Di Giulia Montanara
Corte di Cassazione, Sez. III – 4 marzo 2021 (dep. 13 luglio 2021), n. 26569 – Pres. Izzo, Est. Zunica – ric. Buffoli.
In tema di gestione dei rifiuti, integra il reato di smaltimento non autorizzato di rifiuti speciali non pericolosi, di cui al D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 256, comma 1, lett. a), la combustione di residui vegetali effettuata senza titolo abilitativo nel luogo di produzione oppure di materiale agricolo o forestale naturale, anche derivato da verde pubblico o privato, se commessa al di fuori delle condizioni previste dall’art. 182, comma 6 bis, primo e secondo periodo.
- La vicenda processuale del caso di specie.
La pronuncia in commento ha ad oggetto il ricorso per cassazione presentato dalla difesa dell’imputato avverso la sentenza resa dal Tribunale di Brescia in data 28 gennaio 2020, che condannava il ricorrente alla pena dell’ammenda in relazione al reato ex art. 256, comma 1, lett. a), D.Lgs. n. 152/2006, in cui erano stati riqualificati i fatti di reato originariamente contestati ai sensi dell’art. 256-bis del medesimo decreto.
La condotta di rilievo penale contestata era segnatamente consistita nell’aver appiccato il fuoco a 10 mq di rifiuti composti da scarti di potatura di piante di ulivo, depositati in modo incontrollato e qualificati come rifiuti non pericolosi.
L’interessato proponeva sette motivi di ricorso per cassazione e, per quanto qui interessa, con il terzo motivo la difesa eccepiva la violazione dell’art. 521 c.p.p. e sosteneva che la “imprevedibile” riqualificazione del fatto di reato operata dalla Corte territoriale dalla fattispecie prevista dall’art. 256-bis T.U.A. a quella di cui all’art. 256, comma 1, lett. a), T.U.A. avesse violato il principio di correlazione tra imputazione e sentenza, dal momento che le condotte disciplinate da tali due ipotesi di reato sono del tutto differenti, ed avesse inoltre compromesso i diritti di difesa, impedendo all’imputo di presentare istanza di oblazione ex art. 162-bis c.p.
Con il quarto motivo, veniva contestato il giudizio compiuto dal Tribunale bresciano sulla configurabilità del reato oggetto di imputazione: la difesa dell’imputato affermava che l’eliminazione di sfalci e potature mediante incenerimento non integrerebbe il reato di smaltimento non autorizzato di rifiuti, poiché gli scarti vegetali non sarebbero classificabili come rifiuti ma utilizzati nell’ambito agricolo in metodi e processi che costituiscono normali pratiche agronomiche e senza danneggiare l’ambiente.
Tramite il quinto motivo di ricorso, veniva infine censurata la carenza di tipicità della contravvenzione ex art. 256, comma 1, D.Lgs. n. 152/2006 nel caso concreto, essendosi trattato di una condotta occasionale e di un unico episodio, e non di un insieme di azioni protrattosi nel tempo.
A fronte dei motivi di ricorso, la Suprema Corte ha invece condiviso le conclusioni raggiunte dal Giudice di merito nella sentenza impugnata ed ha sancito che il caso di specie fosse stato correttamente inquadrato nella fattispecie di gestione non autorizzata di rifiuti ex art. 256, comma 1, T.U.A. e non in quella di combustione illecita ex art. 256-bis T.U.A.; ciò in conformità al consolidato orientamento espresso dalla giurisprudenza di legittimità in argomento[1], in base al quale “in tema di gestione dei rifiuti, integra il reato di smaltimento non autorizzato di rifiuti speciali non pericolosi, di cui al D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 256, comma 1, lett. a), la combustione di residui vegetali effettuata senza titolo abilitativo nel luogo di produzione oppure di materiale agricolo o forestale naturale, anche derivato da verde pubblico o privato, se commessa al di fuori delle condizioni previste dall’art. 182, comma 6 bis, primo e secondo periodo; viceversa la combustione di rifiuti urbani vegetali, abbandonati o depositati in modo incontrollato, provenienti da aree verdi, quali giardini, parchi e aree cimiteriali, è punita esclusivamente in via amministrativa, ai sensi del citato D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 255.”.
La Cassazione ha pertanto ritenuto infondati i primi cinque motivi di ricorso, compresi i tre di rilievo sopra esaminati, e privo di censure di legittimità il giudizio di responsabilità elaborato dalla Corte territoriale, mentre ha accolto il sesto motivo di ricorso afferente il difetto di motivazione sulla omessa applicazione della causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto richiesta dalla difesa, annullando la sentenza impugnata limitatamente al punto relativo all’applicabilità dell’art. 131-bis c.p., con rinvio al Tribunale di Brescia per nuovo giudizio.
- L’articolato sistema normativo in tema di combustione dei residui vegetali.
Al fine di meglio comprendere la soluzione fornita dalla Corte di legittimità al caso in esame, è utile soffermarsi brevemente sullo stratificato quadro normativo in materia di rifiuti vegetali e del loro incenerimento.
Preliminarmente, l’art. 185 D.Lgs. n. 152/2006 esclude dal campo di applicazione della Parte Quarta del Testo Unico Ambientale alcuni determinati materiali tra i quali, al comma 1, lett. f) “[..] la paglia e altro materiale agricolo o forestale naturale non pericoloso quali, a titolo esemplificativo e non esaustivo, gli sfalci e le potature effettuati nell’ambito delle buone pratiche colturali, utilizzati in agricoltura, nella silvicoltura o per la produzione di energia da tale biomassa, anche al di fuori del luogo di produzione ovvero con cessione a terzi, mediante processi o metodi che non danneggiano l’ambiente né mettono in pericolo la salute umana, [..]”[2].
Laddove siano integrati i presupposti descritti dall’art. 185 T.U.A., gli scarti vegetali menzionati non sono dunque classificabili come rifiuti e sono sottratti alla relativa disciplina.
L’art. 182 D.Lgs. n. 152/2006 regolamenta invece lo smaltimento dei rifiuti (attività nella quale è riconducibile, come espressamente previsto dell’Allegato B, Parte Quarta del Testo Unico Ambientale, anche l’operazione D10 di incenerimento a terra dei rifiuti) e al comma 6 bis, primo periodo, stabilisce in via derogatoria che “Le attività di raggruppamento e abbruciamento in piccoli cumuli e in quantità giornaliere non superiori a tre metri steri per ettaro dei materiali vegetali di cui all’articolo 185, comma 1, lettera f), effettuate nel luogo di produzione, costituiscono normali pratiche agricole consentite per il reimpiego dei materiali come sostanze concimanti o ammendanti, e non attività di gestione dei rifiuti.”.
Il predetto comma 6 bis è stato introdotto dal D.L. n. 91/2014, convertito con modificazioni nella L. n. 116/2014, e prevede appunto un’esplicita deroga alla disciplina comune dettata in tema di gestione dei rifiuti; tale deroga opera solo al ricorrere di determinate condizioni concernenti, rispettivamente:
- la tipologia dell’attività realizzata (il raggruppamento e l’abbruciamento);
- la tipologia dei materiali vegetali coinvolti (che, per espressa previsione legislativa, non hanno natura di rifiuti);
- la quantità (piccoli cumuli e nel rispetto del limite giornaliero di tre metri steri per ettaro) e la collocazione (presso il luogo di produzione) dei materiali;
- il reimpiego dei materiali quali sostanze concimanti o ammendanti.
In presenza dei complessivi presupposti ora illustrati, condotte che, sulla base delle regole generali previste dal D.Lgs. n. 152/2006, rientrerebbero tra le attività di gestione (rectius, di smaltimento) dei rifiuti vengono di converso considerate lecite “normali pratiche agricole” e non sottoposte ad alcun genere di sanzione.
Occorre altresì prendere in considerazione il disposto dell’art. 256-bis D.Lgs. n. 152/2006 che, come noto, sanziona il delitto di combustione illecita di rifiuti e, al comma 1, punisce chiunque appicchi il fuoco a rifiuti abbandonati o depositati in maniera incontrollata.
Si tratta di un reato di condotta, di pericolo concreto e a consumazione istantanea, attraverso cui il legislatore ha inteso anticipare (rispetto al delitto di incendio ex art. 423 c.p.) la rilevanza penale dell’azione vietata al momento di iniziale appiccamento del fuoco. L’oggetto materiale del reato sono tutte le tipologie di rifiuti abbandonati o depositati in maniera incontrollata, non potendosi il delitto estendere ai casi di rifiuti sottoposti a gestione autorizzata[3].
Il comma 6 dell’art. 256-bis T.U.A., ugualmente modificato dal D.L. n. 91/2014, prevede invece che “Si applicano le sanzioni di cui all’articolo 255 se le condotte di cui al comma 1 hanno a oggetto i rifiuti di cui all’articolo 184, comma 2, lettera e). Fermo restando quanto previsto dall’articolo 182, comma 6-bis, le disposizioni del presente articolo non si applicano all’abbruciamento di materiale agricolo o forestale naturale, anche derivato da verde pubblico o privato.”.
Nell’ipotesi in cui sia appiccato il fuoco a rifiuti urbani, abbandonati o depositati in modo incontrollato, costituiti dai rifiuti della manutenzione del verde pubblico, come foglie, sfalci d’erba e potature di alberi (contemplati dall’art 183, comma 1, lett. b-ter), n. 5), T.U.A., a cui rimanda l’attuale art. 184, comma 2, T.U.A.[4]) saranno dunque applicate le sanzioni amministrative pecuniarie comminate per la fattispecie di abbandono di rifiuti di cui all’art. 255 D.Lgs. n. 152/2006.
Nel differente caso di combustione illecita di materiale agricolo o forestale naturale, che anche derivi dal verde pubblico o privato, ferma la deroga disciplinata dalle specifiche condizioni di cui all’art. 182, comma 6-bis, T.U.A., non troveranno applicazione le disposizioni previste dal delitto di combustione illecita, bensì il regime sanzionatorio in materia di gestione illecita di rifiuti di cui all’art. 256, comma 1, le cui previsioni colmano, ricorrendone i presupposti, l’apparente lacuna punitiva dell’ultimo periodo del comma 6 dell’art. 256-bis T.U.A[5].
- L’orientamento confermato dalla Suprema Corte.
La non semplicità interpretativa delle disposizioni che compongono il sistema di norme applicabili alle fattispecie di incenerimento dei residui vegetali è stata nel corso del tempo chiarita dall’orientamento giurisprudenziale ribadito dalla sentenza in analisi, che ha consentito e tutt’ora consente di ricondurre i singoli casi di specie alternativamente all’ipotesi contravvenzionale dell’art. 256, comma 1, D.Lgs. n. 152/2006 oppure al delitto di cui all’art. 256-bis T.U.A., con l’applicazione delle correlate sanzioni (di natura penale oppure amministrativa) e sempre che non ricorrano le condizioni prescritte dalla deroga ex art. 182, comma 6-bis, T.U.A.
In sintesi, le attività di raggruppamento e abbruciamento di materiali vegetali eseguite con le modalità e nel rispetto dei requisiti dettati dall’art. 182, comma 6-bis, D.Lgs. n. 152/2006 non costituiscono smaltimento, non sono riconducibili alle attività di gestione dei rifiuti e non configurano pertanto alcun illecito.
Diversamente, ove tali attività siano effettuate al di fuori del campo di operatività della deroga, risulta integrata un’attività di illecita gestione di rifiuti ed è applicabile il regime sanzionatorio ex art. 256, comma 1, T.U.A.
Qualora invece si tratti di combustione di rifiuti urbani originatisi dalla manutenzione del verde pubblico, abbandonati o depositati in maniera incontrollata, trova applicazione l’art. 256-bis, comma 6, T.U.A. e le sanzioni amministrative ai sensi dell’art. 255 T.U.A.; nel differente caso di combustione di materiale agricolo o forestale naturale, anche proveniente da verde pubblico o privato, sono comminate le sanzioni della contravvenzione di cui all’art. 256, comma 1 e non quelle del delitto di combustione illecita.
Tornando al caso di specie, il Collegio ha condiviso la sussunzione del fatto operata dal Giudice di merito nella fattispecie di gestione non autorizzata di rifiuti non pericolosi: era difatti emerso che la combustione aveva riguardato residui vegetali (non rifiuti originatisi dal servizio di manutenzione del verde pubblico) provenienti da un intervento di potatura realizzato dal ricorrente nel luogo di produzione degli stessi ed in assenza di autorizzazione; l’imputato non aveva peraltro provveduto a fornire la prova liberatoria (di cui era onerato[6]) del rispetto delle complessive condizioni della norma derogatoria di cui all’art. 182, comma 6-bis, D.Lgs. n. 152/2006, che avrebbe evitato l’applicazione di sanzioni.
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Note:
[1] Le pronunce maggiormente rilevanti che hanno preceduto quella in analisi sono Corte Cass. pen., Sez. III, 13 settembre 2019, n. 38021; Corte Cass. pen., Sez. III, 24 gennaio 2019, n. 3598; Corte Cass. pen., Sez. III, 24 ottobre 2018, n. 48397; Corte Cass. pen., Sez. III, 31 agosto 2018, n. 39325; Corte Cass. pen., Sez. III, 6 luglio 2018, n. 30625; Corte Cass. pen., Sez. III, 2 agosto 2017, n. 38658; Corte Cass. pen., Sez. III, 25 maggio 2016, n. 21936; Corte Cass. pen., Sez. III, 10 febbraio 2016, n. 5504.
[2] La citata parte dell’art. 185, comma 1, lett. f), D.Lgs. n. 152 /2006 è stata modificata nell’odierna formulazione dall’art. 1, comma 13, lett. a), D.Lgs. n. 116/2020.
[3] Corte Cass. pen., Sez. III, 13 settembre 2019, n. 38021.
[4] Il contenuto di tale comma è stato sostituito dal D.Lgs. n. 116/2020, che all’art. 6, comma 5 ne ha previsto l’applicazione a partire dal 1° gennaio 2021, allo scopo di consentire “ai soggetti affidatari del servizio di gestione dei rifiuti il graduale adeguamento operativo delle attività alla definizione di rifiuto urbano”.
[5] Per un approfondimento si veda P. Fimiani, La tutela penale dell’ambiente, 2015, pp. 572-578.
[6] Si veda Corte Cass. pen., Sez. III, 10 febbraio 2016, n. 5504, che ha esplicitato il generale principio in tema di applicazione di norme dotate di natura eccezionale e derogatoria rispetto alla disciplina ordinaria dei rifiuti prevedendo che “In tema di gestione dei rifiuti, l’onere della prova relativa alla sussistenza delle condizioni di liceità delle attività di raggruppamento ed incenerimento di residui vegetali previste dall’art. 182, comma sesto bis, primo e secondo periodo, d. lgs. 3 aprile 2006 n. 152 incombe su colui che ne invoca l’applicazione.”.