Le mitigazioni costitutive e lo screening di vinca #2

04 Set 2023 | giurisprudenza, corte di giustizia, in evidenza 2

di Paola Brambilla

CORTE DI GIUSTIZIA UE, Sez. II, 15 giugno 2023, causa C‑721/21 – Pres. A. Prechal, Rel J. Passer – Eco Advocacy CLG c. An Bord Pleanála e con Keegan Land Holdings, An Taisce – The National Trust for Ireland, ClientEarth AISBL

Il diritto dell’Unione deve essere interpretato nel senso che non osta a una norma procedurale nazionale in forza della quale, da un lato, una domanda di sindacato giurisdizionale, sia ai sensi del diritto nazionale sia ai sensi di disposizioni del diritto dell’Unione quali l’articolo 4, paragrafi da 2 a 5, e l’allegato III della direttiva 2011/92/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 13 dicembre 2011, concernente la valutazione dell’impatto ambientale di determinati progetti pubblici e privati, come modificata dalla direttiva 2014/52/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 16 aprile 2014, o l’articolo 6, paragrafo 3, della direttiva 92/43/CEE del Consiglio, del 21 maggio 1992, relativa alla conservazione degli habitat naturali e seminaturali e della flora e della fauna selvatiche, deve essere fondata su una presentazione delle domande e dei motivi su cui tali domande si fondano, che enunci con precisione ciascuno di tali motivi e che precisi, per ciascun motivo, i fatti o gli elementi invocati a sostegno e, dall’altro, il ricorrente non può, in sede di udienza, invocare motivi o presentare domande diversi da quelli esposti in tale presentazione.

L’articolo 6, paragrafo 3, della direttiva 92/43 dev’essere interpretato nel senso che: anche se, qualora un’autorità competente di uno Stato membro decida di autorizzare un piano o un progetto che può avere ripercussioni su un sito protetto ai sensi di tale direttiva senza richiedere un’opportuna valutazione, ai sensi di tale disposizione, tale autorità non è tenuta a rispondere, nella motivazione della sua decisione, a tutti i punti di diritto e di fatto sollevati nel corso del procedimento amministrativo, essa deve tuttavia indicare adeguatamente le ragioni che le hanno consentito, prima di concedere tale autorizzazione, di acquisire la certezza, nonostante i pareri contrari e i ragionevoli dubbi eventualmente ivi espressi, che sia stato escluso ogni ragionevole dubbio scientifico circa la possibilità che detto progetto incida significativamente su tale sito.

L’articolo 6, paragrafo 3, della direttiva 92/43 dev’essere interpretato nel senso che: al fine di determinare se sia necessario effettuare un’opportuna valutazione dell’incidenza di un piano o di un progetto su un sito, si può tener conto delle caratteristiche di tale piano o progetto che comportano l’eliminazione dei contaminanti e che sono quindi atte a produrre l’effetto di ridurre le conseguenze nocive di tale piano o progetto sul sito, qualora tali caratteristiche siano state integrate nello stesso piano o nello stesso progetto come caratteristiche ordinarie, inerenti a siffatto piano o progetto, indipendentemente da qualsiasi effetto su detto sito..

Quando lo stato dell’arte semplifica il procedimento di valutazione ambientale.

Il caso sottoposto ai giudici europei riguarda un progetto per la realizzazione di oltre 300 abitazioni vicino a una ZSC fluviale, che prevede la raccolta delle acque di dilavamento per il loro trattamento prima dello scarico in acque superficiali. Il quesito è se di tale misura di mitigazione si possa tener conto all’interno dello screening di VINCA, o se la sua presenza sia sintomatica di un impatto negativo e quindi comporti l’inevitabilità del passaggio alla valutazione appropriata.

Per comprendere la soluzione e la sua vastissima portata applicativa, andiamo però in ordine.

Proporzionalità e Precauzione. Discrezionalità e tipicità.

Per prima cosa dobbiamo addentrarci nei principi che contribuiscono alla soluzione del caso concreto.

La pronuncia in commento costituisce infatti un fulgido esempio del pragmatismo e dell’adesione marcata al principio di proporzionalità che in materia ambientale caratterizza l’azione unionale – sia nella sede normativa che nella fase discendente di applicazione e interpretazione del diritto europeo – e che si è rivelato anche in questo settore il principale baluardo capace di arginare i formalismi ed automatismi che spesso banalizzano i procedimenti di valutazione ambientale, fenomeno che la dottrina definisce come inflazione dei diritti.[i]

E che la rivendicazione dell’effettuazione della valutazione ambientale sia un diritto fondamentale, come pure che le previsioni che hanno introdotto l’obbligo di tale valutazione preventiva, a partire dall’art. 3 della direttiva 85/337, abbiano natura di norme fondamentali, è stato affermato convintamente dalla Corte di Giustizia a più riprese.[ii]

Come è ben noto, alla VIA l’ordinamento europeo ha poi fatto seguire la VINCA e quindi la VAS, tutte procedure di valutazione ambientale con caratteristiche ed oggetti specifici; la prima riguarda una serie di progetti che possono incidere su molteplici fattori, ambiente, paesaggio, salute, e sulle interazioni tra detti fattori, la seconda (introdotta dalla direttiva 92/43/CEE) valuta l’incidenza di piani, progetti e interventi sulla biodiversità, habitat e specie racchiusi nei siti appartenenti alla c.d. Rete Natura 2000, SIS, ZPS e ZSC, anche se ne è prevista la realizzazione all’esterno di tali siti, e infine la terza (direttiva 42/2001/CE) si occupa specificamente della valutazione di piani e programmi che possono avere impatti ambientali, od essere il quadro di riferimento per progetti suscettibili di venir sottoposti a VIA o a VINCA.

Trattandosi di procedure ispirate alla prevenzione e alla precauzione, da un lato, alla partecipazione dall’altro, le direttive che vi hanno dato vita hanno articolato in dettaglio le fasi tipiche dello svolgimento di detta valutazione, gli aspetti della consultazione del pubblico e infine il perimetro del sindacato sulle decisioni che ne scaturiscono.

E’ così che la forma è sostanza, in quanto la tipicità dell’iter e della scansione delle varie fasi delle procedure sono da un lato argine all’eccesso di discrezionalità che ne evita la metamorfosi in arbitrio, dall’altro assicurano l’esercizio di una ponderata analisi e valutazione di tutti gli aspetti necessari a escludere la verificazione di impatti o incidenza significativa o negativa, cosìcchè l’obliterazione di alcuni passaggi può assurgere a sintomo di illegittimità, e quindi fondare il sindacato giurisdizionale specie sulle decisioni di esclusione del progetto da VIA o da VINCA.

Tutte queste procedure, infine, sono costruite secondo un format similare, che prevede per i progetti meno significativi una fase preliminare di screening ed una successiva di valutazione vera e propria.

Ora, la pronuncia chiarisce in via interpretativa come bilanciare lo spirito preventivo, e l’esigenza di evitare ogni elusione di questa finalità che la tipicità presidia imponendo di seguire tutti i passaggi e le fasi previste, con il canone della proporzionalità, che funge da filtro e impone di seguire pedissequamente l’iter più gravoso solo quando ciò sia necessario, adeguato, non eccessivo rispetto allo scopo. E sono i giudici a guidare l’operatore giuridico in questa scelta di ciò che è ad ogni effetto un “reasonable disagreement.”

Le mitigazioni e lo screening.

La sentenza tratta prevalentemente della VINCA, istituto recentemente fatto oggetto di apposite Linee Guida nazionali per la valutazione di incidenza, approvate dalla Conferenza Stato Regioni nel 2019 per porre termine a una procedura di pre-infrazione europea.[iii]

Questo documento illustra come condurre l’analisi di piani e progetti, evidenziando i passaggi valutativi che devono orientare sia il proponente che presenta lo studio, sia l’autorità competente che lo analizza, nella decisione di passare dallo screening (I livello) alla valutazione appropriata (II livello), ai sensi di quanto previsto dall’art. 6, commi 3 e 4 della direttiva Habitat.

Ora, vi si legge che “lo screening (Livello I) non richiede uno Studio di Incidenza e non può prevedere misure di mitigazione che, in questa fase di preesame, comprometterebbero gli elementi della VIncA appropriata (Livello II) che non deve comportare lacune, ma avere rilievi e conclusioni completi, decisi e definitivi”: si tratta di un passaggio che lega la possibilità di fermarsi allo screening, e dunque di escludere la necessità di una valutazione appropriata, all’ipotesi in cui si possa affermare con un grado di probabilità rasente alla certezza, fondata sulle migliori conoscenze scientifiche e su un’accurata disamina dell’iniziativa concreta e del contesto,  che il piano o progetto in sé e per sé considerato non arreca alcuna incidenza negativa e significativa allo stato di conservazione dei siti o delle specie.

Pare dunque assodato che in questa fase prevalutativa dello screening non si possa tenere in alcun conto di eventuali misure mitigative o di attenuazione degli impatti previste dal piano o dal progetto, perché la loro presenza, è stato affermato, è la prova lampante che ci sono impatti, tale da necessitare il passaggio alla VINCA di II livello, in cui si valuta se le misure mitigative possono rendere l’impatto non negativo e significativo.

Insomma, le mitigazioni sono da valutare solo ex post, nella fase della valutazione appropriata, e se sono previste dal progetto, questo vuol dire che il progetto va inviato a VINCA vera  e propria.

Ma…e qui arriva la risposta del giudice, che fare nei casi in cui piani e progetti prevedano intrinsecamente soluzioni di attenuazione e mitigazione degli impatti, come nell’ipotesi di specie?

Ora, la Corte da un lato ribadisce come in via generale non si possano prendere in considerazione, all’interno dello screening, misure volte a evitare o ridurre gli effetti negativi del piano e progetto, perché tale valutazione presuppone appunto un impatto significativo e l’analisi dell’idoneità di dette misure deve venire svolta non all’interno del preesame ma nella fase più completa della valutazione opportuna, maggiormente articolata anche quanto alla tipizzazione del suo svolgimento, e ciò a pena di un aggiramento di tale valutazione, “che costituisce tuttavia una garanzia essenziale” prevista dalla direttiva.[iv]

Ciononostante, ed ecco l’apertura della Corte, una lettura ragionevole e proporzionata della norma esclude che nello screening non si possa prendere in considerazione qualsiasi elemento costitutivo, inerente al progetto, che possa ridurre il suo impatto sul sito interessato.

Al contrario, le caratteristiche intrinseche del progetto, ad esso connaturate ordinariamente e in esso integrate in quanto “richieste per tutti i progetti dello stesso tipo”, non possono avere un valore indiziario dell’elusione della VINCA di II livello e sono suscettibili di venir apprezzate dall’autorità competente già nella fase del preesame, senza dare ingresso alla più complessa e onerosa fase della valutazione opportuna.

Si tratta, all’evidenza, della coerente applicazione del principio di proporzionalità alle valutazioni ambientali, secondo i canoni sanciti dalle pronunce Gebhard ed Estonia c. Parlamento e Consiglio, per cui “il principio di proporzionalità, come parte integrante dei principi generali del diritto dell’Unione, esige che gli strumenti predisposti da una norma siano idonei a realizzare lo scopo perseguito e non vadano oltre quanto è necessario per raggiungerlo”,[v] ripreso anche dalle corti europee, ed anche dalla nostra Consulta: “il test di proporzionalità utilizzato da questa Corte come da molte delle giurisdizioni costituzionali europee, spesso insieme con quello di ragionevolezza, ed essenziale strumento della Corte di Giustizia dell’Unione europea per il controllo giurisdizionale di legittimità degli atti dell’Unione e degli Stati membri, richiede di valutare se la norma oggetto di scrutinio, con la misura e le modalità di applicazione stabilite, sia necessaria e idonea al conseguimento di obiettivi legittimamente perseguiti, in quanto, tra più misure appropriate, prescriva quella meno restrittiva dei diritti a confronto e stabilisca oneri non sproporzionati rispetto al perseguimento di detti obiettivi[vi], ed infine codificato in un apposito test trifasico da una celebre pronuncia del Consiglio di Stato.[vii]

In ultimo si deve porre attenzione al fatto che il bilanciamento della semplificazione procedurale consentito dalla pronuncia riposa anche sulla motivazione del provvedimento finale, perché la Corte soggiunge che in ogni caso anche nella decisione sullo screening l’autorità competente “deve tuttavia indicare adeguatamente le ragioni che le hanno consentito, prima di concedere tale autorizzazione, di acquisire la certezza, nonostante i pareri contrari e i ragionevoli dubbi eventualmente ivi espressi, che sia stato escluso ogni ragionevole dubbio scientifico circa la possibilità che detto progetto incida significativamente su tale sito.”

Ciò in quanto il canone della ragionevolezza, che accompagna la lettura proporzionata della norma deve essere chiaramente leggibile nella motivazione, anche per non impedire l’eventuale sindacato giurisdizionale proprio del sistema di tutela dell’accesso alla giustizia ambientale.

Prima analisi delle conseguenze della pronuncia. Campo di possibile applicazione.

Ciò posto, la sentenza consente senza dubbio ai proponenti di piani e progetti di ricorrere allo screening ogniqualvolta le soluzioni mitigative incorporate nei piani e nei programmi siano ad essi connaturate e la loro presenza contribuisca ad escludere la verificazione di effetti negativi e significativi.

Attenzione però che la pronuncia evidenzia con cura quando tale “normalità” od “ordinarietà” delle mitigazioni possa ritenersi esistente e dunque non suscettibile di rimandarne l’esame ad apposita fase: le mitigazioni devono essere “richieste” e “per tutti i progetti”.

Da ciò si inferisce allora che in primo luogo la normalità può dipendere da una previsione normativa: disposizioni in materia di efficientamento energetico, di depurazione o di sistemi di raccolta delle acque meteoriche, in materia di nature-based-solution, di invarianza idraulica, di asfalto drenante, ed ancora, ci pare poter dire, di BAT e di tutte le migliori soluzioni tecnologiche che appartengano allo stato dell’arte in forza di disposizioni normative o regolamentari: poichè la sentenza insiste sul fatto che debba trattarsi di mitigazioni applicabili generalmente a una serie astratta di casi, ciò appunto non può che ricondurre in primis alla fonte normativa.

In secondo luogo, la normalità e connaturalità della mitigazione al progetto può derivare dalle previsioni della valutazione ambientale strategica che abbia accompagnato la pianificazione a monte, come in questo caso, in cui la soluzione di raccolta e trattamento delle acque meteoriche derivava proprio dal piano attuativo che aveva prefigurato lo sviluppo urbanistico dell’area.

C’è quindi un fortissimo legame tra VAS e VINCA, spesso non adeguatamente esplorato dai pianificatori che fanno della prima un esercizio di indirizzo astratto, senza comprendere il valore di uno zoning deciso, e dell’importante contributo che la previsione di prescrizioni per l’attività antropica oggetto del piano, da attuare nella fase progettuale, consente in molti casi – per il principio di non duplicazione delle valutazioni – di limitare la fase della valutazione del progetto (in sede di VINCA ma anche in sede di VIA) ai soli aspetti non già valutati, o agli aspetti di dettaglio.

Ecco allora che la VAS, lungi dall’appesantire il procedimento ambientale, diviene uno strumento di semplificazione, perché consente lo snellimento delle fasi successive, che possono limitarsi a uno screening, come nel caso in esame: consentendo che la mitigazione e le attenuazioni degli impatti e dell’incidenza “prescritti” a monte e dunque “obbligatori” e “parte integrante” del progetto, possano essere considerati nel preesame per escludere il progetto da VIA o da VINCA.

Lo stesso insegnamento vale per l’autorità competente, che avrà il dovere di non fare applicazione formale dell’art. 6 comma 3 della direttiva 92/43/CEE o delle Linee Guida 2019, ma di considerare le misure mitigative nello screening, senza rimandare il progetto in automatico alla valutazione opportuna, ogniqualvolta esse siano appunto “normali”.

Forse il prossimo step di questo percorso nella direzione della semplificazione potrebbe risiedere nell’approntamento di Linee Guida settoriali, o di Check List, un po’ come già previsto dalle c.d. Condizioni d’obbligo, che ancorino, con valore di regolazione di soft-law, il miglior stato dell’arte e le migliori tecnologie mitigative a singole categorie progettuali: così, ad esempio, progetti di parchi eolici in aree non inidonee, che prevedano già la colorazione di una pala in nero o l’installazione di radar e sistemi di arresto automatico in presenza di fauna in volo, il mantenimento della base degli aerogeneratori sfalciata per evitare effetti attrattivi, e ripristino delle aree incise da scavi con essenze autoctone, potrebbero essere valutati già in fase di screening, potendo queste misure essere considerate oramai ordinarie ed entrate nel linguaggio comune degli operatori del settore.

Ultimi aspetti processuali.

L’altro tema che tocca la sentenza è quello processuale: il giudice del rinvio si chiede se il diritto unionale sia compatibile con una norma processuale nazionale che impone a chi ricorra (anche in materia di VIA e VINCA), di articolare le domande e i motivi su cui tali domande si fondano, enunciando con precisione ciascuno di tali motivi e che precisi, per ciascun motivo, i fatti o gli elementi invocati a sostegno, precludendo al ricorrente, in sede di udienza, di invocare motivi o presentare domande diversi da quelli esposti all’atto della domanda. La risposta è affermativa, il principio della corrispondenza del chiesto al pronunciato, del divieto di nova e del contraddittorio possono legittimamente corroborare una simile soluzione, che non contrasta affatto con il primato e l’effettività del diritto europeo nel settore ambientale, ma viceversa responsabilizza a rendere efficiente (canone sempre più importante della buona amministrazione) non solo il procedimento, ma anche il processo.

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CGUE screening vinca

Per il testo della sentenza cliccare sul pdf allegato.

21 2032 screening mitigazioni

NOTE:

[i] K. Möller, Proportionality and Rights Inflation, in G. Huscroft, B.W. Miller, G. Webber, Introduction, Proportionality and the Rule of Law. Rights, Justification, Reasoning, Cambridge University Press, 2014.

[ii] Cfr. Corte di Giustizia CE, Sez. I, 03/03/2011, C-50/09.

[iii] Intesa del 28.11.2019 (Rep. atti n. 195/CSR 28.11.2019), GU Serie Generale n.303 del 28-12-2019.

[iv] Cfr. Corte di Giustizia UE, 12 aprile 2018, C-323/17, § 35-37.

[v] Cfr. Corte di Giustizia CE, 30 novembre 1995, causa C-55/94, Gebhard e Corte di Giustizia UE, 23 settembre 2013, C-508/13, Repubblica di Estonia c. Parlamento europeo e Consiglio dell’Unione europea.

[vi] Corte Costituzionale, 1/2014, non a caso sotto la presidenza di Tesauro.

[vii] Cons. Stato, Sez. VI, n. 1885/2000, in Riv.it.dir.pubb.com., 2000, p. 439 ss., con nota di Galetta, D.U., Mezzanotte, M. (2022). La proporzionalità “contesa”: Corte di giustizia e giudici nazionali a confronto. Consulta 0nline, 1(1/2022), 311-320.

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