Corte di Giustizia U.E., Sezione Prima, 8 maggio 2025, causa C‑236/24
Massima ufficiale
L’articolo 9 bis della direttiva 2011/92/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 13 dicembre 2011, concernente la valutazione dell’impatto ambientale di determinati progetti pubblici e privati, come modificata dalla direttiva 2014/52/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 16 aprile 2014, deve essere interpretato nel senso che: qualora l’autorità competente a determinare se un progetto di cui all’articolo 4, paragrafo 2, della direttiva 2011/92, come modificata, debba essere sottoposto a una valutazione del suo impatto ambientale, conformemente agli articoli da 5 a 10 della direttiva 2011/92, come modificata, sia anche il committente del progetto interessato, deve almeno essere applicata un’appropriata separazione tra funzioni confliggenti in relazione all’assolvimento di tale compito.
1.- La questione pregiudiziale posta dal Consiglio di Stato belga
Quella in commento costituisce la prima sentenza della Corte di Giustizia U.E. che verte sull’interpretazione dell’art. 9 bis della direttiva 2011/92 del 13 dicembre 2011 (concernente la valutazione dell’impatto ambientale di determinati progetti pubblici e privati), introdotto dalla direttiva 2014/52/UE del 16 aprile 2014, il quale dispone:
“Gli Stati membri provvedono affinché l’autorità o le autorità competenti assolvano ai compiti derivanti dalla presente direttiva in modo obiettivo e non si ritrovino in una situazione che dia origine a un conflitto di interessi.
Qualora l’autorità competente coincida con il committente, gli Stati membri provvedono almeno a separare in maniera appropriata, nell’ambito della propria organizzazione delle competenze amministrative, le funzioni confliggenti in relazione all’assolvimento dei compiti derivanti dalla presente direttiva”.
La vicenda attiene ad una procedura di screening di VIA (nell’ordinamento italiano: “verifica di assoggettabilità”) relativa ad un progetto di riconversione di un sito di lavanderia presentato da un ente di diritto pubblico, costituito dalla città di Gand (città del Belgio settentrionale, capoluogo della Fiandra orientale), su cui si era espresso un funzionario del medesimo Comune con la decisione di non sottoporre l’intervento alla procedura di valutazione del suo impatto ambientale, escludendo che lo stesso potesse avere effetti significativi sull’ambiente.
A seguito di un’azione giurisdizionale di annullamento dell’autorizzazione ambientale rilasciata per il progetto, proposta da due proprietari di un immobile ubicato nei pressi del sito interessato, il contenzioso finiva per approdare dinanzi al Consiglio di Stato belga (Raad van State), il quale decideva di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte di Giustizia U.E. la seguente questione pregiudiziale: “Se l’articolo 9 bis della direttiva 2011/92 debba essere interpretato nel senso che, nei casi in cui l’autorità competente sia anche il committente, l’appropriata separazione tra funzioni confliggenti in relazione all’assolvimento dei compiti derivanti dalla direttiva deve essere applicata anche per valutare se i progetti di cui all’articolo 4, paragrafo 2, di tale direttiva, debbano essere sottoposti a una valutazione a norma degli articoli da 5 a 10 di detta direttiva”.
La domanda posta dal giudice belga alla CGUE è, in sostanza, volta a comprendere se la citata disposizione della direttiva volta ad escludere situazioni di conflitto di interessi, prevedendo la separazione delle competenze tra autorità committente di un progetto ed autorità competente, debba trovare applicazione non solo nei procedimenti ordinari di VIA (di cui all’art. 4, par. 1) per i progetti dell’allegato I della direttiva, ma anche nelle procedure preliminari di screening (di cui all’art. 4, par. 2) per i progetti dell’allegato II.
2.- La sentenza della Corte di Giustizia: il divieto di conflitto di interessi e la necessità di appropriata separazione tra funzioni confliggenti si applica anche allo screening di VIA
Con la sentenza qui in commento dell’8 maggio 2025 (nella causa C-236/24) la Prima Sezione della Corte di Giustizia perviene all’espressione di una risposta positiva al quesito posto dai giudici amministrativi del Belgio: il divieto di conflitto di interessi e la necessità di appropriata separazione tra funzioni confliggenti si applica anche allo screening di VIA.
A tali esiti si perviene innanzitutto sulla base di un’esegesi testuale dell’art. 9 bis della direttiva 2011/92 (parr. 19-25) il quale – come detto –: al primo comma, prevede il principio generale che gli Stati membri provvedano affinché le autorità competenti assolvano i compiti derivanti da tale direttiva “in modo obiettivo” e non si ritrovino in una situazione che dia origine ad un “conflitto di interessi”[i]; e al suo secondo comma, disciplina l’ipotesi particolare in cui l’autorità competente per la VIA coincida con il committente del progetto, statuendo che gli Stati membri provvedono “almeno” ad una a separazione appropriatadelle “funzioni confliggenti” in relazione all’assolvimento dei compiti derivanti dalla direttiva stessa.
In primis si precisa che detto articolo presenta, tanto al primo che al secondo comma, un campo di applicazione riferito in via generale a tutti i “compiti” derivanti dalla direttiva 2011/92.
Per cui non v’è dubbio che nell’ambito operativo del criterio generale e del suo corollario specifico ricada anche la procedura di screening giacché allorquando l’autorità competente è chiamata a determinare, sulla base dell’art. 4, par. 2, se un progetto debba essere sottoposto o meno a una valutazione dell’impatto ambientale, essa svolge senza dubbio un “compito derivante da detta direttiva”.
Il secondo argomento esegetico utilizzato dalla Corte (ai parr. 26-31) è quello di ordine sistematico, riferito cioè al “contesto in cui tale articolo si inserisce”[ii].
Dapprima si richiama in sentenza il “considerando 25” della direttiva 2014/52 (con cui è stato introdotto l’art. 9 bis in esame) secondo cui “È opportuno garantire l’obiettività delle autorità competenti. I conflitti d’interesse potrebbero essere evitati, tra l’altro, mediante la separazione funzionale tra autorità competente e committente. Qualora l’autorità competente coincida con il committente, è opportuno che, nell’ambito della propria organizzazione delle competenze amministrative, gli Stati membri provvedano almeno a separare in maniera appropriata le funzioni confliggenti delle autorità preposte all’assolvimento dei compiti derivanti dalla direttiva [2011/92]”. Il tutto per precisare che quest’ultimo “considerando” enuncia che l’“appropriata separazione tra funzioni confliggenti” riguarda tutte le autorità preposte all’assolvimento dei “compiti derivanti dalla direttiva”, senza dunque che si possano evincere elementi volti ad escludere l’applicabilità di tale necessario requisito alla procedura di screening.
Dopodiché, esaminando il combinato disposto dei paragrafi 1, 2 e 4, dell’art. 4 della direttiva, i giudici europei pervengono a desumere che in un tale contesto normativo, la necessità di assicurare il rispetto (e la coerenza applicativa) delle garanzie prescritte dall’art. 9 bis della direttiva 2011/92 presuppone che l’autorità competente per la VIA possa pronunciarsi “in modo obiettivo” e senza incorrere in situazioni di “conflitto di interessi”, da evitare in modo particolare nei confronti del committente il progetto, il quale è tenuto a fornire all’autorità competente le informazioni sulla base delle quali essa deve pronunciarsi: tutto ciò sia durante l’ordinaria valutazione dell’impatto ambientale, sia – appunto- durante la procedura di screening. Di qui la necessaria applicazione dell’art. 9 bis anche a quest’ultimo procedimento preliminare.
Quindi la motivazione della Corte fa leva anche sull’interpretazione teleologica della disposizione in esame (parr. 32-33), evidenziando che dal ricordato considerando 25 della direttiva 2014/52 si evince che l’art. 9 bis è stato introdotto nel perseguimento della precisa finalità di garantire l’ “obiettività delle autorità competenti”, che a sua volta contribuisce in modo importante alla fondamentale finalità della direttiva 2011/92 (e – aggiungiamo – antecedentemente, anche dell’originaria direttiva 337/85) di garantire che, prima dell’emissione di un’autorizzazione, i progetti per i quali sia previsto un impatto ambientale rilevante, formino oggetto di una valutazione dei loro effetti sull’ambiente.
Il che presuppone la necessaria ampia applicazione delle garanzie di “oggettività” di giudizio di compatibilità ambientale da parte delle pubbliche amministrazioni giacché, diversamente, l’ “effetto utile” dell’art. 9 bis risulterebbe inevitabilmente “indebolito” se l’obiettività delle autorità competenti e l’assenza di conflitti di interesse non fossero garantite “in tutte le fasi dell’assolvimento dei compiti” affidati a tali autorità dalla direttiva, e dunque con riferimento non solo alla VIA ai sensi dell’art. 4, par. 1 per i progetti dell’allegato I alla direttiva, ma anche alla procedura di screening prevista dall’art. 4, par. 2 per i progetti di cui all’allegato II.
Infine, nella motivazione (ai parr. 35-36) si prendono in esame i lavori del Parlamento e del Consiglio UE relativi all’introduzione dell’art. 9 bis della direttiva 2011/92 ad opera della direttiva 2014/52, pervenendo alla conclusione che dagli stessi non si traggono elementi contrari agli esiti interpretativi raggiunti. In proposito in sentenza si affronta – e si respinge – l’argomento utilizzato in giudizio (dalla provincia delle Fiandre Orientali e dalla società proponente il progetto) secondo cui l’emendamento contenuto nella relazione del Parlamento europeo sulla proposta di direttiva proponeva un nuovo “considerando” che prevedeva l’introduzione di norme precise per evitare i conflitti di interesse tra l’autorità competente e il committente di un progetto sottoposto alla valutazione dell’impatto ambientale, senza tuttavia menzionare i progetti sottoposti a una procedura di screening. In proposito la Corte constata, da un lato, che tale originaria proposta di emendamento[iii] non corrisponde alla formulazione del conclusivo considerando 25 della direttiva 2014/52 e, dall’altro, che in ogni caso, tale argomento non può mettere in discussione l’interpretazione della disposizione fondata sul suo tenore letterale, sul suo contesto e sui suoi obiettivi[iv].
Di qui l’inevitabile conclusione della Corte (parr. 36-38) che dunque l’art. 9 bis della direttiva si applica anche nella procedura di screening di VIA, in cui l’autorità competente è chiamata a valutare se un progetto di cui all’articolo 4, paragrafo 2, di tale direttiva debba essere o meno sottoposto alla valutazione del suo impatto ambientale; e che di conseguenza, qualora l’autorità competente ad adottare tale decisione sia anche il committente del progetto interessato, gli Stati membri sono tenuti “almeno” a separare in maniera appropriata, nell’ambito della propria organizzazione amministrativa, le “funzioni confliggenti” in relazione all’assolvimento di tale compito.
Il tutto con l’ulteriore precisazione che questa “appropriata separazione” dev’essere strutturata in modo tale che l’entità amministrativa competente per la VIA, allorquando costituisca un’articolazione interna alla pubblica autorità committente (o proponente) il progetto[v], disponga di “un’autonomia reale”, che implichi in particolare che essa abbia a disposizione “mezzi amministrativi e risorse umane propri”, e sia quindi in grado di svolgere il suo compito “in modo oggettivo”.
A tale ultimo proposito la Corte opera (al § 38) un richiamo “per analogia” al proprio precedente di cui alla sentenza del 20 ottobre 2011, C‑474/10 (Seaport e a.) con cui è stato affermato un analogo principio nella materia della valutazione ambientale sui piani e programmi di cui alla direttiva 2001/42[vi].
3.- I requisiti di separazione funzionale nella valutazione ambientale strategica di piani e programmi
Più precisamente, si rammenta che con quest’ultima pronuncia del 20 ottobre 2011 (nella causa C‑474/10), la CGUE affermò il principio per cui, laddove l’autorità designata per l’espressione del parere sul piano/programma nella procedura di valutazione ambientale sia essa stessa incaricata dell’elaborazione del piano/programma, l’art. 6, n. 3, della direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 27 giugno 2001, 2001/42/CE (concernente appunto la valutazione degli effetti di determinati piani e programmi sull’ambiente) “non impone che sia creata o designata un’altra autorità consultiva ai sensi di tale disposizione”.
Dall’altro canto, però, la Corte condizionò la legittimità di tale “opzione interna” (dell’autorità competente in seno all’autorità procedente, per usare la terminologia del nostro Codice dell’ambiente)[vii] alle seguenti precise condizioni: “purché, in seno all’autorità normalmente incaricata di procedere alla consultazione in materia ambientale e designata a tal fine, sia organizzata una separazione funzionale in modo tale che un’entità amministrativa, interna a tale autorità, disponga di un’autonomia reale, la quale implichi, segnatamente, che essa abbia a disposizione mezzi amministrativi e risorse umane propri, e sia in tal modo in grado di svolgere i compiti attribuiti alle autorità consultive ai sensi di tale art. 6, n. 3, e, in particolare, di fornire in modo oggettivo il proprio parere sul piano o programma previsto dall’autorità dalla quale essa promana”.
Quest’ultima decisione della CGUE si inserì in un dibattito nazionale, giurisprudenziale e dottrinale, segnato in particolare dall’allora recente sentenza del Consiglio di Stato n. 133/2011 in cui, in nome della funzione eminentemente collaborativa svolta dalla valutazione ambientale strategica nell’ambito della procedura di pianificazione (come tale, distinta dalla funzione di controllo della VIA in relazione all’approvazione dei progetti) -tant’è che la valutazione ambientale sui piani e programmi ha natura (non di procedimento o sub-procedimento autonomo, ma) di mero “passaggio endoprocedimentale” che si concreta nell’espressione di un semplice “parere”-, aveva affermato che risulterebbe “quasi fisiologica” l’evenienza che l’autorità competente per la VAS sia designata in un organo o ufficio interno alla stessa autorità procedente per l’approvazione del piano[viii].
La ricordata pronuncia della Corte di Giustizia, pur affermando il ben diverso principio per cui le competenze in materia di VAS di regola debbono essere attribuite ad autorità diverse da quelle di pianificazione (questa è la fisiologia), e solo in ipotesi eccezionali le stesse possono essere concentrate nella medesima amministrazione[ix], ma alla condizione della sussistenza di adeguate garanzie di autonomia strutturale e funzionale-, non modificò affatto quest’approdo della nostra giurisprudenza, come pure si era inizialmente (ma ingenuamente) ipotizzato[x].
L’orientamento che continuerà ad essere infatti successivamente ribadito, sino ai giorni nostri, è quello di un giudice amministrativo italiano che, partendo dalla premessa che la concentrazione di funzioni nella medesima amministrazione sarebbe “astrattamente possibile, se non addirittura preferibile”[xi], ha sinora esercitato un sindacato alquanto debole sulle garanzie di autonomia funzionale ed organizzativa dell’autorità competente per la VAS rispetto a quella procedente per l’approvazione del piano/programma.
Il tutto con un contenzioso che continua ad essere piuttosto consistente soprattutto nelle regioni italiane – in particolare la Lombardia -, in cui la competenza per la VAS sugli strumenti di pianificazione urbanistica risulta allocata allo stesso livello (comunale) di approvazione dei piani medesimi. Con pronunce che tradizionalmente ritengono sufficiente che l’autorità competente per la VAS e quella procedente per il piano urbanistico siano incardinate in articolazioni distinte del Comune; talvolta escludendo nel concreto eventuali rapporti di dipendenza gerarchica o forme di sovrapposizione organizzativa[xii]; talaltra invece non operando alcuna verifica di effettiva autonomia funzionale ed organizzativa dell’autorità competente[xiii]; o addirittura con l’affermazione che la titolarità dell’ufficio deputato a trattare i “servizi territoriali” nonché la qualità di responsabile dell’intero procedimento pianificatorio non ostano, di per sé, a che il soggetto interessato funga pure da autorità competente per la V.A.S. o, comunque, sia attivamente coinvolto nella procedura stessa[xiv]; sino a “fattispecie limite” giudicate legittime, come quella del vicesindaco individuato come autorità competente ad adottare il parere motivato di VAS sul nuovo piano di governo del territorio[xv]. Illegittima è stata invece ritenuta (per incompetenza) la vera e propria sostituzione dell’autorità competente per la VAS con quella procedente[xvi].
Ora, ci si guarda bene (questa volta) dal pronosticare che la nuova sentenza della CGUE ivi in commento indurrà i giudici amministrativi italiani ad esercitare un più penetrante sindacato giurisdizionale volto alla verifica dei requisiti di autonomia strutturale e funzionale dell’organo preposto alla VAS rispetto all’autorità procedente.
Certo è che la pronuncia ivi in commento, da un canto, ribadisce la validità dei principi già espressi per la VAS nella ricordata pronuncia del 2011, e, dall’altro, applica analogicamente alla procedura di VIA e di screening esattamente i medesimi requisiti organizzativi di “autonomia reale” -ovvero di indipendenza- che debbono essere concretamente garantiti all’autorità competente per il giudizio di compatibilità ambientale rispetto alla pubblica amministrazione proponente il progetto dell’opera pubblica sottoposta a valutazione, assicurando dunque alla stessa la disponibilità di “mezzi amministrativi e risorse umane propri”, onde consentirle lo svolgimento dei propri compiti “in modo oggettivo”.
Appare dunque evidente l’individuazione da parte dei giudici europei di un’identica ratio nelle procedure di valutazione ambientale, tale per cui solo un’adeguata separazione dal punto di vista organizzativo dell’autorità competente alla valutazione ambientale (sia sui piani/programmi che sui progetti) risulta tale da garantirne l’obiettività di azione, ovverossia l’imparzialità della decisione.
In un tale contesto di evidente “travaso regolatorio” in materia di valutazioni ambientali ci sia consentito affermare che, pur risultando condivisibile il mantenimento di un’impostazione “integrazionista” della VAS nel procedimento di adozione e di approvazione del piano/programma[xvii], appare francamente oramai assai fragile e superata l’operazione volta a mantenere un distinguo tra le due procedure nell’applicazione del principio dell’adeguata separazione dell’autorità competente, fondato sulle finalità di tipo collaborativo della VAS rispetto a quelle di controllo della VIA.
La giustizia europea ha infatti ora ribadito la validità del principio che una valutazione strategica “presa sul serio” presuppone un’impostazione di tipo dialettico per l’espressione di un parere obiettivo sul piano o programma, quale garanzia di reale terzietà dell’autorità competente per la valutazione ambientale. Esattamente al pari della valutazione di impatto sui progetti.
Spetta ora al giudice amministrativo italiano decidere se prendere atto che la CGUE sta andando in una differente direzione rispetto a quella seguita nel nostro Paese negli ultimi quindici anni, oppure continuare tranquillamente a prescinderne.
4.- La differenziazione delle funzioni di tutela paesaggistica da quelle in materia urbanistico-edilizia
Il principio comune alle due procedure di valutazione ambientale di VIA e di VAS sinora illustrato evoca una regola analoga, di necessaria autonomia organizzativa con finalità di esercizio obiettivo delle funzioni, prevista in un ulteriore ambito del diritto ambientale italiano (inteso in senso ampio), questa volta non di derivazione euro-unitaria: siamo parlando della disciplina di rilascio delle autorizzazioni paesaggistiche di cui all’art. 146 e ss. del “Codice dei beni culturali e del paesaggio” approvato con il d.lgs. 42/2004.
Dispone infatti il comma 5 di tale ultimo articolo che sull’istanza di autorizzazione paesaggistica è competente a pronunciarsi la regione in cui ricade il bene sottoposto a vincolo, soggiungendo al comma 6, che quest’ultima può tuttavia delegare l’esercizio di tale competenza agli enti territoriali locali (più precisamente, a: province, forme associative e di cooperazione fra enti locali, enti parco, ovvero a comuni) “purché gli enti destinatari della delega dispongano di strutture in grado di assicurare un adeguato livello di competenze tecnico-scientifiche nonché di garantire la differenziazione tra attività di tutela paesaggistica ed esercizio di funzioni amministrative in materia urbanistico-edilizia”.
Come da tempo chiarito dal giudice amministrativo, tale garanzia di differenziazione funzionale e strutturale -condizionante la legittimità della delega delle competenze agli enti locali- richiede dal punto di vista organizzativo che nell’ente locale delegato (spesso i comuni) sia assicurata una netta separazione tra strutture interne preposte alle due attività: paesaggistica, da un lato, ed urbanistico – edilizia, dall’altro.
Il principio è stato chiarito dal Consiglio di Stato in una pronuncia del 2015 ove, nel precisare che la richiamata previsione codicistica rende “necessaria una distinzione formale tra uffici, non basta una distinzione di attività”, si è indagata la ratio della previsione affermando che “La doverosa distinzione organizzativa, infatti, riflette la distinzione sostanziale tra la funzione di tutela del paesaggio e quella di governo del territorio o urbanistica: è una distinzione che ha base nell’art. 9 Cost. (e oggi è confermata dall’art. 117, secondo comma, lett. s), Cost.) e che è rimarcata dalla costante giurisprudenza specie costituzionale (a muovere da Corte cost., 24 luglio 1972, n. 141 e, ad es., a Corte cost., 23 novembre 2011, n. 309): la separazione organizzativa a livello comunale è voluta dalla legge ad adeguata prevenzione della possibile commistione in capo al Comune delle due competenze e a evitare che la valutazione urbanistica possa incidere sull’autonomia di quella, superiore e delegata, paesaggistica (non a caso l’art. 146, comma 4, prevede che “l’autorizzazione paesaggistica costituisce atto autonomo e presupposto rispetto al permesso di costruire o agli altri titoli legittimanti l’intervento urbanistico-edilizio”;…): la quale ultima deve essere organizzativamente posta, nel Comune, in condizione di non subire incidenze gerarchiche o condizionamenti di sorta”[xviii].
Successivamente a questa pronuncia, la giurisprudenza amministrativa pare essersi generalmente orientata nel senso di garantire l’inderogabilità del principio di separazione delle funzioni[xix], sia pure delimitandone il campo applicativo ai soli procedimenti di rilascio delle autorizzazioni paesaggistiche; escludendo dunque effetti di illegittimità dell’omessa differenziazione in relazione ai provvedimenti sanzionatori paesaggistici[xx], ai procedimenti di assenso paesistico in sede di rilascio dei condoni edilizi[xxi] e, ovviamente, all’emissione dei permessi di costruire[xxii].
Differenti posizioni si registrano tuttavia in ordine alla necessità di una differenziazione soltanto “oggettiva”, ossia relativamente alle strutture preposte all’istruttoria e al rilascio dei titoli paesaggistici ed edilizi; od invece anche “soggettiva”, cioè in termini di necessario rilascio dei due titoli da parte di differenti funzionari o dirigenti dell’ente.
Talvolta infatti quest’ultima garanzia è stata negata con l’argomento che “in assenza di una specifica regola di incompatibilità soggettiva si impone un’esegesi conforme all’autonomia ed alle carenze organizzative dei Comuni[xxiii].
In altre occasioni, invece, pur prendendo atto delle problematiche applicative della disposizione nei piccoli contesti comunali caratterizzati da difficoltà organizzative e da penuria di personale e di mezzi tecnici, si è tuttavia affermato che una differenziazione anche soggettiva “deve almeno essere assicurata a livello istruttorio e/o di responsabile di procedimento, per garantire, quanto meno e nella sostanza, l’acquisizione di adeguato ed autonomo apporto conoscitivo/istruttorio rispetto alla valutazione ambientale”[xxiv].
Quest’ultima recente pronuncia del Consiglio di Stato risulta particolarmente significativa anche perché, da un lato, assume come necessari alla differenziazione paesaggistica i medesimi requisiti affermati dai giudici europei in materia di VAS (in termini di “autonomia adeguata” con disposizione di “mezzi amministrativi e risorse umane propri”); e, dall’altro, in quanto, ai fini dell’accertamento giurisdizionale del rispetto dell’art. 146 comma 6 d.lgs. 42/2004, non ritiene sufficiente l’astratto riconoscimento regionale ex ante di idoneità comunale all’esercizio delle funzioni paesaggistiche (riconoscimento previsto in Lombardia e in Veneto), richiedendo invece una “verifica di come, in concreto, si sia svolto lo specifico procedimento di rilascio dell’autorizzazione paesaggistica”[xxv].
Non mancano tuttavia posizioni giurisprudenziali meno rigorose, che non solo escludono la necessità di una tale ultima verifica procedimentale, ma addirittura ritengono tale accertamento un’inammissibile valutazione di merito[xxvi].
5.- Cenni conclusivi: la nascita di un nuovo principio di diritto amministrativo ambientale?
Al termine di questa disamina si ritiene di formulare tre rapide considerazioni conclusive: una prima relativamente alla genesi della norma euro-unitaria oggetto della pronuncia della CGUE in esame, una seconda riferita al suo recepimento nel nostro Paese, una terza recante una riflessione generale e di sistema desumibile dall’analisi delle disposizioni sopra ricordate.
Sui lavori preparatori della direttiva 2014/52 che condussero all’approvazione dell’art. 9 bis della direttiva 2011/92 (profilo risolto piuttosto rapidamente dalla CGUE nella sentenza in commento), preme rammentare -pur denunziando subito la propria situazione di “conflitto di interessi”-[xxvii] che dal testo dell’originaria relazione al Parlamento europeo non solo non si possono trarre argomenti contrari agli esiti interpretativi raggiunti con la sentenza in esame (come invece ipotizzato dalle parti del giudizio a quo), ma in realtà già si evince l’evidente preoccupazione di garantire alle autorità competenti “la piena indipendenza nello svolgimento delle funzioni ad esse attribuite a norma della presente direttiva”[xxviii], desumendone dunque un ampio campo applicativo che indiscutibilmente avrebbe dovuto riguardare tutte le funzioni assegnate dalla direttiva, tanto in sede di VIA ordinaria che di screening.
Sempre in ordine ai lavori preparatori del testo europeo, sia consentito altresì ricordare che la proposta di emendamento presentata dal relatore italiano a quella che diventerà la direttiva 2014/52 traeva origine dalla preoccupazione emersa da una situazione di anomala concentrazione e sovrapposizione delle competenze (nel settore delle infrastrutture stradali e delle valutazioni ambientali, sia sui progetti che sui piani) che si era protratta per diversi anni nella regione del Veneto, e che aveva all’epoca suscitato una certa sorpresa nelle commissioni parlamentari di Strasburgo[xxix]; e a cui era appunto seguita l’ipotesi di introdurre nella normativa sulla VIA disposizioni in linea con quelle individuate in materia di VAS dalla giurisprudenza della CGUE (nella già ricordata sentenza 20 ottobre 2011, C‑474/10).
La questione che è stata ora sottoposta dal Consiglio di Stato belga alla Corte europea dimostra tuttavia che quello dell’indipendenza delle autorità preposte alla VIA evidentemente non costituiva (e non costituisce) un problema soltanto italiano.
Il nuovo art. 9 bis della direttiva 2011/92, uscito dalla riforma del 2014, venne quindi recepito nel nostro Paese in due successivi momenti.
Dapprima, ad opera del d.lgs. 16 giugno 2017, n. 104, che ha introdotto il nuovo l’art. 7 bis del d.lgs. 152/2006 il quale al comma 6 dispone: “Qualora nei procedimenti di VIA o di verifica di assoggettabilità a VIA l’autorità competente coincida con l’autorità proponente di un progetto, le autorità medesime provvedono a separare in maniera appropriata, nell’ambito della propria organizzazione delle competenze amministrative, le funzioni confliggenti in relazione all’assolvimento dei compiti derivanti dal presente decreto”.
Successivamente, a seguito dell’avvio di un procedimento di infrazione della Commissione europea nei confronti dell’Italia, il recepimento della direttiva del 2014 venne completato nel 2020[xxx] aggiungendo al ricordato comma 6 dell’art. 7 bis la seguente seconda proposizione: “Le autorità competenti evitano l’insorgenza di situazioni che diano origine a un conflitto di interessi e provvedono a segnalare ogni situazione di conflitto, anche potenziale, alle competenti autorità”.
Tanto premesso, v’è subito da evidenziare che l’ordinamento italiano (diversamente dal diritto belga) non pone quindi alcun problema interpretativo relativamente al tema sottoposto all’esame pregiudiziale della Corte di giustizia, ponendosi in linea con il principio affermato dalla sentenza in commento, in quanto risulta ben chiaramente prevista – nell’incipit della prima proposizione del ricordato comma 6 dell’art. 7-bis del Codice dell’ambiente – che le disposizioni inerenti la necessaria “appropriata separazione” trovano applicazione non solo nella procedura ordinaria di VIA, ma anche nel procedimento preliminare di verifica di assoggettabilità disciplinato dall’art. 19 del d.lgs. 152/2006.
In ogni caso, si osserva che tali disposizioni hanno sinora trovato una scarsissima applicazione giurisprudenziale nel nostro Paese[xxxi].
Vale la pena di svolgere un’unica considerazione sulla già ricordata sentenza del Consiglio di Stato n. 6152/2021, la quale è pervenuta ad affermare la tesi che la concentrazione – e non invece la separazione – organizzativa dell’autorità competente per il provvedimento di VIA (e per il parere di VAS) in seno all’autorità proponente il progetto (e dell’autorità procedente per i piani sottoposti a VAS) risulterebbe “fisiologica” e “addirittura preferibile” fondando il ragionamento sul dato testuale del comma 6 dell’art. 7 bis. cit. che risulta tuttavia omissivo dell’avverbio “almeno” contenuto nell’art. 9 bis della direttiva 2011/92 (“Qualora l’autorità competente coincida con il committente, gli Stati membri provvedono almeno a separare in maniera appropriata …”)[xxxii]. Ora, poiché non v’è dubbio che quest’ultima disposizione della direttiva europea – interpretata anche alla luce del considerando 25 sopra ricordato – configura invece la prevista separazione organizzativa come requisito minimale (“almeno”, appunto) nell’ipotesi limite – e dunque nient’affatto fisiologica o preferibile – della coincidenza tra autorità competente e autorità committente (o proponente), risulta conseguenziale ed inevitabile pervenire ad un’esegesi della norma interna conforme al diritto europeo ed idonea a garantire l’“effetto utile” della disciplina dell’Unione, cui ha espressamente fatto richiamo la Corte di Giustizia nella sentenza ivi in commento.
In secondo luogo, si osserva che il giudizio di rinvio della pronuncia della CGUE in esame si fonda su un’applicazione ampia della regola dell’appropriata separazione dell’art. 9 bis della direttiva, che richiede cioè di indagare quale sia il “committente di fatto” dell’opera sottoposta a VIA o a screening (nel caso di specie, individuato dai giudici belgi nella città di Gand, anche se il formale proponente del progetto era un distinto “ente di diritto pubblico dotato di personalità giuridica”, pur istituito dalla stessa città di Gand).
Peraltro, una piana lettura del dato normativo e giurisdizionale europeo (in particolare riferito al principio generale di cui al comma 1 dell’art. 9 bis della direttiva e alla seconda proposizione dell’art. 7 comma 6 d.lgs. 152/2006) parrebbe sollecitare la necessità di garantire un’autonomia reale dell’autorità competente all’emissione del provvedimento di VIA in tutti i casi; e dunque non solo in presenza dell’ipotesi (limite) della coincidenza con l’autorità proponente il progetto di un’opera pubblica, ma garantendo adeguati meccanismi di separazione organizzativa anche rispetto all’autorità procedente chiamata ad autorizzare i progetti di opere private (eventualmente di interesse pubblico).
Il tema andrebbe indagato proprio in ragione della tendenza dell’ordinamento italiano alla concentrazione di poteri autorizzatori e di VIA dei progetti in capo alle medesime amministrazioni, a partire dalle autorizzazioni agli impianti in materia energetica in capo all’attuale Ministero dell’ambiente e della sicurezza energetica.
Un’ultima riflessione riguarda invece una questione più di sistema.
Si ritiene ormai acclarato che la disciplina delle procedure di valutazione sia di VIA che di VAS (almeno così come interpretata dalla giustizia europea; vedremo se sarà seguita dai giudici amministrativi italiani) richiede che venga garantita un’indipendenza organizzativa dall’autorità procedente dell’autorità competente all’espressione dell’assenso ambientale tanto sui piani e programmi che sui progetti, tale da assicurarne l’obiettività e l’autonomia dell’azione.
Se però a ciò si aggiunge la ricordata previsione del Codice dei beni culturali e del paesaggio recante l’obbligatoria differenziazione strutturale in sede di rilascio delle autorizzazioni paesaggistiche (da parte degli enti sub-regionali delegati), appare non azzardato porsi quantomeno la domanda se da queste singole disposizioni siano desumibili elementi sufficienti per poter evincere – e discutere di – un (nuovo) principio di diritto amministrativo dell’ambiente, con ogni conseguenza sul piano interpretativo ed integrativo dell’ordinamento[xxxiii].
Lo spazio riservato a questa nota consente soltanto di porre la questione e non certo di rispondervi.
Tuttavia pare innegabile che sia presente nel settore la comune preoccupazione di assicurare un’adeguata separazione strutturale delle autorità preposte all’esercizio delle funzioni pubbliche in materia ambientale/paesaggistica laddove l’obiettivo ed imparziale perseguimento di quest’ultimo interesse rischia di risultare recessivo – o comunque condizionato – rispetto ad altri interessi pubblici e privati potenzialmente “confliggenti”, alla realizzazione delle opere, all’approvazione dei piani e programmi, allo sviluppo edilizio del territorio.
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NOTE:
[i] E’ chiaro che l’art. 9 bis della direttiva fa riferimento ad un’accezione di “conflitto di interessi” più ampia di quella codificata nell’ordinamento italiano (in particolare, ma non solo, all’art. 6 bis della legge 7 agosto 1990 n. 241 secondo cui “Il responsabile del procedimento e i titolari degli uffici competenti ad adottare i pareri, le valutazioni tecniche, gli atti endoprocedimentali e il provvedimento finale devono astenersi in caso di conflitto di interessi, segnalando ogni situazione di conflitto, anche potenziale”), come tradizionalmente configurato in termini di titolarità in capo al pubblico funzionario di interessi personali e privati in potenziale contrasto con l’interesse pubblico; una concezione in qualche modo più aderente ai conflitti di interessi cd. di tipo “strutturale”, non sconosciute alla disciplina dell’anticorruzione, ove in tal modo si definisce una situazione di conflitto di interessi non limitata a singoli atti o procedimenti, ma generalizzata e permanente, in relazione alle posizioni ricoperte e alle funzioni attribuite: vds. il Piano Nazionale Anticorruzione del 2019 (pubblicato in https://www.anticorruzione.it/documents/91439/150ef363-8826-3efa-c8a3-3af92c6cafb4), pagg. 46 e s.
[ii] Al par. 21 la sentenza contiene la seguente premessa di ordine esegetico: “Si deve altresì ricordare che quando si interpreta una disposizione del diritto dell’Unione occorre tenere conto non soltanto della formulazione di quest’ultima, ma anche del suo contesto e degli obiettivi che persegue l’atto di cui fa parte. Anche la genesi di una disposizione del diritto dell’Unione può fornire elementi rilevanti per la sua interpretazione [sentenza del 25 giugno 2020, A e a. (Impianti eolici ad Aalter e Nevele), C‑24/19]”.
[iii] Vds. la Relazione al Parlamento europeo dell’on. Andrea Zanoni, documento COM (2012) 0628, in https://www.europarl.europa.eu/doceo/document/A-7-2013-0277-AM-001-083_IT.pdf: Emendamento 19 – Proposta di direttiva – Considerando 13 ter (nuovo) “L’articolo 1, paragrafo 4, della direttiva 2011/92/UE, in cui si stabilisce che tale direttiva non si applica ai progetti adottati mediante un atto legislativo nazionale specifico, fornisce una deroga con limitate garanzie procedurali e potrebbe di fatto aprire la porta a elusioni di tale direttiva. Emendamento (13 ter) L’esperienza ha dimostrato che è necessario introdurre norme precise per evitare il conflitto di interessi che può determinarsi tra il committente di un progetto sottoposto a valutazione dell’impatto ambientale e le autorità competenti di cui all’articolo 1, paragrafo 2, lettera f), della direttiva 2011/92/UE. In particolare, le autorità competenti non dovrebbero coincidere con il committente né trovarsi in alcun modo in una posizione di dipendenza, collegamento o subordinazione rispetto al committente. Per le stesse ragioni, è opportuno prevedere che un’autorità designata quale autorità competente ai sensi della direttiva 2011/92/UE non possa svolgere tale ruolo in relazione a progetti sottoposti a valutazione dell’impatto ambientale di cui sia essa stessa committente”.
[iv] Sia consentito anticipare che in realtà i lavori preparatori della disposizione dimostrano anch’essi che sin dall’originario emendamento proposto dal relatore alla proposta di direttiva si evinceva l’intendimento di assicurare un’ampia portata applicativa alla nuova disposizione: vds. infra nei cenni conclusivi.
[v] Il passaggio della sentenza di cui al par. 38 non reca una formulazione perfettamente intelleggibile (almeno nella traduzione italiana), ma è chiaro che il problema è quello di garantire un’effettiva autonomia dell’autorità competente per la VIA dall’autorità proponente il progetto allorquando la prima sia “interna” alla seconda; com’è peraltro avvenuto nel caso belga sottoposto all’esame pregiudiziale della Corte, relativo appunto ad una struttura amministrativa interna al Comune (il “funzionario comunale ambientale”) chiamata ad esprimersi sullo screening di VIA del progetto di cui lo stesso Comune risultava (di fatto) committente.
[vi] La sentenza è pubblicata in Riv. giur. ambiente, n.2/2012, p. 234 ss. con nota di M. CERUTI, La fase della consultazione nella valutazione ambientale strategica di piani e programmi: la Corte di Giustizia detta agli Stati membri le regole per la designazione dell’Autorità competente (interna o esterna all’Ente pianificatore?) e dei termini congrui per l’espressione del parere.
[vii] Si vedano le definizioni dell’art. 5, comma 1, d.lgs. 151/2006:
lett. p) autorità competente: la pubblica amministrazione cui compete … l’elaborazione del parere motivato, nel caso di valutazione di piani e programmi, …;
lett. q) autorità procedente: la pubblica amministrazione che elabora il piano, programma soggetto alle disposizioni del presente decreto, ovvero nel caso in cui il soggetto che predispone il piano, programma sia un diverso soggetto pubblico o privato, la pubblica amministrazione che recepisce, adotta o approva il piano, programma.
[viii] Cons. Stato, sez. IV, 12/01/2011, n.133, in Riv. giur. edilizia n. 4/2011, I, p. 940, con nota di A. MILONE, Il Consiglio di Stato e la “fisiologica” individuazione dell’autorità competente per la v.a.s. all’interno dell’autorità procedente.
[ix] Ossia nel caso in cui ad elaborare ed approvare il piano/programma sottoposto a VAS sia la sola autorità specificamente preposta dall’ordinamento interno alla tutela ambientale, come appunto prevedeva l’ordinamento del Regno Unito nell’Irlanda del nord.
[x] Si rinvia in proposito a M. CERUTI, op. cit., p. 234 ss.
[xi] Cons. Stato, sez. II, 01/09/2021, n. 6152, in Riv. giur. edilizia, n. 5/2021, I, 1660, ove (ai §§ 34 e 35) si ribadiscono i principi del Cons. Stato n. 133/2011 cit. e si traggono elementi di conforto alla ribadita tesi della supposta natura “fisiologica” dell’opzione interna nella VAS dallo stesso art. 7 bis, comma 6, d.lgs. 152/2006 in materia di VIA (su cui anche infra nei cenni conclusivi).
[xii] Cons. Stato, sez. I, adunanza 27/09/2023, spedizione 31/10/2023, parere n. 1399, in www.giustizia-amministrativa.it
[xiii] Cfr. ad es. Cons. Stato, sez. IV, 20/07/2023, n. 7130, in www.giustizia-amministrativa.it
[xiv] Cons. Stato, sez. IV, 26/03/2019, n.1994, in www.giustizia-amministrativa.it
[xv] TAR Lombardia, Milano, sez. IV, 5/12/2023, n. 2951, in questa Rivista n. 50 del febbraio 2024 con nota di F. VANETTI e E. SERRA.
[xvi] Così TAR Lombardia, Milano, sez. IV, 12/01/2024, n. 52, in questa Rivista 1 marzo 2024, con nota di P. BRAMBILLA, L’autorità procedente non è competente. Ma l’autorità competente lo è?, che ha annullato per incompetenza una determina di assoggettabilità a VAS di una variante al PGT nell’ambito di una procedura SUAP per l’ampliamento di un insediamento produttivo adottata dall’autorità procedente (nel caso è stata esclusa la natura di implicita ratifica della VAS da parte dell’autorità competente che aveva dato seguito alla procedura senza alcuna contestazione). L’autrice del commento prende in esame il “modello lombardo” di VAS, richiamando opportunamente l’attenzione sull’ulteriore problema dell’ “effettiva competenza dell’autorità competente”, ossia sulle (spesso) modeste professionalità in materia ambientale presenti nei piccoli comuni chiamati ad esprimere il parere di VAS.
[xvii] E. BOSCOLO, La VAS nel piano e la VAS del piano: modelli di fronte al Giudice amministrativo, in Urbanistica e Appalti, 2010, 9, p. 1104 ss.
[xviii] Cons. Stato, sez. VI, 05/06/2015, n.2784, in Foro amm. n. 6/2015, 1713: si veda il § 6 della parte in diritto.
[xix] Cfr. ad es. TAR Veneto, sez. II, 27/04/2018, n. 452, in www.giustizia-amministrativa.it, relativamente ad un comune in cui il sindaco risultava preposto all’esercizio delle funzioni sia in materia edilizia che paesaggistica.
[xx] Cons. Stato, sez. II, parere, adunanza 4 ottobre 2017, spedizione 10/10/2017, n. 2144, in www.giustizia-amministrativa.it, relativamente ad un’ordinanza di demolizione ex art. 167 d.lgs. 42/2004 emessa dal responsabile del servizio edilizia, con l’argomento che la funzione sanzionatoria risulta priva di margini di discrezionalità.
[xxi] Cons. Stato, sez. VI, 29/10/2024, n. 8613, in www.giustizia-amministrativa.it, in materia di condono edilizio.
[xxii] Cfr. TAR Lombardia, Milano, sez. IV, 28/01/2025, n. 284, in www.giustizia-amministrativa.it, con riferimento al provvedimento di annullamento d’ufficio di un permesso di costruire adottato dallo stesso ufficio (e funzionario) che aveva rilasciato l’autorizzazione paesaggistica. Vds. anche TAR Veneto, sez. II, 14/12/2020, n. 1249, in www.giustizia-amministrativa.it, relativamente al diniego di una variante in sanatoria di un permesso di costruire emesso dallo stesso dirigente comunale che aveva adottato il diniego di sanatoria paesaggistica (non impugnato).
[xxiii] Cons. Stato, sez. VI, 07/02/2024, n. 1241, in www.giustizia-amministrativa.it
[xxiv] Cons. Stato, sez. II, 18/03/2024, n. 2613, in www.giustizia-amministrativa.it
[xxv] Cons. Stato n. 2613/2024 cit., § 10, che, al termine di detta verifica, è pervenuto all’annullamento dell’autorizzazione paesaggistica in quanto nel concreto non vi era stata la dimostrazione di alcun apporto istruttorio, in ambito paesaggistico, di soggetti diversi da quelli del funzionario competente per il rilascio del titolo edilizio; senza che peraltro rilevasse la circostanza che nell’ambito del procedimento si fosse espressa la commissione locale per il paesaggio giacché nulla era stato dimostrato circa l’autonomia dell’istruttoria svolta da tale commissione.
[xxvi] Cons. Stato, sez. I, parere, adunanza 21 febbraio 2024, spedizione 4 marzo 2024, n. 277, in Foro amm. 2024, 3, II, 395,che ha ritenuto infondata la dedotta violazione dell’art. 146, comma 6, cit. a fronte dell’intervento nel procedimento di rilascio del provvedimento di compatibilità paesaggistica da parte del “comitato tecnico per il paesaggio” che aveva svolto compiti istruttori interni, a prescindere da ogni concreta verifica procedimentale in quanto “ogni valutazione circa il ruolo residuale e marginale di tale attività istruttoria rispetto a quella svolta dal SUAP impinge in valutazioni di merito inammissibili in questa sede” (§ 9 del parere).
[xxvii] L’autore di questa nota prestò infatti all’epoca la propria collaborazione al parlamentare europeo on. Andrea Zanoni per la stesura della relazione al Parlamento europeo e degli emendamenti al testo di quella che diventerà la direttiva 2014/52.
[xxviii] Si veda l’Emendamento n. 50 alla Proposta di direttiva: Articolo 1 – punto 1 – lettera c bis (nuova) Direttiva 2011/92 Articolo 1 – paragrafo 4 bis (nuovo): “c bis) è aggiunto il paragrafo seguente: “4 bis. Gli Stati membri designano l’autorità o le autorità competenti in modo tale da assicurarne la piena indipendenza nello svolgimento delle funzioni ad esse attribuite a norma della presente direttiva. In particolare, l’autorità o le autorità competenti sono designate in modo da evitare ogni rapporto di dipendenza, collegamento o subordinazione tra le stesse o i loro componenti e il committente. Un’autorità competente non può svolgere le funzioni ad essa attribuite a norma della presente direttiva in relazione a un progetto di cui sia essa stessa committente.”.
[xxix] Si tratta della vicenda del segretario regionale alle Infrastrutture della Regione del Veneto che per diversi anni ha, contestualmente, ricoperto anche le seguenti cariche: di amministratore delegato della società di capitali a partecipazione pubblica della stessa Regione per la progettazione, esecuzione, manutenzione, gestione e vigilanza delle reti stradali; di presidente della commissione regionale per la VIA (peraltro, in contrasto con quanto previsto dalla legge regionale che attribuiva la presidenza al segretario regionale competente in materia ambientale); di presidente della commissione regionale per la VAS-valutazione ambientale strategica; nonché di commissario con poteri straordinari per la realizzazione in regime emergenziale di protezione civile di più di un’opera stradale del Veneto (tra cui i casi citati del Passante di Mestre e della Pedemontana Veneta). Sulla vicenda sia consentito rinviare a M. CERUTI, Ambiente e legalità: problemi e prospettive del sistema amministrativo veneto, in M. MALO (a cura di), Giustizia per l’ambiente: pace per la comunità, Padova, 2019, p. 85.
[xxx] Con l’art. 50, comma 1, della legge n. 120 del 2020, recante conversione in legge del d.l. n. 76 del 2020.
[xxxi] Consultando il motore di ricerca giurisprudenziale del sito istituzionale www.giustizia-amministrativa.it, alla data odierna (16 giugno 2025), si rinvengono soltanto un paio di pronunce con cui è stata esclusa l’applicabilità della disposizione del comma 6 dell’art. 7 bis d.lgs. 152/2006 alle relative vicende oggetto di causa (TAR Veneto, sez. IV, 9/06/2025, n. 897, relativamente ad una diffida provinciale di ottemperanza delle prescrizioni del provvedimento di VIA sul progetto di una nuova cabinovia, con cui è stato escluso che la provincia avesse natura di autorità proponente l’opera pubblica; Cons. Stato, sez. IV, 30/08/2024, n. 7314, ha invece escluso che il provvedimento impugnato avesse natura di verifica di assoggettabilità a VIA). L’unica sentenza che pare essere entrata nel merito dell’applicazione della disposizione in esame parrebbe essere TAR Calabria, sez. Reggio Calabria, 28/11/2022, n. 767, la quale – a fronte di una censura per cui il PAUR-provvedimento autorizzatorio unico regionale ex art. 27 bis d.lgs. 152/2006, comprensivo della VIA, per il progetto di un nuovo impianto di trattamento di rifiuti proposto dalla Regione Calabria era stato emesso dalla stessa persona nella duplice veste di titolare dei due settori dello stesso dipartimento regionale individuati come autorità proponente l’opera e come autorità competente- ha affermato (al di là delle questioni di fatto) che “l’eventuale situazione confliggente non riguarda gli interessi della persona fisica titolare dell’organo dell’Autorità proponente (AP) che sia nel contempo a capo dell’Autorità competente (AC), ma le funzioni di proposta e di approvazione del progetto di VIA che, all’interno dell’organizzazione amministrativa della Regione, sono state assegnate ad “organi” diversi per competenza, giustappunto, “funzionale”, rispettando lo scopo finale della norma suindicata”. Si tratta in sostanza dell’applicazione in materia di VIA della tesi della rilevanza soltanto “oggettiva” ma non “soggettiva” dell’obbligo di separazione/differenziazione organizzativa fatta propria da una parte della giurisprudenza sull’art. 146, comma 6, d.lgs. 42/2004, in tema di rilascio delle autorizzazioni paesaggistiche (vds. supra § 4).
[xxxii] Cons. Stato, n. 6152/2021 cit. ove, al § 35, si legge: “Infine e per completezza, un cenno alle più recenti modifiche normative in materia di VIA, peraltro già richiamate al § 12: diversamente da quanto sostenuto dall’appellante, esse confortano proprio la ricostruzione di cui sopra, in quanto declinano sì l’esigenza di segnalare ogni situazione di conflitto, anche potenziale, alle competenti autorità (art. 50, comma 1, lett. c), punto 3, del d.l. n. 76 del 2020, che ha modificato sul punto l’art. 7 bis, comma 6, del d.lgs. n. 152/2006); ma senza incidere sulla previgente previsione in forza della quale qualora nei procedimenti di VIA o di verifica di assoggettabilità a VIA (cui la novella si riferisce specificamente) l’autorità competente coincida con l’autorità proponente di un progetto, esse provvedano a separare in maniera appropriata, nell’ambito della propria organizzazione delle competenze amministrative, le funzioni confliggenti in relazione all’assolvimento dei compiti derivanti dal Codice dell’Ambiente. Con ciò ritenendo ancora ridetta concentrazione di funzioni astrattamente possibile, se non addirittura preferibile. Ciò è talmente vero che nel prendere atto dell’avvenuto trasferimento di molte competenze in materia di VAS statale al neo istituito Ministero della transizione ecologica si è altresì previsto che la valutazione dell’impatto ambientale venga rilasciata dall’Autorità competente nell’ambito del procedimento autorizzatorio”.
[xxxiii] Sul tema vds. da ultimo C. VOLPE, Principi e clausole generali nel diritto amministrativo; nonché N. DURANTE, I principi del diritto amministrativo nella giurisprudenza, entrambi pubblicati in www.giustizia-amministrativa.it