Misure di prevenzione e messa in sicurezza di emergenza anche senza responsabile della contaminazione?

27 Lug 2021 | amministrativo, giurisprudenza

di Andrea Gallarini

Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio, Sezione Seconda Bis, 24 maggio 2021, n. 6046 – Pres. Elena Stanizzi, Est.  Brunella Bruno – Omissis (Avv.ti Federico Tedeschini e Angelo Caliendo) c. Ministero della Transizione Ecologica (Avvocatura Generale dello Stato), Roma Capitale (Avv. Angelo Raimondo) e nei confronti di Omissis.

Se è vero che è sul responsabile dell’inquinamento che gravano gli obblighi di messa in sicurezza, bonifica e ripristino ambientale a seguito della constatazione di uno stato di contaminazione, il proprietario non responsabile è gravato di una specifica obbligazione di facere che riguarda, appunto, l’adozione delle misure di prevenzione di cui all’art. 242.

La preliminare messa in sicurezza del sito inquinato costituisce una misura idonea ad evitare ulteriori danni e la diffusione dei fenomeni di inquinamento ambientale e rientra pertanto nel genus delle misure precauzionali: non avendo finalità sanzionatoria o ripristinatoria, data la sua sostanziale natura di atto urgente, non presuppone affatto l’individuazione dell’eventuale responsabile.

Con la sentenza in commento il TAR Lazio si affranca dai più recenti insegnamenti del Consiglio di Stato per sposare quell’orientamento giurisprudenziale che – sulla base dei principi di prevenzione e precauzione ed in ragione della finalità non sanzionatoria delle misure “precauzionali” – giunge ad affermare la legittimità dell’imposizione delle misure di sicurezza d’urgenza in capo al proprietario di un sito, a prescindere dalla individuazione di una sua responsabilità rispetto alla contaminazione.

Questi i fatti sui quali si è pronunciato il giudice amministrativo romano.

Una società impugna, avanti al TAR Lazio, alcune note con le quali il Ministero dell’Ambiente (oggi Ministero della Transizione Ecologica) ha rilevato la necessità di dare avvio ad opere di messa in sicurezza in relazione alle criticità ambientali riscontrate nell’area di Malagrotta, ove è presente – tra le altre cose – una discarica di rifiuti solidi urbani gestita dalla ricorrente.

A sostegno del proprio ricorso, la società evidenzia in particolare come “[…] nessuna indagine […] risulta essere stata compiuta ovvero avviata da parte degli Enti competenti, con conseguente assenza di evidenze in ordine alle effettive responsabilità dei fenomeni di superamento delle soglie di contaminazione (CSC), anche tenuto conto della circostanza che la discarica di Malagrotta si trova in un’area nella quale sono presenti altri insediamenti […]”.

Sulla base di tale constatazione, la ricorrente contesta quindi la lacunosità dell’istruttoria svolta e l’erroneità dei presupposti “[…] non potendosi prescindere nell’imposizione di misure di messa in sicurezza dal puntuale accertamento della responsabilità nella compromissione dei valori ambientali […]”.

A supporto delle proprie tesi, parte ricorrente richiama anche una precedente decisione – del medesimo TAR Lazio (sentenza n. 6617/2011) – con la quale è stata annullata una ordinanza, adottata dal sindaco di Roma Capitale, recante l’imposizione (in capo alla stessa società ricorrente) di misure di messa in sicurezza: “[…] In particolare in esito alla verificazione disposta in quel giudizio […] è stato appurato il buono stato di mantenimento del polder, oltre alla sussistenza di una situazione di effettiva incertezza del quadro complessivo, tale da non consentire di addivenire a conclusioni univoche quanto alla riconducibilità della responsabilità della contaminazione in capo alla […]” ricorrente.

Il TAR Lazio rigetta il ricorso, in primis, in ragione della sua inammissibilità conseguente alla mancanza di lesività immediata delle note ministeriali impugnate, risolvendosi infatti le stesse non in un provvedimento immediatamente prescrittivo ma unicamente nella semplice rappresentazione della necessità di avvio di opere di messa in sicurezza.

A latere della inammissibilità del ricorso, il Tribunale Amministrativo Regionale dichiara comunque l’infondatezza – nel merito – delle censure sollevate dalla società che gestisce la discarica, ritenendo sussistenti, nel caso di specie, i presupposti soggettivi ed oggettivi necessari ai fini dell’adozione degli atti oggetto di impugnazione.

Quanto al profilo oggettivo, il TAR Lazio dà atto, in primo luogo, della integrale riforma per mano del Consiglio di Stato (con decisione n. 533/2015) della sentenza n. 6617/2011. Risulta, infatti, dalla lettura della sentenza come – all’esito della nuova verificazione disposta dal Consiglio di Stato – siano stati riscontrati “[…] nei punti posti a valle della discarica parametri di inquinamento nel percolato […] Tali parametri risultano presenti in concentrazioni decisamente superiori alle Concentrazioni Soglia di Contaminazione […] Da tale constatazione emerge un quadro di contaminazione per i piezometri ubicati a valle piezometrica della discarica … Si può pertanto affermare che a monte della discarica, ossia dove questa non può esplicare la propria influenza”, esistano aree dove la falda superficiale non è contaminata e zone dove risulta essere contaminata, anche se a livelli inferiori rispetto a quelli riscontrati in prossimità della discarica […]”.

A giudizio del TAR Lazio, quindi, deve ritenersi superata la contestazione circa l’assenza di qualsiasi elemento utile in ordine alle effettive responsabilità dei fenomeni di superamento delle soglie di contaminazione.

Dato atto di quanto sopra, i giudici amministrativi vanno però oltre la semplice constatazione circa la possibilità di muovere un addebito di colpa al ricorrente quanto ai fenomeni di contaminazione rilevati nel sito. Il TAR Lazio, infatti, giunge ad affermare il principio per cui le misure di sicurezza – costituendo strumenti volti unicamente ad impedire ulteriori danni e non avendo quindi finalità sanzionatoria – non presupporrebbero l’individuazione dell’eventuale responsabile.

Tale assunto si discosta evidentemente dalle più recenti decisioni del Consiglio di Stato (si veda, ad esempio, Cons. Stato, Sez. VI, 05/10/2016, n. 4099 e Cons. Stato, Sez. VI, n. 25/01/2018, n. 502) nelle quali è stato ribadito il principio per cui “[…] una volta riscontrato un fenomeno di potenziale contaminazione di un sito, gli interventi di caratterizzazione, messa in sicurezza d’emergenza o definitiva, di bonifica e di ripristino ambientale possono essere imposti dall Pa solo ai soggetti responsabili dell’inquinamento, quindi ai soggetti che abbiano in tutto o in parte generato la contaminazione con un comportamento commissivo od omissivo […]. In proposito, non essendo configurabile una sorta di responsabilità oggettiva facente capo al proprietario o possessore dell’immobile in ragione di tale sola qualità, dal quadro normato emergono le seguenti regole: 1) proprietario, ai sensi dell’art. 245, comma 2, è tenuto soltanto ad adottare le misure di prevenzione […]” (Cons. Stato, Sez. VI, 05/10/2016, n. 4099).

Occorre, peraltro, osservare come la sentenza oggetto di commento in questa sede non costituisca un precedente unico, potendosi rinvenire altri precedenti in termini (anche da parte dello stesso Consiglio di Stato). Così, a titolo esemplificativo, il TAR Veneto, con sentenza n. 65/2017 ha riaffermato il principio per cui “[…] la messa in sicurezza del sito costituisce una misura di correzione dei danno e rientra pertanto nel genus delle precauzioni, unitamente al principio di precauzione vero e proprio e al principio dell’azione preventiva, che gravano sul proprietario o detentore del sito da cui possano scaturire i danni all’ambiente e, non avendo finalità sanzionatoria o ripristinatoria, non presuppone affatto l’individuazione dell’eventuale responsabile […]” (negli stessi termini: Cons. Stato, Sez. V, 14/04/2016, n. 1509 e Cons. Stato, Sez. V, 08/03/2017, n. 1089).

Si tratta, ad avviso di chi scrive, di una tesi non del tutto condivisibile in quanto determina – quale conseguenza diretta – la parificazione delle misure di prevenzione (espressamente poste a carico anche del proprietario incolpevole) con le misure di messa in sicurezza (non citate nell’articolo 245 comma 2 del D.lgs. 152/2006 ma solo all’articolo 242 comma 3), in contrasto quindi con il principio cardine del “chi inquina paga” sul quale si fonda l’intera disciplina ambientale in tema di bonifiche.

L’effetto diretto dell’orientamento sposato dal TAR Lazio è, dunque, quello di dilatare (e al contempo parificare) l’ambito di applicazione di alcuni dei più importati istituti della disciplina in tema di bonifiche, avvicinando la normativa sulla gestione dei siti contaminati a quella dettata in tema di gestione di rifiuti (nell’ambito della quale sono posti precisi obblighi anche in capo a qualsiasi titolare di un diritto reale o personale di godimento sul sito ove sono presenti i rifiuti stessi).

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Commento TAR Lazio 6046.2021-2

Per il testo della sentenza cliccare sul pdf allegato (estratto dal sito di Giustizia Amministrativa).

TAR Lazio 6046_2021

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