L’attribuzione di responsabilità ambientali per fatti antecedenti il 1997 può prescindere dall’accertamento dell’elemento soggettivo?

28 Nov 2021 | giurisprudenza, amministrativo, in evidenza 4

di Federico Vanetti e Lorenzo Ugolini

TAR Toscana, Firenze, Sez. I, 6 agosto 2021, n. 1137

Pres. Manfredo Atzeni, Est. Raffaello Gisondi – OMISSIS (Avv.ti Gian Luca Conti, Wladimir Francesco Troise Mangoni, Alberto Buonfino e Mattia Errico) contro Regione Toscana, A.R.P.A.T. (Avv. to Barbara Mancino).

Deve essere condiviso l’arresto dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato che, con sentenza n. 10/2019, ha risposto positivamente alla questione se possa essere destinataria di un ordine di bonifica di siti inquinati ai sensi dell’art. 244 del c.d. codice dell’ambiente (decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152) una società che si è resa autrice di un inquinamento antecedente alla entrata in vigore del D.gs n. 22/97.

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La sentenza in commento si rivela di particolare interesse in quanto rappresenta l’occasione per tornare ad affrontare una tematica che continua a presentare numerosi profili di incertezza, anche alla luce della (spesso non univoca) prassi amministrativa: le contaminazioni storiche e le (eventuali) condizioni legittimanti una relativa attribuzione (e trasmissione) di responsabilità in caso di operazioni societarie[i].

Come noto, in merito al suddetto profilo è intervenuta l’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato che, con la nota pronuncia n.10/2019, ha statuito il principio di diritto secondo cui “la bonifica del sito inquinato può essere ordinata anche a carico di una società non responsabile dell’inquinamento, ma che sia ad essa subentrata per effetto di fusione per incorporazione, nel regime previgente alla riforma del diritto societario, e per condotte antecedenti a quando la bonifica è stata introdotta nell’ordinamento giuridico, i cui effetti dannosi permangano al momento dell’adozione del provvedimento”.

Ebbene, in via preliminare è opportuno rilevare che la pronuncia del TAR Toscana qui in commento richiama espressamente l’Adunanza Plenaria precedentemente menzionata, evidenziando che – in tale sede – si è pervenuti alla conclusione “secondo cui l’art. 17 d.lgs. n. 22 del 1997 nell’introdurre l’obbligo della “messa in sicurezza”, “bonifica” e “ripristino ambientale delle aree inquinate” a carico dell’autore della contaminazione, lungi dal segnare una discontinuità con la precedente legislazione in materia, si è limitato a rafforzare la tutela del bene ambiente, già oggetto di protezione legislativa, con rimedi ripristinatori anche essi, peraltro, già previsti dagli artt. 2058 c.c. e 18 comma 8 della L. 349/86”.

Tuttavia, a parere di chi scrive, il richiamo all’Adunanza Plenaria n. 10/2019 operato dal TAR parrebbe rivelarsi non necessario, a meno che non si intenda attribuire alle argomentazioni esplicitate dalla Plenaria un significato “generale” che prescinda dal contrasto giurisprudenziale che la stessa è stata chiamata a dirimere.

Infatti la fattispecie in rilievo dinnanzi al TAR Toscana, a ben vedere, non si occupa espressamente di profili relativi ad operazioni societarie (punto, invece, che risulta centrale nella pronuncia dell’Adunanza Plenaria) ma tratta, invero, la tematica delle contaminazioni storiche ove le relative responsabilità ambientali sono state addebitate dalla pubblica amministrazione ad una società esercente sul sito attività di ricerca di idrocarburi negli anni’80. Con il che, al fine di motivare la sussistenza dei presupposti per l’addebito di responsabilità ambientali correlate a condotte poste in essere dalla suddetta società antecedentemente l’entrata in vigore del d.lgs. 22/1997 (c.d. “contaminazioni storiche”), poteva risultare sufficiente, invece che “scomodare” la pronuncia dell’Adunanza Plenaria n. 10/2019 (la quale – si ripete – intende invero chiarire in quali casi le responsabilità ambientali possano trasmettersi al successore al titolo universale), richiamare la copiosa giurisprudenza formatasi in materia di contaminazioni storiche volta ad affermare, a fronte del carattere permanente del danno ambientale, che “trovano comunque applicazione le norme in materia di obblighi di bonifica, di cui alla Parte IV del codice medesimo e, in particolare, gli artt. 244 e 242, che, peraltro, menziona espressamente i casi di “contaminazioni storiche”: ciò, in quanto tali norme non sanzionano ora per allora la (risalente) condotta di inquinamento, ma pongono un attuale rimedio alla (perdurante) condizione di contaminazione dei luoghi, per cui l’epoca di verificazione della contaminazione è del tutto indifferente[ii]. D’altronde, è evidente che l’accoglimento di una tesi restrittiva “comporterebbe l’impossibilità di applicare le norme in tema di bonifica a ciascuno degli episodi di inquinamento verificatisi nel corso del ‘900 nel territorio italiano, svuotando praticamente di significato tutto il sistema normativo delle bonifiche dei suoli inquinati[iii].

A prescindere dalla necessità o meno del richiamo alla pronuncia dell’Adunanza Plenaria operato dal TAR, a parere di chi scrive, residuano pochi dubbi sul fatto che il principio statuito dalla stessa Plenaria abbia portato la maggior parte dei commentatori – nonché delle Pubbliche Amministrazioni – a configurare una sorta di responsabilità oggettiva in capo ai successori a titolo universale di società che avessero, di fatto, posto in essere condotte inquinatrici antecedentemente agli anni’90 (interpretazione che, peraltro, parrebbe essere stata sposata nel caso di specie dal TAR con riferimento alla generale tematica delle contaminazioni storiche[iv]).

A parere di chi scrive, tuttavia, tale lettura merita alcune precisazioni, volendo optare per una interpretazione “costituzionalmente orientata” della pronuncia n. 10/2019 volta ad imporre alle P.A., quantomeno, un previo accertamento in merito alla sussistenza dell’elemento soggettivo (dolo e/o colpa dell’operatore privato originario – presunto – inquinatore) – oltre che, naturalmente, della natura contra ius della condotta – quale precondizione per l’attribuzione delle responsabilità ambientali.

Detta tesi, peraltro, parrebbe trovare espresso conforto in taluni passaggi della stessa Plenaria ove il Consiglio di Stato finisce chiaramente per individuare l’art. 2043 c.c. quale base giuridica “legittimante” l’attribuzione di responsabilità ambientali per fatti avvenuti ante 1997 (si fa riferimento, in particolare, al paragrafo 6.5: “Sul piano tecnico-giuridico la tutela di questi “nuovi beni” viene consentita sulla base dell’atipicità della fattispecie prevista dall’art. 2043 cod. civ., imperniata sulla clausola generale del «danno ingiusto» provocato da «Qualunque fatto doloso o colposo»” ed al paragrafo 7: “Chiarito pertanto che anche prima che venisse introdotto l’istituto della bonifica, con l’art. 17 del decreto legislativo n. 22 del 1997, il danno all’ambiente costituiva un illecito civile, previsto dall’art. 2043 cod. civ.”).

Dunque, sempre a parere di chi scrive, se è vero – seguendo il percorso argomentativo della Plenaria – che una società succeduta in via universale ad un soggetto responsabile per contaminazioni storiche possa ereditare le responsabilità ambientali di quest’ultimo atteso che il “danno all’ambiente costituiva (già prima) un illecito civile, previsto dall’art. 2043 cod. civ” (con il che, in estrema sintesi, risultavano già configurabili in capo alla società estinta specifiche responsabilità ambientali che poi sono state trasmesse al successore), allora è altrettanto vero che l’attribuzione delle relative responsabilità non può (rectius, non deve) prescindere dai paradigmi della responsabilità extracontrattuale, ivi incluso l’accertamento del dolo e/o della colpa e della natura contra legem della condotta inquinatrice.

La tematica in questione, si badi bene, non è certamente di poco rilievo: in Italia sussiste una significativa percentuale di contaminazioni ambientali la cui causa può essere ricollegata a scarichi effettuati nel corso degli anni’50/60/70 nel contesto di attività industriali pienamente autorizzate dagli enti competenti (autorizzazioni che, frequentemente, consentivano espressamente anche gli stessi scarichi), e dunque, perfettamente lecite. Con il che, a parere di chi scrive, occorrerebbe distinguere tali circostanze (i.e. attività inquinatrici “lecite” ed espressamente autorizzate, realizzate in un periodo storico caratterizzato dall’assenza di una sensibilità ambientale attesa la mancanza di specifica normativa) da altre fattispecie in cui, invero, la causa della contaminazione risulti connessa all’esercizio di attività non autorizzate oppure dal superamento dei limiti consentiti dalla medesima autorizzazione.

Peraltro, per quanto è indubbio che un tale accertamento in merito all’elemento soggettivo si possa rivelare estremamente complesso per le Pubbliche Amministrazioni atteso che – con specifico riferimento alle contaminazioni storiche – si tratta di fattispecie generalmente risalenti nel tempo[v], dall’altro lato è altrettanto vero che, ai fini dell’accertamento del nesso causale “in senso oggettivo” (i.e. connessione tra condotta inquinatrice e contaminazione riscontrata), la giurisprudenza amministrativa ammette pacificamente le presunzioni legali[vi].

Dunque, si potrebbe ipotizzare di estendere l’utilizzo di queste ultime da parte degli enti competenti (non solo ai fini dell’accertamento del nesso causale oggettivo, i.e. attività esercitata-inquinamento, ma) anche in sede di accertamento del dolo e/o della colpa in capo al soggetto qualificato come presunto “inquinatore” (si pensi, a titolo esemplificativo, ai casi in cui le dimensioni di una contaminazione del suolo siano tali da risultare incompatibili con l’inquinamento che si sarebbe verificato se una società avesse rispettato i limiti contemplati dalla specifica autorizzazione/licenza rilasciata in passato dall’autorità). Tuttavia, è evidente che il rischio alla base di una possibile estensione del meccanismo delle presunzioni è che le pubbliche amministrazioni competenti possano abusare in maniera eccessiva dell’utilizzo delle stesse presunzioni, rendendo di fatto carente la relativa istruttoria.

Di certo, l’importanza di accertare l’esistenza del dolo e/o della colpa in capo all’operatore economico ritenuto responsabile di una contaminazione storica è stata ribadita anche recentemente dal Consiglio di Stato. In particolare, il supremo Collegio, con sentenza n. 4139/2021, ha chiaramente affermato che “perché a quell’epoca (i.e. prima dell’entrata in vigore del d.lgs. n. 22/1997) potesse sorgere, in capo al concessionario, un’originaria obbligazione (suscettibile di essere ereditata dal successore a titolo universale) avente a oggetto l’equivalente monetario del danno arrecato al bene ambientale o la sua reintegrazione in forma specifica ex art. 2058 c.c., necessaria, nel sistema ricostruito dall’Adunanza plenaria, per legittimare in seguito l’applicazione dei nuovi istituti a protezione dell’ambiente, occorreva, secondo i canoni propri dell’ordinaria responsabilità civile di tipo aquiliano, che vi fosse un danno causalmente collegato a una condotta, omissiva o commissiva, soggettivamente imputabile a titolo di dolo o di colpa”. Proprio sulla base di tale percorso argomentativo, il Consiglio di Stato accoglieva dunque l’appello promosso dalla società appellante (successore a titolo universale del presunto responsabile della contaminazione) alla quale era destinato l’ordine di bonifica, atteso che “i provvedimenti impugnati e i documenti istruttori, tuttavia, tacciono del tutto sul titolo di responsabilità della concessionaria e persino le difese delle amministrazioni appellate trascurano la questione dell’elemento soggettivo dell’illecito”.

Si auspica, dunque, che la menzionata giurisprudenza – che, di certo, non rappresenta un unicum nel panorama giurisprudenziale nazionale[vii] – possa inaugurare una nuova “fase” nell’accertamento delle responsabilità ambientali relativamente alle c.d. “contaminazioni storiche” ed alla trasmissibilità di tali responsabilità in capo al successore a titolo universale, sempre più frequentemente attribuite a quest’ultimo senza alcuna valutazione – nemmeno su base presuntiva – in merito all’eventuale profilo della colpa in capo alla società ormai estinta.

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TAR Toscana_commento Vanetti Ugolini

Per il testo della sentenza (estratto dal sito di Giustizia Amministrativa) cliccare sul pdf allegato.

TAR Toscana.bonifiche

Note:

[i] In altri termini, il profilo risulta incentrato, in estrema sintesi, sulla dibattuta questione della legittimità o meno di ordini di bonifica emessi dalla Pubblica Amministrazione a carico di soggetti ritenuti responsabili di contaminazioni la cui causa risulta essersi verificata antecedentemente l’entrata in vigore del D.Lgs n. 22/97, cioè il primo testo normativo che ha formalmente introdotto il principio “chi inquina paga” nell’ordinamento giuridico nazionale.

[ii] Ex multis, Cons.Stato n. 2195/2020.

[iii] Ex multis, T.A.R. Emilia Romagna – Bologna n. 125/17, richiamata dalla nota ministeriale prot. 1495/2018.

[iv] La ricorrente sosteneva che “la presunta contaminazione sarebbe intervenuta nel corso degli anni ’80 del secolo scorso quando, non essendo ancora intervenuti d.lgs. 5 febbraio 1997, n. 22 e il d.lgs. n. 152/2006, le attività che la hanno originata costituivano comportamenti leciti e debitamente autorizzati ai quali l’ordinamento allora vigente non riconnetteva alcuna conseguenza di tipo sanzionatorio o ripristinatorio”.

[v] Dunque non è un caso che, frequentemente, l’ordine di bonifica venga indirizzato non più alla società originaria “inquinatrice” quanto, piuttosto, al successore a titolo universale.

[vi] «Come ha rilevato la Corte di giustizia europea con la sentenza 9 marzo 2010, n. 378/08, la normativa di uno Stato membro può prevedere che l’autorità competente abbia facoltà di imporre misure di riparazione del danno ambientale presumendo l’esistenza di un nesso di causalità tra l’inquinamento accertato e le attività del singolo o dei diversi operatori, e ciò in base alla vicinanza degli impianti di questi ultimi con il menzionato inquinamento. Tra gli indizi capaci di dar fondamento alla presunzione rientrano la vicinanza dell’impianto dell’operatore all’inquinamento accertato e la corrispondenza tra le sostanze inquinanti ritrovate e i componenti impiegati da detto operatore nell’esercizio della sua attività» (Cons. Stato 3165/2014).

[vii] Tra le altre, si segnala Cons.Stato n. 2569/2015 (“Se è vero, infatti, che in applicazione degli invocati principi comunitari la responsabilità in materia ambientale non può essere di natura oggettiva, non potendo prescindersi dal fatto che la contaminazione o l’inquinamento debbano essere ricollegabili ad un comportamento (commissivo od omissivo) di un soggetto e a questi imputabile sotto il profilo psicologico, quanto meno a livello di colpa”).

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