La rinuncia di proprietà agli animali di affezione: diritti e doveri del cittadino e della p.a. per prevenire l’abbandono.

01 Mar 2024 | giurisprudenza, amministrativo

di Paola Brambilla

TAR LOMBARDIA, Milano, Sez. I – 21 dicembre 2023, n. 3156  – Pres. Vinciguerra, Est. Irera

Omissis (avv. Giglio) c. Comune di Misinto (avv.ti Angiolini, Gomitoni, Invernizzi) e ATS Brianza e Omissis (n.c.)

Il Comune è tenuto dalla normativa regionale ad accettare nel proprio canile gli animali di cui il proprietario non possa più prendersi cura, a pena del risarcimento del danno.

La sentenza in esame analizza le conseguenze ricadenti in capo ad un Comune che, illegittimamente, rifiuta di accogliere presso il proprio canile gli animali di una residente.

La ricorrente, che per comprovate ragioni economiche ed abitative non poteva più prendersi cura dei propri cani, chiedeva infatti all’ente di ricoverarli presso le sue strutture, ottenendo un rifiuto fondato sull’allegazione di ragioni economiche, ovvero sull’assenza di uno stanziamento in bilancio, nonchè sull’asserzione della non obbligatorietà dell’accettazione degli animali, anche perché particolarmente oneroso per la collettività.

I giudici accolgono il ricorso, dopo aver concesso anche una tutela cautelare, operando invece un’attenta ricostruzione del quadro normativo di riferimento regionale; è tale fonte che disciplina infatti nei dettagli il sistema organizzativo della sanità veterinaria e della tutela degli animali di affezione in forza, in primo luogo, delle disposizioni statali istitutive del sistema sanitario nazionale di cui alla L. 833/78,[i] quindi della L. 281/91, c.d. legge quadro in materia di animali di affezione e di prevenzione del randagismo, nonché di altre normative di ratifica di convenzioni internazionali, di regolamenti e direttive eurounitarie, ora anche nella nuova prospettiva One Health, e in ultimo anche di intese e accordi Stato-Regioni.

Ad ogni modo in Lombardia la questione qui trattata è disciplinata dalla L. 33/2009, art. 106 comma 1 lett. c) e dal R.R 2/2017, art. 13 comma 3, lett.c), i quali prevedono, in estrema sintesi, che i canili o comunque le strutture di Comuni e Comunità Montane debbano ospitare cani e gatti ceduti definitivamente dai proprietari, al limite prevedendo l’accollo delle spese di mantenimento.

Il rifiuto di accettare tale cessione, che è un obbligo giuridico dell’ente, è legittimo solo in presenza di cause di giustificazione tipizzata (patologie o supero della capienza massima) ma non già per mere ragioni economiche.

La violazione dell’obbligo rende quindi il diniego illegittimo e produttivo di una lesione al bene materiale collegato alla posizione giuridica soggettiva della ricorrente, ossia l’interesse a trovare adeguato rifugio ai propri animali di affezione, tutelato dall’ordimento a livello nazionale e regionale. Il vulnus arrecato a tale interesse viene considerato dal TAR produttivo di un danno risarcibile, correlato alla sopportazione delle spese necessarie per trovare un adeguato ricovero agli animali a carico della ricorrente, in luogo del Comune, e dunque quantificato nella differenza tra la somma spesa per il mantenimento degli animali in struttura privata e la somma che la ricorrente aveva offerto per la collocazione presso il canile comunale, per il periodo di ospitalità affrontato autonomamente.

La pronuncia è di particolare importanza perché colma un vuoto interpretativo in materia di cessione volontaria degli animali, che poi è correlato anche a un gap applicativo della normativa in materia di animali di affezione e di prevenzione dell’abbandono e del randagismo.

E’ infatti evidente che a tali fini devono concorrere più strumenti:

– un’attenta politica fatta anche di campagne informative e di comunicazione mirata che renda chi è intenzionato a prendere con sé un cane o un gatto, consapevole dei costi e delle responsabilità che si assume, come è suo preciso obbligo, per garantire all’animale benessere e dignità di vita, conforme alle caratteristiche etologiche della specie;

– un serrato controllo del randagismo e il monitoraggio e gestione delle colonie feline, con sterilizzazioni condotte in collaborazione con i servizi ATS veterinari, ed anche campagne di incentivazione alla sterilizzazione;

– l’attivazione di rifugi, anche convenzionati, per cani e gatti; strutture che devono farsi carico, appunto, non solo degli animali sequestrati o rimasti senza proprietario per cause di forza maggiore (decesso, detenzione, ricovero), ma anche dei cani “ceduti volontariamente dai proprietari”.

L’accettazione di detta cessione è finalmente accreditata come un obbligo che non soggiace ad alcuna condizione, salva la presenza di patologie contagiose o al limite il superamento della capienza massima (anche se il TAR non considera tale restrizione legittima), mentre per altri animali da compagnia la P.A. può valutare la recettività e le caratteristiche della struttura: dobbiamo infatti considerare che la sfera degli animali di affezione oggi si è ampliata sino a ricomprendere maiali, cavalli, iguane e anche ovini o bovini, e dunque specie non semplici da gestire in strutture concepite normalmente per cani e gatti.

A livello normativo, peraltro, nel novero degli animali di affezione, o da compagnia, rientra ai sensi dell’art. 1, comma 2, del Dpcm 28/02/2003 ogni animale tenuto, o destinato ad essere tenuto, dall’uomo, per compagnia o affezione senza fini produttivi o alimentari, compresi quelli che svolgono attività utili all’uomo, come il cane per disabili, gli animali da pet-therapy, da riabilitazione, e impiegati nella pubblicità. Diverso è l’elenco del Regolamento UE 576/2013, che ai fini della disciplina della movimentazione di animali per finalità non commerciali inserisce tra gli animali d’affezione cani, gatti, furetti, invertebrati [escluse le api, i bombi, i molluschi e i crostacei), gli animali acquatici ornamentali, gli anfibi, i rettili, gli uccelli e i mammiferi, tra cui roditori e conigli diversi da quelli destinati alla produzione alimentare; non lo possono essere invece gli esemplari di specie selvatiche.

Ciò posto, è in relazione alle specie più diffuse che il legislatore si è posto il problema dell’abbandono, grave sia sotto il profilo etico che per gli aspetti sanitari ed ambientali che comporta: la cronaca riporta sempre più spesso episodi di aggressioni, anche mortali, di cani randagi inselvatichiti, la loro presenza diffonde malattie trasmissibili ad altre specie e talvolta all’uomo, rabbia e non solo, e rischia di ibridare le specie selvatiche.

Viceversa, quanto ai felini, proprio in occasione della recente giornata mondiale del gatto l’informazione scientifica ha evidenziato l’importanza che gli esemplari domestici vengano tenuti a casa, in quanto altrimenti si rendono responsabili di veri e propri eccidi di specie selvatiche sino a portarne alcune sull’orlo dell’estinzione[ii]; al punto tale che in Australia, ad esempio, il governo ha lanciato un’operazione [iii] di limitazione del numero di gatti detenibili dai cittadini e di obbligo di “dimora” nelle abitazioni.

Ecco dunque l’importanza dell’accoglienza di esemplari che altrimenti verrebbero condannati all’abbandono e dunque al randagismo, con ciò che ne consegue, specie nella nuova prospettiva One Health che ha evidenziato la stretta correlazione tra salute e benessere animale e dell’uomo.[iv]

Due ultime notazioni.

Di fronte alla scarsità di risorse, che caratterizza non solo la salute e il welfare “veterinario” ma anche quelli destinati alla popolazione umana, una soluzione può essere quella della tariffazione dei servizi pubblici essenziali, e dunque anche di quelli di accoglienza degli animali ceduti; ciò che in alcune regioni è una realtà, con voci di costo parametrate ai rimborsi giornalieri erogati dagli enti per animale, ovvero alle capacità reddituali dei cedenti (ISEE).

Ci si domanda però che cosa potrebbe accadere con la prossima realizzazione dell’autonomia differenziata prevista dall’art. 116 Cost., che ad oggi, nel DDL 615 contempla anche la devoluzione alle Regioni della materia ambiente, in controtendenza con l’ascrizione alla legislazione statale della tutela degli animali introdotta dalla riforma costituzionale del 2022.

Ebbene, l’art. 6 del testo in corso di esame prevede che le Regioni riallochino, e non già “possano” riallocare a Province e Comuni le funzioni loro trasferite.

Questa considerazione, unitamente al fatto che non sono ancora stati fissati i Lep, livelli essenziali delle prestazioni, né i Lepta di cui alla L. 132/2016, livelli essenziali delle prestazioni tecniche ambientale erogabili dalle strutture pubbliche, lascia intravedere non pochi rischi che gli standard di tutela in materia di benessere animale possano scendere al di sotto non già di un minimo uniforme, ma al di sotto del livello di adeguatezza che deve essere assicurato alla tutela ambientale, concetto più elevato rispetto alla nozione di livello minimo. In questo senso sicuramente il dettato delle disposizioni europee potrà avere una qualche funzione di presidio uniforme.

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Per il testo della sentenza (estratto dal sito istituzionale della Giustizia Amministrativa) cliccare sul pdf allegato.

NOTE:

[i] Cfr. per l’evoluzione storica della normativa veterinaria, V. Perrone, La Veterinaria di Sanità Pubblica in Italia:  dagli Stati pre-unitari al SSN, in Argomenti 3/2018, www.sivemp.it/wp/wp-content/uploads/2018/10/percorso_spv.pdf  

[ii] I gatti domestici sarebbero in grado di predare oltre 2000 specie di piccoli animali, di cui quasi 350 cruciali per la conservazione dell’integrità di delicati ecosistemi. Nella sola Australia sarebbero già 34 le specie estinte a causa delle predazioni feline. Lo studio realizzato dai ricercatori dell’Università di Auburn, è descritto da https://cfwe.auburn.edu/free-ranging-cat-predation-on-global-biodiversity/

[iii] https://www.wired.it/article/gatti-australia-coprifuoco-specie-estinzione-pericolo-danno-continente/

[iv] https://www.msd-animal-health.it/offload-downloads/libro-bianco-onehealth-msd-animal-health/

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