L’assenza di danno o pericolo per l’ambiente tra procedimento estintivo e particolare tenuità del fatto

01 Ott 2023 | giurisprudenza, penale

di Ginevra Ripa

CASSAZIONE PENALE, Sez. III – 16 marzo 2023 (dep. 10 luglio 2023), n. 29818 – Pres. Ramacci, Est. Aceti – ric. M.F. – G.V.

In tema di danno o pericolo di danno alle risorse ambientali, urbanistiche o paesaggistiche protette, la Corte di Cassazione distingue tra valutazione prognostica ex ante e successivo riscontro di una effettiva lesione del bene giuridico, con rilevanti conseguenze nel procedimento di estinzione delle contravvenzioni ambientali e nel giudizio di particolare tenuità del fatto.

  1. La vicenda oggetto del procedimento e i motivi di ricorso

La sentenza della Corte di Cassazione in commento si è espressa nuovamente sul tema, di significativa importanza nell’ambito dei reati ambientali, del danno o del pericolo concreto e attuale di danno alle risorse ambientali, urbanistiche o paesaggistiche protette, distinguendone i parametri di valutazione da parte del Giudice di merito a seconda del contesto in cui tale valutazione avviene – nel caso specifico, la possibile applicazione della causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto di cui all’art. 131 bis c.p.

I ricorrenti, M.F. e G.V., chiedevano l’annullamento della sentenza del 5 luglio 2022, emessa dal Tribunale di Genova, che li aveva riconosciuti colpevoli del reato di cui agli artt. 110 c.p., 256, commi 1, lett. a) e 2 D.Lgs. n. 152/2006, condannandoli alla pena di € 4.000 di ammenda ciascuno.

Dalla descrizione dei fatti sintetizzata nel provvedimento emerge che l’imputazione era derivata dall’attività di esecuzione di interventi di messa in sicurezza e consolidamento delle calotte di una galleria lungo la autostrada A12, che i ricorrenti avevano svolto in qualità di responsabili di cantiere, rispettivamente per conto di due Società, per l’appalto della Autostrade per l’Italia S.p.A.

Nel corso di tali lavori, dalle caditoie che si trovano sull’autostrada e dal canale di scolo delle acque meteoriche erano transitati materiali (in particolare acque di perforazione, residui di cemento e di cemento e calcestruzzo), classificati come rifiuti speciali non pericolosi, fluiti sino all’immissione nelle acque superficiali del sottostante Rio Cereghetta.

Di interesse in questa sede è il primo motivo di impugnazione, con il quale i ricorrenti deducevano l’inosservanza e l’erronea applicazione dell’art. 131 bis c.p. e il vizio di insufficienza, mancanza o contraddittorietà della motivazione in relazione alla mancata applicazione della causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto.

Secondo i ricorrenti, la decisione del Giudice di primo grado aveva valorizzato esclusivamente alcuni elementi – l’oggetto dell’appalto, l’entità del materiale immesso e all’estensione dello sversamento – trascurandone altri che avrebbero invece dovuto essere parimenti apprezzati ai fini di una valutazione complessiva della fattispecie concreta. Tra gli elementi in ordine ai quali le considerazioni del Tribunale costituivano oggetto di censura, in particolare, dovevano essere annoverati le modalità della condotta, il grado di colpevolezza, il titolo della responsabilità (essendo i ricorrenti stati chiamati a rispondere del reato in ragione del ruolo ricoperto e non in veste di autori materiali della condotta, peraltro occasionale) nonché, soprattutto, l’entità del danno o del pericolo cagionato, che nel caso concreto era risultato del tutto assente.

  1. La decisione e le argomentazioni della Corte

La Corte di Cassazione ha rigettato i ricorsi, ritenendo entrambi i motivi di gravame inammissibili.

Il secondo motivo, subito brevemente citato per completezza, attiene all’ammissibilità dell’impugnazione avverso un provvedimento che conceda la sospensione condizionale della pena senza la richiesta dell’imputato, nel caso di condanna alla sola pena pecuniaria.

Con riguardo al primo motivo, invece, la Corte ha anzitutto riepilogato le ragioni per le quali il Tribunale di prime cure ha negato l’applicazione della causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto di cui all’art. 131 bis c.p., le cui condizioni imprescindibili sono da un lato l’esiguità del danno (o del pericolo di danno) e dall’altro le modalità della condotta.

Sinteticamente, nel giudizio di merito sono state considerate, oltre al tipo di lavorazioni oggetto dell’appalto di lavori dal quale il materiale è originato, l’entità del materiale immesso e l’estensione dello sversamento, che dal Tribunale sono state giudicate non esigue, precludendo di conseguenza la possibilità di applicare la predetta causa di non punibilità.

Nei ricorsi si sottolineava, al contrario, l’esiguità – o più precisamente, addirittura l’assenza – di danno ambientale nel caso in esame, lamentandone una mancata adeguata considerazione nella decisione impugnata, nell’ambito di un eventuale riconoscimento della particolare tenuità del fatto. Tuttavia, secondo l’orientamento della Suprema Corte argomentato in sentenza, occorre valutare l’offesa al bene giuridico protetto non nel momento dell’accertamento, quindi successivamente alla condotta, bensì nel momento in cui si verifica la condotta, esprimendo un giudizio prognostico ex ante ove si esamini la probabilità, secondo l’id quod plerumque accidit, che a tale condotta consegua l’evento lesivo.

La ragione di tale scelta risiede nella configurazione dell’illecito di cui all’art. 256 D.Lgs. n. 152/2006 quale reato di pericolo; pertanto, l’assenza in concreto di una lesione, successivamente riscontrata, risulta irrilevante. In ordine a tale ultima circostanza, le argomentazioni descritte nella sentenza in esame seguono il solco tracciato da numerosi precedenti nella giurisprudenza di legittimità, richiamati dallo stesso provvedimento[1].

Dopo aver precisato come sia preclusa al sindacato di legittimità una disamina in merito alla decisione del Tribunale in ordine all’esiguità o meno del danno, laddove vi sia una motivazione immune da vizi e non inficiata da travisamenti di sorta, nel provvedimento in esame è stato infine evidenziato, quasi “suggerito” il contesto in cui l’assenza di danno o pericolo concreto e attuale di danno alle risorse ambientali, urbanistiche o paesaggistiche protette risulta invece importante.

L’assenza di danno costituisce, invero, condizione per lo svolgimento del procedimento di estinzione delle contravvenzioni ambientali previsto agli articoli 318 bis e seguenti del D.Lgs. 152/2006, che si applica sia alle condotte esaurite – come tali dovendosi intendere quelle prive di conseguenze dannose o pericolose, per cui risulti inutile o impossibile impartire prescrizioni al contravventore – quanto alle ipotesi in cui il contravventore abbia spontaneamente e volontariamente regolarizzato l’illecito commesso prima dell’emanazione di prescrizioni[2].

  1. Brevi considerazioni

La decisione in commento aderisce all’orientamento prevalente ed ampiamente condiviso in tema di configurazione della contravvenzione di cui all’art. 256, commi 1, lett. a) D.Lgs. 152/2006 quale reato di pericolo, nel solco dei precedenti richiamati nella stessa sentenza.

Come noto, tale illecito punisce chiunque, fuori dai casi sanzionati ai sensi dell’articolo 29 quattuordecies, comma 1 effettui una attività di raccolta, trasporto, recupero, smaltimento, commercio ed intermediazione di rifiuti in mancanza della prescritta autorizzazione, iscrizione o comunicazione con la pena dell’arresto da tre mesi a un anno o con l’ammenda da duemilaseicento euro a ventiseimila euro se si tratta di rifiuti non pericolosi. Al comma successivo è prevista l’applicazione della medesima pena ai titolari di imprese ed ai responsabili di enti che abbandonano o depositano in modo incontrollato i rifiuti ovvero li immettono nelle acque superficiali o sotterranee in violazione del divieto di cui all’articolo 192, commi 1 e 2 T.U.A.

Tale anticipazione della tutela penale, tipica dei reati di pericolo, comporta dunque inevitabilmente un giudizio prognostico ex ante, se tale giudizio è diretto al riconoscimento di una causa di non punibilità qual è la particolare tenuità del fatto. Tuttavia, sul punto si impone una breve considerazione, poiché l’art. 131 bis c.p. è stato oggetto di riforma a seguito della recente entrata in vigore del D.Lgs. n. 150/2022, in attuazione della L. n. 134/2021 (c.d. riforma Cartabia), orientata all’efficienza del processo penale, nonché in materia di giustizia riparativa e disposizioni per la celere definizione dei procedimenti giudiziari.

La predetta modifica prevede che il Giudice esamini le modalità della condotta e l’esiguità del danno o del pericolo non soltanto ai sensi dell’articolo 133, primo comma, c.p., ma anche, specificamente, «in considerazione della condotta susseguente al reato». La circostanza per cui l’attività di gestione di rifiuti non autorizzata è un reato di pericolo, ossia a tutela anticipata, non pare più dunque essere sufficiente ad escludere l’applicabilità della causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto nei casi di accertamento successivo di assenza di danno, alla luce dell’intervenuta modifica legislativa. La sentenza, sul punto, si è tuttavia limitata a citare la disposizione riformata e non pare avere offerto argomentazioni persuasive in ordine alla mancata valorizzazione del comportamento post factum di bonifica delle matrici ambientali spontaneamente posto in essere dall’autore del reato.

Infine, una ulteriore breve considerazione riguarda la procedura estintiva delle contravvenzioni ambientali di cui agli articoli 318 bis e seguenti D.Lgs. n. 152/2006, citata dalla Corte. Esaminando la descrizione dei fatti illustrata nella sentenza, non risulta agevole dedurre le ragioni della mancata attuazione di tale procedimento; tuttavia, anche laddove l’Organo di vigilanza, con funzioni di Polizia Giudiziaria delegata, non avvii di propria iniziativa l’iter previsto dalla normativa – tipicamente mediante l’emanazione di prescrizioni volte ad eliminare la contravvenzione accertata – il soggetto sottoposto ad indagini, che ritenga che sussistano le relative condizioni, potrà senz’altro avanzare istanza di ammissione all’oblazione in sede amministrativa. Parimenti, egli potrà avanzare, in sede giudiziaria, l’istanza di oblazione ordinaria richiedendo che il pagamento dell’ammenda avvenga nella medesima misura ridotta prevista dall’oblazione in sede amministrativa, entro i termini previsti dagli articoli 162 e 162 bis c.p.

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RGA Online – Ripa – contributo ottobre 2023

NOTE:

[1] In particolare Cass. Sez. III, 18 ottobre 2018, n. 4973 e Cass Sez. III, 17 gennaio 2012, n. 19439.

[2] Così come indicato da diversi precedenti giurisprudenziali, tra i quali Cass. Sez. III, 18 aprile 2019, n. 36405, richiamato in sentenza.

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