La legittimazione ad agire delle associazioni a tutela dell’ambiente alla luce del diritto internazionale ed europeo

03 Gen 2023 | giurisprudenza, corte di giustizia

di Federico Vanetti e Cristiano Ciuffa

Corte di Giustizia (Grande Sezione) 8 novembre 2022, Causa C-873/19 – pres. K. Lenaerts, est. P.G. Xuereb – Deutsche Umwelthilfe eV c. Bundesrepublik Deutschland, con l’intervento di Volkswagen AG.

L’articolo 9, paragrafo 3, della Convenzione sull’accesso alle informazioni, la partecipazione del pubblico ai processi decisionali e l’accesso alla giustizia in materia ambientale, firmata ad Aarhus il 25 giugno 1998 e approvata a nome della Comunità europea con la decisione 2005/370/CE del Consiglio, del 17 febbraio 2005, in combinato disposto con l’articolo 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, deve essere interpretato nel senso che esso osta a che un’associazione per la tutela dell’ambiente, legittimata ad agire in giudizio conformemente al diritto nazionale, non possa impugnare dinanzi a un giudice nazionale una decisione amministrativa che concede o modifica un’omologazione CE eventualmente in contrasto con l’articolo 5, paragrafo 2, del regolamento (CE) n. 715/2007 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 20 giugno 2007, relativo all’omologazione dei veicoli a motore riguardo alle emissioni dai veicoli passeggeri e commerciali leggeri (Euro 5 ed Euro 6) e all’ottenimento di informazioni sulla riparazione e la manutenzione del veicolo.

***

Con la decisione in commento, il giudice europeo ha chiarito che le associazioni riconosciute per la tutela dell’ambiente devono poter impugnare in via giurisdizionale un’omologazione CE di veicoli dotati di “impianti di manipolazione”, non conformi alla normativa UE, in quanto idonei a produrre, seppur indirettamente, effetti negativi sull’ambiente.

Il giudice del rinvio ha sollevato dubbi circa la legittimazione di un’associazione per la tutela dell’ambiente ad agire nel processo.

In particolare, atteso che, ai sensi della normativa nazionale[i], l’autorizzazione de qua non rientrerebbe nella definizione di “decisione”, la Deutsche Umwelthilfe eV non sarebbe legittimata ad agire, non potendo, altresì, beneficiare delle previsioni sull’accesso alla giustizia, contenute nella Convenzione di Aarhus, in quanto la stessa è priva di effetto diretto, e, conseguentemente, non potrebbe derogare alla normativa nazionale.

La decisione in commento permette di comprendere, innanzitutto, le modalità di applicazione delle Convenzioni internazionali all’interno dell’ordinamento europeo e nazionale, seppur non direttamente applicabili, come la Convenzione di Aarhus.

L’articolo 9, paragrafo 3, della Convenzione, titolato “Accesso alla giustizia”, prevede che: “ciascuna Parte provvede affinché i membri del pubblico che soddisfino i criteri eventualmente previsti dal diritto nazionale possano promuovere procedimenti di natura amministrativa o giurisdizionale per impugnare gli atti o contestare le omissioni dei privati o delle pubbliche autorità compiuti in violazione del diritto ambientale nazionale”.

Da un punto di vista oggettivo, la Corte europea ha ribadito che, all’interno dell’ordinamento europeo, il termine “diritto ambientale” è da intendersi in senso lato, riferendosi a quella normativa che contribuisce al raggiungimento degli obiettivi dell’Unione, a prescindere fonte[ii].

Ne consegue, quindi, che, nell’ambito dell’articolo 9, paragrafo 3, della Convenzione di Aarhus, debbano essere ricompresi anche gli atti o le omissioni che si pongono in violazione delle disposizioni, inter alia, della pianificazione urbanistica, del controllo delle sostanze chimiche o dei rifiuti, sfruttamento delle risorse naturali, indipendentemente dall’etichetta normativa attribuita loro, come specificato dalla guida all’applicazione della Convenzione[iii].

Da un punto di vista soggettivo, invece, la Corte ha rilevato come “i criteri eventualmente previsti dal diritto nazionale”, menzionati dall’articolo 9, paragrafo 3, della Convenzione, debbano riferirsi alle caratteristiche soggettive, e non già alle caratteristiche oggettive inerenti al ricorso.

Inoltre, il giudice di Strasburgo, quale garante del diritto europeo, ha precisato che gli ordinamenti nazionali, nel determinare le norme processuali ai sensi dell’articolo 9, paragrafo 3 della Convenzione, devono pur sempre rispettare il principio di effettività della tutela giurisdizionale, contenuto nell’articolo art. 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea.

Pertanto, pur conservando un certo margine di discrezionalità nell’individuazione dei criteri di legittimazione soggettiva di cui sopra, gli Stati devono, tuttavia, evitare che delle previsioni troppo rigorose rendano effettivamente impossibile, per le associazioni per la tutela dell’ambiente, impugnare gli atti o contestare le omissioni delle amministrazioni, in quanto si porrebbero in violazione di uno dei principi cadine del diritto europeo.

La chiave d’interpretazione adottata dal giudice europeo fornisce, altresì, la possibilità di constatare l’aderenza e la conformità dell’impianto normativo italiano al diritto internazionale. A tal proposito, è opportuno rilevare che il legislatore italiano ha determinato i criteri soggettivi di legittimazione nella legge 349/1986.

L’articolo 13 della stessa riconosce il diritto ad agire delle “associazioni di protezione ambientale a carattere nazionale e quelle presenti in almeno cinque regioni sono individuate con decreto del  Ministro dell’ambiente sulla base delle finalità programmatiche e dell’ordinamento  interno  democratico  previsti  dallo  statuto, nonché’  della continuità dell’azione e della sua rilevanza esterna, previo  parere  del  Consiglio  nazionale per l’ambiente da esprimere entro  novanta  giorni  dalla richiesta”.

Parallelamente, la prassi giurisprudenziale ha elaborato un ulteriore criterio di legittimazione, valevole per tutte quelle associazioni non iscritte nel registro individuato dalla legge.

In particolare, a seconda del singolo caso di specie, il giudice può riconoscere la legittimazione dell’associazione ad agire in giudizio, “purché esse perseguano statutariamente e non in maniera occasionale obiettivi di tutela ambientale, abbiano un elevato grado di stabilità e rappresentatività ed abbiano un’area di afferenza ricollegabile alla zona in cui è situato il bene che si assume leso” (Cons. Stato sez. IV, sent. n. 885/2010)[iv].

La situazione risultante da tale doppia legittimazione – cui ci si riferisce anche come criterio del “doppio binario” – amplia, di fatto, il bacino delle associazioni legittimate, purché esse:

  1. prevedano, in fase di costituzione, che lo scopo statutario sia quello di tutelare l’ambiente;
  2. posseggano un adeguato grado di rappresentatività e stabilità. Per quanto riguarda la prima, essa non deve “essere riferita solo al dato numerico dei singoli soci” (TAR Veneto, sent. n. 140/2019), potendo assumere rilevanza anche ai fini della legittimità di un’associazione di coordinamento di altre associazioni che tutelano l’ambiente[v]. Per quanto riguarda, invece, il requisito della stabilità, il Consiglio di Stato, con sentenza n. 7850/2020, ha riconosciuto che all’aspetto della stabilità temporale non debba attribuirsi un carattere dirimente, in quanto “attribuire all’elemento temporale – la più o meno recente costituzione – tale funzione di discrimine, introdurrebbe un indebito elemento discrezionale se non arbitrario la cui delimitazione – in mesi? in giorni? in anni? – o valutazione non è, del resto, in alcun modo dalla legge considerata né, quindi, attribuita a qualsivoglia organismo”.
  3. siano caratterizzate dalla vicinitas, dovendosi trovare “in rapporto, non di stretta contiguità bensì, di stabile e significativo collegamento, da indagare caso per caso, […] con la zona il cui ambiente si intende proteggere” (Cons. Stato sez. IV, sent. n. 1937/2022).

Per altro, si evidenzia che la giurisprudenza amministrativa, da tempo, ha consolidato la propria concezione di diritto ambientale, inteso in senso lato.

In particolare, il Consiglio di Stato, da un lato, ha più volte chiarito che la nozione di ambiente “rileva non solo come paesaggio, ma anche come assetto del territorio, comprensivo di ogni suo profilo, e finanche degli aspetti scientifico-naturalistici (come quelli relativi alla protezione di una particolare flora e fauna), pur non afferenti specificamente ai profili estetici della zona” (Cons. Stato, Sez. IV, sent. n.5045/2014).

Dall’altro, invece, la giurisprudenza ha precisato come, ormai, le problematiche di carattere ambientale siano pacificamente compenetrate in quelle urbanistiche, con la conseguenza che “laddove venga impugnata un’autorizzazione di natura ambientale le questioni di carattere urbanistico ed edilizio dedotte a fondamento di censure di legittimità non mutano la consistenza degli interessi azionati in giudizio” (Cons. Stato, Sez. V, Sent. n.3711/2015).

Risulta, pertanto, che la legittimazione delle associazioni per la tutela dell’ambiente sussiste non solo per la tutela degli interessi ambientali in senso stretto, ma anche per garantire una tutela intesa in senso lato, ricomprendendo “ogni situazione idonea a cagionare un pregiudizio all’ambiente, quantunque in via diretta finalizzato alla tutela di interessi di natura più circoscritta o diversi” (Cons. di Stato sez. II, 19 aprile 2021, n.3170).

Alla luce della giurisprudenza menzionata, è possibile rilevare, dunque, che l’ordinamento italiano abbia correttamente dato attuazione alla lettera dell’articolo 9, paragrafo 3, della Convenzione di Aarhus, predisponendo dei criteri che afferiscono alla determinazione della platea di soggetti legittimati ad agire in ricorso, e non già all’oggetto dello stesso.

SCARICA L’ARTICOLO IN PDF

Articolo RGA(4848466.1) (1) (2)

Per il testo della sentenza cliccare sul pdf allegato.

CELEX_62019CJ0873_IT_TXT

NOTE

[i] Articoli 1, paragrafo 1, e 2 paragrafo 1, della legge recante disposizioni complementari relative ai ricorsi in materia ambientale previsti dalla direttiva 2003/35/CE (UmwTG).

[ii] In tal senso, si veda, inter alia, il regolamento 1367/2006, il quale, all’articolo 2, paragrafo 1, lettera f, definisce “diritto ambientale” come: “la normativa comunitaria che, a prescindere dalla base giuridica, contribuisce al raggiungimento degli obiettivi della politica comunitaria in materia ambientale, stabiliti nel trattato: salvaguardia, tutela e miglioramento della qualità dell’ambiente, protezione della salute umana, utilizzazione accorta e razionale delle risorse naturali e promozione sul piano internazionale di misure destinate a risolvere i problemi dell’ambiente a livello regionale o mondiale”.

[iii] “La Convenzione di Aarhus, guida all’applicazione”, pubblicato dalla Commissione economica per l’Europa dell’Organizzazione delle Nazioni Unite (seconda edizione, 2014).

[iv] Sul puntosi vedano anche: Cons. Stato, IV Sez. n.1937/22; V Sez., n. 3191/07; VI Sez., n. 4123/01

[v] TAR Veneto, sent. n.463/2021.

Scritto da