L’annullamento del piano paesaggistico con modulazione degli effetti caducatori e conformativi della sentenza: una salvaguardia giurisprudenziale?

15 Ott 2019 | giurisprudenza, amministrativo, in evidenza 3

di Paola Brambilla 

T.A.R. SICILIA, Catania, sez. I – 30 aprile 2019 n. 966 Pres. Savasta, Est. La Greca – L. R. s.r.l. (avv. Vittorio Indaimo) c. Assessorato dei beni culturali e dell’identità siciliana della Regione Siciliana (Avvocatura dello Stato) e ad opponendum Comune di Monforte San Giorgio, Comune di San Pier Niceto (avv.ti Antonio Sottile e Vera Giorgianni) Comune di Santa Lucia del Mela (avv.ti Giovanni Pino, Antonio Sottile) Comune di Condrò (avv. Giovanni Pino) 

Il piano paesaggistico è viziato da incompetenza ove sia stato adottato dal dirigente regionale, in quanto è atto tipico dell’organo di indirizzo politico; quanto alle conseguenze dell’annullamento, il vuoto di tutela di beni di rango costituzionale che ne consegue impone il differimento dell’effetto caducatorio integrale fino alla riadozione delle eventuali misure di salvaguardia e comunque non oltre 180 giorni dalla pubblicazione della sentenza, periodo nel quale essa spiega unicamente effetti conformativi.  

Il caso è noto, perché assunto agli onori delle cronache. Il TAR siciliano annulla il piano paesaggistico regionale relativo alla provincia di Messina, approvato nel 2017 con decreto dell’Assessore Regionale dei beni culturali e dell’identità siciliana, ma adottato nel lontano 2009 con un decreto dirigenziale.

Del problema della competenza dell’organo politico anche per il segmento dell’adozione evidentemente si era resa conto tardivamente la stessa Regione – come rileva il Collegio – cominciando a riservare anche tale passaggio, nei piani successivamente adottati, all’assessore e non al dirigente del settore.

La sentenza in commento offre singolari spunti su distinte tematiche: la questione in primo luogo della competenza all’adozione di atti pianificatori dopo la riforma Bassanini, quindi l’aspetto della inscindibilità o meno degli effetti della sentenza di annullamento e infine il tema della portata degli effetti caducatori dell’atto e della sua articolazione da parte del giudice, in casi di sindacato non estesi al merito amministrativo.

Adozione e approvazione. Tempestività dell’impugnazione.

Preliminarmente la sentenza analizza, con riferimento alla pianificazione bifasica o complessa che dir si voglia, la possibilità di contestare l’atto di adozione solo in sede di impugnazione dell’approvazione.

Al riguardo, ripercorrendo una produzione giurisprudenziale consolidata, la pronuncia afferma che analogamente al caso più comune dei piani regolatori, l’impugnazione della delibera di adozione, anche se immediatamente lesiva, è possibile ma solo facoltativa, posto che i relativi vizi confluiscono nella deliberazione di approvazione, e dunque possono essere dedotti nell’ambito dell’impugnazione dell’atto terminale del procedimento (cfr. Cons. Stato 622/2017, 6373/2011 e Ad. Plen. 1/1983, C.G.A.R.S., Sez. riun. 1276/2013).

Competenza dirigenziale o assessorile.

Quanto alla competenza, invece, acutamente il collegio osserva l’anomalia della diversa competenza seguita per l’adozione (dirigenziale) e l’approvazione (assessorile) di per sé comporta che in uno dei due casi si sia realizzata la violazione del riparto di competenze tra organi gestionali e organi politico-amministrativi.

Al riguardo la difesa erariale, supportata dagli intervenuti, tenta di sostenere che non vi sarebbe contraddizione, in quanto l’art. 2 della legge regionale Sicilia n. 10 del 2000, applicabile nella inoperatività nella regione del d.lgs. 42/04, costruirebbe un procedimento di pianificazione in cui il dirigente formula una proposta tecnica che l’assessorato, con l’approvazione, in sostanza poi ratificherebbe.

La sentenza confuta la tesi, rilevando l’equipollenza dell’articolato regionale con le disposizioni dell’art. 6, comma 2, della l. n. 127 del 1997, confluito nell’art. 107 del d.lgs. n. 267 del 2000, che riserva ai dirigenti l’adozione (intesa come assunzione) degli atti e dei provvedimenti amministrativi, compresi quelli che impegnano l’Amministrazione verso l’esterno, atti che non ricomprendono in ogni caso gli strumenti di pianificazione, la cui adozione è invece riservata alla competenza degli organi di indirizzo, programmazione e controllo, ma giammai agli organi di gestione[i].

Di più, viene qui espressamente affermato che l’adozione del piano paesaggistico non costituisce espressione dell’esercizio di un potere gestionale, ma esercizio di attività discrezionale e di ponderazione politica nella valutazione e comparazione unitaria della pluralità di interessi che insistono sul territorio: che si esprimono, da un lato, nelle forme partecipative previste dal Codice dei beni culturali e del paesaggio e, dall’altro, vengono sintetizzate proprio dalla competenza dell’organo di indirizzo. Importante questo passaggio in cui si correlano partecipazione e competenza come forme imprescindibili della legalità del processo pianificatorio, nella logica che ancora la legalità del provvedimento ampiamente discrezionale alla tipicità del procedimento amministrativo.

Quanto ai rapporti tra Codice e sistema normativo della Regione ad autonomia speciale, il TAR li risolve velocemente limitandosi al richiamo della giurisprudenza amministrativa già formatasi in tema che inferisce – dalla mancata attuazione della normazione regionale in materia – l’efficacia della legislazione statale sul territorio regionale, nel silenzio dello Statuto.

Qui la motivazione poteva, a dire il vero, spaziare maggiormente su argomenti di maggior respiro, traendo spunto dalla produzione della Consulta che ha più volte analizzato i rapporti tra autonomie speciali e leggi statali quadro, o di grande riforma economica sociale o di principio, in materia ambientale e paesaggistica.

In primo luogo, va ricordato che lo Statuto siciliano non è propriamente muto, in quanto al contrario l’art. 14, comma 1, lettera n), contenuto nella Sezione I (che contempla le funzioni dell’assemblea regionale), Titolo II (che elenca le funzioni degli organi regionali), riconosce una potestà legislativa primaria in materia di «tutela del paesaggio». Ciò chiarito, l’argomento principe per la prevalenza degli standard contenutistici e procedimentali della tutela paesaggistica nazionale si poggia proprio sul limite che incontra anche la competenza legislativa esclusiva delle regioni a statuto speciale che devono rispettare, infatti, oltre che, in generale, i precetti costituzionali, anche le c.d. «norme di grande riforma economico-sociale» poste dallo Stato nell’esercizio delle proprie competenze legislative (cfr. Corte Costituzionale 68/18), tra le quali va annoverato anche il Codice dei beni culturali e del paesaggio. La Consulta, in più di una pronuncia, ha ribadito infatti come l’attribuzione allo Stato della competenza esclusiva in materia di paesaggio e ambiente non implichi una preclusione assoluta all’intervento regionale, ma lo vincoli all’implementazione del valore ambientale e all’innalzamento dei suoi livelli di tutela (così anche nelle sentenze n. 172/18 e 178/18)[ii].

Non è dunque pensabile un discostamento dal modulo pianificatorio statale, sotto il profilo della competenza; tutto ciò però non toglie che i dirigenti restino responsabili dell’attività istruttoria prodromica alla pianificazione e dei poteri controllo e gestione dei beni soggetti a tutela, beninteso nella fase dei procedimenti di verifica concreta della conformità tra gli interventi progettati e le disposizioni del piano paesaggistico, individuando la soluzione più idonea a far sì che l’interesse pubblico primario venga conseguito con il minor sacrificio possibile degli interessi secondari (Corte cost. 172/ 2018)[iii].

Esclusione di un valore di ratifica dell’approvazione.

Il collegio esclude pure che l’approvazione assessorile possa avere natura di ratifica dell’adozione, di convalida, insomma di superamento del vizio di competenza originario, sulla scorta della constatazione dell’assenza di alcuna volontà espressa di tale effetto, ove in ipotesi ammissibile.

Va infatti ricordato che la convalida, quale provvedimento di secondo grado, richiede la menzione del vizio da sanare oltre che l’esplicitazione della volontà di regolarizzazione dell’azione amministrativa e infine va assunta entro un tempo ragionevole.

La modulazione degli effetti dell’annullamento.

Questa è la parte della pronuncia più interessante sotto il profilo processuale, perché il giudice si spinge, per esigenze evidenti di giustizia sostanziale sottese al particolare rango dei beni tutelati, a modulare gli effetti della sentenza, di natura caducatoria e conformativa.

La presenza di un vizio di incompetenza, infatti, preclude al collegio di poter annullare solo parzialmente il piano, quanto alle disposizioni incidenti sulla proprietà della ricorrente che aveva formulato domanda in tal senso, nei limiti del proprio interesse, perché l’incompetenza dell’organo in sede di adozione travolge il successivo atto approvativo e impone l’integrale riedizione del potere[iv].

Questo effetto caducatorio generalizzato però comporterebbe, da un lato, il venir meno delle misure di tutela dei beni ricadenti nelle aree dichiarate di notevole interesse paesaggistico e segnatamente dell’obbligo di eseguire soltanto le opere conformi alle previsioni del piano, previa autorizzazione della Soprintendenza, dall’altro, travolgerebbe la prevalenza delle norme del piano paesaggistico sugli strumenti urbanistici comunali.

Ecco allora che il giudice, riconoscendo alla pianificazione paesaggistica un ruolo insostituibile per lo sviluppo sostenibile e l’uso consapevole del suolo, oltre a quelli tradizionali di salvaguardia e valorizzazione dei beni paesaggistici, scende alla valutazione del grave pregiudizio per l’interesse pubblico che discenderebbe da un annullamento incondizionato, e ritenuta sussistente una sproporzione tra tale vulnus e l’interesse del singolo azionato in giudizio, modula gli effetti della sentenza[v].

In particolare, questi effetti vengono limitati a quelli conformativi di riedizione del potere emendato dal vizio censurato, differendo quelli caducatori alla riadozione di misure di salvaguardia, da operare entro un termine congruo fissato dallo stesso giudice che chiarisce infine – a scanso di equivoci, anche se è pacifico – come non siano da ritenere travolti gli atti discendenti da quelli impugnati e come dalla sentenza, limitata al riesercizio del potere, non possa derivare alcuna pretesa risarcitoria.

La modulazione degli effetti dell’annullamento è esercitata con estrema consapevolezza, come evidenzia la menzione dell’importante precedente ingegneristico del caso del piano faunistico venatorio pugliese deciso dal Consiglio di Stato con la senetnza n. 2755/2011 e validato dall’Adunanza plenaria con la decisione n. 13/17[vi].

Si tratta di una conquista recente della giurisprudenza amministrativa che ha mosso i primi passi dall’accoglimento di principi formulati dall’ordinamento europeo ed espressi dalle pronunce per così dire “euristiche” della Corte di Giustizia proprio in materia ambientale.

In particolare, è stata proprio la Corte di giustizia, nella composizione in Grand Chambre, nella causa C-41/11, su interpello dal Consiglio di Stato francese, ad avere dettato il decalogo sul differimento temporale degli effetti dell’annullamento.

Ora, i giudici europei hanno stabilito che l’annullamento di un piano per violazioni del diritto dell’Unione comporta, da un lato, certamente il dovere del giudice di adottare tutti i provvedimenti, generali o particolari, previsti dal proprio diritto nazionale al fine di rimediare, compresi l’eventuale sospensione o l’eventuale annullamento del «piano» o «programma» impugnato; tuttavia, d’altro canto, hanno deciso che – tenuto conto delle specifiche circostanze del procedimento principale – il giudice a quo possa eccezionalmente essere autorizzato a mantenere determinati effetti di un atto nazionale, a tre condizioni. La prima: che non sia possibile altrimenti evitare gli effetti pregiudizievoli per l’ambiente che discendono dall’annullamento dell’atto impugnato; la seconda: che l’annullamento crei un vuoto giuridico che sarebbe ancor più nocivo per l’ambiente, nel senso di una minore protezione risultando, così in contrasto addirittura con l’obiettivo essenziale della normativa violata; la terza: che il mantenimento eccezionale degli effetti di un tale atto valga solo per il lasso di tempo strettamente necessario all’adozione delle misure in grado di rimediare all’irregolarità constatata.

Di tali principi direttivi ha fatto tesoro la giurisprudenza nazionale, prima nel 2011, come anticipato, in un caso perfettamente sovrapponibile a quello trattato dalla Corte UE, in quanto si verteva di un piano approvato senza valutazione ambientale strategica; poi in altri casi in cui non veniva in rilievo tanto la violazione puntuale di direttive, ma violazioni di normative nazionali in materia di ambiente e ora di paesaggio[vii], spesso con riferimento a passaggi procedurali da cui derivava il travolgimento di un piano intero, e anche dei suoi effetti positivi[viii].

Nella pronuncia oggi in esame, la portata modulatrice, per così dire chirurgica dell’intervento del giudice sulla portata delle statuizioni caducatorie è singolare per una serie di aspetti.

Il primo è l’espresso richiamo all’art. 1 del codice del processo amministrativo, canone generale che prescrive alla giurisdizione amministrativa di assicurare “una tutela piena ed effettiva secondo i principi della Costituzione e del diritto europeo”.

Il secondo è il ricorso non solo al mero differimento temporale degli effetti caducatori, ma soprattutto la prescrizione puntuale di un dettagliato effetto conformativo quanto alla esatta tipologia dell’atto “tampone” a cui la P.A. deve dar vita, identificato nell’adozione di misure di salvaguardia.

Si tratta di una sorta di misura cautelare propulsiva, a tutela dell’interesse pubblico sacrificato dalla portata fagocitatrice dell’annullamento, adottata su iniziativa dello stesso giudice per mantenere in vita quel nucleo minimo di tutela di beni di rango costituzionale.

È evidente l’intensità dell’intervento del giudice nella sfera della P.A., proprio del “prospective overruling”, sia pure filtrato dalla consueta portata conformatrice della sentenza: intervento che, in definitiva, assicura una salvaguardia giurisprudenziale alla normativa provvisoria del piano, in una particolare ipotesi in cui la provvisorietà non deriva ex ante dall’ordinaria attesa della normativa definitiva, ma viene stabilita ex post, dopo l’annullamento di quest’ultima.

Il terzo è l’ancoraggio di questa modulazione dell’effetto di annullamento al nuovo ruolo ambientale che viene sempre più riconosciuto al paesaggio, secondo quel nuovo approccio di Adaptive ecological landscape management che finalmente riconosce alla pianificazione paesaggistica il ruolo di preservazione delle funzioni ecologiche e dei servizi ecosistemici[ix].

Il riferimento della sentenza allo sviluppo sostenibile e al ruolo svolto dal piano paesistico di preservazione del suolo, risorsa naturale preziosa, già antropizzata a livello globale per oltre il 75%, costituisce applicazione, ispirata al principio di effettività, di norme spesso ricordate quali mere enunciazioni di principio[x].

L’ultimo aspetto consiste nella constatazione che, a ben vedere, il Collegio ha operato, per via processuale, quella convalida – sia pure provvisoria – del piano, che le parti pubbliche avevano tentato di sostenere fosse stata raggiunta per via procedimentale[xi].

Nella prospettazione difensiva regionale che voleva salvare il piano, come si è visto, mancava però uno dei requisiti fondamentali della convalida o della ratifica, ovvero che l’atto fosse viziato solo sotto il profilo formale, ciò che non può sostenersi nel caso di atti connotati da alta discrezionalità, in cui il salto dalla sfera dirigenziale alla sfera politica impone un nuovo esercizio del potere valutativo, e non già l’appropriazione formale delle precedenti decisioni dell’organo incompetente, dai limitati poteri gestionali[xii].

Per il testo della sentenza del T.A.R. SICILIA, Catania, sez. I, 30 aprile 2019 n. 966 (estratto dal sito istituzionale della Giustizia Amministrativa) cliccare sul PDF in allegato.

Brambilla_TAR Catania 966 2019 

[i] Per tale separazione, cfr. Consiglio di Stato, sez. V, 20 agosto 2013, n. 4192, annotata da S. Monzani, Il principio di separazione tra funzione di indirizzo politico e funzione di gestione quale valore di rango costituzionale funzionale alla realizzazione dei principi di buon andamento ed imparzialità dell’azione amministrativa, in Foro Amministrativo, 2014, p. 2303. Sulla difficoltà dell’attuale assetto di competenze pubbliche, nel quadro della scarsità di risorse, si vedano le riflessioni di S. Cassese, Che cosa resta dell’amministrazione pubblica, in Rivista Trimestrale di Diritto Pubblico, 2019, pp. 1 e ss. L’autore riflette sulle conseguenze delle carenze della P.A. che spingono il giudice amministrativo “ad agire più in profondità”, come “controllore della legittimità dell’azione amministrativa ed è quindi naturale che, espandendosi l’area coperta dalla legge, sia chiamato a verificare un’area sempre più estesa. Ciò che esso fa anche perché l’espansione legislativa aumenta la politicità indotta nell’amministrazione dal corpo politico e quindi la necessità dell’intervento giudiziario come garante dell’imparzialità amministrativa”.

[ii] Questi argomenti sono stati spesi, proprio in materia paesaggistica, dalla Presidenza del Consiglio dei ministri nell’ambito dell’impugnazione della legge regionale siciliana n. 5/2019, proposta con ricorso depositato in cancelleria il 22 luglio 2019 e pubblicato in GU, Serie Speciale, 37/2019. In questo caso il Governo ha censurato il fatto che la Regione Sicilia, nell’individuare gli interventi esclusi dall’autorizzazione paesaggistica o sottoposti a procedura autorizzatoria semplificata (D.P.R. 31/0217), abbia previsto la formazione del silenzio assenso decorsi sessanta giorni senza l’adozione del provvedimento richiesto da parte della Soprintendenza ai beni culturali e ambientali e che sia stata inserita la possibilità per l’Assessore regionale per i beni culturali e l’identità siciliana di apportare con proprio decreto specificazioni e rettificazioni agli elenchi di cui agli allegati “A” e “B” per esigenze tecniche e applicative e alla documentazione richiesta ai fini dell’autorizzazione semplificata e al correlato modulo di cui all’Allegato “D”. La disposizione regionale è stata dunque censurata per la violazione della competenza legislativa esclusiva dello Stato in materia di tutela dei beni culturali e del paesaggio, ai sensi degli articoli 9 e 117, comma 2, lettera s), della Costituzione, in quanto volta a determinare una «lesione diretta» dei beni culturali e paesaggistici tutelati, con la conseguente grave diminuzione del livello di tutela garantito nell’intero territorio nazionale.

[iii] Non solo l’atto pianificatorio è di competenza della politica, ma lo è talvolta anche il provvedimento con contenuto valutativo connotato da alta discrezionalità, con piena legittimità della normativa regionale che affidi tale compito alla giunta. Sul punto G. Gavagnin, Il giudizio di «compatibilità ambientale» è anche un giudizio politico, nota a Corte Costituzionale, 3 maggio 2013, n. 81, in Rivista Giuridica dell’Ambiente, 2013, pp. 715, nonché E. Angelucci, Principio di distinzione e legittimità del provvedimento: la VIA come atto di competenza dell’organo politico, in Foro Amministrativo, 2014, pp. 1378.

[iv] Analoghi effetti di travolgimento totale del piano sono stati disposti in altro caso trattato dalle cronache giuridiche dal T.A.R. Brescia, con sentenza 3 maggio 2012, n.739, discusso in chiave critica da E. Tanzarella, Sulla asserita caducazione dell’intero Piano cave della Provincia di Bergamo, in Rivista Giuridica dell’Ambiente, 2012, pp. 610 e ss.

Si veda anche C. Cudia, L’efficacia «dimensionale» dell’atto amministrativo: il caso dei destinatari degli atti amministrativi generali, in Diritto Amministrativo, 2016, p. 719. L’autrice osserva che gli effetti di un atto generale riguardano non solo i soggetti che in un dato momento storico rientrano nella classe di riferimento coperta dal provvedimento (in virtù del possesso di certi requisiti oggettivi o soggettivi), ma coloro che vi rientreranno in un secondo momento, come accade per l’atto di pianificazione urbanistica, che “sia pure in un ambito territorialmente circoscritto, coinvolge tutti coloro che attualmente o in seguito vantino diritti reali incidenti sul territorio medesimo”.  In questi casi sono dunque avvenimenti ulteriori rispetto all’emanazione dell’atto a renderne individuabili i destinatari, ciò che spiega perché nella definizione di atto amministrativo generale il riferimento temporale (“a priori”) risulta decisivo: perché è null’altro che una conferma del carattere amministrativo dell’atto stesso, del suo rispondere a una esigenza concreta di regolazione giuridica.

[v] R. Politi, Atipicità delle azioni e chirurgia giurisprudenziale dell’azione di annullamento: la «sovrascrittura del programma, in Foro amm. TAR, fasc.3, 2012, p. 1071, analizza la gamma delle soluzioni a cui è approdato il giudice amministrativo e la loro funzione mirata a rendere effettiva, sia pure in termini non scevri da problematicità, la giurisdizione di legittimità.

[vi] La sentenza è commentata da A. Giusti, La Corte di Giustizia interviene sul potere del giudice nazionale di modulare gli effetti dell’annullamento, in Rivista Quadrimestrale di Diritto dell’ambiente n. 3/2012, p. 51.      

[vii] C. Pagliaroli analizza anche l’altro recente intervento innovativo giurisprudenziale in materia paesaggistica, quanto alla durata temporale dei vincoli amministrativi, L’Adunanza plenaria interviene sull’efficacia delle proposte di dichiarazione di notevole interesse pubblico in funzione nomopoietica, Consiglio di Stato ad. plen., 22 dicembre 2017, n.13, in Rivista Giuridica dell’Edilizia 2018, p. 1045. Anche in questo caso, sia pure sotto altro profilo, il giudice detta un’articolazione temporale degli effetti della pronuncia per rispondere ad esigenze di buona amministrazione e a criteri di proporzionalità.

[viii] La decisione è stata salutata con tiepidezza da A. Carbone, Azione di annullamento, ricorso incidentale e perplessità applicative della modulazione degli effetti caducatori, in Dir. proc. amm. 2 / 2013, p. 428, per i profili problematici che introduce e per il rilievo che con il nuovo codice del processo amministrativo le azioni esercitabili avanti al giudice amministrativo e la tutela accordabile all’interesse leso non si esauriscono nel solo potere di caducazione dell’atto. Per R. Dipace, invece, in questi casi “il giudice si sostituirebbe all’amministrazione in modo indebito, facendo peraltro entrare nel giudizio valutazioni che dovrebbero rimanerne fuori dalla tutela dell’interesse pubblico”. Così in L’annullamento tra tradizione e innovazione; la problematica flessibilità dei poteri del giudice amministrativo, Dir. proc. amm. 4 / 2012, p. 1273.

[ix] Landscape Elements. Steps o achieving integrated landscape Management, 2016, WWF. Il testo è disponibile on line in http://d2ouvy59p0dg6k.cloudfront.net/downloads/final_wwf_landscape_elements_09_11_i_1.pdf

[x] L’art. 138 del Codice prescrive che il piano paesaggistico proceda alla “ricognizione del territorio oggetto di pianificazione, mediante l’analisi delle sue caratteristiche paesaggistiche, impresse dalla natura” (lett. a), all’analisi “delle dinamiche di trasformazione del territorio ai fini dell’individuazione dei fattori di rischio e degli elementi di vulnerabilità del paesaggio, nonché comparazione con gli altri atti di programmazione, di pianificazione e di difesa del suolo”, e infine (lett. f) all’individuazione “degli interventi di recupero e riqualificazione delle aree significativamente compromesse o degradate e degli altri interventi di valorizzazione compatibili con le esigenze della tutela” (lett. g) per uno “sviluppo sostenibile delle aree interessate” (lett. h).

[xi] M. Ramajoli tratta dei rapporti tra annullamento e autotutela in L’annullamento d’ufficio alla ricerca di un punto d’equilibrio, Giustizia Amministrativa n. 6 – 2016, www.giustamm.it. Per l’affermazione del principio di leale collaborazione in relazione all’attività amministrativa c.d. di primo grado, come contrapposta all’attività amministrativa di secondo grado, riconducibile alla tradizionale autotutela, Cons. St., sez. VI, 17 maggio 2010, n. 3055, in Rivista Giuridica dell’Ambiente, 2010, pp. 985 e ss., con nota di E. Tanzarella, Sull’applicazione razionale del principio di conservazione dei beni culturali.

[xii] Al riguardo si vedano i principi enunciati sulle condizioni per il ricorso al rimedio previsto dall’art. 21-nonies della L. 241/90 dalla recente pronuncia del Consiglio di Stato, sez. IV, n. 2351/17, www.giustizia-amministrativa.it. Vi si ricorda che in via generale appare evidente l’intendimento del legislatore di consentire oggi, in via generale, il mantenimento in vita di provvedimenti affetti soltanto da vizi di carattere formale, come quello di incompetenza, e che, in tal caso, non si richieda una particolare, dettagliata motivazione in ordine all’oggetto del provvedimento da convalidare e degli atti a questo antecedenti (Cons. St., sez. IV, 3371/09), essendo sufficiente che emergano chiaramente dall’atto convalidante le ragioni di interesse pubblico e la volontà dell’organo di assumere tale atto, emendandolo dai vizi che ne determinano l’illegittimità e, dunque, l’annullabilità. Essa presuppone inoltre la sussistenza di ragioni di pubblico interesse e che non sia decorso un “termine ragionevole” dall’adozione dell’atto illegittimo. Infine essa deve essere disposta da un organo competente alla titolarità del potere di adozione dell’atto oggetto dell’autotutela medesima, salvo che, medio tempore, una diversa amministrazione (o organo della medesima) sia stato reso attributario del citato potere di adozione. La convalida viene configurata dalla pronuncia quale un “intervento ortopedico” sull’atto medesimo, volto a sanare i vizi che, rendendolo illegittimo, ne determinerebbero astrattamente l’annullabilità. Ciò comporta che l’esercizio del potere di convalida presuppone un atto non ancora annullato (quale che sia stata la sede in cui l’annullamento è intervenuto), mancando, in difetto di ciò, lo stesso “oggetto” dell’esercizio del potere di autotutela decisionale e rischiandosi oltretutto la violazione del giudicato, nel caso in cui la sentenza sia divenuta inappellabile.

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