La Corte Costituzionale boccia le semplificazioni regionali della conferenza di servizi per il riesame dell’AIA. la sindrome del bianconiglio

28 Gen 2022 | giurisprudenza, corte costituzionale

di Paola Brambilla

CORTE COSTIZIONALE – 3 dicembre 2021, n. 233 – Pres. Coraggio, Rel. Modugno – Presidenza del Consiglio dei Ministri (Avv.tura Stato) c. Regione Lombardia (avv. Piera Pujatti)

La conferenza di servizi decisoria in materia di AIA ed anche di riesame delle BAT si deve svolgere in forma simultanea e sincrona, per garantire un confronto approfondito e l’esame incrociato delle posizioni delle diverse amministrazioni partecipanti, portatrici di interessi sensibili a tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e della salute umana, attraverso un confronto contestuale e incrociato che consente il coordinamento e la mediazione degli interessi individuando, mediante il contestuale confronto, l’interesse pubblico primario e prevalente al raggiungimento di un punto di equilibrio in ordine all’accettabilità e alla gestione dei rischi, che derivano dall’attività oggetto dell’autorizzazione.

Con tale modello, nonostante il dichiarato perseguimento di obiettivi di celerità e speditezza del procedimento, confligge dunque e deve essere dichiarato illegittimo, l’art. 20, comma 1, della legge della Regione Lombardia 21 maggio 2020, n. 11, che ha previsto per il riesame delle BAT il diverso modulo della conferenza di servizi semplificata e asincrona: la mutilazione di partecipazione e confronto non costituisce miglioramento dei livelli di tutela.

Semplificazione normativa e procedimenti ambientali in genere.

L’emergenza pandemica ha avuto riflessi non solo sulla salute dei cittadini, ma anche un profondo impatto sull’attività normativa delle istituzioni, che ora invocando la cornice emergenziale ed eccezionale del contesto, ora esigenze di accelerazione del recupero di condizioni di ordinaria efficienza, hanno dato vita a una fittissima produzione di disposizioni speciali, spesso nel nome della semplificazione e dell’accelerazione.

Imperversa, ad ogni livello, la c.d. sindrome del Bianconiglio[i] e con essa la tendenza a ritenere che il buon andamento dell’azione amministrativa, che pure autorevole dottrina ricorda essere “andamento” e quindi tempestività e al limite celerità,[ii] debba coincidere con il diverso concetto di fretta, e che il principio della concentrazione si debba rileggere invece, quasi per crasi linguistca, come contrazione o taglio, dando vita a norme, statali o regionali, di soppressione di segmenti procedimentali ritenuti confliggenti con le pur comprensibili esigenze di efficientamento dell’agire amministrativo.

Questa ossessione per il tempo procedimentale, di cui è stato scritto di recente,[iii] ha così prodotto, a livello nazionale, una sequenza quasi annuale di provvedimenti di semplificazione, che introducono con lo strumento del decreto legge – connotato esso stesso da un’intrinseca ed autoattribuita  indifferibiltà e urgenza – significative e drastiche innovazioni procedimentali, purtroppo senza spesso prevedere disposizioni di diritto transitorio: quando proprio queste ultime sono il sale di una corretta normazione, oltre che indispensabili latrici di maggior certezza e veloce applicazione, nella misura in cui consentono agli operatori di avere indicazioni autentiche sulla portata della novella ai procedimenti in corso.

Ciò sia che si tratti di disposizioni transitorie volte a rinviare l’applicazione dell’innovazione alla conversione in legge del decreto, sia che invece concedano ai destinatari della norma e alle P.A. chiamate ad applicarla un lasso ulteriore di tempo, dopo la conversione del decreto legge, per consentire il necessario adeguamento, sia infine che si traducano in specifiche e puntuali prescrizioni volte a limitare l’efficacia della disciplina sopravvenuta ai procedimenti che si trovino in specifiche fasi o segmenti.

Il tema ha una rilevanza cruciale soprattutto con riferimento a quegli iter contraddistinti da una naturale durata e complessità, aspetti che generalmente viaggiano insieme; né potrebbe essere altrimenti, considerata l’esigenza di proporzionalità che dovrebbe mettere in correlazione i tempi del procedimento con il suo grado di complicazione e con il novero dei suoi attori e degli interessi coinvolti.

Questa rilevanza diventa bollente nel caso dei procedimenti ambientali, sia che si verta in tema di procedimenti pianificatori, che di procedimenti autorizzatori e valutativi: in tutte queste ipotesi, invero, la durata del procedimento è dovuta all’esigenza di rispettare una scansione tipica, un copione classico dal format rigido, scritto secondo le indicazioni del regista eurounitario, insuscettibile di poter essere considerato un mero canovaccio aperto all’improvvisazione e ai virtuosismi regionali.

Tanto per fare un esempio, l’abrogazione del preavviso di rigetto all’interno delle procedure di VIA disposto dal D.L. 77/2021 ha sicuramente, un lato, ha fatto venir meno quegli abnormi rigurgiti postprocedimentali divenuti una sorta di aggiustamento non codificato dell’esito delle valutazioni negative dei progetti, un riesame senza mai fine di continue integrazioni, volontarie o meno; però ha sicuramente generato dubbi quanto all’immediata applicazione ai procedimenti già in corso, o solo ai procedimenti avviati successivamente.

In questi casi, fortunatamente, alle P.A. e ai privati viene in aiuto il soccorso di una robusta giurisprudenza, evidentemente avvezza a queste aporie di tecnica legislativa: il principio tempus regit actum, divenuto tempus regit actionem,[iv] ha infatti permesso di ritenere che in un procedimento polifasico i segmenti dotati di autonomia, ove abbiano già fatto applicazione dell’istituto soppresso, non ne siano incisi.

Ciò posto, tornando agli interventi di semplificazione normativa in genere, essi – ove non ben meditati appunto sotto il profilo del coordinamento con il quadro regolatorio esistente – possono poi dare adito ad altre problematiche, sempre a discapito della certezza del diritto e quindi, in ultima analisi, dar vita ad un’eterogenesi dei fini, propria dell’introduzione di nuovi fattori di complicazione. Basti pensare ai drammi dell’abrogazione perplessa e dell’abrogazione innominata[v].

Ma il fattore massimo di complicazione che si può realizzare in un sistema multilivello è proprio quando il mainstream del fast and furious investe tutte le istituzioni dotate di potere normativo, spingendo le autonomie regionali, speciali o meno, a fare uso delle ordinarie competenze in materia di organizzazione amministrativa per dar vita a semplificazioni procedurali che, in realtà, travalicano l’assetto delle competenze esclusive proprio della materia ambientale, oppure la standardizzazione procedimentale assunta a livello statali quale livello essenziale delle prestazioni attinenti ai diritti civili e sociali  che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale (art. 117, secondo comma, lettera m, Cost.).

Sono due temi che si intrecciano, quello degli standard uniformi di tutela dell’ecosistema, che sono non solo materici e sostanziali ma anche procedurali, e quello delle norme uniformi del procedimento in genere, entrambi però accomunati dal concetto di giusto procedimento e dall’essere informati del pattern della democrazia partecipativa, strumento di composizione degli interessi all’interno del processo decisionale amministrativo, terza via tra la decisione politica propria della democrazia partecipativa e lo scontro proprio degli istituti di democrazia diretta.

Ed è infatti proprio la partecipazione, sintagma inderogabile nelle procedure di VIA e di AIA per espressa indicazione eurounitaria, a tracciare un limite superiore – frutto del primato del diritto UE – rispetto ad ogni semplificazione basata alla contrazione e riduzione dei termini che possano ledere la partecipazione al procedimento ambientale.

Anche i decreti semplificazioni 76/2020 e 77/2021, che hanno ridotto i tempi delle VIA, hanno del resto avuto cura di tenere sempre fermi i tempi per le consultazioni del pubblico, assumendoli come incomprimibili, e facendone oggetto di particolare riguardo anche nel recente intervento di riduzione dei tempi che ha riguardato ora la VAS, ad opera del D.L. 152/2021.

Il cuore della vicenda.

Ora, oggetto della declaratoria di incostituzionalità è la legge regionale della Lombardia 21 maggio 2020 – n. 11 «Legge di semplificazione 2020» il cui art. 20 ‘Disposizioni per la semplificazione dei procedimenti di riesame delle AIA a seguito di emanazione delle conclusioni sulle BAT’, che ha introdotto un procedimento di riesame difforme da quello statale, basato sulla presentazione di una proposte di allineamento alle nuove BAT da parte del gestore, su cui l’autorità competente raccoglie i contributi scritti delle altre amministrazioni, in una conferenza di servizi semplificata e asincrona –caratterizzata dalla relazione binaria ed opaca tra autorità competente e gestore – che oltretutto pretermette ogni partecipazione e contraddittorio sia del pubblico interessato, sia soprattutto del Comune sede dell’impianto, cancellando la sede naturale della conferenza dei servizi simultanea e sincrona prevista dagli artt. 29 quater e octies del d. lgs. 152/06, in cui gli enti si confrontano funditus ai fini dell’assunzione della decisione finale.

Sul punto,  invero, si registra un fitto contenzioso in cui la Consulta si è più volte espressa riscontrando in casi simili la violazione degli artt. 7, commi 4, 4-bis e 5 e 7 cod. ambiente, ogniqualvolta la legge regionale disciplini procedure e attività che spettano allo Stato in materia di autorizzazione integrata ambientale, poiché relative alle installazioni di cui all’Allegato XII, eccedendo il potere legislativo riconosciuto alle Regioni dall’art. 7, comma 7, dell’indicato codice.[1][vi]

L’unitarietà e l’allocazione in capo allo Stato delle procedure relative a progetti di maggior impatto ambientale risponde infatti, per la Corte, «ad una esigenza di razionalizzazione e standardizzazione funzionale all’incremento della qualità della risposta ai diversi interessi coinvolti, con il correlato obiettivo di realizzare un elevato livello di protezione del bene ambientale» (sentenze n. 93 del 2019 e n. 198 del 2018).

La pronuncia in esame in questa cornice riveste particolare interesse perché riguarda il tema meno esplorato del riesame, che peraltro si caratterizza per essere quel peculiare procedimento che – in materia di impianti particolarmente impattanti – realizza un constante aggiornamento delle condizioni di esercizio dell’impianto, assicurando il rispetto del principio di non regressione da parte di tutti gli enti chiamati a controllo e tutela di ambiente e salute, cui altrimenti si assisterebbe in un contesto in cui l’evoluzione tecnologica raggiunge nuovi traguardi e le condizioni dell’ecosistema invece generalmente scadono progressivamente.

La conferenza di servizi sincrona AIA come modulo di partecipazione pluristrutturata insuscettibile di semplificazione.

Ed è proprio il nocciolo duro della partecipazione pluristrutturata di tutte le amministrazioni chiamate a far parte del modulo di riesame dell’AIA finalizzato al riallineamento alle BAT di settore, ad essere la chiave di volta della declaratoria di illegittimità con cui la Corte travolge il rito sincopato della conferenza semplificata asincrona introdotto da Regione Lombardia.

Quest’ultimo invero, per la Corte, realizza un indebito svuotamento del rito ordinario simultaneo e sincrono della conferenza decisoria previsto invece dall’art. 29 decies del d.lgs. 152/06 per consentire a tutti i soggetti pubblici titolari di funzioni relative alla tutela dell’ambiente e della salute e comunque garanti degli interessi sensibili in gioco, un confronto contestuale delle proprie posizioni e valutazioni relative a un procedimento ambientale particolarmente delicato, tutt’altro che banale.

La pronuncia vede nella conferenza sincrona il punto d’incontro tra semplificazione (progenitrice anagrafica proprio dell’istituto della conferenza di servizi) ed esigenze di approfondimento degli interessi pubblici e privati in gioco relativi oltretutto a valori fondamentali come la salute e l’ambiente, che in più disposizioni della L. 241/90  si vedono riconoscere regolazioni procedurali rafforzate, unite ad uno rarissimo utilizzo di forme di silenzio assenso, che in ogni caso sono precluse nel caso di VIA ed AIA dai vincoli derivanti all’appartenenza all’ordinamento giuridico europeo; bilanciamento ed equilibrio che le Regioni non possono «intaccare» (cfr. sentenze n. 93 del 2019 e n. 198 del 2018).

Il parallelismo tra i due istituti torna continuamente nella pronuncia, che fa della VIA “l’essere” delle grandi installazioni industriali, e l’AIA invece il “divenire”, un provvedimento “dinamico” che conforma in continuo l’esercizio alle migliori tecniche disponibili nel settore industriale di riferimento (BAT), criterio di riferimento per fissare valori limite e condizioni dell’autorizzazione quanto allo sviluppo dell’attività e ai relativi metodi di esercizio (art. 5, comma 1, lettera l-ter, cod. ambiente), al fine di cercare di ridurre le conseguenze negative dell’attività delle installazioni.

E ancora, la Corte ribadisce come la scelta del legislatore statale della conferenza di servizi secondo il paradigma ordinario degli artt. 14 e 14 ter della L. 241/90 sia stata operata sia per il provvedimento di VIA, che per il riesame con valenza di rinnovo dell’AIA, in quanto funzionale al raccordo collaborativo tra i diversi enti e amministrazioni coinvolti.

Il relatore, uno tra i massimi studiosi della produzione normativa e delle tensioni tra sistema e ordinamento[vii], evidenzia infatti in più passaggi come la conferenza di servizi costituisca essa stessa un autentico strumento di semplificazione ed accelerazione dell’azione amministrativa, di coordinamento e mediazione degli interessi che si rende possibile solo grazie alla contestualità e all’esame incrociato delle posizioni rappresentate (cfr. Corte Cost. 313/ 2010 e 179/ 2012).

Viene dunque imputato al legislatore, nel caso in questione, di aver voluto sperimentare un’alchimistica e pericolosa riduzione di un prezioso composto stabile, che comporta quale risultato la cancellazione d’ufficio della complessità, la pretermissione degli accertamenti necessari, l’espulsione dal tavolo delle decisioni della rappresentazione anche di apporti particolarmente importanti, quale ad esempio quello del Sindaco quale autorità locale di sanità pubblica: la normativa lombarda cancella infatti totalmente dalla sfera dei soggetti decisori il Sindaco, che invece ha un ruolo fondamentale nell’art. 29 quater comma 6 del TUA, il quale prevede appunto che “nell’ambito della Conferenza dei servizi  di  cui  al  comma  5, vengono acquisite le prescrizioni del sindaco di  cui  agli  articoli 216 e 217 del regio decreto 27  luglio  1934,  n.  1265,  nonché . il  parere delle   Agenzie   regionali   e   provinciali   per   la   protezione dell’ambiente, per le altre installazioni,  per  quanto  riguarda  le modalità  di  monitoraggio  e  controllo  degli  impianti  e   delle emissioni nell’ambiente”.

Quest’ultimo, si osserva, è invero un contributo invero fondamentale per costruire la condizionalità e le prescrizioni dell’AIA atte a renderla davvero attenta al contesto territoriale, ambientale ed epidemiologico specifico in cui l’installazione opera, e che ha una sua precisa ragion d’essere nell’esplicarsi appena espresse le posizioni delle altre autorità competenti, Regione, Provincia, ARPA, ATS, in un contraddittorio reale e simultaneo, che affina via via il riesame.

Nel procedimento di riesame in adeguamento alle BAT, dunque, ma anche in genere nel procedimento ambientale, le decisioni relative a processi dinamici e variabili sono difficilmente sussumibili in algoritmi, non si prestano alla giustizia digitale[viii]; sono caratterizzate da una discrezionalità tecnica elevata propria della natura di approfondimento e valutazione che la normativa europea e nazionale prescrive: per dirla con le parole del TAR Liguria, n. 18/2020, “in ogni caso, il riesame è anche rinnovo e ciò comporta, comunque, una rivalutazione, sotto il profilo dell’efficienza delle prescrizioni, delle condizioni affinché l’attività di impresa sia compatibile con le esigenza di tutela dell’ambiente”.

E ancora, i procedimenti di riesame dell’AIA non sono affatto così semplici, afferma il giudice delle leggi, da poter essere decisi con formule più speditive di quelle previste dal legislatore statale, che dunque non sono punto migliorative né possono essere considerate tali solo perché dettate da finalità acceleratorie o perché la normativa regionale si autoqualifica – o meglio si autocelebra demiurgicamente – come semplificatrice.[ix]

Insomma, il meglio si rivela nemico del bene, perché, quando si tratta delle procedure di tutela ambientale, il valore della semplificazione s’invera nella definizione di modelli organizzativi fondati sull’efficiente collaborazione e sul coordinamento delle competenze, sulla qualità della risposta che assicuri un elevato livello di protezione dell’ambiente e non certo nella mera velocizzazione delle tempistiche, che tornano ad avere un valore intrinseco e relativo.[x]

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AIA Brambilla

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[i] C. MANFREDI, Accogliere il tempo invece di combatterlo: il ruolo della consapevolezza, Rivista sperimentale di freniatria, 2016.

[ii] M.A. SANDULLI (a cura di), Codice dell’azione amministrativa, Milano, 2010.

[iii] F. FRACCHIA, P. PANTALONE, La fatica di semplificare: procedimenti a geometria variabile, amministrazione difensiva, contratti pubblici ed esigenze di collaborazione del privato “responsabilizzato”, in Federalismi, 2020, 36.

[iv] G.D. COMPORTI, Tempus regit actionem. Contributo allo studio del diritto intertemporale dei procedimenti amministrativi, Torino, 2001.

[v] P. CARNEVALE, L’abrogazione ‘perplessa’ fa il suo debutto a Palazzo della Consulta, Giurisprudenza costituzionale 2011, 56; N.CANZIAN, Un’opera senza autore: l’abrogazione tacita. 2019; L. GENINATTI, Destrutturazione del concetto di ”semplificazione” e usi impropri dell’abrogazione espressa. Note critiche sulle più recenti tendenze in materia di ”miglioramento della regolamentazione”, Bologna 2009.

[vi] https://www.cortecostituzionale.it/documenti/convegni_seminari/stu_279.pdf, La tutela dell’ambiente, dell’ecosistema, dei beni culturali nei giudizi di legittimità costituzionale in via principale, Corte Costituzionale, Servizio Studi.

[vii] F. MENGONI, LUIGI, FRANCO MODUGNO, F. RIMOLI, Sistema e problema: saggi di teoria dei sistemi giuridici. Torino, 2017

[viii] A. GARAPON e J. LASSÉGUE, La giustizia digitale. Determinismo tecnologico e libertà, Bologna 2001.

[ix] Per converso, e sempre a tutela della regolazione uniforme sul territorio nazionale dei procedimenti amministrativi, sempre la Corte Costituzionale, con la successiva sentenza n. 245 del 21 dicembre 2021, ha dichiarato illegittima l’art. 28, comma 1, lett. a), della Legge regionale 18/2020 della Lombardia che questa volta, sempre per far dichiaratamente fronte alla situazione emergenziale, anziché contrarre i termini procedimentali, li ha prorogati con modalità diverse da quelle stabilite dal legislatore nazionale. Per la Corte la durata dei titoli abilitativi, sia in riduzione che in ampliamento, fa parte di quel nucleo di principi fondamentali affidati alla legislazione esclusiva dello Stato nelle materie di competenza concorrente Stato-Regioni, quale è il governo del territorio, ai sensi dell’art. 117 co. 3 Cost.

[x]  Si richiama sul punto la recente sentenza del Consiglio di Stato 584/2021, che ha recisamente confutato che il tempo dell’azione amministrativa sia uniforme rispetto a tutti i sistemi di relazione tra amministrazione e amministrato. “Questa conclusione non merita di essere condivisa, atteso che il tempo dell’agire amministrativo nel suo valore intrinseco va declinato non in termini assoluti ma in termini relativi, mentre deve essere declinato in termini assoluti solo quando si rifletta sul suo valore estrinseco, ossia sulla sua rilevanza effettuale. Il tempo dell’azione amministrativa, infatti, rappresenta una parentesi all’interno della quale la potestà amministrativa spiega efficacia attrattiva sulla sfera giuridica dell’amministrato. La relazione che può generarsi è chiaramente poliforme e dipende dalla trama normativa di riferimento, nonché dagli interessi sostanziali in gioco. Pertanto, sia la potestà amministrativa che la posizione giuridica soggettiva dell’amministrato possono comporsi in modo differente.”

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