L’applicabilità della disciplina in tema di rifiuti ai reflui stoccati in attesa di smaltimento

01 Apr 2024 | giurisprudenza, penale

di Giulia Montanara

Corte di Cassazione, Sez. III – 13 dicembre 2023 (dep. 15 febbraio 2024), n. 6832 – Pres. Galterio, Est. Liberati ric. R.T.

I reflui stoccati in attesa di successivo smaltimento, come i liquami contenuti in pozzi neri, vasche Imhoff e bagni mobili, sono da considerarsi rifiuti liquidi di acque reflue, soggetti, pertanto, alla disciplina della parte quarta del D.Lgs. 152/2006 e non a quella delle acque di scarico, che riguarda solo i liquidi direttamente immessi nel suolo, nel sottosuolo o nella rete fognaria.

1. Il caso di specie.

La pronuncia in analisi concerne il ricorso per cassazione formulato dall’imputato avverso la sentenza resa dal Tribunale di Benevento in data 29 marzo 2023, che lo dichiarava colpevole del reato ex art. 256 D.Lgs. n. 152/2006 e lo condannava alla pena dell’ammenda.

La condotta di rilievo penale contestata era consistita nella raccolta e nella gestione illecite di rifiuti speciali liquidi pericolosi – reflui generati dall’attività imprenditoriale svolta dal ricorrente e stoccati all’interno di una vasca Imhoff (dispositivo utilizzato per il trattamento primario dei liquami) – destinati allo smaltimento.

Con un unico motivo di ricorso, l’interessato eccepiva la nullità della pronuncia impugnata per mancanza e illogicità della motivazione, avendo il Tribunale di merito erroneamente valutato le risultanze istruttorie, con particolare riferimento all’effettiva attività espletata dall’imputato – esclusiva attività di carrozzeria e non di autolavaggio e meccatronica – e alla correlata produzione di rifiuti liquidi pericolosi poi smaltiti in modo irregolare.

Esaminate le censure sollevate con il motivo di ricorso, la Suprema Corte riteneva che il Giudice di primo grado avesse adeguatamente analizzato e richiamato nella propria sentenza tutti i rilevanti elementi probatori raccolti (accertamenti condotti dalla polizia giudiziaria, rilevi fotografici, provvedimento di sequestro, deposizioni testimoniali), deducendo in modo logico e sufficientemente motivato la sussistenza delle condotte contestate e della responsabilità del ricorrente.

Richiamando le distinzioni – a lungo trattate sia dal legislatore sia in giurisprudenza – tra scarico di acque reflue e rifiuto liquido e tra la nozione di scarico diretto e scarico indiretto, la Corte di legittimità affermava il principio secondo cui i reflui, che risultino stoccati in attesa di successivo smaltimento, debbano essere considerati rifiuti liquidi di acque reflue e, conseguentemente, sottoposti alla disciplina dettata dalla Parte quarta del D.Lgs. n. 152/2006.

I reflui pacificamente provenienti dall’attività di autolavaggio condotta dall’imputato non erano difatti immessi nel sistema fognario senza soluzione di continuità ma sono stati, appunto, rinvenuti stoccati all’interno di una vasca Imhoff presente presso la sede aziendale; tali liquidi destinati allo smaltimento, pur non essendo il ricorrente in alcun modo autorizzato alla loro gestione, sono stati dunque correttamente qualificati come rifiuti, derivandone la configurabilità della fattispecie contravvenzionale di cui all’art. 256 T.U.A.

La Suprema Corte dichiarava pertanto il ricorso inammissibile, in quanto la difesa aveva proposto una mera, non consentita e comunque infondata rivisitazione degli elementi di prova, e condannava l’imputato al versamento delle spese del procedimento e di una somma in favore della Cassa delle Ammende.

2. L’evoluzione normativa e giurisprudenziale della differenza tra scarico di acque reflue e rifiuto liquido.

Al fine di definire l’ambito di applicazione ai reflui della normativa in tema di rifiuti, da una parte, e di quella in tema di acque, dall’altra, è utile una preliminare disamina del concetto di scarico[i], che costituisce il reale discrimine tra le due discipline.

A partire dal D.Lgs. n. 152/1999 (disciplina generale per la tutela delle acque superficiali, marine e sotterranee) la nozione di scarico ha ricevuto un’espressa definizione normativa, riferendosi – come previsto all’art. 2, lett. bb) – ai soli casi in cui l’immissione dell’acqua reflua, dalla fonte nel sito ricettore, avvenisse direttamente e tramite condotta (intesa non nel senso restrittivo di tubazione bensì come qualsiasi sistema stabile di passaggio o deflusso delle acque), ossia senza soluzione di continuità.

Venivano quindi escluse le ipotesi in cui lo sversamento del refluo dall’impianto al corpo ricettore non fosse diretto ma interrotto (c.d. scarico indiretto), come nel caso di scarico in vasche a tenuta stagna oppure in differenti contenitori impiegati per il successivo trasporto altrove del refluo medesimo.

Anche la giurisprudenza maggioritaria si allineava al dettato normativo, prevedendo che il riversamento dei reflui in vasca, in quanto chiaro esempio di scarico indiretto, fosse disciplinato dalle norme sul deposito temporaneo e sullo stoccaggio dei rifiuti[ii].

Il Testo Unico Ambientale ha in seguito introdotto, all’art. 74, lett. ff), una nuova definizione di scarico, che ha suscitato parecchie perplessità e critiche tra gli operatori, in quanto con essa venivano meno sia l’indicazione della modalità di immissione diretta e canalizzata del refluo sia il requisito riguardante lo stato fisico (acque reflue liquide, semiliquide o comunque convogliabili) del refluo stesso, consentendo in astratto di ripristinare la, ormai da tempo superata, fattispecie degli scarichi indiretti.

Il generato rischio di estendere eccessivamente la portata della nozione di scarico e di determinare confusione nella prassi applicativa è stato, tuttavia, fronteggiato dagli interpreti garantendo una sostanziale continuità tra la novella e la pregressa disciplina.

Persino le pronunce giurisprudenziali si sono orientate nel senso di assicurare una continuità interpretativa al concetto di scarico sino a quel momento consolidatosi[iii], affermando come integrasse uno scarico in senso giuridico ogni sistema di deflusso, oggettivo e duraturo, che ad ogni modo canalizza i reflui senza soluzione di continuità – in modo artificiale o meno e senza la necessaria presenza di tubazioni o apparecchiature speciali costituenti una vera e propria condotta – dal luogo di produzione al corpo ricettore.

Alla potenziale incertezza applicativa venutasi, comunque, a creare è stato in modo definitivo posto rimedio con il c.d. Secondo correttivo al T.U.A. (D.Lgs. n. 4/2008), il quale ha modificato la definizione di scarico come tuttora vigente.

Il novellato art. 74, lett. ff), D.Lgs. n. 152/2006 dispone che per scarico debba intendersi “qualsiasi immissione effettuata esclusivamente tramite un sistema stabile di collettamento che collega senza soluzione di continuità il ciclo di produzione del refluo con il corpo ricettore acque superficiali, sul suolo, nel sottosuolo e in rete fognaria, indipendentemente dalla loro natura inquinante, anche sottoposte a preventivo trattamento di depurazione”.

Tale “ritorno al passato”, con la sostanziale riaffermazione della definizione di scarico precedente di cui al D.Lgs. n. 152/1999, è stato confermato anche dalla giurisprudenza, la quale – per quanto qui segnatamente interessa – ha continuato da allora a ribadire come, in via generale, siano da ritenersi rifiuti allo stato liquido, soggetti alla relativa disciplina (e non a quella in tema di scarico), i reflui stoccati in attesa di consecutivo smaltimento[iv].

3. Il principio nuovamente condiviso dalla Suprema Corte.

Nell’ambito dell’excursus normativo e giurisprudenziale delineato, la sentenza in commento si colloca perfettamente all’interno dell’orientamento ad oggi prevalente e del tutto conforme al dato normativo.

Si è in presenza di un rifiuto allo stato liquido[v], il cui smaltimento deve essere come tale autorizzato, qualora il collegamento tra ciclo di produzione e recapito finale presenti momenti di soluzione di continuità di qualsiasi genere; viceversa, si è in presenza di uno scarico laddove vi sia un nesso funzionale e diretto, attuato mediante un sistema stabile di collettamento, tra la fonte di produzione del refluo e il corpo ricettore.

In più chiari termini, se il refluo viene canalizzato dal luogo di produzione direttamente fino al corpo ricettore, trova applicazione la procedura gestionale della normativa sulle acque; se il refluo viene convogliato in vasche, serbatoi o cisterne privi di un’uscita diretta in un corpo ricettore, deve invece essere gestito come un rifiuto liquido (precisando che i reflui non perdono, quindi, lo status di acque di scarico, e restano destinatari della relativa disciplina, nei casi in cui le vasche o i serbatoi siano parte integrante del e non materialmente separati dal medesimo sistema di canalizzazione dell’insediamento industriale da cui i reflui sono prodotti).

La rispettiva applicabilità delle due discipline in tema di rifiuti e di tutela delle acque ha dunque chiari e ben definiti perimetri, anche alla luce dell’espressa esclusione operata dall’art. 185, comma 2, lett. a), D.Lgs. 152/2006, secondo il quale “Sono esclusi dall’ambito di applicazione della parte quarta del presente decreto, in quanto regolati da altre disposizioni normative comunitarie, ivi incluse le rispettive norme nazionali di recepimento: a) le acque di scarico; [..]”.

Lo sversamento di acque reflue che in concreto abbia le caratteristiche che il T.U.A. prescrive all’art. 74, lett. ff) – affinché un’immissione in acque superficiali, sul suolo, nel sottosuolo e in rete fognaria possa essere qualificata e gestita come scarico – risulta pertanto escluso ex lege dalla normativa sui rifiuti e sottoposto, al contrario, alla disciplina della Parte terza.

Sulla scorta della distinzione sopra approfondita ed illustrata, gli elementi fattuali individuati nella fase di merito hanno condotto in modo corretto la Corte di legittimità a ritenere applicabile nel caso di specie la disciplina in materia di rifiuti, considerate la presenza di una vasca Imhoff utilizzata per lo stoccaggio dei reflui (o, meglio, dei rifiuti liquidi) prodotti dall’attività dell’imputato, la correlata assenza di un’immissione diretta nel sistema fognario delle acque reflue generate, nonché l’ulteriore assenza di un valido titolo autorizzativo ai fini della gestione dei reflui e, in particolare, del loro successivo smaltimento (operazione, quest’ultima, integrata anche dalla detenzione di rifiuti da avviare alla definitiva distruzione).

L’assestato quadro interpretativo – a cui si uniforma la pronuncia esaminata – non sembra, per ora, destinatario di modifiche o inversioni di rotta e continua, peraltro, ad essere in linea con i numerosi contributi dottrinali occupatisi del tema[vi].

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NOTE:

[i] Per un approfondimento si rimanda a M. Pellissero, Reati contro l’ambiente e il territorio, Torino, 2019, pp. 242-248.

[ii] Le pronunce minoritarie aderivano, invece, ad una concezione estensiva di scarico, ravvisabile anche nelle ipotesi in cui, sebbene risulti interrotto il collegamento tra l’origine del refluo ed il corpo recettore, l’immissione dell’acqua reflua nell’ambiente è diretta (come nel caso di reflui fatti defluire in vasche a tenute stagna e successivamente trattati).

[iii] Corte Cass. pen., Sez. III, 26 ottobre 2006, n. 35888.

[iv] Tra le molte si vedano, Corte Cass. pen., Sez. III, 21 aprile 2015, n. 16623, Corte Cass. pen., Sez. III, 14 febbraio 2018, n. 6998, Corte Cass. pen., Sez. III, 13 dicembre 2019, n. 50432 e Corte Cass. pen., Sez. III, 19 febbraio 2021, n. 6528.

[v] Si tratta di rifiuti costituiti da “acque reflue di cui il detentore si disfa, senza versamento diretto, non convogliandoli cioè in via diretta in corpi idrici ricettori, bensì avviandoli allo smaltimento, trattamento o depurazione a mezzo di trasporto” (Cass. pen., Sez. III, 25 febbraio 2011, n. 7214).

[vi] Tra i più recenti, P. Fimiani, La tutela penale dell’ambiente, Milano, 2022, pp. 271-279 ed E. Marini, Liquami in insediamenti produttivi: tra scarichi di acque reflue e sversamenti di rifiuti liquidi, in questa Rivista, aprile 2021, n. 20.

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