Quando il deposito di rifiuti integra la fattispecie di realizzazione e gestione di una discarica abusiva

04 Ago 2022 | giurisprudenza, penale, altro

di Andrea Ranghino

CASSAZIONE PENALE, Sez. III – 28 aprile 2022 (dep. 30 maggio 2022), n. 21029 – Pres. Di Nicola, Est. Galterio– ric. Duca

Integra la contravvenzione di cui all’art. 256, comma 3, D.Lgs. n. 152/2006, e non quelle di cui ai primi due commi della medesima norma incriminatrice, la condotta del titolare di un’azienda zootecnica che, in modo più o meno sistematico e in via definitiva, sversi le deiezioni degli animali su una porzione determinata della propria azienda determinandone il degrado.

  1. Il caso

La Corte di Cassazione è tornata a pronunciarsi sul tema della gestione dei rifiuti nell’ambito di una vicenda in cui al titolare di un’azienda zootecnica, esercente l’allevamento di animali, si contestava, ai sensi dell’art. 256, comma 3, D.Lgs. n. 152/2006, di aver realizzato una discarica abusiva, contenente le deiezioni degli animali, su una porzione del terreno adibito a sede della propria azienda e, ai sensi del primo comma della medesima norma, di aver abbandonato una vecchia auto fuori uso, verosimilmente, su altra porzione del medesimo terreno.

Dopo essere stato condannato in primo e secondo grado, l’imputato chiedeva alla Corte di Cassazione, anzitutto, di rimediare a un errore nell’applicazione della legge penale riqualificando il fatto contestato ai sensi del citato art. 256, comma 3 in una delle fattispecie previste dai primi due commi della stessa norma. A sostegno di tale richiesta si evidenziava la natura omogenea e non pericolosa dei rifiuti, costituiti dalle deiezioni degli animali, nonché la mancanza di una attività di gestione della discarica e delle condizioni di degrado dello stato dei luoghi.

Il ricorrente, inoltre, contestava l’estensione dell’area della presunta discarica e la durata della condotta qualificata come penalmente rilevante trattandosi di circostanze la cui sussistenza non poteva essere desunta dalle prove assunte in istruttoria.

Con un secondo motivo, inoltre, l’imputato lamentava la violazione di legge con riferimento agli artt. 255 e 256 D.Lgs. n. 152/2006 e il vizio di motivazione, poiché l’auto rinvenuta sul terreno era stata qualificata come rifiuto senza verificare se, all’esito di un intervento di pulizia e manutenzione, avrebbe ancora potuto funzionare. Sotto altro profilo si osservava, poi, che la condotta di abbandono dell’auto non poteva essere ricondotta ad alcuna delle ipotesi di cui all’art. 256, comma 1, D.Lgs. n. 152/2006, essendo le stesse tutte caratterizzate da un’attività di gestione. Semmai, siccome l’auto non atteneva all’attività di allevamento di animali svolta dal ricorrente, nel luogo del rinvenimento della stessa non vi era traccia di raccolta di altri veicoli e si trattava di condotta occasionale, si sarebbe potuta ritenere integrata la fattispecie di cui all’art. 255 D.Lgs. n. 152/2006, che, come noto, punisce con la sanzione amministrativa il privato che abbandona episodicamente un proprio rifiuto trasportandolo nel luogo ove verrà abbandonato.

Il ricorrente articolava, infine, tre ulteriori motivi su cui, tuttavia, non si ritiene di doversi soffermare atteso che riguardano il trattamento sanzionatorio o la mancata concessione della sospensione condizionale della pena.

  1. La decisione

Individuate le questioni giuridiche rilevanti, è ora possibile ricostruire l’iter argomentativo che ha condotto la Corte di Cassazione a ritenere l’inammissibilità del primo motivo di ricorso e la manifesta infondatezza del secondo.

Andiamo con ordine. Il Giudice di legittimità, anzitutto, ha ritenuto di non poter accogliere la richiesta di riqualificare i fatti contestati ai sensi dell’art. 256, comma 3, D.Lgs. n. 152/2006 in una delle fattispecie previste dai primi due commi della norma appena citata.

Il ragionamento che sta alla base di tale decisione prende spunto dalla definizione giuridica di discarica prevista dall’art. 2, comma 1, D.Lgs. n. 36/2003. Ai sensi di tale norma la discarica è un’area adibita a smantellamento dei rifiuti mediante operazioni di deposito sul suolo o nel suolo, compresa la zona interna al luogo di produzione dei rifiuti adibita allo smaltimento dei medesimi da parte del produttore degli stessi, nonché qualsiasi area ove i rifiuti sono sottoposti a deposito temporaneo per più di un anno. Non rientrano, invece, nella definizione di discarica gli impianti in cui i rifiuti sono scaricati al fine di essere preparati per il successivo trasporto in un impianto di recupero, trattamento o smaltimento, e lo stoccaggio di rifiuti in attesa di recupero o trattamento per un periodo inferiore a tre anni, come norma generale, o lo stoccaggio di rifiuti in attesa di smaltimento per un periodo inferiore a un anno.

Dopo aver rilevato che, grazie all’indicazione del dato temporale, la norma in esame consente di distinguere la discarica da altre attività di gestione, la Corte di Cassazione ha ricordato come, proprio muovendo dalla definizione di discarica, si fosse consolidato un orientamento giurisprudenziale univoco, secondo cui per l’integrazione del reato di cui all’art. 256, comma 3, D.Lgs. n. 152/2006 era necessario l’accumulo di rifiuti, per effetto di una condotta ripetuta, in una determinata area, trasformata di fatto in deposito o ricettacolo con tendenziale carattere di definitività, in considerazione delle quantità considerevoli degli stessi e dello spazio occupato[i].

Ne consegue, a differenza di quanto sostenuto dal ricorrente, che né l’eterogeneità, né la natura pericolosa dei rifiuti sono elementi costitutivi della fattispecie in esame, la cui sussistenza dipende, invece, dall’accumulo, più o meno sistematico, ma comunque non occasionale, di rifiuti in un’area determinata, la definitività del loro abbandono, l’estensione dell’area in tal modo occupata e il degrado, quantomeno tendenziale, dello stato dei luoghi per effetto della presenza dei materiali in questione.

Il Giudice di legittimità ha osservato che nel caso di specie l’effettiva sussistenza degli elementi costitutivi del reato contestato era stata accertata e ciò con particolare riferimento all’estensione dell’area e alla ripetitività della condotta. Di conseguenza, sempre seguendo il ragionamento della Corte, non era possibile ricondurre il fatto al semplice abbandono di rifiuti, attività la cui natura occasionale e discontinua si differenzia rispetto a quella organizzata o, comunque, abituale di discarica, contraddistinta dalla ripetitività nel tempo delle attività di sversamento e del conseguente accumulo dei relativi materiali sull’area[ii].

La Corte di Cassazione ha concluso l’esame del primo motivo di ricorso rilevando che anche la mancanza di attività di gestione della discarica, intesa come insieme degli adempimenti prodromici o successivi allo sversamento di rifiuti, è del tutto irrilevante, atteso che la norma incriminatrice punisce la sola realizzazione di una discarica non autorizzata.

Anche nell’affrontare il secondo motivo di ricorso il Giudice di legittimità è partito da una norma dal contenuto definitorio, ossia l’art. 183, comma 1, lett. a), D.Lgs. n. 152/2006, secondo cui è rifiuto qualsiasi sostanza o oggetto che rientra nelle categorie riportate nell’allegato A alla parte quarta del medesimo decreto e di cui il detentore si disfi o abbia deciso o abbia l’obbligo di disfarsi.

Ne deriva, prosegue la Corte, che la possibilità di qualificare un bene o una sostanza come rifiuto non dipende dalle intenzioni dell’agente, ma, secondo un criterio oggettivo, dalla destinazione naturale del bene all’abbandono, circostanza che, nel caso concreto, il giudice di secondo grado aveva desunto da elementi concreti, su tutti, il fatto che l’auto fosse stata interrata.

A sostegno della propria valutazione la Corte di Cassazione ha citato anche l’art. 3, comma 1, lett. b), D.Lgs. n. 209/2003[iii], richiamato dall’art. 231 D.Lgs. n. 152/2006, secondo cui quello “fuori uso” è un veicolo a fine vita, che costituisce un rifiuto ai sensi dell’art. 6 D.Lgs. n. 22/1997. Il successivo comma 2, inoltre, precisa che un veicolo è classificato come fuori uso, tra l’altro, se, ancorché giacente in area privata, risulta in evidente stato di abbandono.

Per tali ragioni, il Giudice di legittimità non ha tenuto conto delle potenzialità del veicolo a seguito di un eventuale intervento di manutenzione, ritenendo più che sufficienti gli elementi sintomatici dello stato e della volontà di abbandono del mezzo, comprovati dalla documentazione fotografica in atti.

Infine, per respingere la richiesta di riqualificare la condotta di abbandono del veicolo nell’illecito amministrativo di cui all’art. 255 D.Lgs. n. 152/2006 la Corte di Cassazione ha ritenuto sufficiente rilevare che l’imputato fosse titolare di un’azienda zootecnica, atteso che il deposito occasionale di rifiuti può integrare un mero illecito amministrativo solo se si tratta di un’attività episodica, svolta da soggetti non titolari di imprese né responsabili di enti che effettuano una delle attività di cui all’art. 256, comma 1, D.Lgs. n. 152 del 2006. Diversamente, osserva il Giudice di legittimità, si configura una gestione non autorizzata di rifiuti, comunque rientrante, come il trasporto, tra le condotte sanzionate dalla norma da ultimo richiamata.

Nel caso in esame si erano create le condizioni ideali per mettere in luce quali sono le differenze tra le fattispecie contravvenzionali di cui ai primi tre commi dell’art. 256[iv] D.Lgs. n. 152/2006 e per ricalcarne i rispettivi perimetri applicativi. L’impressione è che la Corte di Cassazione avrebbe potuto sfruttare meglio questa occasione.

Nel rispondere al primo motivo di ricorso, infatti, il Giudice di legittimità pare essersi concentrato, in modo quasi esclusivo, sul rapporto tra le fattispecie di cui al secondo e al terzo comma dell’art. 256 D.Lgs. n. 152/2006 arrivando a concludere che, attesi i caratteri di abitualità, ripetitività e organizzazione nel tempo, la condotta contestata all’imputato non poteva essere sussunta nella fattispecie di abbandono di rifiuti, notoriamente rivolta ad attività occasionali e discontinue.

Nella sentenza in commento, invece, non si spiega in modo altrettanto esaustivo perché la condotta in contestazione non avrebbe potuto essere riqualificata nella contravvenzione di cui al primo comma del citato art. 256, come richiesto nel ricorso. Su questo specifico aspetto la Corte di Cassazione sembra essersi limitata a rilevare superficialmente, da un lato, che l’indicazione del dato temporale contenuta nell’art. 2, comma 1, lett. g), D.Lgs. n. 36/2002 consente di distinguere la discarica dalle altre attività di gestione; dall’altro, che l’accumulo di deiezioni, nel caso di specie, risultava da fotografie scattate nell’arco di diversi anni. Come a dire, qui siamo in presenza di un deposito che dura da più di un anno, quindi, si tratta necessariamente di una discarica.

A parere di chi scrive, tali rilievi – tra l’altro meramente incidentali e sprovvisti di un’apprezzabile connessione sotto il profilo logico – argomentativo – non chiariscono in modo sufficientemente chiaro perché la condotta contestata all’imputato poteva essere ricondotta esclusivamente alla fattispecie di cui al terzo comma dell’art. 256 D.Lgs. n. 152/2006 e non anche a quella prevista dal primo comma.

Anzitutto, perché il limite annuale previsto dal citato art. 2, comma 1, lett. g), non sembra effettivamente decisivo per distinguere la realizzazione di una discarica dall’attività di gestione dei rifiuti. In presenza di tutti gli altri elementi sintomatici, infatti, un deposito potrebbe essere considerato “discarica” anche prima del decorso del termine di un anno dall’inizio dell’accumulo dei rifiuti[v]. Inoltre, perché evidenziare i caratteri di abitualità, ripetitività e, soprattutto, organizzazione dell’attività realizzata dall’imputato non basta per escludere la configurabilità del reato di cui primo comma dell’art. 256 trattandosi di modalità della condotta, di certo, non sono incompatibili con la fattispecie da ultimo richiamata[vi].

La Corte, allora, per rendere più compiuto il proprio ragionamento, avrebbe potuto aggiungere che mentre per l’integrazione del reato di discarica abusiva i beni devono essere abbandonati mediante deposito e ammasso senza ricevere alcun trattamento ulteriore, la fattispecie tipizzata dal primo comma dell’art. 256 D.Lgs. n. 152/2006 richiede che i rifiuti siano interamente sfruttati a scopo di profitto e con specifiche modalità[vii], circostanza pacificamente insussistente nel nostro caso. Questa precisazione, magari tanto ovvia da essere stata ritenuta superflua, avrebbe avuto il pregio di rendere più nitida la linea di demarcazione delle fattispecie in esame, ma anche tra due concetti, la discarica e lo smaltimento, che, a prima vista, potrebbero presentare profili di somiglianza[viii].

Anche la motivazione con cui è stato rigettato il secondo motivo di ricorso non appare del tutto soddisfacente nella parte in cui si riconduce l’abbandono dell’auto fuori uso alla fattispecie prevista dall’art. 256, comma 1, D.Lgs. n. 152/2006. Semplificando, qui la Corte sembra dire: l’illecito amministrativo di cui all’art. 255 D.Lgs. n. 152/2006 sussiste solo in caso di deposito occasionale realizzato da un privato, diversamente, siamo in presenza di una gestione non autorizzata di rifiuti rientrante nella fattispecie di cui all’art. 256, comma 1, D.Lgs. n. 152/2006.

Il passaggio appare eccessivamente frettoloso e non perfettamente aderente alle specificità del caso di specie.

La premessa è che, con ogni probabilità, sarebbe stato sufficiente illustrare le ragioni ostative alla derubricazione del fatto nell’illecito amministrativo di cui all’art. 255, D.Lgs n. 152/2006, essendo questa la richiesta del ricorrente. Tuttavia, nel momento in cui si è deciso di compiere un passo in più e di prendere posizione sulla qualificazione giuridica della condotta contestata, allora, si ritiene che l’iter argomentativo avrebbe dovuto essere necessariamente più articolato.

In particolare, dopo aver evidenziato che la qualifica soggettiva dell’imputato impediva di ritenere configurata la fattispecie di mero rilievo amministrativo, il Giudice di legittimità, proprio in ragione di tale qualifica, si sarebbe dovuto chiedere, anzitutto, se non si potesse ritenere integrato il reato di cui al secondo comma dell’art. 256, che, come noto, punisce le stesse condotte sanzionate dall’art. 255 D.Lgs. n. 152/2006 quando a realizzarle sono i titolari delle imprese o i responsabili degli enti[ix]. In altri, termini, prima di ritenere corretta la qualificazione ai sensi dell’art. 256, comma 1, D.Lgs. n. 152/2006, si sarebbe dovuto fare un passaggio ulteriore e verificare se, alla luce di quanto emerso nei gradi di merito, la condotta dell’imputato fosse stata occasionale e finalizzata a disfarsi completamente della cosa ovvero se l’intento fosse quello di conservare il bene per poi compiere sullo stesso una successiva attività di riutilizzo o smaltimento[x].

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Per il testo della sentenza (estratto dal sito istituzionale della Giustizia Amministrativa) cliccare sul pdf allegato.

Cass. III, 21029_2022

NOTE

[i] Nella sentenza si richiamano: Corte Cass. pen., Sez. III, 16 marzo 2016, n. 18399 e Corte Cass. pen., Sez. III, 13 novembre 2013, n. 47501.

[ii] Nella sentenza si richiama Corte Cass. pen., Sez. III, 15 aprile 2004, n. 25463.

[iii] Attuazione della direttiva 2000/53/CE relativa ai veicoli fuori uso.

[iv] Sugli elementi costitutivi della fattispecie di cui all’art. 256, comma 3, D.Lgs. n. 152/2006 si veda E. Fassi, Discarica abusiva e confisca obbligatoria del sito. la irrilevanza ai fini della esclusione della misura delle condotte riparatorie del reo, in questa Rivista, 26 luglio 2021.

[v] A riguardo si veda, in dottrina, F. Barresi, Attività di gestione di rifiuti non autorizzata, in Il nuovo diritto penale dell’ambiente, L. Cornacchia, N. Pisani (diretto da), Torino, 2018, p. 548, secondo cui il limite annuale previsto dall’art. art. 2, co. 1, lett. g), D.Lgs. n. 36/2002 per la conversione del deposito temporaneo in discarica non sembra potersi interpretare quale requisito indefettibile e a carattere generale per la configurabilità del reato di discarica abusiva, giacché quest’ultimo potrà ritenersi integrato – in presenza dei requisiti e degli elementi caratteristici di cui sopra – anche laddove le relative condotte si siano protratte per un periodo inferiore. Nello stesso senso si veda anche P. Fimiani, La tutela penale dell’ambiente: i reati e le sanzioni, il sistema delle responsabilità, le indagini, il processo e la difesa, Milano, 2015, p. 477.

[vi] Si veda Corte Cass. pen., Sez. III, 17 dicembre 2014, n. 5933, in cui si afferma che il reato di cui all’art. 256, co. 1, D.Lgs. 152/2006 «è configurabile anche con riferimento alle condotte di raccolta e di trasporto esercitate in forma ambulante e con una minima organizzazione». Si vedano anche Corte Cass. pen., Sez. III, 5 febbraio 2021, n. 13817; Corte Cass. pen., Sez. III, 10 febbraio 2021, n. 15028; Corte Cass. pen., Sez. III, 4 luglio 2017, n. 36819; Corte Cass. pen., Sez. III, 11 febbraio 2016, n. 8193; Corte Cass. pen., Sez. III, 21 ottobre 2010, n. 42436.

[vii] Si veda Corte Cass. pen., Sez. III, 13 novembre 2013, n. 47501, in cui si è sottolineata la differenza tra i concetti di discarica e di smaltimento, attività che, pur avendo in comune talune operazioni (quali il conferimento dei materiali e la loro deposito), si differenziano radicalmente: nello smaltimento i rifiuti vengono interamente sfruttati a scopo di profitto con specifiche modalità (cernita, trasformazione, utilizzo e riciclo previo recupero), nella discarica, invece, i beni non ricevono alcun trattamento ulteriore e vengono abbandonati a tempo indeterminato, mediante deposito ed ammasso.

[viii] A riguardo si veda, in dottrina, F. Barresi, Attività di gestione di rifiuti non autorizzata, cit., p. 547.

[ix] Si veda, tra le altre, Corte Cass. pen., Sez. III, 23 gennaio 2020, n. 15234, in cui si rileva che «in tema di gestione dei rifiuti, il reato cui all’art. 256, comma 2, d.lg. n. 152 del 2006, pur avendo in comune con l’illecito amministrativo previsto dall’art. 255, comma 1, del medesimo d.lg. le condotte di abbandono, deposito incontrollato e immissione, si trova con tale ultima norma in rapporto di specialità in ragione delle peculiari qualifiche soggettive rivestite dai suoi destinatari che possono essere solo i titolari di imprese o i responsabili di enti».

[x] Si veda a riguardo Corte Cass. pen., Sez. III, n. 47501 cit., in cui si osserva che «la volontà che sottende all’abbandono è sostanzialmente diretta a disfarsi ed a disinteressarsi completamente della cosa, mentre quella relativa alla raccolta è diretta a conservare i materiali per poter poi compiere sugli stessi una attività successiva, sia di riutilizzo o di smaltimento». In dottrina si veda C. Ruga Riva, Diritto Penale dell’Ambiente, Torino, 2016, p. 154, secondo cui l’abbandono potrà sussistere solo «in presenza di condotte incompatibili con una qualsiasi delle forme di legittima gestione» dei rifiuti.

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