Presupposti ambientali per la variante semplificata produttiva

20 Giu 2021 | giurisprudenza, amministrativo

di Matteo Ceruti

Consiglio di Stato, Sez. II – 12 aprile 2021, n. 2941 – Pres. Castriota Scanderbeg, Est. Altavista – Comune di M (Avv. S. Filippetti) c. E.G. s.p.a. (Avv.ti A. Calzolaio, Carassai e Anelli) e nei confronti di Regione Marche (n.c.) 

L’art. 5 del D.P.R. 447 del 1998 prevede(va) la convocazione della conferenza di servizi per la variante urbanistica produttiva qualora “il progetto sia conforme alle norme vigenti in materia ambientale, sanitaria e di sicurezza del lavoro”, configurando quindi tali aspetti come preliminari alla decisione del Consiglio comunale sulla proposta di variante in termini di presupposto generale della sua decisione. Nell’esercizio della propria discrezionalità pianificatoria, il consiglio comunale può valutare tutte le circostanze relative alla vicinanza di un’industria insalubre all’abitato, tenuto anche conto che l’art. 216 del TULS riferisce la valutazione ad un concetto di “lontananza dalle abitazioni”, spiccatamente duttile avuto riguardo, in particolare, alla tipologia di industria di cui concretamente si tratta.

Con la decisione in esame il Consiglio di Stato ha riformato la sentenza di primo grado del TAR Marche che aveva annullato una delibera di consiglio comunale di rigetto della richiesta variante dello strumento urbanistico con lo speciale procedimento dell’art. 5 D.P.R. n. 447/1998 (delle c.d. “varianti semplificate produttive”) onde consentire l’insediamento di un’industria insalubre di prima classe (nel caso di specie: un impianto di lavorazione della gomma sintetica per la produzione di suole per calzature, che prevedeva l’utilizzo di solventi), vietata in quell’area del territorio comunale dalle vigenti norme tecniche del piano regolatore.

La motivazione della pronuncia si concentra dapprima sul presupposto fondante il diniego comunale della mancata pronuncia di valutazione ambientale strategica sulla variante urbanistica da parte della Provincia, ritenuta competente sulla base dell’allora “nuovo” testo del d.lgs. n. 152/2006, introdotto nel 2008, oltreché della disciplina legislativa regionale.

In proposito il giudice amministrativo d’appello perviene ad affermare la correttezza dell’attribuzione all’ente provinciale della competenza a pronunciarsi sulla VAS della variante urbanistica. Il tutto sulla base di un’analisi delle disposizioni transitorie del c.d. “secondo correttivo” al Codice dell’ambiente di cui alla legge n. 4 del 2008 sulle procedure di VAS (e di VIA), intrecciata con l’esegesi della legislazione regionale marchigiana e della disciplina di semplificazione delle varianti urbanistiche per la realizzazione degli impianti produttivi di cui al DPR n. 447/1998 (che sarà abrogato e sostituito dal DPR n. 160/2010 recante il “Regolamento per la semplificazione ed il riordino della disciplina sullo sportello unico per le attività produttive”)[i].

È l’occasione per il Consiglio di Stato di ribadire l’orientamento già affermato per cui, premesso che secondo l’insegnamento del giudice costituzionale l’appartenenza alla competenza esclusiva dello Stato della materia relativa alla “tutela dell’ambiente”, a mente dell’art. 117, comma 2, lettera s), Cost., non impedisce che con tale competenza possano interferire anche prerogative regionali in diverse materie, quale quella del “governo del territorio” ai sensi del comma 3 del medesimo articolo, un tale sovrapporsi di competenze legislative statali e regionali diviene “pressoché inevitabile in un settore quale è quello della V.A.S., che chiama in causa la potestà di pianificazione del territorio” (così Cons. Stato n. 133/2011). E ne trae quindi il corollario per cui nel caso specifico il giudice di primo grado aveva dunque erroneamente ritenuto di poter disapplicare la legge regionale, che appunto prevedeva la competenza della Provincia per la VAS in caso di variante urbanistica.

Di indiscutibile interesse è poi il passaggio motivazionale della decisione in cui si afferma la legittimità della deliberazione con cui il Consiglio comunale aveva ritenuto che non vi fossero i presupposti per procedere all’approvazione della variante urbanistica, non essendo stato completato il procedimento presupposto con riferimento alla verifica di conformità alla normativa in materia ambientale.

In sentenza infatti si precisa che l’art. 5 del D.P.R. n. 447 del 1998, poiché prevede(va) la convocazione della conferenza di servizi per la variante urbanistica produttiva qualora “il progetto sia conforme alle norme vigenti in materia ambientale, sanitaria e di sicurezza del lavoro”, configurava tali aspetti come preliminari alla decisione del Consiglio comunale sulla proposta di variante in termini di “presupposto generale della sua decisione”.

Si soggiunge significativamente poi che il parere dell’ARPA su emissioni, piano di gestione solventi e idoneità impianti di abbattimento, non poteva in alcun modo essere qualificato in termini di silenzio assenso in ragione della preclusione desumibile degli artt. 14 quater, 17 e 20 della l. n. 241/1990 per cui in nessun caso il parere dell’Agenzia per regionale per l’ambiente avrebbe potuto essere sostituito dal silenzio significativo di assenso.

L’ultimo contenuto motivazionale della decisione in commento è invece riservato all’ampiezza della potestà discrezionale dell’organo assembleare in occasione della procedura di variante semplificata, con specifico riferimento alle varianti funzionali all’insediamento di industrie insalubri. In proposito i giudici amministrativi ribadiscono principi alquanto consolidati per cui:

  1. a) il consiglio comunale nell’approvazione della variante conserva integri i poteri di pianificazione urbanistica, potendo quindi, nell’esercizio della propria discrezionalità, approvare o meno la proposta di variante della conferenza di servizi che non è vincolante;
  2. b) neppure la richiesta del privato di ampliare od insediare un impianto industriale con la speciale procedura dell’art. 5 del D.P.R. n. 447 del 1998 consente di ipotizzare un’abdicazione dell’amministrazione locale alla sua istituzionale potestà pianificatoria, sì da rendere l’approvazione della variante pressoché obbligatoria, restando al contrario integra per l’organo consiliare la possibilità di discostarsi motivatamente dalla determinazione iniziale adottata;
  3. c) dunque, nell’esercizio della propria discrezionalità pianificatoria, il consiglio comunale può valutare tutte le circostanze relative alla vicinanza di un’industria insalubre all’abitato, tenuto anche conto che l’art. 216 del TULS riferisce la valutazione ad un concetto di “lontananza dalle abitazioni”, spiccatamente duttile avuto riguardo, in particolare, alla tipologia di industria di cui concretamente si tratta.

Un tale esito giurisdizionale appare d’altronde in linea con un’interpretazione della disciplina delle industrie insalubri orientata al principio eurounitario di precauzione.[ii]

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CdS 12 aprile 2021

Note

[i] Vds. ora l’art. 8 del DPR 160/2010 (Raccordi procedimentali con strumenti urbanistici) secondo cui:

  1. Nei comuni in cui lo strumento urbanistico non individua aree destinate all’insediamento di impianti produttivi o individua aree insufficienti, fatta salva l’applicazione della relativa disciplina regionale, l’interessato può richiedere al responsabile del SUAP la convocazione della conferenza di servizi di cui agli articoli da 14 a 14-quinquies della legge 7 agosto 1990, n. 241, e alle altre normative di settore, in seduta pubblica. Qualora l’esito della conferenza di servizi comporti la variazione dello strumento urbanistico, ove sussista l’assenso della Regione espresso in quella  sede, il verbale è trasmesso al Sindaco ovvero al Presidente del Consiglio comunale, ove esistente, che lo sottopone alla votazione del Consiglio nella prima seduta utile. Gli interventi relativi al progetto, approvato secondo le modalità previste dal presente comma, sono avviati e conclusi dal richiedente secondo le modalità previste all’articolo 15 del testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di edilizia, di cui al d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380.
  2. E’ facoltà degli interessati chiedere tramite il SUAP all’ufficio comunale competente per materia di pronunciarsi entro trenta giorni sulla conformità, allo stato degli atti, dei progetti preliminari dai medesimi sottoposti al suo parere con i vigenti strumenti di pianificazione paesaggistica, territoriale e urbanistica, senza che ciò pregiudichi la definizione dell’eventuale successivo procedimento; in caso di pronuncia favorevole il responsabile del SUAP dispone per il seguito immediato del procedimento con riduzione della metà dei termini previsti.
  3. Sono escluse dall’applicazione del presente articolo le procedure afferenti alle strutture di vendita di cui agli articoli 8 e 9 del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 114, o alle relative norme regionali di settore.

[ii] Cfr. M. TOGNON, L’interpretazione delle disposizioni in tema di industrie insalubri orientata al principio eurounitario di precauzione offre un rinnovato strumento di tutela di interessi costituzionalmente protetti, in Rivista giuridica dell’ambiente, n. 4/2020, 849 ss.

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