Passività ambientali: l’obbligo di rimozione dei rifiuti tra alienante e acquirente di azienda

03 Nov 2022 | giurisprudenza, amministrativo

di Emanuele Pomini

T.A.R. LOMBARDIA, Brescia, Sez. I – 8 settembre 2022, n. 829 – Pres. Gabbricci, Est. Limoncelli – S. W. S.r.l. (avv.ti C. Carnielli e F. Versaci) c. Comune di Palazzolo sull’Oglio (avv. D.Bezzi) e nei confronti di A.C.S. S.r.l. (avv.ti F. Brunetti e M. Buquicchio)

Dal momento che l’abbandono dei rifiuti costituisce un illecito permanente, la loro rimozione ex art. 192 del D.Lgs. 152/2006 costituisce un’obbligazione propter rem che segue la proprietà dei rifiuti e si trasferisce con la titolarità dei medesimi, di tal ché il nuovo proprietario dei rifiuti, benché non responsabile del loro abbandono “originario”, diviene responsabile dell’ “ulteriore protrazione” di tale abbandono (fattispecie nella quale, acquistando la proprietà degli scarti di produzione facenti parte del compendio aziendale, e quindi dei rifiuti, la società cessionaria dell’azienda è subentrata ipso iure nell’obbligo legale di provvedere alla loro rimozione ex art. 192 del D.Lgs. 152/2006).

Interessante pronuncia del TAR Lombardia in tema di trasferimento di azienda e passività ambientali, che evidenzia, se ancora ce ne fosse bisogno, la necessità di prestare la massima attenzione nella predisposizione del regolamento contrattuale recante i patti e le condizioni che accedono ai trasferimenti d’azienda, soprattutto qualora, per la tipologia di attività svolta, vi sia la possibilità di ricadute in termini di assunzione da parte del cessionario di responsabilità ambientalii.

Tra le passività ambientali che possono interessare un complesso aziendale vi è certamente anche la presenza di rifiuti scaturiti dall’attività svolta, con conseguente necessità di individuare il soggetto chiamato alla loro rimozione e smaltimento. Sotto tale profilo, proprio la definizione del perimetro delle responsabilità conseguenti all’abbandono o al deposito incontrollato dei rifiuti e alla necessità della loro rimozione e avvio a smaltimento ai sensi dell’art. 192 del D.Lgs. 152/2006 è senza dubbio uno dei temi più ricorrenti nel panorama giurisprudenziale relativo alla gestione dei rifiuti, se non addirittura in quello del diritto ambientale generalmente intesoii.

L’attenzione della giurisprudenza è stata per lo più rivolta alla posizione del proprietario dell’area interessata dall’abbandono dei rifiuti, il quale, pur non essendo il soggetto materialmente responsabile del loro abbandono o deposito incontrollato, può essere comunque chiamato a rispondere per la loro rimozione in presenza delle condizioni di cui al citato art. 192, che prevede una responsabilità solidale del proprietario (o del titolare di diritti reali o personali di godimento sull’area in questione) al quale la violazione sia imputabile a titolo di dolo o colpa in base agli accertamenti effettuati, in contraddittorio con i soggetti interessati, dai soggetti preposti al controllo. Si ricorda qui brevemente come la giurisprudenza amministrativa abbia affermato la necessità di dover provare una (co)responsabilità del proprietario dell’area nella violazione del divieto di abbandono di rifiuti operato da terzi, che può consistere non solo in un comportamento doloso, ma anche colposo (mediante azione od omissione), non essendo invece consentito ricorrere a una responsabilità di tipo oggettivo discendente dalla mera titolarità del diritto dominicaleiii.

Ciò premesso, la decisione in commento non riguarda tuttavia la posizione del proprietario dell’area interessata dalla presenza di rifiuti, ossia del cd. responsabile “in solido” (che pur potrebbe coincidere anche con il cessionario dell’azienda, nel caso in cui essa includa anche il bene immobile), bensì la figura del diretto responsabile del loro abbandono o del loro deposito incontrollato, nei termini di seguito esposti.

Nel caso di specie, una società aveva acquistato un ramo d’azienda dal fallimento del precedente proprietario costituito da uno stabilimento industriale avente ad oggetto la produzione di adesivi e collanti. Dall’atto di cessione d’azienda era stato espressamente escluso un solo fabbricato, in quanto non di proprietà della società fallita (che lo deteneva in forza di contratto di locazione finanziaria poi sciolto dalla curatela fallimentare) nel quale erano ancora presenti, oltre ad attrezzature, macchinari e prodotti vari, anche scarti e residui di lavorazione, tutti ancora della società fallita e quindi ricompresi nel complesso aziendale acquistato dalla società cessionaria, la quale tuttavia non aveva provveduto a liberare il fabbricato dalla loro presenza.

A seguito di un’ispezione dell’ARPA presso lo stabilimento, nel corso della quale veniva accertata la presenza di rifiuti nel fabbricato in questione (ormai dismesso) chiaramente scaturenti dall’attività produttiva a suo tempo svolta dalla società fallita, il Comune avviava un procedimento per ordinare sia alla società cessionaria, in qualità di proprietaria del complesso aziendale (comprendente anche gli scarti e i residui di lavorazione), sia alla società finanziaria proprietaria del fabbricato dismesso ove erano ancora presenti tali rifiuti, la presentazione di un cronoprogramma per la messa in sicurezza degli impianti e per la rimozione dei rifiuti. A seguito delle osservazioni presentate dalle due società coinvolte, il Comune modificava la propria ordinanza ponendo tutti gli obblighi in capo alla sola società acquirente del complesso aziendale, ritenendo in particolare che nessuna responsabilità colposa o dolosa era addebitabile alla proprietà del fabbricato ai sensi dell’art. 192 del D.Lgs. 152/2006, avendo essa documentato di aver esercitato la dovuta vigilanza sul bene in questione, reagendo all’occupazione abusiva dell’edificio anche in sede giurisdizionale per ottenerne la liberazione.

La società cessionaria impugnava quindi l’ordinanza sindacale ritenendola illegittima per violazione e falsa applicazione dell’art. 192 del D.Lgs. 152/2006, non essendo essa né responsabile dell’abbandono dei rifiuti (pacificamente imputabile alla società poi fallita), né titolare della disponibilità del fabbricato dove gli stessi erano depostati; sotto il primo, e unico rilevante aspetto, veniva in particolare evidenziata l’assenza del presupposto dell’imputabilità soggettiva dell’abbandono dei rifiuti, sia sotto il profilo commissivo che omissivo, non potendo altresì neppure venire in rilievo la mera consapevolezza dell’esistenza di uno stoccaggio illecito di rifiuti realizzato pacificamente da altri, peraltro con chiara violazione del principio comunitario del “chi inquina paga”.

Il TAR Lombardia ha tuttavia respinto il ricorso, ritenendo la sola società cessionaria diretta responsabile per la rimozione dei rifiuti in questione sulla base delle seguenti considerazioni.

Innanzitutto, il dato contrattuale. I rifiuti presenti nel fabbricato in questione erano infatti stati espressamente ricompresi, unitamente agli altri beni più propriamente aziendali, nell’oggetto dell’atto di cessione d’azienda; non solo: dall’esame dello stesso atto era altresì emerso l’obbligo della cessionaria di provvedere a sua cura e spese a liberare entro una certa data il fabbricato da tutto il suo contenuto, ivi inclusi gli “scarti facenti parte dell’azienda ceduta”iv.

In secondo luogo, la consapevolezza dell’acquisto della proprietà, oltre che dei beni aziendali propriamente detti, anche dei rifiuti (scarti di produzione). Tale consapevolezza, nel caso di specie provata dal dato contrattuale di cui sopra, sarebbe infatti sufficiente, ad avviso del T.A.R. Lombardia, per determinare ipso iure il subentro della società cessionaria dell’azienda nell’obbligo legale ex art. 192 di provvedere alla loro rimozione e smaltimento. Giova osservare, a tale riguardo, come l’elemento della consapevolezza costituisca un argomento già utilizzato in seno all’art. 192 dai giudici amministrativi, in particolare per l’affermazione della responsabilità solidale del proprietario dell’area interessata dalla presenza dei rifiuti abbandonati da terzi, avendo infatti statuito che “un soggetto che acquista un terreno conoscendone la situazione di dissesto ambientale non si qualifica come “proprietario incolpevole” e, pertanto, è tenuto in solido con il responsabile alla rimozione dei rifiuti e al ripristino ambientale dell’area, ai sensi dell’art. 192, c. 3 del d.lgs. n. 152/2006”v.

In terzo e ultimo luogo, il carattere permanente dell’illecito abbandono dei rifiutivi. Dal momento che l’abbandono dei rifiuti costituisce un illecito di natura permanente, la sua rimozione, ad avviso dei giudici amministrativi, costituisce un’obbligazione propter rem che segue la proprietà dei rifiuti e si trasferisce con la titolarità dei medesimi. In altre parole, proprio a causa della permanenza dell’illecito ambientale in questione, il nuovo proprietario dei rifiuti (ossia la società cessionaria dell’azienda), benché non responsabile del loro primo abbandono (effettuato infatti dalla società che gestiva in precedenza il compendio aziendale) diviene responsabile dell’”ulteriore protrazione” di tale abbandono e, per ciò solo, co-responsabile del loro abbandono ai sensi e per gli effetti del citato art. 192.

In tal modo, la decisione in commento certifica di fatto un ulteriore ampliamento del perimetro delle responsabilità per l’illecito abbandono dei rifiuti commesso “da altri”, inserendosi, da questo punto di vista, nel solco già tracciato dall’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato a inizio 2021vii in merito all’affermazione della responsabilità della curatela fallimentare ex art. 192 per il solo fatto della mera “detenzione” dei rifiuti conseguente all’inventario dei beni dell’impresa fallita; anche in quest’ultimo caso, infatti, il soggetto subentrante nella detenzione dei rifiuti abbandonati o depositati da altri si trova legittimato passivo dell’ordine di rimozione in applicazione dell’art. 14, paragrafo 1, della direttiva 2008/98/CE, ai sensi del quale i costi della gestione dei rifiuti sono sostenuti, in base al principio del “chi inquina paga”, anche “dai detentori del momento”.

Sembra pertanto potersi concludere nel senso che la giurisprudenza amministrativa non ha solo (e da tempo) affermato la possibilità che si possa verificare un subentro negli obblighi discendenti da contaminazioni ambientali per effetto di operazioni societarie caratterizzate da fenomeni successori (tipico il caso del subentro nelle passività ambientali a seguito di operazioni di acquisizione di partecipazioni sociali e fusione societaria; il settore delle bonifiche docet), ma sembra aver ormai esteso tale possibilità anche in caso di discontinuità soggettiva (come accade per la compravendita di azienda) per il solo fatto del subentro nella detenzione o nella proprietà dei beni dai quali scaturiscono le problematiche ambientali fonte di responsabilità (nel caso di specie, i rifiuti costituiti da scarti di produzione abbandonati). Peraltro, anche guardando al differente contesto delle bonifiche è sempre più evidente la recente tendenza del giudice amministrativo ad ampliare la sfera di responsabilità dei soggetti privati, chiamati a porre rimedio a fenomeni di contaminazione indipendentemente dalla loro colpevolezza nella causazione originaria degli stessi e in nome di un’applicazione certamente spinta e discutibile del principio comunitario di precauzione, peraltro di difficile armonizzazione con l’altrettanto fondamentale principio del “chi inquina paga” viii, che dal confronto col primo ne esce ormai sempre più spesso con le ossa rotte.

Anche alla luce di quanto affermato nella sentenza in commento, si rende pertanto quanto mai sempre più opportuno, in caso di acquisto di un compendio aziendale, non solo effettuare accurate verifiche preliminari di conformità ambientale sull’azienda target, ma anche predisporre clausole contrattuali idonee a prevenire o quanto meno limitare, per quanto possibile, l’insorgere di responsabilità ambientali in capo al cessionario, pur se riconducibili alla precedente gestione aziendale.

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Commento_rifiuti_192

Per il testo della sentenza (estratto dal sito istituzionale della Giustizia Amministrativa) cliccare sul pdf allegato.

TAR Lombardia Brescia 829_2022

NOTE:

i Nel caso di specie, trattasi di responsabilità conseguenti alla presenza in azienda di rifiuti costituiti da scarti di lavorazione o comunque prodotti in occasione dell’attività esercitata a mezzo del compendio aziendale compravenduto.

ii Cfr. ex multis, più di recente, T.A.R. Lombardia, Milano, Sez. IV, 29 aprile 2022, n. 955, in questa Rivista, n. 33, luglio 2022, con nota di C. Galdenzi e F. Boezio, Ancora sulla responsabilità e sugli obblighi del proprietario di un’area su cui insistono rifiuti abbandonati; T.A.R. Molise, Campobasso, Sez. I, 18 marzo 2022, n. 79; T.A.R. Campania, Salerno, Sez. II, 7 marzo 2022, n. 644; T.A.R. Friuli-Venezia Giulia, Sez. I, 11 febbraio 2022, n. 91; T.A.R. Puglia, Bari, Sez. I, 26 gennaio 2022, n.157; T.A.R. Puglia, Bari, Sez. I, 11 gennaio 2022, n. 54; T.A.R. Veneto, Sez. II, 5 gennaio 2022, n. 20.

iii Cfr. T.A.R. Sicilia, 12 febbraio 2021, n. 471, in questa Rivista, n. 20, aprile 2021, con nota di Gallarini, Niente responsabilità oggettiva o “da posizione” per il proprietario di un terreno rispetto ai rifiuti abbandonati da terzi.

iv Sulla rilevanza del dato contrattuale, peraltro, lo stesso T.A.R. Lombardia si mostra cauto, precisando come le pattuizioni contrattuali abbiano natura civilistica e forza di legge soltanto tra le parti contraenti; circostanza che in passato, pur se in differenti contesti e in tema di obblighi di bonifica, ha indotto la giurisprudenza ad affermarne l’irrilevanza ai fini dell’accertamento e della ripartizione delle responsabilità ambientali. Ciò in quanto, come ricordato da Cons. Stato, Sez. VI, 10 settembre 2015, n. 4225, “al principio “chi inquina paga”, il quale ispira la disciplina nazionale in tema di distribuzione degli oneri conseguenti a ipotesi di contaminazione di aree (…), deve essere riconosciuta valenza inderogabile di normativa di ordine pubblico, in quanto tale insuscettibile di deroghe di carattere pattizio. Ed infatti, in considerazione del preminente complesso di valori sottesi all’enucleazione del richiamato principio e del rango della sua fonte, laddove si ammettesse la possibilità di derogare in via convenzionale al basico criterio di distribuzione del “chi inquina paga”, si consentirebbero agevoli elusioni degli obblighi di prevenzione e riparazione imposti dalla pertinente normativa di settore”.

v Cons. Stato, Sez. II, 1° settembre 2021, n. 6179, in questa Rivista, n. 26, novembre 2021, con nota di A.L. De Cesaris e E. Gregori Ferri. Cfr. anche T.A.R. Lombardia, Milano, Sez. III, 8 ottobre 2021, n. 2191, in questa Rivista, n. 27, dicembre 2021, con nota di E. Felici e V. Brovedani (nel caso di specie, l’area era stata acquistata corrispondendo un prezzo di molto inferiore al suo reale valore, circostanza da considerarsi indice di un mancato uso dell’ordinaria diligenza da parte dell’acquirente nel verificare quale fosse la causa o la concausa di tale forte abbattimento del prezzo, in relazione alla oggettiva presenza nell’area, al momento dell’acquisto, dei rifiuti abbandonati).

vi Sul carattere permanente della condotta di deposito incontrollato di rifiuti, cfr. Cass. Pen., Sez. III, 13 gennaio 2022, n. 8088.

vii Cons. Stato, Ad. Plen., 26 gennaio 2021, n. 3, in questa Rivista, n. 18, febbraio 2021, con nota di F. Vanetti. Nello stesso senso, già T.A.R. Lombardia, Brescia, Sez. I, 12 maggio 2016, n. 669.

viii Costituiscono recente espressione di tale orientamento: Cons. Stato, Sez. IV, 14 giugno 2022, n. 4826, in questa Rivista, n. 33, settembre 2022, con nota di E. Gregori Ferri; Cons. Stato, Sez. IV, 12 luglio 2022, n. 5863 e Cons. Stato, Sez. V, n. 5864 del 12 luglio 2022, in questa Rivista, n. 33, settembre 2022, con nota critica di L. Prati, che si interroga sul sostanziale superamento per via giurisprudenziale del principio “chi inquina paga”.

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