Attività organizzate per il traffico illecito di rifiuti e competenza territoriale: verso un punto fermo della Cassazione?

01 Lug 2024 | giurisprudenza, penale

Cassazione Penale, Sez. III – 14 dicembre 2023 (dep. 19 marzo 2024), n. 11400

La Cassazione torna nuovamente sul tema della individuazione del giudice naturale competente per il delitto di cui all’art. 452 quaterdecies c.p., dando continuità all’orientamento che, valorizzando la articolata struttura della fattispecie di reato, distingue tra il luogo di perfezionamento del reato rispetto al luogo di consumazione del medesimo.

1. Premessa.

L’individuazione del giudice naturale competente per la decisione rispetto al delitto di attività organizzate per il traffico illecito di rifiuti – come noto punito dall’art. 452 quaterdecies c.p. – risulta tematica sempre foriera di nuovi spunti e dibattito giurisprudenziale.

La ondivaga interpretazione dei formanti costitutivi del reato risulta sostenuta da una infelice formulazione del precetto, aperto a (dis)orientamenti rispetto alla tematica in commento, che soltanto di recente paiono consolidatisi in quella che è la tesi accolta, e ribadita nella pronuncia della Cassazione, dalla giurisprudenza di legittimità.

Lo spunto per tornare sul tema, nel caso concreto, è stato quello della rimessione alla Suprema Corte della questione afferente al perimetro applicativo del nuovo istituto del rinvio pregiudiziale alla Cassazione per dirimere la questione della competenza per territorio ex art. 24 bis c.p.p.[i].

Nel caso specifico, infatti, di fronte ad una potenziale pluralità di Fori competenti, il Tribunale di Treviso (avanti al quale in quel momento risultava pendente il procedimento), rispetto ad una questione di competenza territoriale proposta da uno dei soggetti imputati diretta ad individuare la competenza per il delitto di cui trattasi avanti a diversa A.G., non condividendone le declinazioni, si determinava a rimettere la questione alla Cassazione, sulla base della disciplina di cui all’istituto previsto dall’art. 24 bis c.p.p.

La Corte, nel dichiarare inammissibile la rimessione effettata dalla A.G. del merito[ii], decide in ogni caso di esaminare la questione riferita alla competenza per territorio nel caso concreto, riguardante la contestazione di attività organizzate per il traffico illecito di rifiuti.

2. Cenni al caso concreto sottoposto alla Cassazione.

Questi in breve i fatti.

I soggetti imputati per il reato di cui all’art. 452 quaterdecies cp, attraverso le società rispettivamente rappresentate, avevano – secondo la tesi accusatoria – posto in essere condotte integranti il delitto cennato gestendo ingenti quantitativi di rifiuti (nello specifico, indumenti usati, classificati con codice CER 20.01.10), attività invece di spettanza del solo soggetto pubblico e concessionario del servizio di raccolta, salvi specifici accordi con i privati interessati.

Nello specifico, l’imputato che aveva sollevato la questione di (in)competenza territoriale della A.G. trevigiana, la cui società ha sede legale nella provincia di Padova, avrebbe provveduto alla raccolta dei materiali classificati come rifiuti con la propria organizzazione aziendale nell’ambito provinciale di Treviso, stoccandoli poi presso la propria sede operativa (sempre allocata in Padova), non autorizzata per tale specifica fase di gestione, provvedendo successivamente, in assenza di rapporto contrattuale con il concessionario del servizio di raccolta, alla ulteriore cessione dei rifiuti a società rappresentate da altri tre imputati, aventi sede rispettivamente in provincia di Prato e Viterbo.

Ad un ulteriore soggetto, al quale non era contestato il delitto in commento, risultava viceversa ascritto il reato di truffa aggravata – in concorso con l’imputato che ha eccepito la questione di competenza – rispetto all’attività di abusiva raccolta di indumenti usati nell’ambito trevigiano in assenza di concessione da parte dell’ente di emanazione pubblica, pur essendo in possesso delle autorizzazioni ambientali necessarie alla raccolta, trasporto, messa in riserva e recupero della specifica tipologia di rifiuti.

Nella eccezione di competenza territoriale, l’interessato rilevava come il delitto di attività organizzate per il traffico illecito di rifiuti si sarebbe realizzato con il conferimento dei materiali presso le sedi degli acquirenti, quale luogo ultimo di smaltimento, ovverosia in parte nella provincia di Prato ed in parte nella provincia di Viterbo.

La competenza, per ciò, si sarebbe radicata avanti la corrispondente A.G. toscana (e dunque per la fase indagini preliminari, la Procura della Repubblica di Firenze ex art. 51, III bis, c.p.p.), quale luogo nel quale si sarebbe realizzato quel minimum di condotte illecite necessarie per la integrazione del precetto punitivo.

Di fronte a tale quadro, il Tribunale di Treviso, non condividendo la ricostruzione dell’imputato e non ritenendosi a sua volta finanche competente, in quanto:

i) nella provincia di Treviso si era perfezionata solo la fase di raccolta dei rifiuti;

ii) il perfezionamento della condotta illecita, viceversa, poteva ritenersi integrato in altre provincie, peraltro non tutte specificate dall’ufficio procedente;

iii) la fase dello stoccaggio dei rifiuti si era realizzata nella provincia di Padova, ove ha sede la società dell’imputato in questione, dalla quale gli stessi venivano poi ceduti a società terze (riconducibili agli altri imputati) allocate fuori Regione;

si determinava a rimettere la questione alla Cassazione, poiché, in sintesi, il luogo nel quale le varie frazioni della condotta avrebbero determinato il comportamento punibile avrebbe dovuto essere individuate in Padova, quale ambito territoriale nel quale sarebbe avvenuta la gestione illecita – rispetto a plurime condotte abusive, con organizzazione di mezzi e risorse, finalizzate al conseguimento dell’ingiusto profitto – del maggiore quantitativo di rifiuti, da individuarsi appunto nella fase dello stoccaggio degli stessi.

3. I diversi orientamenti esistenti in tema di competenza territoriale nel reato di cui all’art. 452 quaterdecies c.p.

Come anticipato, pur ritenendo la rimessione ex art. 24 bis c.p.p. inammissibile, la Corte si è determinata ad affrontare la questione della competenza territoriale del delitto ambientale di cui trattasi.

Ciò, partendo dalle direttrici generali del delitto di attività organizzate per il traffico illecito di rifiuti, che per essa risultano facilmente individuabili attraverso la ricognizione dei relativi formanti costitutivi, mentre meno appare – al netto delle indicazioni che la Cassazione stessa fornisce accingendosi ad entrare nel merito della questione – la precisa estrinsecazione delle singole (e numerose) componenti costitutive della fattispecie, così come l’inserimento nell’ambito degli istituti previsti dal codice penale e dalla normativa ambientale[iii].

Pacifico infatti che la competenza per territorio per la fase delle indagini preliminari sia determinata ai sensi dell’art. 51, III bis c.p.p., che richiama il luogo di consumazione del reato di cui all’art. 452 quaterdecies c.p. (già art. 260 D.Lgs. n. 152/2006), a sua volta individuato in base all’art. 8, comma 3, c.p.p.

Altresì pacifico che detto reato, per la natura abituale – in quanto necessita, per la sua configurazione, di una pluralità di condotte della stessa o di diversa specie indicative di un’organizzazione dedita al traffico illecito di rifiuti, le quali, se considerate singolarmente, potrebbero anche non costituire reato, consumandosi con la cessazione dell’attività organizzata – e l’articolata (oltre che non sempre di semplice interpretazione) formulazione della fattispecie, presenti notevoli difficoltà nell’individuazione del locus commissi delicti nel caso concreto[iv].

Dubbi e perplessità che risultano presenti anche nella Giurisprudenza di legittimità la quale, dal canto suo, non sempre ha fornito criteri precisi ed univoci per l’attribuzione della competenza territoriale ad una determinata A.G., nel tentativo di osservare le regole generali del codice di rito, generando diverse aporìe applicative che nella decisione in commento appaiono viceversa composte dando prevalenza ad uno degli orientamenti emersi.

In linea generale, la Suprema Corte ha individuato come luogo di consumazione del reato di cui all’art. 452 quaterdecies c.p., determinante ai fini della attribuzione della competenza territoriale, quello in cui si verifica la reiterazione delle condotte illecite che danno così luogo al comportamento punibile[v].

L’affermazione, lineare in astratto, non pare però così univoca nell’individuazione di detto luogo in molti casi concreti, data la possibile presenza di molteplici condotte (non sempre e non tutte che riguardano l’intera filiera di gestione del rifiuto) da parte di diversi operatori, rispetto a plurime operazioni di conferimento di rifiuti presso differenti siti, con il rischio concreto – di frequente verificazione – che si generino numerosi procedimenti avanti a diverse AA.GG. per effetto di sentenze di incompetenza territoriale, basate sull’applicazione dei criteri di reiterazione o di destinazione finale del rifiuto[vi].

Come si farà cenno nel prosieguo, infatti, è sempre più emerso un dualismo nella qualificazione del reato ai fini dell’individuazione del giudice competente e nell’attribuzione a questi della potestà conoscitiva del fatto concreto, da un lato valorizzando il momento di perfezionamento della fattispecie, quale luogo di prima e minima manifestazione della condotta illecita (e ciò anche in una fase ideativa), e dall’altro lato invece attribuendo prevalenza al momento di consumazione finale del reato, da intendere come sito di smaltimento del materiale classificabile come rifiuto.

È da tale constatazione di partenza che si possono cercare di riassumere i diversi orientamenti giurisprudenziali esistenti.

Secondo un primo orientamento la consumazione del delitto – e per essa la individuazione del giudice competente – può aversi soltanto con lo smaltimento o l’interramento del rifiuto[vii].

Proprio in questo senso, toccando indirettamente il tema della competenza per territorio, la Suprema Corte ha altresì affermato che: 2Il reato di attività organizzate per il traffico illecito di rifiuti, già previsto dal D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152, art. 260 e, successivamente, disciplinato, ai sensi del D.Lgs. 1 marzo 2018, n. 21, artt. 7 e 8, dall’art. 452 quaterdecies cp, secondo l’opzione comunemente accolta e in relazione alla quale non sussistono ragioni per dissentire, è reato abituale proprio che si consuma con la cessazione dell’attività organizzata finalizzata al traffico illecito (così, tra le tante, Sez. 3, n. 16036 del 28/02/2019, Zoccoli, Rv. 275395-01, e Sez. 3, n. 44629 del 22/10/2015, Bettelli, Rv. 265573-01)»[viii].

Implicitamente la Corte ha richiamato un precedente arresto, con il quale la stessa aveva ricondotto la competenza al luogo di smaltimento finale del rifiuto che, nel caso specifico, coincideva con il luogo di interramento dello stesso, inteso quale luogo di cessazione della condotta illecita[ix].

In tale pronuncia, la stessa Corte aveva tuttavia affermato che «il perfezionamento del reato, necessita la predisposizione di una vera, sia pure rudimentale, organizzazione professionale (con allestimento di mezzi e impiego di capitali) con cui gestire in modo continuativo ed illegale, ingenti quantitativi di rifiuti. Consegue che il delitto implica una pluralità di condotte in continuità temporale – relative ad una o più delle diverse fasi in cui si concretizza ordinariamente la gestione dei rifiuti – e più operazioni illegali degli stessi. Pertanto, il reato deve considerarsi abituale dal momento che per il suo perfezionamento è necessaria la realizzazione di più comportamenti della stessa specie; consegue che la competenza deve essere individuata nel luogo in cui le varie frazioni della condotta, per la loro reiterazione, hanno determinato il comportamento punibile», con ciò aprendo la strada ad una diversa interpretazione della fattispecie rispetto alla tematica della competenza territoriale.

L’orientamento esposto è stato confermato da decisioni successive, che hanno individuato la competenza per il reato in esame in base al sito di destinazione del rifiuto, in una ipotesi nella quale la irregolarità della condotta si enucleava nell’indebita miscelazione tra materiali classificabili come rifiuti in violazione della disciplina sul recupero[x].

Il quadro si è arricchito con un diverso orientamento, che ha ritenuto come il locus commissi delicti non coincida con il sito di smaltimento finale, bensì con il luogo di reiterazione delle condotte illecite da intendersi quale primo momento di perfezionamento del delitto[xi]: nel caso in questione, la Corte ha disatteso le tesi delle difese volte ad individuare la competenza territoriale nel luogo ove era ubicato il cantiere di destinazione dei materiali, individuandola, al contrario, nel luogo ove aveva sede l’impianto di trattamento dei rifiuti, escludendo per i fini che qui rilevano, pertanto, la valorizzazione della successiva attività di interramento (cioè appunto il c.d. smaltimento “ultimo”).

In precedenza, l’interpretazione era stata introdotta da altra decisione[xii], che aveva affermato come il reato si fosse consumato nel luogo di reiterazione delle condotte illecite, cioè nel luogo in cui si era concretata la condotta di abusiva ricezione e stoccaggio di rifiuti speciali pericolosi nell’impianto aziendale – in violazione dell’autorizzazione – nonché di triturazione degli stessi in assenza di un titolo abilitativo.

Queste pronunce sembrano poter dare un (più condivisibile) indice di lettura di segno concreto: nel caso in cui l’illecita gestione si sia manifestata sin dal luogo di produzione del rifiuto, ove potrebbe essersi integrato il disegno delittuoso, come ad esempio attraverso un trattamento o una classificazione non consentiti, il luogo di prima manifestazione (e quindi di competenza) potrà correlarsi alla sede di c.d. “genesi” del rifiuto.

Tali arresti, nella sostanza, hanno ritenuto che solo nel caso residuale in cui il trattamento del rifiuto sia lecito e la violazione si identifichi nel solo luogo di destinazione finale, sia consentito valorizzare tale fase successiva della condotta ai fini del radicamento della competenza territoriale. 

Il quadro risulta perciò arricchito dall’orientamento esposto che, facendo leva sulle caratteristiche del delitto in esame, ha distinto il momento della consumazione da quello del perfezionamento[xiii].

Si legge in un passaggio della motivazione: «Pertanto, poiché i fatti debbono essere molteplici e la reiterazione presuppone un arco di tempo che può essere più o meno lungo, ma comunque apprezzabile, la consumazione del reato abituale si ha con l’ultimo atto di questa serie di fatti, mentre il reato stesso si perfeziona nel momento e nel luogo in cui le condotte poste in essere divengono complessivamente riconoscibili e ciò avviene quando l’agente realizza un minimo di condotte tipizzate dalla norma incriminatrice e, nella specie, dirette alla gestione abusiva di ingenti quantitativi di rifiuti, collegate tra loro da un nesso di abitualità, con la conseguenza che, attesa la struttura persistente e continuativa del reato, ogni successiva condotta di gestione illecita dei rifiuti, compiuta in costanza del nesso di abitualità, sia riallaccia a quelle in precedenza realizzate, saldandosi con esse e dando vita a un illecito strutturalmente unitario; ne deriva, ad esempio, che il termine di prescrizione decorre dal giorno dell’ultima condotta tenuta (sulla struttura del reato abituale, v. Sez. 3, n. 24979 del 22/12/2017, cit., in motiv., non mass. sul punto)».

La sentenza da ultimo richiamata, pur non occupandosi, specificamente, del tema della competenza territoriale, àncorando il proprio ragionamento in base alla distinzione tra i diversi momenti della consumazione e del perfezionamento del reato, non sempre aiuta a definire quando e dove, nel caso concreto, si sarebbe perfezionato il reato, restando assai incerto dal punto di vista concreto «[i]l momento e [i]l luogo in cui le condotte poste in essere divengono complessivamente riconoscibili» ossia «quando l’agente realizza un minimo di condotte tipizzate dalla norma incriminatrice […] collegate tra loro da un nesso di abitualità».

Da ultimo, seppur isolato, vi un terzo orientamento, nel quale la Corte ha assunto una posizione ambivalente[xiv], sottolineando come la prima fase individuata per lo smaltimento del rifiuto – supposto luogo di reiterazione delle condotte illecite – non fosse idonea a determinare il radicamento della competenza, poiché si erano verificati ulteriori smaltimenti illeciti presso un sito nell’ambito di una competenza distrettuale diversa.

Ad una prima analisi, pertanto, la Corte sembrava schierarsi con la tesi secondo la quale il luogo di competenza coincide con quello di consumazione finale del reato, la stessa tuttavia ha invece individuato la competenza nel luogo in cui era presente l’organizzazione dirigenziale della società alla quale appartenevano i soggetti sottoposti ad indagine.

Nella sostanza, un quadro potenzialmente poco chiaro, che confligge con i principi che dovrebbero sovrintendere la individuazione, con un ragionevole margine di certezza per l’operatore, del giudice naturale competente, aprendo a significativi margini di arbitrarietà se non di vera e propria casualità, da parte del singolo giudicante del merito.

4. L’applicazione al caso concreto dei principi enunciati: la valorizzazione del luogo e del momento di perfezionamento del reato.

Ripercorsa tutta l’elaborazione esistente, la Cassazione perviene ad esaminare comunque il tema della individuazione della A.G. competente nel caso concreto, affermando la competenza proprio della A.G. in quel momento assegnataria del procedimento.

Ciò affermando come per tali fini sia necessario avere riguardo al momento ed al luogo nel quale si verificano tutti gli elementi tipici del reato, da intendersi come raggiungimento del gradiente minimo riferibile ai relativi formanti costitutivi.

Il collegio infatti riporta di ipotesi nelle quali potrebbero aversi condotte tipiche di illecita gestione di rifiuti, tuttavia senza allestimento di mezzi e attività continuative, così come di iniziative astrattamente sussumibili nel precetto aventi però ad oggetto limitati quantitativi di rifiuti, inidonee ad integrare il delitto di cui all’art. 452 quaterdecies c.p.

Nel caso specifico, sulla base dei dati presenti nel fascicolo, risultava evidente come la raccolta dei materiali classificabili come rifiuti fosse avvenuta in Treviso, il successivo stoccaggio provvisoria a Padova ed il conferimento presso aziende ubicate in Toscana.

La Cassazione disattende pertanto la tesi sostenuta dall’imputato, volta ad individuare la competenza presso la Procura distrettuale fiorentina, giacché basata sulla valorizzazione della concretizzazione del profitto, dato quest’ultimo ininfluente giacché non necessario per la consumazione del reato, così come l’opzione del Tribunale di Treviso, che individuava la competenza nel luogo ove era avvenuto lo stoccaggio dei rifiuti.

Per la Suprema Corte, infatti, anche la fase di raccolta sarebbe penalmente rilevante, laddove avvenuta in maniera irregolare, dunque abusivamente, con più azioni e attraverso l’allestimento di mezzi ed attività continuative ed organizzate rispetto ad ingenti quantitativi di rifiuti, senza che ciò possa essere riportato ad una fase successiva, quale quella dello stoccaggio, che semplicemente concretizzerebbe l’illecito già perfezionato.

Prescindendo pertanto dal concetto di riconoscibilità delle condotte, che appare comunque a sua volta fluido ed incerto, non può non evidenziarsi come la ricerca di quel «mimino di condotte tipizzate dalla norma incriminatrice» non possa prescindere dal confronto tra fattispecie astratta e fattispecie concreta, per come descritta nel capo d’imputazione.

L’elemento costitutivo della fattispecie astratta consiste nel compimento di una delle condotte tipizzate dal precetto, così che il reato può pertanto dirsi perfezionato quando venga realizzata la minima condotta (abituale) di cessione (o ricezione, trasporto, esportazione, ecc.), di un ingente quantitativo di rifiuti.

Evidente ossimoro normativo, che potrebbe creare già in astratto gravi problemi nell’individuazione del tempus e del locus commissi delicti, a meno che non soccorra la chiarezza del capo d’imputazione, o perché tutta la condotta si assume realizzata in un unico luogo o perché la definizione della incolpazione è tale da consentire una individuazione certa del luogo di perfezionamento del reato.

Anche la sentenza in commento valorizza pertanto la consumazione iniziale del reato, i.e. il perfezionamento dello stesso, cioè il luogo di reiterazione minima delle condotte illecite.

Al fine di prevenire il rischio che anche questa posizione determini una eccessiva discrezionalità negli operatori, sarebbe comunque opportuno prevedere precisi riferimenti fattuali: se infatti la manifestazione del reato si riferisce alla prima fase di gestione dei rifiuti rispetto ad una delle condotte tipizzate, a cui poi seguono ulteriori fasi di trattamento e smaltimento, è nel primo luogo individuato che dovrebbe correttamente radicarsi la competenza territoriale.

Se si ancorasse invece la competenza al luogo di conferimento del rifiuto e quindi di cessazione dell’abitualità delle condotte, questa visione pur astrattamente compatibile con l’assetto delineato dall’art. 8 c.p.p., potrebbe portare alla conclusione e ad esiti non pronosticabili rispetto alla individuazione del Foro competente, poiché la destinazione finale di un rifiuto può dipendere da fattori esogeni rispetto alla volontà dell’agente, quale la mera convenienza commerciale o di disponibilità degli impianti.

Rispetto a tale profilo, il luogo in cui avviene l’ultimo conferimento del rifiuto potrebbe quindi non essere indicativo dell’ubicazione dell’attività illecita. 

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NOTE:

[i] Per un commento sull’istituto, R. APRATI, L’intervento pregiudiziale della corte di Cassazione sull’incompetenza territoriale, in Cass. Pen., 2023, pp. 1084 e ss.

[ii] Giacché avente, nel caso concreto, un contenuto meramente esplorativo, prospettando una pluralità di soluzioni alternative una delle quali peraltro formulata dal giudice stesso che, in una simile eventualità, avrebbe dovuto dichiararsi incompetente trasmettendo gli atti alla A.G. ritenuta competente, in luogo di rimettere la soluzione della questione alla Corte di Cassazione fondando la remissione sulla opportunità di prevenire il rischio di dispersione di attività processuali.

[iii] Sia consentito il richiamo a E. FASSI, Attività organizzate per il traffico illecito di rifiuti e confisca ambientale. Tra profili di (in)costituzionalità della norma e disarmonie legislative, in questa Rivista, 2020; E. MARINI, L’ingente quantitativo di rifiuti nel delitto di cui all’art. 452-quaterdedies c.p.: la Cassazione precisa i criteri per l’individuazione, in questa Rivista, 2021.

[iv] Sul punto, tra le molte, Corte Cass. pen., Sez. III, 14 luglio 2016, n. 52838; Corte Cass. pen., Sez. III, 28 febbraio 2019, n. 16036.

[v] Corte Cass. pen., Sez. III, 25 novembre 2021, n. 1349; Corte Cass. pen., Sez. III, 29 settembre 2017, n. 48350; Corte Cass. pen., Sez. III, 14 maggio 2015, n. 26182; Corte Cass. pen., Sez. III, 8 luglio 2010, n. 29619; Corte Cass. pen., Sez. III, 3 novembre 2009, n. 46705.

[vi] R. LOSENGO, Attività organizzate per il traffico illecito di rifiuti: il labile confine (anche territoriale) tra perfezionamento e consumazione del reato abituale, in questa Rivista, 2021.

[vii] Corte Cass. pen., Sez. III, n. 46705, cit.; Corte Cass. pen., Sez. III, 12 novembre 2018, n. 16123.

[viii] Corte Cass. pen., Sez. III, 10 settembre 2021, n. 41583.

[ix] Corte Cass. pen., Sez. III, 3 dicembre 2009, n. 46705.

[x] Corte Cass. pen., Sez. III, 12 novembre 2018, n. 16123.

[xi] Corte Cass. pen., Sez. III, 28 dicembre 2018, n. 58448.

[xii] Corte Cass. pen., Sez. III, 20 ottobre 2016, n. 5742; poi seguita da Corte Cass. pen., Sez. III, 29 settembre 2017 n. 48350.

[xiii] Corte Cass. pen., Sez. III, 14 gennaio 2021, n. 14248.

[xiv] Corte Cass. pen., Sez. III, 7 giugno 2017, n. 28329.

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