L’inquinamento olfattivo dinanzi alla corte costituzionale: stabiliti i confini tra legislazione statale e regionale

16 Dic 2019 | giurisprudenza, corte costituzionale

di Matteo Ceruti 

Corte Costituzionale – 16 luglio 2019, n. 178 – Pres. Lattanzi, Est. Barbera – Presidente del Consiglio dei Ministri (Avv. Stato) c. Regione Puglia (Avv. Bucci). 

E’ fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 2, lettere a) e b), della legge regionale Puglia n. 32 del 16 luglio 2018 (Disciplina in materia di emissioni odorigene), per contrasto con l’art. 117, comma 2, lettera s) della Costituzione con riferimento al decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152,  giacché laddove le norme regionali impugnate estendono l’applicazione delle disposizioni volte ad evitare, prevenire e ridurre l’impatto olfattivo derivante alle emissioni in atmosfera legate alle attività antropiche, anche alle installazioni soggette ad autorizzazione integrata ambientale (AIA), sia di competenza regionale che statale, si pongono in  contrasto con l’art. 272-bis del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 che perimetra il proprio ambito di applicazione agli stabilimenti soggetti al Titolo I della Parte V del Codice dell’ambiente e quindi all’autorizzazione alle emissioni in atmosfera di cui all’art. 267 dello stesso Codice, il cui comma 3 esclude espressamente che la disciplina dettata in materia di riduzione delle emissioni in atmosfera trovi applicazione per le installazione soggette ad AIA, sottoposte unicamente alle previsioni contenute nel Titolo III-bis della Parte II del Codice dell’ambiente.

E’ invece infondata la denunzia dell’illegittimità costituzionale degli artt. 1, comma 2, lettere c) e d), 3, 4, 5, 6, 7 e 9, nonché dell’Allegato tecnico della legge reg. Puglia n. 32 del 2018, per supposta violazione dell’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., in relazione agli artt. 7-bis, comma 8, 19, 22 e 23 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152,  che, imponendo al proponente di allegare all’istanza rivolta all’autorità competente la documentazione relativa all’individuazione e alla caratterizzazione delle sorgenti odorigene coinvolte nel progetto in uno alla stima del relativo impatto ambientale, non incidono sulla disciplina delle procedure di verifica di assoggettabilità a VIA (art. 19 Codice ambiente) o di VIA (artt. 21 e 22 Codice ambiente), ma invece ne implementano, piuttosto, i contenuti sostanziali con indicazioni che il legislatore nazionale, in forza di quanto espressamente previsto dall’art. 272-bis Codice ambiente, ha specificatamente consentito alla competenza normativa regionale.

E’ altresì infondata la questione di costituzionalità dell’art. 3, comma 5, della legge reg. Puglia n. 32 del 2018, per pretesa violazione dell’art. 117, secondo comma, lettera l), in riferimento all’art. 279 Codice ambiente in quanto, laddove la disposizione censurata prevede che la violazione da parte del gestore delle prescrizioni impartite e dei valori limite fissati nel provvedimento determina l’applicabilità del sistema sanzionatorio già previsto dalle norme di settore, altro non fa che richiamare una disposizione statale che prevede sanzioni penali per la violazione di dati prescrittivi (i valori limite) definiti da uno specifico provvedimento amministrativo (l’autorizzazione riconducibile all’art. 269 Codice ambiente), limitandosi dunque a concorrere a precisare, secundum legem, i presupposti di applicazione di norme penali statali in bianco.

E’ infine fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 6 della legge reg. Puglia n. 32 del 2018 per violazione dell’art. 123 Cost., in relazione all’art. 44, commi 1 e 2, della legge della Regione Puglia 12 maggio 2004, n. 7 (Statuto della Regione Puglia) poiché la disposizione censurata nel prevedere che «[l]a Giunta regionale con propria deliberazione provvede all’aggiornamento dell’allegato annesso alle presenti disposizioni» e «definisce nel rispetto dei principi di adeguatezza e proporzionalità, disposizioni volte alla minimizzazione dell’impatto olfattivo per particolari categorie di attività», reca una ipotesi di delegificazione che contrasta con la disciplina contenuta nello Statuto reg. Puglia laddove non prevede la forma del regolamento sottoposto al parere preventivo delle commissioni consiliari e laddove non reca principi di massima che la Giunta regionale deve osservare.

Con la sentenza in commento la Corte Costituzionale per la prima volta prende in esame il tema dell’inquinamento olfattivo scrutinando il ricorso proposto dalla Presidenza del Consiglio dei ministri contro la legge regionale[1] Puglia n. 32 del 16 luglio 2018 recante “Disciplina in materia di emissioni odorigene” in attuazione dell’art. 272-bis del d.lgs. n. 152/2006.

Con quest’ultimo articolo introdotto nel Codice dell’ambiente nel 2017 (precisamente dall’art. 1, comma 1, del d.lgs. n. 183 del 2017), come è noto, ha fatto ufficialmente ingresso nell’ordinamento statale la materia delle emissioni odorigene.

In realtà la tematica dell’inquinamento olfattivo non era certo sconosciuta nel nostro Paese. E ciò sia sotto il profilo penale, grazie alla sempre efficace “valvola” del sistema rappresentata dall’art. 674 c.p. in presenza di molestie olfattive[i]; sia sotto il profilo amministrativo in relazione alla prassi, legittimata dalla giurisprudenza, di provvedimenti autorizzatori che davano comunque rilievo e disciplina alle emissioni ed agli impatti odorigeni derivanti da stabilimenti produttivi o, comunque, da attività antropiche sulla base dell’ampia nozione di “inquinamento atmosferico” di cui all’art. 268 Cod. ambiente[ii].

La sentenza della Corte n. 178/2019 prende dunque avvio dall’analisi di questa “carenza sistemica” della legislazione statale (ma anche europea) che, comunque, aveva consentito ad alcune regioni di intervenire con un ampio margine di azione in tema di inquinamento olfattivo. Tra queste, le Regioni Basilicata, Sicilia, Abruzzo, Emilia Romagna, Piemonte, Lombardia le cui linee guida hanno costituito il punto di riferimento tecnico seguito sino ad oggi[iii], oltre che, appunto, la Regione Puglia che è stata tra le prime a disciplinare la materia con la legge n. 7 del 1999.

Il tema degli odori è da tempo all’attenzione anche delle agenzie per l’ambiente. Così l’Agenzia per la protezione dell’ambiente e per i servizi tecnici – APAT già nel 2003 aveva approvato un documento recante “Metodi di misura delle emissioni olfattive. Quadro normativo e campagne di misura” (Manuali e Linee Guida 19/2003). Mentre nel 2008 il Consiglio del Sistema Nazionale per la Protezione dell’Ambiente – SNPA (composto da ISPRA e dalle agenzie regionali per la protezione dell’ambiente) ha approvato specifiche “Metodologie per la valutazione delle emissioni odorigene – documento di sintesi” (delibera n. 38/2018).

In tale contesto si inserisce dunque il citato art. 272-bis del Codice dell’ambiente con cui, come chiarito nella sentenza in esame, il legislatore statale non ha introdotto una disciplina organica dell’inquinamento odorigeno, lasciando invece alle Regioni il compito di regolamentare il settore (attraverso al previsione di: valori limite di emissione; prescrizioni impiantistiche e gestionali e criteri localizzativi per attività aventi impatto odorigeno, anche in funzione della presenza di ricettori sensibili; portate massime o concentrazioni massime di emissione odorigena), riservandosi tuttavia la possibilità di dettare indirizzi sulle predette misure, oltreché di introdurre valori limite e prescrizioni generali (inclusi i metodi di monitoraggio e di determinazione degli impatti) destinate a valere per l’intero territorio nazionale in modo uniforme.

La legge regionale pugliese n. 32 viene dunque approvata nel 2018 con l’obiettivo di aggiornare la precedente legge n. 7 del 1999 alla luce del mutato quadro normativo statale.

Il primo gruppo di censure sollevate dal Governo attiene all’ambito di operatività delle nuove norme regionali volte ad evitare, prevenire e ridurre l’impatto olfattivo derivante alle emissioni in atmosfera legate alle attività antropiche (peraltro in linea con quanto previsto dalla previgente disciplina)[iv] la cui applicazione non è era limitata ai soli stabilimenti soggetti all’autorizzazione alle emissioni in atmosfera di cui all’art. 269 Cod. ambiente, ma veniva estesa anche alle installazioni soggette ad AIA-autorizzazione integrata ambientale, sia di competenza regionale che statale.

I giudici dell’Alta Corte (al § 6 ss. della sentenza) hanno ritenuto fondata la questione di legittimità costituzionale sollevata, evidenziando che così facendo le norme regionali impugnate si pongono in  contrasto con il citato art. 272-bis del d.lgs. n. 152 del 2006 che perimetra il proprio ambito di applicazione agli stabilimenti soggetti al Titolo I della Parte V del Codice dell’ambiente e quindi all’autorizzazione alle emissioni in atmosfera di cui all’art. 267 dello stesso Codice, il cui comma 3 esclude espressamente che la disciplina dettata in materia di riduzione delle emissioni in atmosfera trovi applicazione per le installazione soggette ad AIA, sottoposte unicamente alle previsioni contenute nel Titolo III – bis della Parte II del Codice dell’ambiente.

Sulla base di questa premessa si conclude dunque che la disciplina regionale finisce per sovrapporsi illegittimamente a quella dettata dal Cod. ambiente, in un ambito (quello, appunto, dell’inquinamento odorigeno) sicuramente ascritto alla materia della “tutela dell’ambiente e dell’ecosistema”, come tale riservato alla competenza legislativa esclusiva dello Stato, ex art. 117, secondo comma, lettera s), Cost. Il tutto con l’ulteriore precisazione che tale riserva legislativa si rivela inevitabilmente più rigorosa laddove le installazioni interessate siano assoggettate ad AIA di competenza statale, rispetto alle quali non sono proprio rinvenibili spazi regionali di operatività (altrimenti definiti dall’art. 7, comma 7, del Codice).

Probabilmente quest’esito di incostituzionalità in parte qua della legge pugliese risultava inevitabile alla luce del dettato letterale e del dato “topografico” del citato art. 272-bis che richiama testualmente i soli stabilimenti del Titolo I (della Parte V) del Cod. ambiente in cui lo stesso articolo è inserito.

E tuttavia questa pronuncia, delimitando l’ambito di operatività riconosciuto alla normativa regionale in materia di emissioni odorigene ai soli stabilimenti soggetti ad autorizzazioni alle emissioni in atmosfera di cui all’art. 267 ss. Cod. ambiente, finisce per escludere la possibilità di disciplina regionale del fenomeno del contenimento dell’inquinamento olfattivo proprio per gli stabilimenti che presentano una maggiore potenzialità inquinante, ossia quelli appunto soggetti ad autorizzazione integrata ambientale – AIA.

Il tutto senza contare che sono proprio le attività soggette a quest’ultima autorizzazione che, creando le maggiori problematiche olfattive, hanno aperto la strada alla richiamata prassi, confermata dai giudici amministrativi, della considerazione delle emissioni odorigene tra i fenomeni inquinanti da disciplinare con apposite prescrizioni conformative e, talvolta, anche con esiti ostativi al rilascio dell’autorizzazione integrata di cui agli artt. 29-bis e ss. del Cod. ambiente[v].

D’altronde nella stessa sentenza in commento si evidenzia (al § 6.3.3.) che “L’autorizzazione ex art. 269 cod. ambiente, al cui ambito va ricondotta quella regolamentata dalla normativa regionale impugnata, risulta assorbita in quella unitariamente resa ai sensi dell’art. 29-sexies dello stesso codice; titolo il quale, a sua volta, come previsto dal comma 3 dell’articolo citato da ultimo, dovrà anche includere i valori limite di emissione fissati per le sostanze inquinanti rilasciate nell’atmosfera”, tra cui (si ritiene) anche la previsione di limiti relativi all’inquinamento olfattivo, ancorché ciò avvenga in assenza di disciplina regionale.

Interessante risulta poi la decisione in esame laddove (§ 7 ss.) la Corte si pronuncia sulla seconda censura sollevata dal Governo nei confronti di quelle disposizioni della legge reg. Puglia n. 32 del 2018 (ossia, gli artt. 1, comma 2, lettere c) e d), 3, 4, 5, 6, 7 e 9, nonché l’Allegato tecnico)  recanti un’estensione del campo di applicazione della nuova normativa ai progetti sottoposti a valutazione di impatto ambientale – VIA e a verifica di assoggettabilità a VIA, con la prescrizione imposta al proponente di allegare all’istanza rivolta all’autorità competente la documentazione relativa all’individuazione e alla caratterizzazione delle sorgenti odorigene coinvolte nel progetto unitamente alla stima del relativo impatto ambientale.

I giudici costituzionali concludono sul punto che tali previsioni regionali incidono solo sul piano del contenuto delle informazioni da inserire negli studi di impatto ambientale e negli studi preliminari ambientali, da estendere ormai anche ai parametri relativi alla matrice odorigena, ma non influiscono sulla struttura del procedimento, sul riparto delle competenze tra Stato e regioni o sull’iter procedurale, né sull’individuazione dei progetti sottoposti a screening di VIA (art. 19 Codice ambiente) o a VIA (artt. 21 e 22 Codice ambiente). Siamo dunque in presenza, non di una invasione della competenza legislativa statale, bensì dell’implementazione di contenuti sostanziali degli studi di impatto che il legislatore nazionale, in forza di quanto espressamente previsto dall’art. 272-bis Codice ambiente, ha specificatamente consentito alla competenza normativa regionale.

Altrettanto significativo si rivela l’ulteriore capo della sentenza della Consulta (§ 8 ss.) recante la declaratoria di infondatezza della questione di costituzionalità dell’art. 3, comma 5, della legge reg. Puglia n. 32 del 2018 (secondo cui la «violazione da parte del gestore delle prescrizioni impartite e dei valori limite fissati nel provvedimento … determina l’applicabilità del sistema sanzionatorio già previsto dalle norme di settore»), per pretesa violazione dell’art. 117, secondo comma, lettera l) per supposta violazione della riserva legislativa esclusiva statale in materia di ordinamento penale, in riferimento all’art. 279 del Cod. ambiente recante disposizioni sanzionatorie penali ed amministrative nel settore delle emissioni in atmosfera.

Qui la Corte opera, in via interpretativa, una preliminare delimitazione del parametro statale censurato alla sola fattispecie del comma 2 dell’evocato art. 279 d.lgs. n. 152/2006, ossia alle sole condotte di violazione dei valori limite previsti nelle autorizzazioni di cui all’art. 269; e, quindi, richiamata la consolidata giurisprudenza costituzionale sui (limitati) spazi riconosciuti alla legislazione regionale in ambito penale, conclude che la disposizione pugliese censurata altro non fa che rinviare a disposizioni statali recanti sanzioni penali per la violazione di dati prescrittivi (appunto “i valori limite” in materia emissiva – olfattiva) definiti nello specifico provvedimento amministrativo (l’autorizzazione alle emissioni ex art. 269 Cod. ambiente), limitandosi dunque a concorrere nella precisazione, secundum legem, dei presupposti di applicazione di norme penali statali cd. “in bianco”.

Sul piano penalistico, pare dunque di poter concludere che l’avvenuto riconoscimento (ad opera dell’art. 272-bis Cod. ambiente) della rilevanza anche “ambientale” dell’inquinamento olfattivo proveniente da impianti produttivi, comporta ora la possibilità del concorso formale dell’art. 279 d.lgs. 152/2006 e dell’art. 674 c.p. in ipotesi di violazione dei valori limite di odori stabiliti nell’autorizzazione alle emissioni che abbia provocato anche una molestia olfattiva.

Per il testo della sentenza (estratto dal sito istituzionale della Corte Costituzionale cliccare sul pdf allegato

Ceruti_Corte Cost. 178-2019

SCARICA L’ARTICOLO IN FORMATO PDF

 Ceruti_178-2019

[i] Cfr. ad es. da ultimo Cass. Sez. III pen., 13 settembre 2019, n. 38021, Ric. Viasu ed altro, che ha ribadito l’ormai pacifico principio per cui in presenza di emissioni olfattive è configurabile la contravvenzione dell’art. 674 c.p., essendo irrilevante che tali emissioni olfattive avvengano nell’ambito di un’attività produttiva autorizzata “in quanto non esiste una normativa statale che prevede disposizioni specifiche e valori limite in materia di odori, ai fini del giudizio sulla configurabilità del reato sarebbe stato necessario fare riferimento, quale parametro di legalità dell’emissione, al criterio della “stretta tollerabilità”, e non invece, di quello della “normale tollerabilità” previsto dall’art. 844 cod. civ., attesa l’inidoneità di quest’ultimo ad assicurare una protezione adeguata all’ambiente ed alla salute umana (Sez.  3, n. 36905 del 18/06/2015, Maroni, Rv. 265188; Sez.  3, n. 2475 del 09/10/2007, dep. 2008, Alghisi e a.,  Rv. 238447; Sez.  3, n. 19898 del 21/04/2005, Pandolfini,  Rv. 231651; identico principio è affermato da Sez.  3, n. 12019 del 10/02/2015, Pippi, Rv. 262710, pur erroneamente massimata sul punto)”.

[ii] Cfr. ad es. T.A.R. Friuli-Venezia Giulia, sez. I, 2 gennaio 2013, n.2, in Riv. giur. ambiente 2013, 3-4, 439, con nota di MARCHETTI, con cui si afferma la legittimità del diniego dell’autorizzazione integrata ambientale per un grande allevamento avicolo in caso di cicliche immissioni olfattive moleste di ammoniaca oltre il parametro stabilito dall’agenzia di protezione ambientale statunitense, ritenuto applicabile anche in Italia, in forza del principio comunitario di precauzione; vds. anche T.A.R. Umbria, 10 gennaio 2003, n.10, in Rass. giuridica umbra 2003, 283, in tema di prescrizioni di contenimento delle emissioni odorigene in sede di rilascio di autorizzazione alle emissioni di impianto di raffinazione degli olii di oliva.

[iii] D.G.R. Lombardia 15 febbraio 2012 – n. IX/3018 recante “Determinazioni generali in merito alla caratterizzazione delle emissioni gassose in atmosfera derivanti da attività a forte impatto odorigeno”.

[iv] Ma, come chiarito in sentenza, il costante orientamento della Corte è nel senso di escludere l’applicabilità dell’istituto dell’acquiescenza ai giudizi di costituzionalità in via principale (§ 6.2.3).

[v] Cfr. T.A.R. Friuli-Venezia Giulia, sez. I, 2 gennaio 2013, n.2, cit., confermata da Cons. Stato, sez. V, 10 settembre 2014, n. 4588 in www.giustizia-amministrativa.it

Scritto da