Corte di cassazione, Sez. VI, Ord., 5 marzo 2024, (dep. 6 giugno 2024), n. 22935
La Cassazione, rilevando l’esistenza di un contrasto ermeneutico che necessita di un intervento risolutivo, torna sul tema della ripartizione del profitto confiscabile nel caso di pluralità di concorrenti nel reato, investendo della questione le Sezioni Unite.
1. Premessa.
Lo strumento della confisca (e invero, come si vedrà, ciò vale anche per il sequestro ad essa finalizzato) è stato a più riprese oggetto di un ampio dibattito, sia giurisprudenziale che dottrinale, che ha riguardato molteplici aspetti, con implicazioni pratiche non di poco momento.
Si pensi, ad esempio, alle conseguenze applicative derivanti dalle modalità di determinazione del profitto confiscabile oppure, per quanto ci occupa, dalla quantificazione della quota di profitto oggetto di ablazione “per equivalente” nel caso in cui più soggetti concorrano nel medesimo reato.
La Sesta Sezione della Cassazione, pertanto, coglie l’occasione per affrontare tale annosa questione e, anticipando di non condividere la tesi solidaristica di cui si dirà nel prosieguo, in quanto non rispettosa della funzione retributiva e del principio di proporzionalità della pena, interpella le Sezioni Unite al fine di fare chiarezza sui criteri applicativi della misura in questione nei confronti dei vari compartecipi al reato.
Dopo aver passato in rassegna gli orientamenti sino ad oggi formatisi sul punto, demanda, dunque, alla Suprema Corte nella sua massima composizione, la seguente questione di diritto: “se, in caso di pluralità di concorrenti nel reato, la confisca per equivalente del relativo profitto possa essere disposta per l’intero nei confronti di ciascuno di essi, indipendentemente da quanto da ognuno eventualmente percepito, oppure se ciò possa disporsi soltanto quando non sia possibile stabilire con certezza la porzione di profitto incamerata da ognuno; od ancora se, in quest’ultimo caso, la confisca debba comunque essere ripartita tra i concorrenti, in base al grado di responsabilità di ognuno oppure in parti eguali, secondo la disciplina civilistica delle obbligazioni solidali”.
2. L’ordinanza di rimessione alle Sezioni Unite e lo stato dell’arte della giurisprudenza di legittimità.
Occorre, in primo luogo, ripercorrere i passaggi che hanno spinto la Cassazione ad interrogare le Sezioni Unite.
L’ordinanza prende le mosse dal ricorso avverso una sentenza di patteggiamento emessa dal Giudice per le indagini preliminari di Venezia, riguardante il reato di associazione per delinquere finalizzata alla corruzione tra privati, nonché altri “reati – scopo” della medesima indole, con il quale si rileva una scorretta applicazione della misura della confisca del profitto.
Nello specifico, la sentenza impugnata applica nei confronti di uno dei concorrenti la misura della confisca diretta del profitto del reato e, in caso di liquidità insufficiente, ordina che si proceda all’ablazione “per equivalente”; nei confronti dell’altro compartecipe dispone, invece, la confisca per equivalente del profitto dei reati al medesimo ascritti.
La sentenza del Gip richiama nella motivazione alcuni principi supportati dalla giurisprudenza di legittimità, statuendo che, qualora la confisca ricada su somme di denaro, debba sempre essere qualificata come diretta (e non per equivalente) e che laddove più soggetti concorrano nel medesimo reato, tale misura “può essere disposta nei confronti di ciascuno di essi, nella misura del profitto da ognuno effettivamente conseguito, soltanto ove quest’ultima emerga con chiarezza dalle risultanze probatorie”. Solo qualora non sia possibile stabilire le quote di profitto incamerate da ciascun concorrente si procede alla confisca per equivalente, la quale “può essere disposta indifferentemente nei confronti di ognuno dei concorrenti, anche per l’intera entità del profitto del reato complessivamente accertato”.
Uno dei ricorrenti, in primo luogo, lamenta la carenza di un adeguato accertamento in ordine alla ripartizione del profitto tra gli imputati, che, se fosse stato compiuto, avrebbe comportato l’applicabilità della confisca diretta e non “per equivalente” nei suoi confronti.
In secondo luogo, censura l’applicazione del principio solidaristico effettuata nel caso di specie, rilevando come sul punto sussista un contrasto giurisprudenziale in tema di ripartizione della quota di profitto confiscabile “per equivalente”.
Il ricorrente afferma infatti che, alla luce di alcuni recenti approdi della giurisprudenza di legittimità, nonché di quella costituzionale e convenzionale, anche nei casi in cui non sia “possibile individuare specificamente la quota di profitto attribuibile a ciascun concorrente nel reato, la confisca per equivalente possa essere applicata nei confronti di ognuno di essi, ma pur sempre nel rispetto dei canoni di solidarietà interna tra costoro: vale a dire in misura proporzionale al grado di responsabilità del singolo concorrente e, qualora questo non sia determinabile, in parti uguali”; diversamente opinando, si opererebbe in contrasto con i principi di proporzionalità delle sanzioni e di divieto di responsabilità per fatto altrui.
La Suprema Corte, a fronte di tale doglianza, ritiene che il ricorso possa essere deciso soltanto dopo la risoluzione del contrasto ermeneutico sorto in seno alla giurisprudenza di legittimità e relativo, appunto, all’eventuale ripartizione tra i concorrenti nel reato dell’ammontare del profitto nel caso di confisca per equivalente.
Più precisamente, occorre chiarire se: i) la misura possa aggredire i beni di un soggetto senza avere riguardo al suo effettivo conseguimento del profitto o di una quota dello stesso; oppure, ii) se debba farsi ricorso alla “ablazione indifferenziata” solo allorquando la quota di profitto conseguita da ciascun concorrente non sia individuata o individuabile; o, ancora, iii) se di tale ultimo rimedio non possa mai essere fatta applicazione e, in tal caso, secondo quale criterio debba avvenire la ripartizione[1].
Prima di rivolgersi alle Sezioni Unite per la risoluzione del contrasto interpretativo, la Sesta Sezione, come si è anticipato, passa in rassegna i tre macro–orientamenti ad oggi coesistenti nella giurisprudenza di legittimità.
In primo luogo, occorre rammentare che sul tema le Sezioni Unite stesse si erano già espresse con la nota pronuncia “Fisia Impianti”[2], “schierandosi” a favore dell’applicazione del principio solidaristico.
Secondo le Sezioni Unite, infatti, il profitto illecito in sede di confisca perderebbe la propria individualità, comportando che la misura possa “interessare indifferentemente ciascuno dei concorrenti anche per l’intera entità del profitto accertato”[3]; ciò in quanto il profitto non viene più ricollegato all’arricchimento dei compartecipi, bensì alla “corresponsabilità di tutti nella commissione dell’illecito, senza che rilevi il riparto del relativo onere tra i concorrenti, che costituisce fatto interno a questi ultimi”.
Nella pronuncia stessa, tuttavia, si dà conto dell’esistenza di un altro orientamento (definito solo “apparentemente contrastante”), secondo il quale, nel caso di più indagati (la questione all’attenzione della Corte riguardava la misura cautelare del sequestro), il sequestro preventivo ai fini di confisca per equivalente non può eccedere la quota di profitto attribuibile a ciascun compartecipe, laddove questa sia individuata o individuabile.
Ciononostante, la tesi solidaristica propugnata dalla sentenza “Fisia Impianti” è stata accolta con favore da gran parte della giurisprudenza di legittimità, che ne ha fatto applicazione anche negli anni successivi, sia con riferimento alla confisca per equivalente, sia rispetto al sequestro preventivo ad essa finalizzato[4].
Tale orientamento, sottolinea la Cassazione, sarebbe giustificato dall’inquadramento della confisca per equivalente tra le misure dotate di carattere sanzionatorio, come tale applicabile indistintamente nei confronti di tutti i compartecipi, a prescindere dall’effettiva quota di profitto singolarmente conseguita, secondo la teoria monistica che permea la disciplina del concorso di persone nel reato. Ciò giustificherebbe la rispondenza di tale modalità al principio di proporzionalità dell’interferenza dello Stato sul diritto di proprietà privata.
Un orientamento (parzialmente) diverso generatosi in seno alla Cassazione, pur prendendo le mosse da quanto statuito dalla pronuncia appena esaminata, ritiene applicabile il principio solidaristico esclusivamente nei casi in cui non sia possibile individuare la quota di profitto attribuibile a ciascun compartecipe. Ditalché, ove questa sia invece determinabile, la misura troverà applicazione in maniera differenziata a seconda di quanto da ciascuno conseguito[5].
Si è fatto strada, da ultimo, un terzo orientamento (che si discosta da quelli appena descritti) secondo il quale bisognerebbe sempre procedersi alla ripartizione del quantum confiscabile tra i vari compartecipi, anche qualora non sia possibile individuare la quota di profitto ottenuta dai singoli. Tuttavia, nelle varie pronunce che si pongono nel medesimo solco, vi è disaccordo in merito al criterio da adottare per la ripartizione: secondo alcune, infatti, bisognerebbe riferirsi alla disciplina civilistica della solidarietà delle obbligazioni, procedendo ad una suddivisione “in parti eguali”[6]; secondo altre, invece, il riferimento sarebbe piuttosto al “grado di responsabilità” di ciascun compartecipe, nonché al “grado di partecipazione al profitto”[7].
Dinanzi a siffatto panorama giurisprudenziale, la Sesta Sezione della Cassazione si “preoccupa” della vincolatività del principio di diritto espresso dalla sentenza “Fisia Impianti”, in quanto non ritiene condivisibile un’applicazione incondizionata della tesi solidaristica, propendendo per il secondo orientamento qui esaminato, che la “recupera” in via residuale, nei soli casi sopra indicati.
E allora la Sezione semplice – di fronte a tale palese incertezza applicativa – si interroga in merito alla portata vincolante del principio di diritto affermato dalle Sezioni Unite del 2008, chiedendosi, in particolar modo, se la vincolatività delle statuizioni del Supremo Consesso debba intendersi soltanto con riguardo alla questione di diritto devoluta con l’ordinanza di rimessione a suo tempo adottata, oppure se, ai sensi dell’art. 618, comma 1bis c.p.p., debba estendersi a “qualsiasi principio affermato nelle sentenze delle Sezioni Unite”, con l’unica esclusione degli obiter dicta.
Ciò diventa dirimente con riguardo al caso di specie, dal momento che la questione di diritto rivolta alle Sezioni Unite nella vicenda “Fisia Impianti” riguardava esclusivamente l’identificazione della nozione di profitto confiscabile, ex art. 19 D.Lgs. n. 231/2001, non riferendosi, dunque, direttamente alle modalità di ripartizione dei beni (o delle somme) oggetto di misura ablatoria, circostanza, questa, estranea rispetto all’ordinanza di rimessione.
Per tale ragione, la Sezione semplice ritiene necessario rimettere la questione alle Sezioni Unite nei termini esposti in apertura.
La Cassazione nella sua massima composizione sarà dunque chiamata a tracciare importanti direttrici in tema di criteri applicativi della misura ablatoria della confisca per equivalente, nonché rispetto alla misura cautelare reale del sequestro preventivo finalizzato all’adozione della misura ablatoria, dal momento che le medesime considerazioni sono ad esso estendibili.
3. Conclusioni
Come correttamente sottolineato dalla Corte di Cassazione la portata pratica correlata alla risoluzione della questione è particolarmente rilevante solo se si considera come l’istituto della confisca riporti ad oggi un’ampia diffusione applicativa, anche in ragione dell’estensione del catalogo di reati che lo prevedono.
L’orientamento espresso dalle Sezioni Unite nella vicenda “Fisia Impianti” parrebbe ad oggi “superato” in considerazione degli approdi dottrinali e, soprattutto, giurisprudenziali (nazionali e sovranazionali) che classificano la confisca per equivalente quale misura sanzionatoria, provvista di forte carica afflittiva nella sfera giuridica dell’interessato[8].
Ed è proprio la natura sanzionatoria di tale istituto che non consente di condividere l’approccio solidaristico adottato dalle Sezioni Unite sopra citate e fatto proprio successivamente anche da una parte della giurisprudenza di legittimità.
Come è stato, infatti, correttamente posto in luce dall’Osservatorio Misure Patrimoniali e di Prevenzione dell’Unione delle Camere Penali Italiane in una nota pubblicata proprio in occasione della rimessione alle Sezioni Unite della questione oggetto di commento[9], la teoria monistica del concorso di persone nel reato, utilizzata – in maniera del tutto equivoca – dalla giurisprudenza per fondare il ricorso al principio solidaristico è, tuttavia, priva di pregio se si qualifica l’ablazione “per equivalente” quale rimedio sanzionatorio.
Anche nella disciplina del concorso di persone nel medesimo reato, infatti, la sanzione che viene applicata a ciascun compartecipe viene modulata, secondo i criteri di cui all’art. 133 c.p., senza che sia necessariamente comminata la medesima sanzione a tutti i concorrenti.
Da ciò deriva che il quantum confiscabile “per equivalente” al singolo compartecipe debba più correttamente identificarsi con l’effettivo ammontare da questi ricavato dalla commissione del reato.
L’auspicio è che le Sezioni Unite della Cassazione, nel mettere un punto a tale contrasto ermeneutico, adottino un principio di diritto maggiormente rispettoso dei principi espressi in materia sia a livello nazionale che sovranazionale.
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NOTE:
[1] La Cassazione precisa che tali questioni si pongono con le medesime modalità anche rispetto al sequestro preventivo, ex art. 321, comma 2, c.p.p., in funzione di confisca. Anzi, il tema dell’eventuale ripartizione risulta essere ancor più decisivo se si considera che vi è un orientamento che, per riprendere le parole dell’ordinanza, “ritiene che il sequestro ad essa funzionale possa essere sempre disposto per l’intero nei confronti anche di uno solo di essi, dal momento che solo la misura definitiva presenta una natura sanzionatoria, non potendo perciò essa prescindere dal riparto tra i compartecipi dell’azione criminosa, sempre che sia possibile” (Cass. pen., Sez. VI, 20 gennaio 2021, n. 4727).
[2] Cass. pen., Sez. Un., 27 marzo 2008, n. 26654.
[3] Cass. pen., Sez. VI, ord., 5 marzo 2024, n. 22935, p. 6.
[4] A titolo esemplificativo e senza pretese di esaustività, si ricordano Cass. pen., sez. II, sent., 24 novembre 2020, n. 9102; Cass. pen., sez. V, sent., 20 ottobre 2020, n. 36069; Cass. pen., sez. VI, sent., 10 aprile 2018, n. 26621.
[5] Si riportano alcuni riferimenti giurisprudenziali a pronunce che hanno sposato tale orientamento: Cass. pen., sez. III, sent., 6 marzo 2024, n. 11617; Cass. pen., sez. VI, sent., 10 giugno 2022, n. 33757; Cass. pen., sez. VI, sent., 21 ottobre 2020, n. 6607.
[6] Cass. pen., sez. I, sent., 16 novembre 2016, n. 4902.
[7] Cass. pen., sez. VI, sent., 20 gennaio 2021, n. 4727.
[8] Per una più approfondita (e critica) disamina circa la natura dell’istituto della confisca per equivalente, che necessariamente presenta ripercussioni anche sul piano delle garanzie costituzionali e convenzionali ad esso applicabili, si rimanda a S. Finocchiaro, Riflessioni sulla quantificazione del profitto e sulla natura giuridica della confisca diretta e per equivalente, in Sistema Penale, settembre 2020, p. 24 e 33 ss.
Sulla natura della confisca per equivalente si veda anche A.M. Maugeri, La nozione di profitto confiscabile e la natura della confisca: due inestricabili e sempre irrisolte questioni, in Legislazione penale, gennaio 2023.
[9] Il riferimento è alla nota del 26 giugno 2024, pubblicata sul sito dell’Unione delle Camere Penali Italiane dall’Osservatorio sopra citato, dal titolo “E’ stata rimessa alle Sezioni Unite la questione se la confisca per equivalente possa essere disposta per l’intero profitto in capo a ciascuno dei concorrenti nel reato”, disponibile al seguente link https://www.camerepenali.it/public/file/Oss_Misure_Patrimoniali_e_Prevenzione/009_2024-06-26_Oss_Misure_Patrimoniali_nota-a-ordinanza-22935_24.pdf