Materiali riciclati non conformi, la certificazione esclude la responsabilità dell’appaltatore se riferita e riconducibile agli specifici lotti dei materiali utilizzati

01 Giu 2024 | giurisprudenza, amministrativo

Consiglio di Stato, Sez. IV, 3 gennaio 2024, n. 108.

L’appaltatore, che nel realizzare una strada non operi con la diligenza qualificata richiesta, che ricomprende anche l’obbligo di verifica della conformità dei materiali che utilizza, non può ritenersi esente da responsabilità per illecito sversamento di rifiuti.

Le certificazioni attestanti la conformità rispetto ai limiti di legge del materiale utilizzato possono essere considerate sufficienti ad escludere la responsabilità dell’operatore economico che ha realizzato l’opera, ma a condizione che si riferiscano ai lotti del materiale effettivamente utilizzato.

La produzione in giudizio di una scrittura privata ad opera della parte che non l’ha sottoscritta costituisce equipollente della sottoscrizione e, pertanto, perfeziona, sul piano sostanziale e probatorio, le pattuizioni in essa contenute.

Nel numero 2 del Giugno 2023 della Rivista avevamo commentato un’interessante sentenza del Tar Toscana (sez. II,13 marzo 2023, n. 270) che aveva affermato il principio secondo cui la presenza di un certificato di idoneità d’uso di un materiale aggregato riciclato (KEU), suffragato da prove di laboratorio, costituirebbe un legittimo affidamento che escluderebbe qualsiasi responsabilità soggettiva, anche a titolo di colpa, in capo al soggetto che ha utilizzato il materiale stesso. Con la conseguenza che l’utilizzatore non doveva quindi considerarsi obbligato allo smaltimento del materiale dimostratosi, poi, non conforme e contaminato.

Una valutazione, quella del giudice amministrativo toscano, che avevamo considerato positivamente, ritenendo che fosse importante incentivare l’uso di materiali riciclati, dando specifico valore alle certificazioni e, in particolare, alle certificazioni UE.

Avevamo tuttavia anche fatto notare che, sotto il profilo degli obblighi effettivi di smaltimento del materiale risultato non conforme, la sentenza lasciava una zona grigia, con il rischio di rendere non individuabile il soggetto obbligato a procedere con l’allontanamento del materiale risultato contaminato.

Al fine di chiudere il cerchio su questo tema ci è parso quindi opportuno portare all’attenzione dei lettori della Rivista, seppur con un poco di ritardo, la sentenza del Consiglio di Stato che ha riformato il su richiamato TAR Toscana.

Una sentenza articolata, quella del Consiglio di Stato, in quanto pronunciandosi su due ricorsi riuniti, affronta anche altri motivi di censura, sia dell’appello sia dell’appello incidentale proposto dai resistenti.

Ad ogni modo, con riferimento agli aspetti di interesse, il giudice d’appello – affermando, da una parte, che sussiste sempre un dovere di diligenza (diligenza qualificata) in capo all’appaltatore che comprende la verifica delle caratteristiche del materiale qualificato, nonché, dall’altra, attribuendo un significato obbligatorio alle clausole contrattuali mediante le quali l’appaltatore si è impegnato a fornire materiali conformi, vincolandosi all’allontanamento in caso di non conformità – ha concluso, diversamente dal Tar, dichiarando la legittimità dell’ordinanza di smaltimento emessa dal Comune nei confronti dell’utilizzatore del materiale contaminato.

Il Collegio, pur in presenza degli aspetti sopra evidenziati, ha comunque riconosciuto la fondatezza di quanto affermato nella sentenza di prima grado in merito alla possibile funzione esimente della responsabilità per i casi di utilizzo di materiali muniti di certificazione e quindi in grado di attestare la conformità del materiale con conseguente affidamento dell’utilizzatore.

La sentenza di appello tuttavia ha ritenuto di dover precisare e delimitare questa ipotesi di esclusione della responsabilità, valutandola applicabile esclusivamente a quelle ipotesi in cui l’operatore sia in grado di dimostrare che la certificazione non si riferisce genericamente all’attività di chi ha prodotto il materiale, ma in modo specifico ai materiali effettivamente utilizzati.

In altre parole, il Consiglio di Stato, di fatto applicando ancora una volta il principio della diligenza qualificata, richiede agli operatori che intendono utilizzare materiali certificati di non limitarsi a verificare che l’impianto di provenienza e l’attività siano certificati, ma di dotarsi della certificazione del materiale che intendono effettivamente utilizzare, essendo questa l’unica possibilità per determinare un reale affidamento, con conseguente esclusione di responsabilità.

Vale la pena infine di evidenziare, per quanto concerne gli obblighi contrattuali, come la sentenza in commento abbia recepito quanto più volte affermato dalla Cassazione civile (da ultimo, sez. VI, 28 gennaio 2022, n. 2666) secondo la quale la produzione in giudizio di una scrittura privata, ad opera della parte che non l’ha sottoscritta, costituisce equipollente della sottoscrizione, così perfezionando, sia sul piano sostanziale sia sul piano probatorio, il contratto stesso.

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Per il testo della sentenza (estratto dal sito istituzionale della Giustizia Amministrativa) cliccare sul pdf allegato.

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