Obblighi di bonifica: il proprietario che ha celato i rifiuti risponde insieme al responsabile

21 Mar 2021 | amministrativo, giurisprudenza

di Elena Felici e Chiara Leonardi

Consiglio di Stato, sezione IV, sentenza 26 gennaio 2021, n. 780 – Pres. Maruotti, Est. D’Angelo.

Ai fini degli obblighi di bonifica del sito inquinato, il proprietario di un terreno sul quale siano depositati rifiuti, anche nel caso in cui il terreno sia oggetto di un rapporto di locazione, risponde della bonifica del suolo di sua proprietà in solido con colui che ha concretamente determinato in danno, non a titolo di responsabilità oggettiva, ma a titolo di dolo se ha celato i rifiuti, o di colpa se non ha approntato l’adozione delle cautele volte a custodire adeguatamente la proprietà o se ha omesso di denunciare alle autorità il fatto una volta conosciuto.

L’attività di copertura e occultamento dei rifiuti impedisce che possa trovare ostacolo alla responsabilità del proprietario l’eventuale affitto del fondo e la sua conseguente disponibilità in capo ad un soggetto terzo.

La questione in esame riguarda il noto caso della discarica abusiva di Vigna Vecchia (un sito dismesso di circa 9000 mq nel Comune di Gualdo Tadino,  dove furono interrati nel corso del tempo rifiuti speciali e pericolosi, macerie ed elettrodomestici bruciati, poi rinvenuti nel 1997 dal corpo forestale dello stato) che, insieme ad altre discariche, fa parte dell’insieme di duecento siti oggetto della sentenza della Corte di Giustizia del 2 dicembre 2014, con la quale l’Unione Europea condannò l’Italia al pagamento di una sanzione forfettaria di circa 40 milioni di euro, oltre ad altre penalità di pari valore, per la mancata esecuzione della sentenza di condanna del 26 aprile 2007 da parte delle amministrazioni comunali e regionali, all’interno del cui territorio si trovavano le discariche non in regola con la direttiva rifiuti.

I lavori di messa in sicurezza permanente, effettuati dalla pubblica amministrazione (il sito era stato incluso nel Piano Regionale dei Siti inquinati) in sostituzione dei responsabili che non furono trovati all’epoca, ed essendo il proprietario rimasto inerte, sono terminati nel 2016, e ciò ha consentito di ottenere una riduzione delle sanzioni comminate nell’ambito della procedura di infrazione.

Il caso riguarda quindi una fattispecie sottoposta più volte all’attenzione dei giudici amministrativi, la responsabilità del proprietario (apparentemente incolpevole … in questo caso) per gli obblighi di bonifica derivanti dall’illecito sversamento di rifiuti nocivi da parte di terzi (ignoti o rimasti inerti) sul terreno di sua proprietà.

Con la decisione in esame, il Consiglio di Stato riforma la sentenza del TAR per l’Umbria con la quale era stata era esclusa la responsabilità del proprietario del fondo su cui insisteva la discarica abusiva sulla base (i) del principio secondo cui il proprietario dell’area su cui siano stati scaricati illecitamente da terzi rifiuti non è tenuto alla bonifica ex art. 17 D.Lgs. 22/1997, a meno che non abbia concorso con dolo o colpa alla causazione dell’illecito; e (ii) della circostanza che all’epoca dei fatti il proprietario non aveva nemmeno la disponibilità dell’area.

E’ noto che il cardine della responsabilità per inquinamento si fonda sul pacifico principio “chi inquina paga”, elaborato e precisato dalla giurisprudenza nazionale e comunitaria, formatasi successivamente all’art. 17 D.Lgs 22/1997, poi trasposto negli articoli 242 e 244 D.Lgs. 152/2006 oggi vigenti.

In base a tale principio, la giurisprudenza ha dovuto affrontare più volte il tema del se e in che misura il soggetto non responsabile dell’inquinamento possa essere destinatario di ordini che impongano l’adozione di misure di riparazione ambientale. Si è quindi pacificamente affermato che  in materia di responsabilità ambientale in senso lato è sempre necessario almeno l’accertamento, anche per presunzioni, dell’esistenza di un nesso di causalità tra l’attività del soggetto tenuto alle misure di riparazione e l’inquinamento; di talché, se non è provato il nesso di causalità tra la condotta del destinatario degli ordini di ripristino/riparazione e la contaminazione, va esclusa ogni responsabilità, sia pure di carattere oggettivo (e ciò anche nel precedente regime delineato dall’art. 17 D.Lgs. 22/1997).

Da questo punto di vista, la sentenza in commento, nel riformare la decisione di primo grado, e nel ritenere, quindi, responsabile per le misure di riparazione e messa in sicurezza anche il proprietario del fondo in solido con l’esecutore materiale dell’illecito sversamento/abbandono di rifiuti, sembra sorvolare su tali accertamenti. La sentenza, infatti, identifica nella condotta del proprietario dell’area inquinata che ha celato i rifiuti sversati da un terzo, o comunque non ha fatto le dovute segnalazioni pur essendone venuto a conoscenza (tanto che li aveva volontariamente occultati) un comportamento tale da integrare una responsabilità a titolo di dolo ma, per così dire, “autonoma” e concorrente con quella del soggetto materialmente responsabile dell’illecito sversamento.

Sembra pertanto che in questo caso il giudice amministrativo abbia operato una sorta di equiparazione tra il comportamento del soggetto che occulta i rifiuti già presenti sul suolo a quello di colui che li ha illecitamente sversati o abbandonati. Tale equiparazione trova indiscutibile fondamento nell’intenzionalità che accomuna le condotte illecite di entrambi i soggetti, cosicché tanto colui che occulta, quanto colui che abbandona o sversa i rifiuti, agendo con l’intenzione di arrecare un danno ad un bene giuridicamente tutelato, quale è l’ambiente, non può andare esente dalle responsabilità ambientali connesse agli obblighi di bonifica.

Peraltro, secondo la sentenza, nel caso in esame, il proprietario sarebbe responsabile anche (o in alternativa?) a titolo di colpa “se non ha approntato l’adozione delle cautele volte a custodire adeguatamente la proprietà ovvero se ha mancato di denunciare alle autorità il fatto una volta conosciuto (cfr. Cons. Stato, sez. V, 25 febbraio 2016, n.765)[i], e ciò, evidentemente ai sensi dell’art. 14 D.Lgs. 22/1997.

Volendo affrontare brevemente anche questo profilo, pur avendo l’accertamento del dolo nella condotta di occultamento dei rifiuti portata dirimente, ci sembra che il Consiglio di Stato abbia ritenuto irrilevante, o comunque superata, la circostanza che l’area fosse oggetto di un rapporto di locazione, essendo indubbio l’elemento soggettivo quantomeno della colpa rispetto ai doveri di segnalazione e prevenzione.

In tali casi, la giurisprudenza amministrativa ha chiarito in molteplici occasioni che la responsabilità e quindi la condanna del proprietario di un terreno agli adempimenti previsti dall’(ora) art. 192 del D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152 ,  in nessun caso può essere fondata sul mero dato della disponibilità del suolo su cui l’illecito si è realizzato. Responsabilità e conseguente condanna necessitano, invece, di un accertamento serio ed in contraddittorio dell’elemento soggettivo e del nesso causale, escludendosi che possa trattarsi di un caso di responsabilità oggettiva (e, per lo più, per fatto altrui) (cfr. tra le altre Cons. Stato, Sez. II. n. 6326/2020; Cons. Stato, Sez. V, n. 4781/2018; Cons. Stato, Sez. IV, n. 3430/2018).

Pertanto, la responsabilità del proprietario del fondo, ai sensi dell’art. 14, comma 3, d. lgs. n. 22/1997, così come la responsabilità di qualunque soggetto che si trovi con l’area interessata in un rapporto, anche di mero fatto, è stata riconosciuta quando il rapporto sia tale da consentirgli – e per ciò stesso imporgli – di esercitare una funzione di protezione e custodia finalizzata ad evitare che l’area medesima possa essere adibita a discarica abusiva (cfr. Cons. di Stato, Sez. V, 25 febbraio 2016, n. 765; Cass. civ., Sez. III, 22 marzo 2011, n. 6525). Nel caso di specie non sembra che l’esistenza di un tale rapporto possa essere revocata in dubbio.

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RGA Online_nota a Cons Stato sez IV 780_2021

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Cons.Stato 780_2021

Note:

[i] Circostanze, queste, che non sono state minimamente tenute in considerazione dalla decisione di primo grado che si è limitata ad affermare che all’epoca dei fatti il proprietario aveva perso la disponibilità del bene, avendolo affittato (e successivamente venduto) e che “da ciò ne discende l’impossibilità di ravvisare nel caso di specie una culpa in vigilando del ricorrente”  (cfr. TAR dell’Umbria, Sez. I, n. 154 del 26.03.2019).

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