.g. 4968/2021 C.B. (Avv.ti Bottacchi e Mangino) c. Comune di Moncalieri (Avv.ti Longhin e Mirabile) e S. N.V. (Avv.ti Butti, Manzo, Peres e Balestrieri) e n.c.d. GTT – (Avv. Scapaticci) e A. C. (Avv.ti Crisafulli e Marocco) e M.C.B., C.A.M., T.G.B. (Avv. Russo) e altri non costituiti.

L’attività istituzionale di un Ente pubblico, ove si limiti all’esercizio unilaterale di poteri autorizzatori, concessori o ablatori incidenti su attività economiche, commerciali o imprenditoriali espletate o controllate da soggetti terzi, non può essere considerata come una ‘attività professionale’ dalla quale possa potenzialmente derivare una responsabilità per la successiva ed eventuale contaminazione dei luoghi.

Secondo il principio comunitario “chi inquina paga”, se ad inquinare è stato il de cujus, coloro che gli sono subentrati in universum jus sono personalmente tenuti alla bonifica.

Il contenzioso da cui la sentenza in commento è tratto verte sul tema della responsabilità ambientale da contaminazioni storiche e affronta due questioni: da un lato, la possibilità che gli enti pubblici siano riconosciuti come corresponsabili di una contaminazione provocata dall’attività di un operatore privato, in ragione dell’esercizio delle funzioni e dei poteri loro attribuiti; dall’altro lato, la trasmissibilità mortis causa della responsabilità ambientale, dall’operatore privato originario inquinatore, ai suoi eredi.

Le questioni che hanno determinato il contenzioso sono storicamente e processualmente molto complesse; è quindi opportuno ripercorrere in breve i fatti e gli esiti della vicenda.

Oggetto del contendere è l’individuazione della responsabilità della contaminazione riscontrata in un’area di proprietà privata che, tra gli anni ’50 e gli anni ’60, era stata dapprima utilizzata come cava e, successivamente, era stata trasformata, con il consenso del comune, in un deposito di rifiuti. Alla fine degli anni ’60 l’area era stata poi venduta alla società odierna appellante che, a sua volta, l’aveva utilizzata come discarica di rifiuti propri industriali (subendo anche alcuni episodi di scarico incontrollato e non autorizzato), prima di venderla a terzi. Le evidenze della contaminazione delle matrici ambientali – iniziata al tempo in cui l’area era usata come cava, e poi proseguita negli anni in cui la stessa era adibita a deposito di rifiuti industriali – iniziarono a manifestarsi solo nei primi anni 2000, costringendo gli aventi causa della società ad avviare, a titolo di soggetti interessati non responsabili, le necessarie attività di bonifica. Contestualmente all’avvio degli adempimenti per la bonifica seguì anche l’avvio, da parte della città metropolitana, del procedimento ex art. 244 del D. Lgs. n. 152/2006[i] per l’individuazione dei responsabili dell’inquinamento. All’esito dell’istruttoria, la città metropolitana indicò come soggetti responsabili tenuti alla bonifica sia gli originari gestori della cava, che nel frattempo erano deceduti, sia la società che, successivamente, aveva adibito l’area a deposito di rifiuti propri.

Rigettato ogni addebito, la società impugnava il provvedimento che la individuava come responsabile della contaminazione avanti al T.A.R. Piemonte che, pur confermando la sussistenza della responsabilità della ricorrente, disponeva comunque che la città metropolitana dovesse riaprire il procedimento, per indagare l’eventuale sussistenza di ulteriori responsabilità concorrenti di altri soggetti. Tra questi, oltre agli eredi dei gestori della cava – ai quali la responsabilità del de cuius si sarebbe potuta trasmettere unitamente ai benefici economici derivanti dall’eredità ricevuta[ii] – veniva ricompreso anche il comune che aveva autorizzato l’attività di deposito di rifiuti

La sentenza di primo grado veniva poi impugnata avanti il Consiglio di Stato, che ancora una volta confermava la sussistenza della responsabilità in capo alla società ricorrente[iii].

Nelle more del giudizio di secondo grado, però, ottemperando alla sentenza del giudice di prime cure, la città metropolitana aveva nel frattempo parzialmente riaperto il procedimento ex art. 244 cit. ed emanato un nuovo provvedimento, in cui veniva individuato come ulteriore soggetto responsabile della contaminazione il comune, in qualità di ente che aveva autorizzato l’uso dell’area come deposito di rifiuti. Veniva così promosso avanti il T.A.R. Piemonte un nuovo giudizio in cui ricorrevano, da un lato, il comune, che contestava l’ascrizione a proprio carico della responsabilità per la contaminazione dell’area e, dall’altro lato, la società, che riteneva non corretta l’astratta esclusione di responsabilità in capo agli eredi dei gestori originari della cava, fondata sul mero assunto che non vi fossero i presupposti per la trasmissione ereditaria della responsabilità ambientale dei rispettivi de cuius[iv].

Alle censure sollevate dal comune, il Tribunale amministrativo rispondeva accogliendo il ricorso e, dunque, escludendo la corresponsabilità dell’ente nella contaminazione. Ciò in quanto “la disciplina dettata dall’art. 244 del d.lgs. n. 152/2006 si inquadra in un contesto di responsabilità da attività produttive e d’impresa […] e quindi presuppone, […] che i soggetti che vengono a tale titolo chiamati a risponderne lo siano in quanto abbiano svolto in quell’area attività di impresa, produttive o, nei limiti precisati, in quanto proprietari di beni che traggono dagli stessi una utilità economica”. Diversamente, “giammai i soggetti pubblici chiamati al ruolo di rilasciare le eventuali autorizzazioni, effettuare i controlli e, per quanto ad esempio in specifico concerne l’attività di bonifica, gestire la procedura di bonifica stessa” potrebbero essere ritenuti responsabili[v].

Contestualmente, però, il T.A.R. Piemonte accoglieva i motivi di ricorso proposto dalla società con riferimento alla posizione degli eredi degli originari gestori della cava, rispetto ai quali il giudice, contrariamente a quanto affermato dall’amministrazione, riconosceva invece possibile la trasmissione mortis causa della responsabilità ambientale “ex art. 244 del d.lgs. n .152/2006 che, ancorché accertata in epoca successiva, era suscettibile di entrare, quale posta passiva, nell’asse ereditario[vi].

Il T.A.R., dunque, concludeva annullando il provvedimento impugnato, sia nella parte in cui aveva indicato il comune come corresponsabile della contaminazione, sia nella parte in cui aveva escluso la responsabilità degli eredi dei gestori originari della cava, ribadendo però l’onere in capo all’amministrazione che intendesse coinvolgere detti eredi nel procedimento, di identificarli correttamente e di ricostruirne la specifica responsabilità.

Anche questa pronuncia è stata appellata dal comune, dalla società e dagli eredi dei gestori originari della cava avanti il Consiglio di Stato. Si arriva così alla sentenza in commento, nella quale il collegio affronta i due temi di cui si è detto all’inizio, ossia: la possibilità che un ente pubblico possa essere chiamato a rispondere dei danni all’ambiente cagionati dall’esercizio dei proprio poteri di autorizzazione e controllo, e la trasmissibilità mortis causa degli obblighi di bonifica dagli operatori originari inquinatori ai loro eredi, anche nel caso in cui questi ultimi non abbiamo mai avuto alcuna relazione giuridica o di fatto con il terreno o con l’attività esercitata dal proprio de cuius.

Sul primo tema, il Consiglio di Stato aderisce all’interpretazione del giudice di prime cure. Il collegio ribadisce infatti che nessuna responsabilità ambientale in materia di contaminazioni può essere ascritta ad un ente pubblico ai sensi dell’art. 244 cit., “per lo svolgimento di attività che si sostanziano nell’esercizio di poteri autorizzatori, concessori, ablatori et similia, connotati da sostanza meramente giuridica e privi di contenuto operativo”. Lo svolgimento di funzioni istituzionali, quindi, concretizzato nella “spendita di poteri pubblici di carattere provvedimentale tesi ad autorizzare altri all’esercizio od al controllo di tali ‘attività’” è infatti, secondo il Consiglio di Stato, estraneo alla definizione di “attività professionale[vii], quale “elemento potenzialmente generatore di responsabilità per la successiva ed eventuale contaminazione dei luoghi”.

Pertanto, “l’attività istituzionale degli Enti pubblici rientra nella dizione de qua soltanto ove si sostanzi in ‘un’attività economica, commerciale o imprenditoriale’ (si pensi alle imprese pubbliche od agli organismi di diritto pubblico […]), mentre vi sta fuori ove si limiti all’esercizio unilaterale di potere pubblico autoritativo incidente, con effetti ampliativi o restrittivi, sulle attività “economiche, commerciali o imprenditoriali” espletate o controllate da terzi.”

Ribadita la non configurabilità di alcun addebito per la contaminazione dell’area in capo al comune, il Consiglio di Stato affronta quindi la seconda questione, relativa alla trasmissibilità mortis causa della responsabilità ambientale dei gestori originari della cava. Anche su questo punto il giudice conferma la sentenza impugnata, affermando che è possibile che l’erede subentri nella posizione del de cujus in universum jus, senza che rilevi, ai fini della trasmissibilità della responsabilità ambientale del de cuius, la mancanza di un “collegamento” tra l’erede e il terreno o le attività potenzialmente inquinanti condotte sul medesimo. Per cui: “secondo il principio comunitario “chi inquina paga” […] se ad inquinare è stato anche il de cujus […] coloro che gli sono subentrati in universum jus sono personalmente tenuti alla bonifica.”

Con la conseguenza che sarà “dovere della Città Metropolitana di assodare se, in concreto, si configuri una responsabilità in capo agli odierni appellanti [ossia gli eredi dei gestori originari della cava], mediante, tra l’altro, l’individuazione precisa e nominativa degli eredi […], la verifica della sussistenza di eventuali accettazioni con beneficio di inventario, la specificazione della quota di responsabilità del de cujus e, a valle, di ciascun erede, et similia.”

In considerazione di quanto esposto, emerge una differenza sostanziale (e che parrebbe quasi ‘ingiusta’) tra il trattamento che viene riservato agli eredi dei gestori originari della cava – che rischiano di dover rispondere della contaminazione dell’area, pur non avendo alcun collegamento con la stessa, ove non abbiano accettato l’eredità con beneficio d’inventario – e i canoni con cui viene interpretato il contributo del comune all’inquinamento del sito.

Nel caso del comune, infatti, la posizione di potere e le funzioni di autorizzazione e di controllo esercitate dall’ente sembrerebbero essere ragion sufficiente per escluderne la responsabilità, indipendentemente dalla possibilità che un nesso causale effettivamente esista tra la contaminazione dell’area e la condotta dell’ente stesso – che non solo aveva autorizzato il deposito di rifiuti, ma che era anche a conoscenza degli episodi di scarico incontrollato nell’area, che di fatto venivano tollerati.

Diversamente, gli eredi degli originari gestori della cava sono ritenuti potenzialmente responsabili della contaminazione per il solo fatto di essere gli eredi dei soggetti che per primi hanno inquinato, pur non avendo gli eredi stessi compiuto alcuna attività che li possa collegare, anche solo astrattamente, alla contaminazione, e con l’unica speranza di uscirne senza addebiti costituita dall’aver accettato (anni prima di scoprire le condotte inquinanti tenute dai rispettivi de cuius) l’eredità con beneficio di inventario.

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RGA Online_Genn.2022_CdS_8032_2021

Per il testo della sentenza cliccare sul pdf allegato (estratto dal sito di Giustizia Amministrativa).

CdS_8032_2021

[i] Che recita: “1.Le pubbliche amministrazioni che nell’esercizio delle proprie funzioni individuano siti nei quali accertino che i livelli di contaminazione sono superiori ai valori di concentrazione soglia di contaminazione, ne danno comunicazione alla regione, alla provincia e al comune competenti.

  1. La provincia, ricevuta la comunicazione di cui al comma 1, dopo aver svolto le opportune indagini volte ad identificare il responsabile dell’evento di superamento e sentito il comune, diffida con ordinanza motivata il responsabile della potenziale contaminazione a provvedere ai sensi del presente titolo.
  2. L’ordinanza di cui al comma 2 è comunque notificata anche al proprietario del sito ai sensi e per gli effetti dell’articolo 253.
  3. Se il responsabile non sia individuabile o non provveda e non provveda il proprietario del sito né altro soggetto interessato, gli interventi che risultassero necessari ai sensi delle disposizioni di cui al presente titolo sono adottati dall’amministrazione competente in conformità a quanto disposto dall’articolo 250”.

[ii] Sentenza T.A.R. Piemonte, Torino, Sez. I, 9 giugno 2017, n. 717.

[iii] Sentenza Consiglio di Stato, Sez. IV, 7 gennaio 2021, n. 172. Si veda in proposito il commento di E. Gregori Ferri, Obblighi del proprietario responsabile della contaminazione e culpa in vigilando, in questa Rivista, 2021, 18.

[iv] T.A.R. Piemonte, Torino, Sez. I, 31 ottobre 2020, n. 653. Si veda in proposito anche il commento di E. Maschietto, Gli enti locali esenti da responsabilità ambientale e gli eredi no, in questa Rivista, 2020, 16.

[v] In particolare, secondo il T.A.R. l’art. 244 del D. Lgs. n. 152/2006 va contestualizzato nell’ambito della disciplina eurounitaria da cui deriva e che origina in “un contesto di responsabilità da attività produttive e d’impresa” ove “i soggetti che vengono chiamati a rispondere lo [sono] in quanto [hanno] svolto in quell’area attività di impresa […o] in quanto proprietari di beni che traggono dagli stessi una utilità economica”.

Ciò, precisa il T.A.R., è quanto altresì disposto dalla Direttiva 2004/35/CE sulla “responsabilità ambientale in materia di prevenzione e riparazione del danno ambientale”, attuativa del principio “chi inquina paga” (art. 191 TFUE) e corrisponde a quanto sostenuto anche dalla stessa Corte di Giustizia, secondo cui presupposto per l’applicazione del regime di responsabilità è l’individuazione di un operatore – definito ai sensi della Direttiva citata – la cui attività abbia causato un danno ambientale o la minaccia imminente di tale danno. Infatti “persone diverse (…) che non esercitano un’attività professionale, ai sensi (…) di tale direttiva, non rientrano nell’ambito di applicazione della stessa” (sentenza della Corte di Giustizia, Terza Sez., 4 marzo 2015, causa C-534/13).

Pertanto, anche in un’ottica preventivo-precauzionale, secondo il T.A.R.: “Il principio chi inquina paga si correla inscindibilmente alle attività “degli operatori”, proprio per rendere effettiva la sua finalità di internalizzare i costi sociali delle attività dannose dal punto di vista ambientale, e quindi scoraggiarle”. Da cui deriva che “a prescindere dalla natura pubblica o privata del controllo e/o della titolarità dell’attività economica, entrano nel campo di applicazione del principio chi inquina paga, come attuato dalla direttiva, i soggetti che traggono utilità dall’esercizio dell’attività economica inquinante e la esercitano essendo titolari di apposita autorizzazione in materia, giammai i soggetti pubblici chiamati a un diverso ruolo”.

[vi]Sulla trasmissibilità mortis causa dell’onere di bonifica, il T.A.R. evidenzia infatti che recente giurisprudenza ha dato sul punto risposta affermativa (T.A.R. Pescara, Sez. I , 20 marzo 2019, n. 86). Se infatti “la ratio normativa è di far gravare su colui che ha beneficiato economicamente di una attività nociva i costi del ripristino, risulta anche coerente che gli eredi che beneficiano in via successoria dei profitti tratti con tale attività ne sopportino i costi, potendo detti costi sempre essere circoscritti al limite del loro arricchimento con l’accettazione con beneficio di inventario”.

Ne consegue che, essendo esistiti i gestori originari della cava fino all’entrata in vigore del D. Lgs. n. 22/1997, agli stessi è in linea di principio imputabile una responsabilità ex art. 244 cit. che, come tale, era suscettibile di entrare quale posta passiva nell’asse ereditario. Per cui “non è corretta in linea di principio l’astratta esclusione di responsabilità in capo agli eredi (…) affermata con il provvedimento impugnato solo sull’assunto che non vi fossero i presupposti per una trasmissione ereditaria della responsabilità”.

[vii] Ossia: “qualsiasi attività svolta nel corso di un’attività economica, commerciale o imprenditoriale, indipendentemente dal fatto che abbia carattere pubblico o privato o che persegua o meno fini di lucro”.

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