La Corte di Giustizia e i materiali di scavo: non sono sempre rifiuti. Sottoprodotti o End of Waste?

03 Gen 2023 | giurisprudenza, altro, in evidenza 3

di Eva Maschietto

Corte di Giustizia dell’Unione Europea UE (Prima Sezione) sentenza 17 novembre 2022 causa C-238/21 – Pres. L. Bay Larsen, Rel. A. Arabadjiev

«Rinvio pregiudiziale – Ambiente – Rifiuti – Direttiva 2008/98/CE – Articolo 3, paragrafo 1 – Articolo 5, paragrafo 1 – Articolo 6, paragrafo 1 – Materiali di scavo – Nozioni di “rifiuto” e di “sottoprodotto” – Cessazione della qualifica di rifiuto»

Massima Ufficiale

“L’articolo 3, punto 1, e l’articolo 6, paragrafo 1, della direttiva 2008/98/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 19 novembre 2008, relativa ai rifiuti e che abroga alcune direttive,

devono essere interpretati nel senso che:

ostano a una normativa nazionale in forza della quale materiali di scavo non contaminati, rientranti, ai sensi del diritto nazionale, nella classe di qualità più elevata,

– devono essere qualificati come «rifiuti» sebbene il loro detentore non abbia né l’intenzione né l’obbligo di disfarsene e tali materiali soddisfino le condizioni previste all’articolo 5, paragrafo 1, di tale direttiva per essere qualificati come «sottoprodotti», e

– perdono tale qualifica di rifiuto solo quando siano direttamente utilizzati come sostituti e il loro detentore abbia soddisfatto criteri formali irrilevanti ai fini della protezione dell’ambiente, qualora questi ultimi abbiano l’effetto di compromettere il conseguimento degli obiettivi di detta direttiva”.

Un punto a favore dei materiali di scavo che, se puliti e aventi la qualità di sottoprodotti, non sono mai rifiuti oppure, se lo diventano, possono beneficiare della disciplina dell’end of waste (cioè di quella che prevede la cessazione della qualifica di rifiuto e quindi la non applicabilità delle rigide norme previste per questa categoria).

La pronuncia della Corte di Giustizia dell’Unione Europea affronta un caso che viene dall’Austria, dove si applica(va) una normativa nazionale (nella specie, federale) da sempre interpretata in modo formalistico, che prevede(va) l’assimilazione quasi automatica dei materiali di scavo ai rifiuti, proponendo un campo di applicazione escludente eccessivamente limitate. Non una stranezza nel panorama europeo, per la verità, e da qui l’interesse e l’importanza della decisione che –pur nel mantenere il rigore nell’interpretazione della nozione di rifiuto come massimamente estensiva – prende atto della sua progressiva evoluzione proprio in relazione ai principi generali della materia, che seguono l’andamento della normativa dell’Unione orientata in modo crescente verso concetti di riuso, riutilizzo e recupero sempre più importanti nella cornice dell’economica circolare.

La sentenza in commento è recente (novembre 2022) e si pronuncia su una domanda proposta in via pregiudiziale (ai sensi dell’articolo 267 TFUE) dal Landesverwaltungsgericht Steiermark, e cioè dal Tribunale amministrativo regionale della Stiria in Austria, per decidere il ricorso proposto dalla Porr Bau GmbH contro l’autorità amministrativa del distretto di Graz e circondario, per l’annullamento di una contestazione elevata dall’autorità medesima. La materia del contendere riguarda l’interpretazione della natura di alcuni materiali di scavo scaricati su superfici agricole che, secondo l’autorità, sarebbero qualificabili come rifiuti e sarebbero, quindi, stati gestiti illegittimamente dalla Porr Bau che, invece, li ritiene assimilabili a sottoprodotti o comunque utilizzabili al di fuori della rigida normativa sui rifiuti sulla base delle norme sull’end of waste.

Dopo una ricostruzione del diritto dell’Unione[i] e del diritto austriaco[ii] che tornerà utile nella motivazione, la Corte riassume i fatti alla base della vicenda: Porr Bau (società austriaca), sulla base di alcune specifiche richieste provenienti da diversi agricoltori locali di ricevere materiali da scavo per un utilizzo ai fini del miglioramento della qualità dei loro suoli agricoli, aveva fornito materiali di scavo non contaminati, addirittura catalogati nella classe di qualità A1 (si comprende che, secondo il diritto austriaco, si tratta della classe di qualità più elevata): questi materiali secondo Porr Bau possono essere utilizzati per gli scopi previsti dagli agricoltori in modo lecito proprio secondo il diritto austriaco. La società aveva comunque chiesto all’autorità amministrativa competente di dichiarare che tali materiali di scavo non costituivano rifiuti e, in subordine, che i lavori previsti non costituivano attività soggetta ad obbligo di versare un contributo per sito contaminato.

L’autorità di Graz aveva rigettato l’impostazione proposta da Porr Bau, sostenendo che tali materiali fossero invece rifiuti e che la loro gestione avesse violato la norma federale che prevedeva rigidi requisiti per l’esclusione dalla disciplina sui rifiuti: per questo contro tale decisione la società aveva ricorso al Tribunale Amministrativo regionale della Stiria il quale, al fine di decidere della controversia, si era trovato costretto ad adire la Corte di Giustizia, trovandosi in effetti davanti a una norma federale particolarmente restrittiva. Il Tribunale, infatti, si era posto la questione pregiudiziale relativa all’interpretazione della norma federale, posto che era risultato che i materiali in questione erano stati sottoposti ad un’operazione di controllo, in modo tale da poter essere direttamente utilizzati. La decisione aveva comunque accertato come tali materiali fossero stati utilizzati per uno scopo utile all’agricoltura, aveva acclarato che il fabbisogno fosse reale e dimostrato (dalla “domanda” degli agricoltori), e che i requisiti di legge fossero tutti comprovati, incluso quello relativo all’assenza di impatto nocivo per ambiente e salute. Quindi, si intuisce che il Tribunale austriaco avesse ritenuto nella sostanza che l’obiettivo di ridurre la produzione dei rifiuti favorendo il riutilizzo era stato raggiunto senza spese per l’ambiente, ma vi fosse un dubbio sull’applicazione formale della normativa austriaca, dubbio che doveva essere sciolto in sede di interpretazione della direttiva da parte della Corte di Giustizia dell’Unione.  Secondo il giudice del rinvio, quindi, la normativa austriaca sembrava confliggere con l’interpretazione della direttiva rifiuti perché per quanto riguarda i materiali di scavo, i criteri austriaci applicabili al riutilizzo e alla cessazione della qualifica di rifiuto sarebbero troppo restrittivi tanto da rischiare un conflitto con il diritto dell’Unione. In pratica, sempre secondo l’opinione del giudice austriaco, la normativa federale – interpretata in modo formalistico – si porrebbe in conflitto con lo spirito della normativa dell’Unione, giungendosi al paradosso per cui un’attività utile, quale quella di miglioramento di superfici agricole mediante materiali di scavo recuperati perfettamente idonei, sarebbe impedita mentre si ammetterebbe il “consumo” dello spazio in discarica per materiali innocui e anzi utili, sprecando inutilmente materie prime.

La Corte di Giustizia ripercorre utilmente i propri precedenti in materia, chiarendo i contorni della qualifica di «rifiuto» che deriva innanzitutto dal comportamento del detentore e dal significato del termine «disfarsi» (richiamando quindi la propria sentenza del 14 ottobre 2020, Sappi Austria Produktion e Wasserverband «Region Gratkorn-Gratwein», C‑629/19, citata largamente in tutta la decisione), concludendo che non vi possa in generale essere una interpretazione restrittiva di tale qualifica, dovendosi applicare i principi della precauzione e dell’azione preventiva (sentenza del 4 luglio 2019, Tronex). Tale qualifica va accertata comunque da un complesso di circostanze, alcune indiziarie, ad esempio consistenti nel fatto che l’eventuale utilizzo avvenga in condizioni particolari di prudenza a causa della pericolosità per l’ambiente della sua composizione (sentenza Region Gratkorn-Gratwein cit.). Se è vero che la nozione di «rifiuto» non esclude le sostanze né gli oggetti suscettibili di riutilizzazione economica, si deve avere riguardo al caso in cui l’oggetto di cui trattasi “non presenti o non presenti più alcuna utilità per il suo detentore, cosicché tale sostanza o tale oggetto costituisce un ingombro di cui tale detentore cerchi di disfarsi”. In questo senso, “il grado di probabilità di riutilizzo di una sostanza o di un oggetto senza operazioni di trasformazione preliminare costituisce un criterio utile al fine di valutare se essi costituiscano o meno un rifiuto ai sensi della direttiva 2008/98. Se, oltre alla mera possibilità di riutilizzare la sostanza o l’oggetto di cui trattasi, il detentore consegue un vantaggio economico nel farlo, la probabilità di un tale riutilizzo è alta. In un’ipotesi del genere, la sostanza o l’oggetto di cui trattasi può essere considerato non più come un ingombro di cui il detentore cerchi di «disfarsi», bensì come un autentico prodotto” (sentenza Region Gratkorn-Gratwein cit.).

In queste situazioni, quando il detentore quindi non cerchi di «disfarsi» della cosa in questione, ma intenda sfruttarla o commercializzarla anche per soddisfare il fabbisogno di operatori economici diversi da colui che l’ha prodotta – e a condizione che tale riutilizzo sia non soltanto possibile ma certo, non richieda una trasformazione preliminare e intervenga nel corso del processo di produzione – diviene ingiustificato assoggettare alle disposizioni sui rifiuti, potendosi applicare, ove ne ricorrano le circostanze, l’art. 5 par. 1 della direttiva 2008/98 cit. in materia di sottoprodotti. A questo punto la Corte di Giustizia si occupa dell’analisi della relativa normativa non giungendo – ci sembra – a soluzioni nuove: le condizioni per l’applicazione dell’art. 5 e la sussistenza di un “sottoprodotto” sono note e cumulative tra loro, tutte da provarsi in modo analitico in quanto la nozione di “rifiuto” come si è visto, va interpretata necessariamente in modo estensivo: la conseguenza è che la disciplina delle sue eccezioni deve interpretarsi in modo rigoroso. Conseguenza logica è che la nozione di rifiuto e la nozione di sottoprodotto sono tra di loro alternative: in una applicazione rigida del principio di non contraddizione, se sussiste l’eccezione (e quindi le condizioni per l’applicazione della norma sul sottoprodotto) non può darsi ricorrente la regola (e quindi non vi è un rifiuto). La Corte ricorda alcuni precedenti al riguardo: il coke da petrolio[iii], gli effluenti di allevamento utilizzati come fertilizzanti (sentenza dell’8 settembre 2005, Commissione/Spagna, C‑121/03): ma spetta al giudice del rinvio verificare se nella specie il produttore avesse effettivamente l’intenzione di «disfarsi» dei materiali di scavo di cui trattasi nel procedimento principale, con il rischio che  se ne disfi con modalità atte a cagionare un danno ambientale, in particolare mediante abbandono, scarico o smaltimento incontrollati, oppure se tale rischio non sussista, potendosi applicare la disciplina sui sottoprodotti. Nel caso di specie gli “indizi” portati all’attenzione della Corte fanno propendere per una insussistenza in capo a Porr Bau di una volontà di “disfarsi” del materiale di scavo proprio perché esiste la prova di un’esplicita richiesta, formulata dagli imprenditori agricoli locali, del fabbisogno. Ma sarà il giudice del rinvio a verificare la sussistenza del grado di “certezza” del riutilizzo (sulla base di fermi impegni degli imprenditori agricoli), dovendosi ammettere anche la possibilità di un riutilizzo non immediato con uno stoccaggio di “durata ragionevole” (conformemente a quanto era stato indicato nel precedente della stessa Corte, sentenza del 3 ottobre 2013, Brady, C‑113/12). I medesimi materiali poi sembrano essere stati utilizzati direttamente senza alcun ulteriore trattamento diverso dalla normale pratica industriale: i quanto sono stati oggetto di un controllo di qualità attestante che si tratta di materiali non contaminati rientranti nella classe di qualità più elevata e sono riconosciuti come tali dal diritto nazionale: anche in questo caso è il giudice del rinvio che se ne deve accertare. Il fatto che il suolo escavato sia la conseguenza di una delle prime fasi solitamente intraprese in un’operazione di costruzione intesa come attività economica, il cui risultato è la trasformazione del terreno, appare concretare il terzo  requisito per la prova dell’esistenza di un sottoprodotto. La condizione per cui l’ulteriore utilizzo della sostanza o dell’oggetto in questione deve essere legale, soddisfacendo, per l’utilizzo specifico, “tutti i requisiti pertinenti riguardanti i prodotti e la protezione della salute e dell’ambiente e non porti a impatti complessivi negativi sull’ambiente o sulla salute umana”, tale condizione sembra confermata proprio dalla decisione di rinvio (che aveva affermato come i medesimi fossero stati classificati nella classe di qualità più elevata, ai fini della rimessa in coltura e del miglioramento di terreni agricoli.

Più interessante, forse, è la parte finale della decisione che si occupa della cessazione della qualifica di rifiuto: chiarite le condizioni per l’esclusione in radice dell’applicazione della norma sui rifiuti a favore dei sottoprodotti, il Giudice Austriaco aveva richiesto un chiarimento sulla cessazione della qualifica di rifiuto dei materiali di scavo.

La Corte richiama qui l’art. 6, paragrafo 1, della direttiva 2008/98, in tema di end of waste: la cessazione della qualifica di rifiuto è subordinata a criteri specifici che devono essere elaborati conformemente a diverse condizioni. In primo luogo, l’oggetto deve essere comunemente utilizzato per scopi specifici, in secondo luogo, deve esistere un mercato o una domanda per tale sostanza od oggetto, in terzo luogo, la sostanza o l’oggetto deve soddisfare i requisiti tecnici per gli scopi specifici e rispettare la normativa e gli standard esistenti applicabili ai prodotti, in quarto luogo, l’utilizzo della sostanza o dell’oggetto non deve portare a impatti complessivi negativi sull’ambiente o sulla salute umana.

La norma federale austriaca sulla gestione dei rifiuti del 2002 prevede, in generale, che la qualifica di rifiuto dei materiali residui cessa solo quando tali sostanze sono direttamente utilizzate come sostituti di materie prime o di prodotti ottenuti a partire da materie prime, o al termine della loro preparazione per il riutilizzo, ma per quanto riguarda i materiali di scavo, la qualifica di rifiuto cessa solo quando tali materiali sono stati utilizzati come sostituti di materie prime o di prodotti ottenuti a partire da materie prime di carattere “primario”. Quindi il recupero mediante preparazione per il riutilizzo non determinerebbe – in Austria – la possibilità di applicare l’end of waste, dovendosi soddisfare taluni requisiti formali ulteriori, tra i quali l’assolvimento di obblighi in materia registrazione e di documentazione, del tutto irrilevanti ai fini della protezione dell’ambiente.

Proprio in relazione alla previsione di tali ulteriori obblighi formali, il giudice austriaco si era interrogato sulla compatibilità tra l’articolo 6, paragrafo 1, della direttiva 2008/98 e la normativa nazionale.

La Corte, a questo riguardo, condivide quanto già il giudice austriaco aveva osservato e cioè che le operazioni di recupero previste dalla direttiva sono molto ampie e possono consistere semplicemente nel “controllare i rifiuti per verificare se soddisfano i criteri volti a definire quando un rifiuto cessa di essere tale”. A questo riguardo, quindi, “un esame volto a determinare la qualità e la presenza di inquinamento o di contaminazione in materiali di scavo possa essere qualificato come «operazione di controllo» rientrante nella nozione di «preparazione per il riutilizzo», come definita all’articolo 3, punto 16, della direttiva 2008/98. Di conseguenza, si può ritenere che i rifiuti oggetto di una siffatta operazione di «preparazione per il riutilizzo» siano stati sottoposti a un’operazione di recupero, ai sensi dell’articolo 6, paragrafo 1, di tale direttiva, qualora il loro riutilizzo non richieda nessun altro pretrattamento”, rimanendo di competenza del giudice del rinvio valutare la sussistenza delle condizioni enunciate in detto articolo nel concreto.

Per quanto riguarda i criteri formali previsti dal piano federale di gestione dei rifiuti ai quali sono stati sottoposti i materiali di scavo di cui trattasi nel procedimento principale, occorre rilevare che, conformemente all’articolo 6, paragrafo 1, secondo comma, della direttiva 2008/98, i criteri relativi alla cessazione della qualifica di rifiuto includono, se necessario, valori limite per le sostanze inquinanti e tengono conto di tutti i possibili effetti negativi sull’ambiente della sostanza o dell’oggetto. Inoltre, gli Stati membri dispongono, nell’ambito previsto all’articolo 6, paragrafo 4, di tale direttiva, di un margine di discrezionalità quanto alla definizione di tali criteri.

La Corte conclude quindi che ulteriori criteri formali, come quelli di legge austriaca, possono avere una loro utilità o essere addirittura necessari, ma vanno definiti in modo da raggiungere i loro obiettivi in modo da non compromettere il conseguimento di quelli della direttiva 2008/98. Nella specie, la Corte ha ritenuto che i criteri formali previsti dalla legge austriaca non fossero in alcun modo utili o rilevanti per la tutela ambientale e quindi dovessero essere “disattesi” al fine di permettere la gestione del materiale come “end of waste”, in conformità agli obiettivi della direttiva.

È chiaro che il caso esaminato dalla Corte di Giustizia è molto particolare, sussistendo nella specie la certezza che il materiale utilizzato aveva ricevuto una certificazione di conformità alla classe più elevata di qualità: ma costituisce comunque un buon precedente che si pone sulla scia del divieto di gold plating che la giurisprudenza comunitaria da molto tempo ha individuato, censurando la tendenza di alcuni Stati membri ad “appesantire” su base nazionale i requisiti per l’applicazione di norme agevolative, anche quando tali requisiti non perseguano in realtà finalità oggettivamente utili nell’ambito dei principi ispiratori della relativa disciplina, ovvero quando ne snaturino proprio lo spirito.

Il chiarimento in una materia tanto controversa e delicata come quella dei rifiuti che, almeno in Italia, determina spesso l’applicazione di norme penali e di sanzioni amministrative anche agli enti, con conseguenze molto afflittive, è quindi certamente benvenuto soprattutto quando si tratti di materiali di scavo che, come noto, presentano discipline nazionali molto diversificate e criteri di valutazione differenziati.

Quando un materiale, quindi, costituisce una risorsa, è stato sottoposto a un controllo che può rientrare nella vasta nozione di “operazione di recupero” prevista dalla direttiva anche come mera verifica, esso deve essere sottratto alla disciplina dei rifiuti proprio per consentirne un reinserimento nel ciclo produttivo in conformità allo spirito dell’economia circolare, evitando l’occupazione impropria di spazio in discarica. Ogni superfetazione normativa che non porti valore aggiunto e imponga solo burocrazia deve, quindi, cedere il passo alla norma dell’Unione.

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SENTENZA CGUE SENTENZA CGUE

Per il testo della sentenza (estratto da DeJure) cliccare sul pdf allegato.

document – 2022-12-30T135625.747

NOTE:

[i] La Corte ricostruisce il contesto normativo a livello di Unione Europea partendo dalla Direttiva 75/442/CEE del Consiglio, del 15 luglio 1975, come modificata dalla direttiva 91/156/CEE del Consiglio, del 18 marzo 1991, come prima normativa avente l’obiettivo essenziale di perseguire la protezione della salute umana e dell’ambiente contro gli effetti nocivi della raccolta, del trasporto, del trattamento, dell’ammasso e del deposito dei rifiuti, ricordando come a tale originaria normativa siano seguite la direttiva 2006/12/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 5 aprile 2006, relativa ai rifiuti e la Direttiva 2008/98.

La Corte sottolinea gli obiettivi della direttiva 2008/98 e i principi sostanziali che li fondano, – richiamando i considerando 6, 8, 11, 22 e 29 – quali ad esempio (i) la riduzione al minimo delle conseguenze negative della produzione e della gestione dei rifiuti per la salute umana e l’ambiente, (ii) la gerarchia dei sistemi di gestione, (iii) il principio per cui “la qualifica di rifiuto dei suoli escavati non contaminati e di altro materiale allo stato naturale utilizzati in siti diversi da quelli in cui sono stati escavati dovrebbe essere esaminata in base alla definizione di rifiuto e alle disposizioni sui sottoprodotti o sulla cessazione della qualifica di rifiuto”(cons. 11), (iv) dovrebbero essere chiari i criteri che stabiliscano quando un rifiuto cessi di essere tale, mantenendo un livello elevato di protezione dell’ambiente e un vantaggio economico e ambientale; (v) si dovrebbe comunque incentivare un obiettivo di riciclaggio in ottica di economia circolare.

La Corte ricorda, poi, come gli stessi principi – per quanto maggiormente inerente all’oggetto della questione – siano esplosi negli articoli 1 (oggetto), 4 (gerarchia), 5 (sottoprodotti), 6 (cessazione della qualifica di rifiuto), 11 (riutilizzo e riciclaggio), in modo da dar conto delle logiche (rinnovate rispetto alle prime esperienze normative comunitarie) in materia di rifiuto.

[ii] La Corte inquadra, poi, la disciplina austriaca, citando le due norme rilevanti in materia di rifiuti e di esclusione della qualifica di rifiuto: da un lato, quindi, l’articolo 2, paragrafo 1, dell’Abfallwirtschaftsgesetz 2002, cioè legge federale sulla gestione dei rifiuti del 2002, che prevede quanto segue: «Per rifiuto si intende, ai sensi della presente legge federale, qualsiasi bene mobile,

  1. di cui il detentore abbia l’intenzione di disfarsi o si sia disfatto, ovvero
  2. la cui raccolta, stoccaggio, trasporto e trattamento come rifiuti sono necessari al fine di non pregiudicare l’interesse pubblico (articolo 1, paragrafo 3)».

dall’altro lato, l’art. 5 comma 1 per cui «Salvo diversamente disposto in un regolamento di cui al paragrafo 2 o in un regolamento di cui all’articolo 6, paragrafo 2, della direttiva 2008/98/CE sui rifiuti, i materiali residui sono considerati rifiuti fino a quando essi o le sostanze che ne derivano sono direttamente utilizzati come sostituti di materie prime o di prodotti ottenuti a partire da materie prime primarie. In caso di preparazione per il riutilizzo ai sensi dell’articolo 2, paragrafo 5, punto 6, la cessazione della qualifica di rifiuto avviene al termine di tale operazione di recupero».

[iii] Prodotto volontariamente, o risultante dalla produzione simultanea di altre sostanze combustibili petrolifere, in una raffineria di petrolio ed utilizzato con certezza come combustibile per il fabbisogno energetico di tale raffineria e di altre industrie.

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