Realizzazione di un deposito incontrollato di rifiuti e obblighi del nuovo titolare del sito #2

02 Giu 2023 | giurisprudenza, penale

Di Vincenzo Paone

CASSAZIONE PENALE, Sez. III – 23 febbraio 2023 (dep. 5 maggio 2023), n. 18917 Pres. Ramacci, Est. Reynaud Ric. B. F.

Qualora, successivamente alla realizzazione di un deposito incontrollato di rifiuti, muti la titolarità dell’area su cui lo stesso è stato realizzato, il nuovo proprietario ha l’obbligo di provvedere alla rimozione dei rifiuti, nel termine previsto dalla normativa in materia, e l’omesso adempimento, contribuendo a protrarre oggettivamente la condizione di irregolarità del deposito, è sufficiente per ravvisare, anche a carico del soggetto subentrato, il reato di cui all’art. 256, comma 2, D.Lgs. n. 152/2006.

  1. Il caso concreto.

La Cassazione, con la sentenza che si riporta, interviene nuovamente su una questione già esaminata in passato e cioè se sia responsabile del reato di deposito incontrollato di rifiuti il soggetto che, subentrando a colui che lo aveva realizzato, non provveda alla rimozione dei rifiuti stessi.

La decisione si presta ad alcune considerazioni per illustrare le quali è necessario, in primo luogo, riassumere la vicenda concreta oggetto di giudizio.

Una società titolare di un’azienda che gestisce un impianto di recupero e smaltimento di rifiuti, pericolosi e non, realizza un deposito incontrollato all’interno del proprio sito. Ad un certo momento, tale società concede l’azienda in affitto ad un’altra società, amministrata dall’imputato, che viene successivamente condannato “per aver effettuato, presso l’unità locale della società da lui rappresentata, un deposito incontrollato di rifiuti speciali, pericolosi e non, di cui aveva il possesso”.

Nel proposto ricorso per cassazione, l’imputato, partendo dalla premessa che il deposito di rifiuti non fosse stato realizzato dalla società da lui amministrata, ma da quella che precedentemente gestiva l’azienda poi concessa in affitto, sosteneva che non aveva posto in essere alcuna condotta attiva di realizzazione del deposito e che, a tutto concedere, il mancato smaltimento dei rifiuti poteva costituire violazione di una specifica prescrizione dell’A.I.A. di cui la sua società era in possesso.

Con altro motivo di ricorso, l’imputato sosteneva che, non avendo la sua società compiuto attività di gestione materiale dei rifiuti, il reato ascritto doveva ritenersi consumato prima ancora che la stessa entrasse in possesso del sito (fatto avvenuto nel 2011) e che, in ogni caso, la permanenza del reato era cessata con il rilascio dell’A.I.A. nel 2013.

La Suprema Corte ha disatteso tutte le censure: in primo luogo, richiamando all’uopo un proprio precedente[1], ha ribadito che, in tema di deposito incontrollato di rifiuti, qualora, successivamente alla sua effettuazione, muti la titolarità dell’area su cui lo stesso è avvenuto, incombe sul nuovo proprietario l’obbligo di rimuovere i rifiuti nel termine previsto dalla normativa in materia, sicché l’omesso compimento di tale attività, contribuendo a protrarre oggettivamente la condizione di irregolarità del deposito, vale ad integrare il reato di cui all’art. 256, comma 2, D.Lgs. n. 152/2006.

Di conseguenza, secondo la Corte, “La protrazione di un deposito incontrollato pur da altri realizzato determina il concorso nel reato del successivo detentore”.

In secondo luogo, la sentenza ha affermato che, alla base della prosecuzione del deposito da parte della società amministrata dall’imputato vi fosse una condotta attiva di gestione dei rifiuti illecitamente depositati, consistita nel loro impiego nel ciclo di trattamento, finalizzato alla produzione di materie prime secondarie. Ha perciò ritenuto che il fatto integrasse un reato permanente e che il dies a quo del termine di prescrizione decorresse dalla pronuncia di primo grado.

  1. La nozione di deposito incontrollato.

Il deposito incontrollato – se commesso dal titolare di un’impresa – è sanzionato dall’art. 256, comma 2, D.Lgs. n. 152/2006 che, come è noto, punisce anche altri comportamenti e cioè l’abbandono e l’immissione nelle acque superficiali o sotterranee. Se è pacifico che basta porre in essere l’una o l’altra condotta per consumare il reato, sul piano ontologico occorre mettere in evidenza le differenze tra abbandono e deposito[2], altrimenti la previsione da parte del legislatore delle due condotte risulta completamente inutile.

Orbene, l’abbandono è l’atto mediante il quale il rifiuto è definitivamente rilasciato dal suo detentore nell’ambiente, in qualsiasi modo ciò avvenga. Il fatto si caratterizza per l’episodicità ed occasionalità del comportamento perché, se fosse accertata la ripetitività degli atti di scarico dei rifiuti, è ravvisabile il reato di discarica punito dall’art. 256, comma 3, D.Lgs. n. 152/2006.

La fattispecie del deposito incontrollato consiste invece in un’attività “temporanea” di collocazione/ammasso di rifiuti in un certo luogo sotto il controllo del detentore in attesa del compimento di ulteriori operazioni da svolgersi su di essi. Il fattore «tempo» è dunque rilevante per riempire di significato pregnante il concetto di deposito incontrollato. In assenza di indicazioni normative sul punto, si dovrà considerare un tempo di attesa ragionevole[3], decorso il quale la situazione di fatto, identificabile nella mancata asportazione dei rifiuti, si qualifica non già come un deposito, ma come un abbandono definitivo.

Anche la fattispecie del deposito incontrollato, al pari dell’abbandono, si caratterizza per la sua occasionalità: pensiamo, ad esempio, al caso in cui il titolare dell’impresa, per un’improvvisa e sopravvenuta necessità, collochi provvisoriamente un quantitativo dei propri rifiuti in luogo diverso da quello in cui sono prodotti. Se l’evenienza è del tutto isolata, il fatto rientra nello schema del deposito incontrollato, ma se il sito è occupato in pianta stabile, funzionalmente all’esigenze durature dell’impresa, si è di fronte ad un vero e proprio stoccaggio per il quale è richiesta l’autorizzazione[4].

Per riassumere, nell’abbandono il detentore si disinteressa completamente della sorte dell’oggetto scaricato che resta definitivamente nell’ambiente; nel deposito il soggetto agisce con la prospettiva di ammassare i rifiuti in via provvisoria in vista dell’esecuzione di successive operazioni di smaltimento o recupero.

Una breve parentesi per ricordare la funzione selettiva del termine “incontrollato” utilizzato dal legislatore: l’interpretazione più sostenibile è che la punibilità del deposito sia subordinata all’attuazione dello stesso con modalità irregolari.  Pertanto, si può ragionevolmente sostenere che il reato è integrato quando la detenzione dei rifiuti avvenga con “modalità irregolari” e cioè senza il rispetto delle fondamentali prescrizioni e cautele da osservarsi per la salvaguardia della salute e dell’ambiente.

Alla luce di quanto esposto, la consumazione del reato di cui al comma 2 dell’art. 256 D.Lgs. n. 152/2006 presenta profili differenti. È fuori discussione che l’abbandono dei rifiuti costituisca un reato istantaneo con eventuali effetti permanenti. Alla stessa conclusione si deve pervenire se il deposito incontrollato assume, fin dall’inizio, o comunque dopo un tempo di attesa ragionevole, la conformazione di un rilascio definitivo del rifiuto nell’ambiente.

Diversa è l’ipotesi in cui l’attività di deposito incontrollato di rifiuti sia prodromica ad una successiva fase di smaltimento o di recupero. In tale ipotesi, la fattispecie di deposito incontrollato ha natura di reato permanente e la condotta illecita perdura fintanto che non vengano a cessare le situazioni che la integrano e cioè regolarizzazione delle modalità di tenuta del deposito, rimozione dei rifiuti, anche ad opera di terzi, compimento delle fasi di recupero o smaltimento dei medesimi[5].

  1. Sulla responsabilità del nuovo proprietario del sito occupato dai rifiuti.

Una volta ricostruita la nozione di deposito incontrollato, possiamo porci una questione preliminare: l’attività realizzata dalla prima società era effettivamente di deposito incontrollato o doveva essere qualificata in altro modo e segnatamente come un abbandono di rifiuti sul suolo?

La sentenza nulla riferisce sulle ragioni di carattere transitorio che avevano determinato l’impresa ad ammassare i rifiuti irregolarmente e sulle modalità di effettuazione di detto deposito. Il fatto che essa svolgesse attività di recupero e smaltimento di rifiuti apre anche alla prospettiva che i rifiuti potessero essere stati stoccati in loco per successive operazioni aziendali, nel qual caso, però, più che un deposito incontrollato, l’attività avrebbe integrato un deposito preliminare o una messa in riserva (attività previste dall’art. 183, comma 1, lett. aa), D.Lgs. n. 152/2006, soggette a specifica autorizzazione). Tuttavia, in assenza di indicazioni specifiche, non possiamo che prendere atto della qualificazione della condotta come operata dal P.M. prima e dai Giudici di merito poi.

Parimenti, può escludersi che il deposito attuato nel caso in esame fosse di tipo “temporaneo” (art. 185 bis D.Lgs. n. 152/2006): è vero che la Cassazione sostiene che i rifiuti andavano rimossi “nel termine previsto dalla normativa in materia” e ciò potrebbe far pensare all’ipotesi del deposito temporaneo (per il quale la normativa stabilisce tassative scadenze per l’asportazione dei rifiuti), ma senza precisi riferimenti a questo istituto non si può contestare la qualificazione della condotta come di deposito incontrollato.

Ciò posto, la circostanza che, all’atto della cessione dell’azienda, la situazione del deposito non si fosse evoluta, giustifica l’idea che il deposito, fin dall’inizio, si atteggiasse quale rilascio definitivo del rifiuto nell’ambiente. In ogni caso, con la cessione dell’azienda, è venuta meno la disponibilità del sito da parte della prima società, sicché il reato a carico del suo legale rappresentante è necessariamente cessato in quel momento per l’impossibilità materiale e giuridica di provvedere all’asportazione dei materiali[6].

Un primo punto, allora, va segnalato: sostenere che, quando la società gestita dall’imputato ha acquisito il possesso del compendio aziendale, compresi i rifiuti ammassati illecitamente in precedenza, abbia concorso nel reato di cui all’art. 256, comma 2, D.Lgs. n. 152/2006, quale “successivo detentore” dei rifiuti, non è condivisibile perché, al più, la seconda società, protraendo il deposito incontrollato da altri realizzato, può aver commesso un autonomo illecito, ma non poteva concorrere nel reato altrui già cessato.

Questo primo rilievo, tuttavia, non è risolutivo perché, a prescindere dal titolo di attribuzione del reato (concorso in quello della precedente società oppure commissione di una nuova inosservanza), occorre confrontarsi con le conclusioni cui è approdata la Suprema Corte: infatti, la sentenza, per giustificare la responsabilità dell’imputato, ha sostenuto, da un lato, che la società subentrante non avesse provveduto alla rimozione dei rifiuti, dall’altro lato, che l’impiego dei rifiuti nel proprio ciclo di lavorazione, per l’ottenimento di materie prime secondarie, costituisse una condotta attiva di gestione dei rifiuti illecitamente depositati, capace quindi di dar vita ad una responsabilità autonoma rispetto a quella del soggetto che aveva in passato provveduto a stoccare i rifiuti.

Esaminiamo subito questa ultima affermazione. È, infatti, discutibile che l’attività sopra sintetizzata rappresentasse una condotta attiva volta a mantenere i rifiuti in deposito con modalità non conformi alla legge. La società gestita dall’imputato non ha provveduto a “movimentare” i rifiuti ammassati (ad es., mediante cernita, modificazione volumetrica), ma si è limitata a prelevare, dal magazzino ove erano stati lasciati in deposito dal precedente titolare, i rifiuti che, nella propria attività di impresa, erano la “materia prima”.

Perciò, se tale attività non integrava una gestione attiva del deposito incontrollato, il reato, sotto questo primo profilo, non poteva essere ascritto anche alla società subentrante.

Passando all’altra affermazione, e cioè che incombe sul nuovo proprietario del sito l’obbligo di rimuovere i rifiuti, pena la protrazione della condizione di illegalità del deposito, va notato che il precedente, citato nella sentenza che si riporta, a sua volta aveva menzionato una risalente pronuncia (Corte Cass. pen., Sez. III, 6 novembre 2007, n. 1187) per sostenere il suddetto principio.

In realtà, alla sentenza n. 1187/2007 non è possibile attribuire alcuna portata generale. In quella occasione, infatti, la fattispecie contestata era quella del deposito temporaneo e l’imputato era stato dichiarato responsabile per non aver smaltito i rifiuti entro il limite temporale trimestrale fissato dall’art. 6, lett. m), D.Lgs. n. 22/1997; tuttavia, la Cassazione aveva anche precisato che “qualora nell’arco del trimestre successivo all’avvenuto deposito venga a mutare il titolare dell’azienda interessata, incombendo direttamente su quest’ultima l’obbligo di rimozione dei rifiuti nel termine indicato dalla norma di riferimento, deve necessariamente farsi carico il nuovo titolare della rimozione nel termine richiesto”. Perciò, sulla scorta di questa premessa, la sentenza aveva stabilito che, in caso di omissione, anche il soggetto subentrante nella gestione dell’impresa risponde del reato in quanto con la sua condotta ha effettivamente determinato la condizione di irregolarità del deposito.

A questo punto, appare quindi evidente che il principio dettato nella sentenza n. 1187/2007 valga solo per l’ipotesi del deposito temporaneo nella cui disciplina, come abbiamo già detto, è prevista la scadenza temporale entro cui il produttore dei rifiuti, o il successivo detentore, subentrato nella stessa attività e quindi gravato degli stessi adempimenti, deve provvedere all’allontanamento dei rifiuti.

Ma, al di fuori della prospettata situazione, nella quale una precisa fonte legale detta l’obbligo di agire rivolto anche al titolare dell’impresa che subentra nella detenzione dei rifiuti quando il termine trimestrale non è ancora spirato, vale invece il principio, consolidato nella giurisprudenza di legittimità, secondo cui il proprietario di un terreno non risponde del reato di realizzazione e gestione di discarica – e analogamente del reato di cui all’art. 256, comma  2, T.U.A. – soltanto sulla base del proprio comportamento omissivo/inerte (consistente nella mancata rimozione dei rifiuti) perché,  nel nostro sistema penale, a norma dell’art. 40, comma 2, c.p., una condotta omissiva può dare luogo a responsabilità solo quando il soggetto abbia l’obbligo giuridico di impedire l’evento, obbligo che nella specie non è previsto da alcuna norma giuridica[7].

In conclusione, suscita perplessità l’orientamento che sta prendendo piede in Cassazione e perciò ci auguriamo che, in futuro, si possa registrare un ripensamento della tesi qui analizzata.

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V. Paone, deposito incontrollato di rifiuti (giugno 2023)

Per il testo della sentenza (estratto dal sito istituzionale della Giustizia Amministrativa) cliccare sul pdf allegato.

Cass. III, 18917_2023 (paone)

NOTE:

[1] Corte Cass. pen., Sez. III, 7 maggio 2021, n. 29578.

[2] È bene chiarire che non consideriamo separatamente la condotta di immissione di rifiuti perché si risolve comunque in una modalità di abbandono definitivo nel corpo ricettore e non in un deposito che, come diremo, è caratterizzato dalla sua «reversibilità».

[3] Il rischio di un’eccessiva indeterminatezza del suggerito criterio può essere evitato ricercando tutti gli indici probatori significativi che dimostrino la condizione di effettiva temporaneità dell’accumulo dei rifiuti, e cioè l’esistenza di un iniziale «progetto» di allontanamento del rifiuto. Va però fatto presente che, nella quasi totalità dei casi approdati all’esame della Suprema Corte, non si trattava di valutare la liceità di depositi «provvisori», realizzati con modalità non conformi alle regole di cautela ambientale, ma si trattava di situazioni in cui i rifiuti risultavano definitivamente rilasciati sul sito.

[4] In proposito, Corte Cass. pen, Sez. III, 6 ottobre 2021, n. 42426, in questa Rivista, Numero 28 – Gennaio 2022, con nota di F. Procopio, Rifiuti: la Cassazione sull’idoneità dei luoghi in cui avviene la gestione, ha chiarito che l’attività di stoccaggio di rifiuti effettuata utilizzando, seppure per un tempo limitato, continuativamente la stessa area, allocandovi altri rifiuti una volta rimossi quelli precedentemente depositati, integra la contravvenzione di cui all’art. 256, D.Lgs. n. 152/2006 se svolta in assenza di autorizzazione.

[5] In proposito, Corte Cass. pen., Sez. III, 13 gennaio 2022, n. 8088,  in Foro it., 2022,  II, 323, con nota di V. Paone (in tema di consumazione del reato di deposito incontrollato di rifiuti) che ha concluso che, ogni qualvolta l’attività di deposito incontrollato di rifiuti sia prodromica ad una successiva fase di smaltimento o di recupero del rifiuto, caratterizzandosi come una forma, per quanto elementare, di gestione del rifiuto, la relativa illiceità penale permea di sé l’intera condotta (quindi sia la fase prodromica che quella successiva), integrando, pertanto, una fattispecie penale di durata, la cui permanenza cessa soltanto con il compimento delle fasi ulteriori rispetto a quella di deposito con le conseguenze a livello di decorrenza del termine prescrizionale; nel caso in cui, invece, l’attività non costituisca l’antecedente di una successiva fase volta al compimento di ulteriori operazioni, ma racchiuda in sé l’intero disvalore penale della condotta, non vi è ragione di ritenere che essa sia idonea ad integrare un reato permanente in quanto, essendosi il reato pienamente perfezionato ed esaurito in tutte le sue componenti oggettive e soggettive, risulterebbe del tutto irragionevole non considerarne oramai cristallizzati i profili dinamici fin dal momento del rilascio del rifiuto; v. anche Corte Cass. pen., Sez. III, 24 maggio 2022, n. 32305, in questa Rivista, Numero 38 – Gennaio 2023, con nota di A. Puccio – F Tomasello, Deposito incontrollato di rifiuti: la Cassazione torna a pronunciarsi sulla natura del reato.

[6] In questo senso, v. Corte Cass. pen., Sez. III, 15 giugno 2021, n. 43090, in  Ambiente e sviluppo,  2022, 51 (la permanenza del reato di deposito di rifiuti è interrotta, fra l’altro, dall’adozione di un provvedimento di sequestro che sottragga al gestore la disponibilità dell’area ove sono collocati i rifiuti; il fatto che il contravventore sia rimasto sostanzialmente nella materiale disponibilità dell’area, chiedendo all’autorità giudiziaria la temporanea rimozione dei sigilli con la giustificazione di procedere alla rimozione dei rifiuti, apre una nuova fase del reato di deposito abusivo di rifiuti avendo il gestore proseguito nella loro movimentazione).

Da ultimo, in una fattispecie in cui i rifiuti erano stati prodotti nel 2016 e il titolare dell’impresa aveva lasciato l’immobile in cui i rifiuti erano stati rinvenuti, perdendo così del tutto la disponibilità del sito, Corte Cass. pen., Sez. III, 21 febbraio 2023, n. 16354, ha ritenuto che la condotta realizzata, anche a volerla ritenere integrante il reato di deposito incontrollato, non era prodromica al successivo recupero o smaltimento dei rifiuti, e, comunque, si era interrotta per la perdita della disponibilità del sito da parte dell’imputato con i relativi riflessi in punto prescrizione del reato.

[7] Tra le tante, da ultimo, Corte Cass. pen., Sez. III, 8 febbraio 2019, n. 13606.