La responsabilità per la bonifica della falda al punto di conformità

26 Gen 2021 | giurisprudenza, amministrativo

di Emanuele Pomini

T.A.R. SICILIA, Catania, Sez. I – 15 settembre 2020, n. 2174 – Pres. Savasta, Est. La Greca – A. S.r.l. (avv. G Sallicano) c. ARPA Sicilia, Ass.to Territorio e Ambiente della Regione Sicilia e Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare (Avvocatura dello Stato)

L’attuale disciplina in tema di bonifica prevede obblighi di bonifica soltanto nel caso in cui risultino superati i valori di CSR, in quanto soltanto in tal caso il legislatore qualifica il sito come “contaminato”, eccetto nel caso previsto dall’Allegato 1 al Titolo V della Parte IV del D.Lgs. 152/2006, nella parte in cui prescrive che nel “punto di conformità” delle acque sotterranee, cioè nel punto a valle idrogeologico della sorgente di inquinamento, per ciascuna sostanza contaminante devono essere rispettati i valori di CSC.

Anche nel caso di rinvenimento di una contaminazione della falda al punto di conformità, nell’individuazione del responsabile di tale contaminazione l’amministrazione può avvalersi delle presunzioni semplici di cui all’art. 2727 c.c. (quali la vicinanza dell’impianto all’inquinamento accertato e la corrispondenza tra le sostanze inquinanti ritrovate e i componenti impiegati dall’operatore nell’esercizio della sua attività), trovando applicazione, ai fini dell’accertamento della sussistenza del nesso di causalità tra attività industriale svolta nell’area e inquinamento dell’area medesima, il canone civilistico del “più probabile che non”. Il soggetto interessato non può quindi limitarsi a ventilare genericamente il dubbio circa una possibile responsabilità di terzi, dovendo provare e documentare con pari analiticità la reale dinamica degli avvenimenti e indicare a quale altra impresa, in virtù di una specifica e determinata causalità, debba addebitarsi la condotta dell’inquinamento.

Mediante la sentenza in commento il T.A.R. Catania ha affrontato la questione dell’individuazione del responsabile dell’inquinamento nel particolare contesto della contaminazione delle acque di falda.

La vicenda vede una nota società attiva nella produzione di gas tecnici, proprietaria di due siti produttivi acquisiti da precedenti operatori industriali, proporre ricorso contro l’ARPA Sicilia e altri enti per l’annullamento di una nota della stessa ARPA mediante la quale le erano state imposte, a seguito di monitoraggio ambientale, azioni di messa in sicurezza con riferimento al rinvenimento di alcune sostanze (anche cancerogene) nelle acque di falda in misura superiore alle rispettive concentrazioni soglia di contaminazione (“CSC”) misurate nei piezometri posti a valle idrogeologica e al confine di entrambi i siti.

I rilievi della società ricorrente si incentravano sostanzialmente sull’asserita sovrapposizione operata dall’amministrazione delle CSC  e delle concentrazioni soglia di rischio (“CSR”) relative alle acque di falda, pur in assenza dell’accertamento della presenza di soggetti ricettori in corrispondenza della sorgente (on-site) o a una certa distanza (off-site) tale da subire l’esposizione con conseguente rischio per la salute e per l’ambiente, nonché sull’assenza di responsabilità della ricorrente stessa in merito alla causazione delle contaminazioni riscontrate a carico della falda.

Il T.A.R. Catania ha rigettato il ricorso, non ritenendo meritevole di accoglimento nessuna delle ragioni di doglianza sollevate dalla società ricorrente.

Quanto all’asserita sovrapposizione delle CSC e delle CSR, i giudici amministrativi si sono limitati a richiamare la normativa vigente, senza dare alcun rilievo all’accertata presenza o meno di soggetti ricettori on-site e/o off-site al fine ritenere legittima tale sovrapposizione. Infatti, come ricordato dal tribunale, se è pur vero che, a differenza dalla precedente disciplina di cui al D.M. 471/1999, l’attuale disciplina dettata dal D.Lgs. 152/2006 subordina gli obblighi di bonifica all’avvenuto superamento dei valori di CSR[i], in quanto soltanto in tal caso il legislatore qualifica il sito come “contaminato”, è altrettanto vero che lo stesso decreto prevede un’eccezione a tale regola generale.

L’Allegato 1 al Titolo V della Parte IV del D.Lgs. 152/2006 prescrive infatti che nel “punto di conformità” (“POC”) per le acque sotterranee, cioè nel punto a valle idrogeologico della sorgente di inquinamento “di norma fissato non oltre i confini del sito contaminato oggetto di bonifica”, per ciascuna sostanza contaminante la relativa CSR “deve essere fissata equivalente alle CSC di cui all’Allegato 5 della parte quarta del presente decreto”. Il TAR ha ribadito come la finalità di questa eccezione sia quella di garantire che in quel punto, ossia a valle idrogeologica della sorgente di contaminazione, sia garantito “il ripristino dello stato originale (ecologico, chimico e/o quantitativo) del corpo idrico sotterraneo, onde consentire tutti i suoi usi potenziali”. Poiché nel caso di specie era stato accertato che, proprio in corrispondenza dei POC di entrambi i siti, i valori riscontrati di alcune sostanze inquinanti in falda erano superiori alle rispettive CSC, nessun difetto di istruttoria vi era stato da parte dell’amministrazione, non essendo infatti quest’ultima tenuta a effettuare ulteriori indagini rispetto all’eventuale presenza di soggetti ricettori potenzialmente bersaglio di esposizione con conseguente rischio per la salute e per l’ambiente.

Anche rispetto all’ulteriore ragione di doglianza, relativa alla presunta assenza di responsabilità per le contaminazioni rinvenute a carico della falda, il T.A.R. Catania mostra di essere di diverso avviso rispetto alle tesi sostenute dalla difesa della ricorrente.

I giudici amministrativi riepilogano innanzitutto il quadro normativo di riferimento relativo agli obblighi gravanti sul responsabile dell’inquinamento e sul proprietario dell’area interessata, ribadendo[ii] come la differenza sostanziale tra le due posizioni sia da individuare nei differenti obblighi di facere, essendo il proprietario incolpevole, sotto tale punto di vista, gravato dal solo obbligo di adottare, ove ve ne ricorrano i presupposti, le necessarie misure di prevenzione, peraltro da riferirsi anche alle contaminazioni storiche che possano ancora comportare rischi di aggravamento della situazione di contaminazione; ma nulla di più. Peraltro, occorre precisare come la questione della sovrapposizione o meno delle CSC e delle CSR al POC non gioverebbe in ogni caso allo scopo di sgravare il proprietario incolpevole dall’obbligo di intervento in questione, posto che l’attivazione delle misure di prevenzione prescinde dal superamento di qualsiasi valore tabellare, essendo dovuta in presenza di una “minaccia imminente per la salute o per l’ambiente, intesa come rischio sufficientemente probabile che si verifichi un danno sotto il profilo sanitario o ambientale in un futuro prossimo” (art. 240, comma 1, lett. i) del D.Lgs. 152/2006).

Una volta riepilogato il quadro degli interventi esigibili a seconda della qualifica del soggetto interessato, il T.A.R. Catania si è soffermato sulla questione dell’individuazione del soggetto responsabile dell’inquinamento, anche in tal caso partendo dai principi già elaborati dalla giurisprudenza sul punto.

In particolare, viene ricordato come la giurisprudenza amministrativa[iii], sulla scorta delle indicazioni fornite dalla Corte di Giustizia UE[iv], abbia escluso da tempo l’applicabilità di una impostazione “penalistica”, maggiormente rigorosa e incentrata sul superamento della soglia del “ragionevole dubbio”, dovendo invece trovare applicazione, ai fine dell’accertamento del nesso di causalità tra attività industriale svolta in una certa area e inquinamento rinvenuto a carico della medesima area, il differente canone civilistico del “più probabile che non”. Inoltre, sempre come statuito dai giudici comunitari, per poter presumere l’esistenza di un siffatto nesso di causalità “l’autorità competente deve disporre di indizi plausibili in grado di dare fondamento alla sua presunzione, quali la vicinanza dell’impianto all’inquinamento accertato e la corrispondenza tra le sostanze inquinanti ritrovate e i componenti impiegati dall’operatore nell’esercizio della sua attività”. Ne discende, come statuito dal T.A.R. Catania nel caso di specie, che, rispetto alla questione della qualificazione di un soggetto come responsabile della contaminazione, “la prova può quindi essere data in via diretta o indiretta, ossia, in quest’ultimo caso, l’amministrazione può avvalersi delle presunzioni semplici di cui all’art. 2727 c.c.”, dovendo tuttavia trattarsi di indizi gravi, precisi e concordanti[v].

Nel caso di specie, mentre era incontroversa tra le parti in giudizio la carenza di responsabilità della società ricorrente in relazione a uno dei due siti acquistati da precedenti operatori industriali, per quanto riguarda l’altro sito la responsabilità di quest’ultima nella causazione della contaminazione della falda rilevata al POC di stabilimento è stata affermata facendo applicazione dei summenzionati principi.

Da un lato, i valori di contaminazione riscontrati dall’ente di controllo a seguito del monitoraggio della falda sono stati ritenuti “compatibili con il carattere recente dell’inquinamento”, come tale riconducibile all’attuale operatore del sito secondo il canone del “più probabile che non”; dall’altro, è stato rimproverato alla società ricorrente di essersi limitata a insinuare solo in modo generico il dubbio circa una possibile responsabilità di terzi soggetti nella causazione dell’inquinamento della falda, senza tuttavia fornire alcuna prova né in merito agli avvenimenti che avrebbero dovuto portare al coinvolgimento di terze parti, né in merito all’individuazione di queste ultime[vi].

All’esito di questa vicenda giudiziaria si osserva come il ricorso alle presunzioni semplici, quale mezzo di prova cui le autorità possono ricorrere per giungere all’affermazione di responsabilità nella condotta inquinante, non sembra sempre in grado di offrire idonee garanzie ai soggetti interessati, in particolare nel contesto dell’inquinamento delle falde acquifere, il quale, a differenza del suolo, costituisce un fenomeno solitamente più complesso da valutare e in continua (più o meno lenta) evoluzione per la natura stessa della matrice ambientale interessata.

Le conseguenze che discendono dall’affermazione di responsabilità per il superamento delle CSC della falda al POC di sito non sono peraltro di poco conto, comportando spesso l’obbligo di attivazione di interventi di bonifica dai costi considerevoli non solo per le attività iniziali (studio e predisposizione delle infrastrutture necessarie, anche di carattere emergenziale), ma anche per le successive attività di gestione, che possono protrarsi per svariati anni e senza che sia possibile ab origine prevederne la durata.

Questo dovrebbe condurre, quanto meno nel caso in cui si dibatta dell’inquinamento della matrice falda, a un’applicazione attenta e scrupolosa del principio del “più probabile che non”, perché è sì vero che, trattandosi di presunzioni semplici, è sempre fatta salva la possibilità per il soggetto interessato di confutare e ribaltare tali presunzioni, ma è altrettanto vero che i mezzi (e i poteri) di cui il privato dispone (ad es. per svolgere indagini al fine di individuare un terzo soggetto responsabile), non sono gli stessi di cui dispone la pubblica amministrazione, alla quale – non a caso – il legislatore ha demandato l’onere dello svolgimento delle necessarie attività di indagine (cfr. l’art. 244 del D.Lgs. 152/2006). Si pensi, ad es., al fatto che l’inquinamento della falda possa avere un’origine, o anche solo una concausa di origine, esterna al sito, non sembrando accettabile un’affermazione di responsabilità basata su un “più probabile che non” contributo del sito a fronte delle difficoltà che il soggetto interessato potrebbe incontrare nel raccogliere elementi idonei a confutare – dovendo peraltro farlo in modo rigoroso e analitico, secondo quanto ricordato dalla giurisprudenza già citata – la presunzione di responsabilità opposta dall’amministrazione.

Ciò anche perché la sovrapposizione delle CSC e delle CSR operata dal legislatore nel caso della conformità al POC costituisce condizione sufficiente per determinare la necessità di intervento[vii], in quanto prescinde, come ricordato anche dal T.A.R. Catania nel caso di specie, da una valutazione in concreto dei rischi per la salute e per l’ambiente, non essendo richiesto a tal fine l’accertamento della presenza di soggetti ricettori on-site o off-site.

Esigere dall’autorità competente accertamenti più rigorosi nei casi di contaminazione della falda risponde in ultima analisi anche a un’esigenza di tutela ambientale che sia sostanziale e non solo meramente formale: infatti, solo da accertamenti che prendano in considerazione tutte le variabili del caso specifico, anche eventualmente esterne al sito e di difficile verifica da parte del gestore dell’area, può discendere non solo la corretta individuazione del soggetto responsabile, ma è altresì possibile evitare il rischio di imporre interventi di bonifica non solo molto onerosi ma che possono rivelarsi oltre modo sproporzionati e/o inefficaci rispetto ai benefici in concreto ottenibili (si pensi a un’attività di bonifica della falda imposta al POC del sito laddove la presenza della contaminazione possa in astratto essere ascritta anche a fenomeni presenti già a monte idrogeologico del sito stesso).

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Commento_bonifica POC falda

Per il testo della sentenza (estratto dal sito istituzionale della Giustizia Amministrativa) cliccare sul pdf allegato

TAR Catania_2174_2020_POC falda

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Bonifica, Acque di falda, Punto di conformità, Contaminazione, Soggetto responsabile

[i] Cfr. T.A.R. Abruzzo, L’Aquila, Sez. I, 16 novembre 2019, n. 557, in questa Rivista, 2020, con nota di L. Gavoni.

[ii] Cfr. Cons. Stato, Ad. Pl., 25 settembre 2013, n. 21 e 13 novembre 2013, n. 25, in questa Rivista, 2014, p. 62 con nota di E. Maschietto; Cons. Stato, Sez. IV, 18 dicembre 2018, n. 7121.

[iii] Cfr. Cons. Stato, Sez. IV, 18 dicembre 2018, n. 7121; Cons. Stato, Sez. IV, 4 dicembre 2017, n. 5668, in Amb. & Svil., 2018, p. 102; T.A.R. Puglia, Lecce, Sez. I, 9 maggio 2019, n. 755, in questa Rivista, 2019, con nota di R. Gubello.

[iv] Corte Giustizia UE, 534 2015; Corte Giustizia UE, Grande Sezione, 9 marzo 2010, causa C-378/2008, in questa Rivista, 2010, p. 565, con nota di A.L. De Cesaris.

[v] Cfr. Cons. Stato, Sez. V, 22 maggio 2015, n. 2569; Cons. Stato, Sez. V, 16 giugno 2009, n. 3885, in questa Rivista, 2010, p. 152 (con note di L. Frigerio e F. Peres). Sul dovere di accertamento imposta alla pubblica amministrazione e sul suo contenuto si rinvia a F. Vanetti, L’accertamento del responsabile della contaminazione non costituisce solo un presupposto per ordinare la bonifica, ma rappresenta altresì un dovere della P.A., in questa Rivista, 2017, p. 92.

[vi] La necessità di prove analoghe era stata affermata da Cons. Stato, Sez. IV, 4 dicembre 2017, n. 5668, cit.; cfr., nello stesso senso, T.A.R. Lombardia, Milano, Sez. III, 2 dicembre 2019, n. 2562, in questa Rivista, 2020, con nota di P. Roncelli.

[vii] Le eccezioni a tale automatismo sono limitate a quanto previsto dallo stesso Allegato 1 già citato, secondo il quale “valori superiori possono essere ammissibili solo in caso di fondo naturale più elevato o di modifiche allo stato originario dovute all’inquinamento diffuso, ove accertati o validati dalla Autorità pubblica competente, o in caso di specifici minori obiettivi di qualità per il corpo idrico sotterraneo o per altri corpi idrici recettori, ove stabiliti e indicati dall’Autorità pubblica competente”.

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