La delega delle potestà sanzionatorie regionali in materia di inquinamento idrico

04 Apr 2020 | giurisprudenza, civile

di Elisa Maria Volonté

Corte di Cassazione Civile, Sez. II – 20 febbraio 2020, n. 4459 (udienza 10 dicembre 2019) – Pres. Giusti, Est. Giusti – B.R. e Ireti S.p.A. (Avv.ti Morini e Micali) c. Città Metropolitana di Genova (Avv.ti Scaglia, Manzone e Pafundi).

La Corte di Cassazione ha ritenuto compatibile con il dettame dell’Art. 135 D.Lgs. 152/2006 la delega della potestà sanzionatoria in materia di inquinamento idrico dalle Regioni alle Province, giudicando legittima l’ordinanza-ingiunzione emanata da una Provincia a fronte dell’accertamento, da parte della Guardia Costiera, della mancanza dell’autorizzazione prescritta per un impianto di depurazione di reflui urbani.

Il provvedimento della Corte di Cassazione in commento respinge il ricorso dei ricorrenti avverso un’ordinanza-ingiunzione con la quale la Provincia di Genova (oggi Città Metropolitana di Genova) aveva ingiunto loro il pagamento di una sanzione amministrativa a fronte dell’accertamento, da parte della Guardia Costiera, della mancanza della prescritta autorizzazione per l’impianto di depurazione reflui urbani di Zoagli, gestito da una delle ricorrenti.

In particolare, i ricorrenti concentrano le proprie principali doglianze sul difetto assoluto di attribuzione in capo alla Provincia del potere sanzionatorio in materia di inquinamento idrico, sulla carenza di potere di accertamento dell’illecito in capo alla Guardia Costiera nonché sulla mancanza di legittimazione passiva in capo ad una dei due ricorrenti, nella sua qualità di società di gestione dell’impianto.

Per quanto riguarda il primo motivo di ricorso, i ricorrenti prospettano la carenza di potere in astratto in capo alla Provincia ai sensi del dispositivo di cui all’Art. 135 D.Lgs. 152/2006. Nello specifico, infatti, gli stessi sottolineano come l’articolo citato ponga il potere sanzionatorio esclusivamente in capo alle Regioni e alle Province autonome, senza lasciare alle medesime la possibilità di delegare tale prerogativa in capo ad altri enti territoriali. Prerogativa che, invece, era prevista nel previgente Art. 56 D.Lgs. 152/1999, ai sensi del quale “all’irrogazione delle sanzioni amministrative pecuniarie provvede, salvo diversa disposizione delle regioni o delle province autonome, la regione o la provincia autonoma nel cui territorio è stata commessa la violazione”.

Tale differenza nella portata normativa dell’Art. 135 D.Lgs. 152/2006 avrebbe quindi comportato la tacita abrogazione, per incompatibilità con le norme nazionali, delle disposizioni regionali con le quali i poteri sanzionatori erano stati delegati a diversi enti[i]. Da ciò sarebbe altresì discesa la nullità per difetto assoluto di attribuzione di ogni provvedimento sanzionatorio emesso dalla Provincia successivamente all’entrata in vigore del citato articolo del D.Lgs. 152/2006.

L’impostazione prospettata dai ricorrenti viene tuttavia disattesa dalla Corte di Cassazione, la quale, sulla base di diversi argomenti di seguito riportati, riconosce l’effettiva potestà sanzionatoria in capo alla Provincia per effetto di valida delega da parte della Regione.

Prima di tutto, la Corte di Cassazione ricorre alla propria consolidata giurisprudenza per escludere che, nel caso di specie, si possa parlare di difetto assoluto di attribuzione, inteso come mancanza assoluta della norma attributiva del potere che si concretizza nell’esercizio, da parte dell’Amministrazione, di un potere non attribuitole da nessuna norma dell’ordinamento giuridico. La carenza di potere in astratto, infatti, sarebbe configurabile esclusivamente nel caso in cui l’atto emesso da un organo attenga ad una materia del tutto estranea all’ambito degli interessi pubblici attribuiti alla cura della Pubblica Amministrazione cui l’organo appartiene[ii]. Interpretazione che, di fatto, è condivisa anche dalla giurisprudenza amministrativa, secondo la quale infatti l’incompetenza assoluta ricorre solo quando l’Amministrazione del cui operato si discute abbia adottato un provvedimento la cui adozione rientra nella sfera di attribuzioni di un plesso amministrativo radicalmente diverso[iii].

Secondo il ragionamento della Corte di Cassazione, la tesi dei ricorrenti sarebbe errata anche nel ritenere tacitamente abrogate le disposizioni di delega delle potestà sanzionatorie precedentemente adottate dalle Regioni per incompatibilità con la nuova portata dell’Art. 135 D.Lgs. 152/2006, così come interpretato dai ricorrenti, secondo i quali la mancata riproposizione dell’inciso “salva diversa disposizione delle Regioni o delle Province autonome[iv]” rivelerebbe la volontà di escludere il potere delle Regioni di dettare norme in deroga ai criteri di attribuzione della potestà sanzionatoria.

La sopra illustrata impostazione viene ancora una volta rigettata dalla Corte di Cassazione, la quale non manca di ricorrere anche alla giurisprudenza della Corte Costituzionale in merito, richiamando altresì l’impossibilità di ritenere di per sé risolutivo il mero differente tenore testuale delle citate norme, essendo invece necessario ricostruire l’intero quadro normativo di riferimento[v]. Ed infatti, la potestà sanzionatoria ex Art. 135 D.Lgs. 152/2006 non può configurarsi in via autonoma come materia, ma accede alle materie sostanziali che disciplinano gli atti e i comportamenti sanzionabili[vi]. Pertanto, la citata competenza a irrogare sanzioni amministrative va ricondotta alla competenza legislativa trasversale della “tutela dell’ambiente e dell’ecosistema”, materia di competenza esclusiva statale ai sensi dell’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost. che, proprio per la sua complessità, interferisce con altri interessi e competenze, anche regionali. Alla luce di tale carattere complesso e pervasivo, deve intendersi riservato allo Stato il potere di fissare livelli di tutela uniforme sull’intero territorio nazionale in materia, ferma restando la competenza delle Regioni alla cura di interessi funzionalmente collegati con quelli propriamente ambientali[vii], muovendosi nel quadro degli standard nazionali di tutela uniforme[viii].

In tale ottica, l’eventuale delega da parte della Regione delle proprie potestà sanzionatorie alla Provincia non può ritenersi lesiva dell’Art. 117 comma 2, lett. s) Cost. né dell’Art. 118 comma 1 e 2 Cost. ma, al contrario, risulta coerente con il principio di sussidiarietà, differenziazione e adeguatezza. Ed infatti, configurandosi un’ipotesi di competenza legislativa trasversale, la disciplina unitaria del bene ambientale rimessa in via esclusiva allo Stato si pone come limite alla disciplina regionale, la quale non può derogare o peggiorare il livello di tutela ambientale stabilito dallo Stato ma può esclusivamente muoversi all’interno dei limiti posti dai principi regolatori[ix]. Principi regolatori che non possono rinvenirsi nell’attribuzione di potestà sanzionatoria alla Regione, con la necessaria conseguenza che le modifiche intervenute nell’emanazione dell’Art. 135 D.Lgs. 152/2006 non avrebbero potuto spiegare l’efficacia direttamente abrogativa nei confronti delle leggi regionali preesistenti, con esso incompatibili.

L’incompatibilità di un’assoluta impossibilità per le Regioni di procedere con la delega delle proprie potestà sanzionatorie in materia di inquinamento idrico emergerebbe poi, secondo la Corte di Cassazione, anche dalla portata stessa del già citato Art. 135 D.Lgs. 152/2006. Ed infatti, come sottolineato nel provvedimento in commento, è lo stesso articolo a prevedere una clausola di salvaguardia secondo la quale, in tema di potestà sanzionatoria vengono “fatte salve le attribuzione affidate dalla legge ad altre pubbliche autorità”, che, pur non riproponendo quanto originalmente previsto nell’Art. 56 D.Lgs. 152/1999, consente così di escludere la volontà del legislatore di introdurre un principio inderogabile di competenza regionale nell’applicazione delle sanzioni amministrative in materia di tutela delle acque.

Secondo il ragionamento del provvedimento in commento, inoltre, la tesi sostenuta dalla Corte di Cassazione sarebbe altresì confermata dalla portata dell’intero impianto sistematico del D.Lgs. 152/2006: la previsione di un implicito divieto di delega delle funzioni ambientali in tema di tutela delle acque dall’inquinamento da parte della Regioni ad altri enti territoriali collimerebbe con l’attribuzione, da parte di diverse disposizioni del citato decreto, di ampi poteri normativi e amministrativi alle Regioni[x]. Secondo la Corte di Cassazione, infatti, la restrizione della possibilità di delegare la potestà sanzionatoria in materia di inquinamento idrico non potrebbe coesistere con una siffatta impostazione complessiva del D.Lgs. 152/2006, caratterizzata dal risalto dell’autonomia delle Regioni e degli enti locali in generale proprio nell’ambito della materia della tutela delle acque, oggetto dell’ordinanza-ingiunzione impugnata.

Infine, la Corte di Cassazione propone un ulteriore argomento contrario all’asserita tacita abrogazione delle normative regionali. A tal proposito, infatti, la volontà del legislatore di non considerare ex se abrogate le disposizioni precedentemente emanate dalle Regioni in applicazione del D.Lgs. 152/1999 sarebbe confermata dalla portata della disciplina transitoria prevista dal D.L.gs. 152/2006[xi], la quale di fatto prevede la validità medio tempore dei provvedimenti e degli atti normativi adottati in attuazione delle normative abrogate, dai quali la Corte di Cassazione non vede motivo di escludere le leggi regionali emanate in applicazione del D.Lgs. 152/1999[xii].

Disatteso il principale motivo di ricorso, la Corte di Cassazione smentisce altresì le altre doglianze dei ricorrenti, attinenti all’incompetenza dell’organo che ha proceduto all’accertamento della violazione nonché alla mancanza di legittimazione passiva in capo ad una dei medesimi.

Relativamente al primo profilo, i ricorrenti sostengono che dal verbale di accertamento non emergerebbero i possibili “danni o situazioni di pericolo per l’ambiente marino o costiero” che, stando all’Art. 135 comma 2 D.Lgs. 152/2006[xiii], costituirebbero i presupposti di legittimazione dell’attività di accertamento da parte della Guardia Costiera.

Anche a tal riguardo la Corte di Cassazione rileva l’infondatezza della censura delle ricorrenti sotto plurimi fronti: prima di tutto, infatti, è lo stesso articolo citato dai ricorrenti, al proprio primo comma[xiv], a far salve, in materia di inquinamento idrico, le competenze delle “altre pubbliche autorità”, dalle quali la Corte di Cassazione non ritiene di dover espungere la Guardia Costiera; inoltre, nel contesto della violazione imputata ai ricorrenti sono ben presenti i citati danni o situazioni di pericolo per l’ambiente marino o costiero, posto che lo sversamento in mare di acque reflue senza la prescritta autorizzazione amministrativa costituisce un fatto altamente nocivo per la qualità delle acque nonché pericoloso per la stessa salute umana.

Medesima sorte spetta anche all’ultimo motivo di doglianza dei ricorrenti, relativo alla mancanza di legittimazione passiva in capo ad una dei due, nella sua veste di mera società affidataria della gestione del servizio idrico integrato. Stando ai ragionamenti dei ricorrenti, infatti, la violazione avrebbe dovuto essere notificata esclusivamente nei confronti dell’effettivo trasgressore, ovverosia al soggetto deputato alla conduzione dell’impianto di depurazione, posto che la già citata ricorrente non avrebbe alcun potere in ordine al completamento degli impianti in questione.

A tal riguardo, la Corte di Cassazione conferma la legittimità della contestata ordinanza ricorrendo alla propria salda giurisprudenza, secondo la quale l’illecito amministrativo di scarico senza autorizzazione non costituisce un illecito proprio e, pertanto, del medesimo risponde non solo il gestore operativo, deputato all’effettiva conduzione dell’impianto, ma anche il titolare dello scarico, e dunque il gestore dell’ambito. Ed infatti, l’infrazione amministrativa contestata non presuppone una particolare qualità nel soggetto attivo, che può identificarsi non solo nel titolare dell’autorizzazione all’esercizio di un impianto, ma anche in qualsiasi soggetto, gestore di fatto o comunque materiale detentore dello scarico privo di autorizzazione[xv].

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Volonte_Cass. Civ II n. 4459_2020

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Volonte_contributo

Note:

[i]         Nel caso della Regione Liguria, la norma che ha delegato i poteri sanzioni è contenuta nell’Art. 42, comma 2, lett. b), L.R. Liguria 43/1995, che ha trovato conferma nell’interpretazione autentica (e pertanto, avente efficacia retroattiva) contenuta all’Art. 22 L.R. Liguria 41/2014. Entrambe le citate disposizioni sono state abrogate dalla L.R. Liguria 12/2017, abrogazione successiva ininfluente nel giudizio in commento.

[ii]        Ex multiis, Corte Cass. civ., Sez. II, 27 settembre 2018, n. 23383, Corte Cass. civ., Sez. II, 5 novembre 2018, n. 28108, Corte Cass. civ., Sez. I, 19 luglio 2012, n. 12555 e Corte Cass, Sez. Un., 29 agosto 1990, n. 8987.

[iii]       In questo senso, Cons. Stato, Sez. 5, 4 agosto 2011, n. 4679 e Cons. Stato, Sez. IV, 28 febbraio 2005, n. 739.

[iv]       Art. 56 D.Lgs. 15271999.

[v]        La Corte di Cassazione richiama espressamente l’ordinanza della Corte Cost. 33 del 17 febbraio 2016, la quale ha dichiarato inammissibile la questione di legittimità costituzionale relativa alla L.R. Veneto 11/2012, attributiva alle Province venete del potere di irrogare sanzioni amministrative in materia ambientale.

[vi]       F. Saitta, Le sanzioni amministrative nel Codice dell’ambiente: profili sistematici e riflessioni critiche, in questa Rivista, 2009, 1, pp. 41 ss.

[vii]       Ex multiis, Corte Cost. 10 Aprile 2015, n. 58 e Corte Cost. 14 novembre 2007, n. 380.

[viii]      C. M. Grillo e M. Favagrossa, Profili giuridici in tema di inquinamento elettromagnetico, in questa Rivista, 2012, 3-4, pp. 377 ss.

[ix]       P. Maddalena, L’interpretazione dell’art. 117 e dell’art. 118 della Costituzione secondo la recente giurisprudenza costituzionale in tema di tutela e di fruizione dell’ambiente, in questa Rivista, 2011, 6, pp. 735 ss.

[x]        La Corte di Cassazione fa riferimento specificamente all’Art. 101 D.Lgs. 152/2006, ai sensi del quale “[…] le regioni, nell’esercizio della loro autonomia, tenendo conto dei carichi massimi ammissibili e delle migliori tecniche disponibili, definiscono i valori limite di emissione […]” e all’Art. 124 D.Lgs. 152/2006, il quale prevede che “[i]l regime autorizzatorio degli scarichi di acque reflue domestiche e di reti fognarie, servite o meno da impianti di depurazione delle acque reflue urbane, è definito dalle regioni […]” (comma 3) nonché “[s]alvo diversa disciplina regionale, la domanda di autorizzazione è presentata alla provincia ovvero all’ente di governo dell’ambito se lo scarico è in pubblica fognatura”.

[xi]       Si tratta, nello specifico, dell’Art. 170 comma 11, D.Lgs. 152/2006, ai sensi del quale “[f]ino all’emanazione di corrispondenti atti adottati in attuazione della parte terza del presente decreto, restano validi ed efficaci i provvedimenti e gli atti emanati in attuazione delle disposizioni di legge abrogate dall’articolo 175”.

[xii]       A tal proposito, si ricorda che la struttura delle competenze sanzionatorie della Regione Liguria, disciplinata con L.R. Liguria 43/1995 era stata confermata, successivamente all’entrata in vigore del D.Lgs. 152/2006, con la norma di interpretazione autentica di cui all’Art. 22 L.R. Liguria 41/2014.

[xiii]      Ai sensi del citato Art. 135 comma 2 D.Lgs. 152/2006, infatti “[f] atto salvo quanto previsto dal decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112, ai fini della sorveglianza e dell’accertamento degli illeciti in violazione delle norme in materia di tutela delle acque dall’inquinamento provvede il Comando carabinieri tutela ambiente (C.C.T.A.); può altresì intervenire il Corpo forestale dello Stato e possono concorrere la Guardia di finanza e la Polizia di Stato. Il Corpo delle capitanerie di porto, Guardia costiera, provvede alla sorveglianza e all’accertamento delle violazioni di cui alla parte terza del presente decreto quando dalle stesse possano derivare danni o situazioni di pericolo per l’ambiente marino e costiero.

[xiv]      Più precisamente, l’Art. 135 comma 1 D.Lgs. 152/2006 prevede che “[i]n materia di accertamento degli illeciti amministrativi, all’irrogazione delle sanzioni amministrative pecuniarie provvede, con ordinanza-ingiunzione ai sensi degli articoli 18 e seguenti della legge 24 novembre 1981, n. 689, la regione o la provincia autonoma nel cui territorio è stata commessa la violazione, ad eccezione delle sanzioni previste dall’articolo 133, comma 8, per le quali è competente il comune, fatte salve le attribuzioni affidate dalla legge ad altre pubbliche autorità.

[xv]       Corte Cass. civ., Sez. II, 14 febbraio 2006, n. 3176.

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