La causalità nel sistema di responsabilità ambientale: il criterio del “più probabile che non”

28 Nov 2021 | giurisprudenza, amministrativo, in evidenza 1

di Roberto Gubello

TAR Puglia, Bari, Sez. I, 16 settembre 2021 n. 1367 – Pres. SCAFURI, Est. ZONNO – E.I. S.r.l. (Avv. Capria, Marocco, Loizzi) c. Provincia di Barletta ed altri (n.c.)

In tema di responsabilità ambientale, la sussistenza del nesso di causalità tra azione (od omissione) dell’autore della contaminazione e superamento – o il pericolo di superamento – dei limiti di contaminazione va accertata secondo il canone del “più probabile che non”, essendo sufficiente per l’amministrazione dimostrare – anche sulla base di elementi indiziari – un grado di probabilità maggiore della opposta possibilità e non, invece, necessario raggiungere un livello di probabilità prossimo alla certezza.

Per superare il ragionamento presuntivo dell’amministrazione, il soggetto individuato come responsabile dell’inquinamento deve, a sua volta, fornire specifiche prove idonee a dimostrare la reale dinamica degli avvenimenti e indicare a quale altra specifica attività debba addebitarsi la condotta causativa della contaminazione, non potendosi limitarsi a ventilare genericamente il dubbio circa una possibile responsabilità di terzi.

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Con la sentenza in commento il TAR pugliese torna nuovamente sulla questione dei criteri da seguire per l’imputazione della responsabilità ambientale riferita ad una condotta di contaminazione o di superamento dei limiti di contaminazione.

Nel caso di specie, una società comunicava all’amministrazione competente i risultati delle indagini ambientali effettuate su un’area su cui era presente un punto vendita di carburanti di cui la stessa società era stata, per lungo tempo, proprietaria, prima, e conduttrice, poi, e che, appena dopo le predette indagini, era stato oggetto di cessione, nella forma del ramo d’azienda, in favore di altra società[i].

Dalle predette indagini era emerso che il sottosuolo su cui sorgeva l’attività risultava caratterizzato da concentrazioni di piombo superiori alla relativa soglia di contaminazione prevista.

In considerazione di tanto, al fine di individuare il responsabile della predetta contaminazione, la competente Provincia avviava il procedimento di cui all’art. 245 d.lg. n.152/2006[ii], che si concludeva ritenendo la responsabilità in capo alla medesima società segnalante.

Quest’ultima, dal canto suo, impugnava la predetta nota, ritenendo non sussistente il nesso causale tra la condotta ascritta e la contaminazione nonché del tutto assente la prova dei presupposti soggettivi e oggettivi per l’imposizione degli obblighi di bonifica[iii]. Diversamente opinando, si sarebbe configurata a carico della ricorrente una responsabilità da posizione, incompatibile con la riconducibilità dell’obbligo di bonifica dei siti contaminati esclusivamente a carico del soggetto responsabile dell’inquinamento, in doverosa osservanza del principio comunitario “chi inquina paga[iv].

Il Giudice amministrativo chiarisce, ancora una volta, come, in tema di responsabilità ambientale, costituisca principio consolidato che:

– ai fini dell’imputabilità di un evento a un soggetto sia necessario accertare la sussistenza di un nesso di causalità tra azione (od omissione) dell’autore della contaminazione e superamento – o pericolo di superamento – dei limiti di contaminazione[v];

– ai fini dell’accertamento della sussistenza del rapporto eziologico tra attività svolta nell’area e inquinamento della medesima, debba farsi applicazione del canone del “più probabile che non”, senza necessità di raggiungere, al contrario, un livello di probabilità prossimo alla certezza.

Ciò implica, a parere del TAR pugliese, che sussista un legame causale ‘sufficiente’ a fondare una responsabilità ambientale tutte le volte in cui l’amministrazione – pur basandosi su elementi indiziari – riesca comunque a raggiungere un grado di probabilità maggiore della opposta possibilità[vi].

Dall’altro lato, il soggetto individuato come responsabile dell’inquinamento, sulla base di un ragionamento presuntivo formulato nei termini sopra indicati, può andare esente da responsabilità solo ove fornisca una ben più rigorosa prova liberatoria: indicare a quale altra specifica impresa debba, a ben vedere, addebitarsi la condotta causativa della contaminazione e, al contempo, fornire specifiche prove idonee a dimostrare la reale dinamica degli avvenimenti.

Non può, invece, ritenersi sufficiente a superare le conclusioni dell’amministrazione fondate su un attendibile ragionamento presuntivo formulato nei termini sopra indicati la semplice allegazione di un generico dubbio circa una possibile responsabilità di terzi[vii].

In applicazione dei predetti assunti, la sentenza in commento ha statuito la legittimità del provvedimento con cui l’amministrazione ha identificato il soggetto responsabile della contaminazione sulla base di una serie di elementi indiziari[viii], certamente precisi e concordanti. Ai fini della valutazione della loro gravità, invece, il Giudice amministrativo ha ritenuto ragionevole desumerla dalla mancata allegazione, ad opera del soggetto indicato come responsabile, di una concreta e credibile soluzione eziologica alternativa, che non si riducesse alla formulazione di mere ipotesi non suffragate da alcun apprezzabile riscontro oggettivo[ix].

Tanto precisato in punto di causalità, un ultimo cenno va fatto poi al capo della sentenza in cui il Giudice amministrativo si sofferma a definire il rapporto che intercorre tra il procedimento finalizzato all’individuazione del soggetto responsabile e quello – eventuale e successivo – di definizione delle misure di bonifica atte a porre rimedio all’inquinamento.

Superando la difesa articolata dalla ricorrente in merito alla supposta inutilità dell’indagine effettuata dall’Amministrazione – tenuto conto della disponibilità già manifestata dalla prima a bonificare il sito[x] – il TAR esclude che i due procedimenti debbano seguire un’omologa scansione temporale.

Al contrario, viene ritenuto pienamente coerente con i principi di efficienza ed efficacia dell’azione amministrativa nonché con quello di precauzione che l’amministrazione proceda senza indugio a determinare il responsabile, salvo poi individuare le eventuali azioni di bonifica (anche in cooperazione con quest’ultimo, sicché la sua preventiva individuazione si rivela tutt’altro che inutile). Né tale conclusione può essere superata dalla mera eventualità che l’effettuazione medio tempore degli interventi di bonifica possa rendere di fatto priva di concrete conseguenze l’attività di individuazione del responsabile.

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Gubello_ART_Tar.Bari.1367.2021-2

Per il testo della sentenza (estratto dal sito istituzionale della Giustizia Amministrativa) cliccare sul pdf allegato.

Gubello TAR Bari n. 1367 del 2021

Note:

[i] Sulle ricadute che le operazioni societarie straordinarie producono sul regime di responsabilità ambientale si veda Ada Lucia de Cesaris, “Sulla trasmissione della responsabilità ambientale nell’ambito di operazioni societarie straordinarie“, in questa Rivista, nota di commento a Cons. Stato, Sez. II, 6 maggio 2021, n. 3535. La pronuncia menzionata stabilisce che deve ritenersi “soggetto responsabile della contaminazione” anche il soggetto che succede nella società a titolo universale, poiché gli obblighi e le responsabilità conseguenti alla commissione dell’illecito sono trasmissibili per effetto di operazioni societarie straordinarie, quale è, per esempio, la fusione per incorporazione.

[ii] La norma citata, nella versione attualmente in vigore, dettaglia gli obblighi di intervento e di notifica da parte dei soggetti non responsabili della potenziale contaminazione, prescrivendo, al comma 2, che “fatti salvi gli obblighi del responsabile della potenziale contaminazione di cui all’articolo 242, il proprietario o il gestore dell’area che rilevi il superamento o il pericolo concreto e attuale del superamento della concentrazione soglia di contaminazione (CSC) deve darne comunicazione alla regione, alla provincia ed al comune territorialmente competenti e attuare le misure di prevenzione secondo la procedura di cui all’articolo 242. La provincia, una volta ricevute le comunicazioni di cui sopra, si attiva, sentito il comune, per l’identificazione del soggetto responsabile al fine di dar corso agli interventi di bonifica“.

[iii] Peraltro non imposti con la nota oggetto di impugnazione, ragione per la quale il ricorso introduttivo veniva dichiarato parzialmente inammissibile per carenza di interesse ad agire. Secondo il Tar, infatti, la circostanza che l’atto impugnato individuasse la ricorrente come responsabile dell’inquinamento non comportava, in concreto, alcuna azione coattiva, né alcuna conseguenza pregiudizievole a carico della società ritenuta responsabile, tale da produrre una qualsivoglia lesione giustificativa dell’interesse ad agire. A conferma di tanto, a parere del Tar, deporrebbe il fatto che la ricorrente, nel formulare le proprie richieste al fine di “evitare d’essere esposta a possibili responsabilità di natura civile e penale”, finisse per riconoscere implicitamente di agire in vista di un pregiudizio meramente eventuale al momento della proposizione del ricorso, pregiudizio che non risulta essersi reso in alcun modo concreto al momento della decisione.

[iv] Sul diverso tema degli obblighi gravanti sul proprietario incolpevole, si veda Valentina Brovedani ed Elena Felici, “La responsabilità ambientale del proprietario incolpevole del sito contaminato“, nota di commento a Cons. Stato, Sez. VI, 4 agosto 2021, n. 5742, in questa Rivista.

[v] Si veda, in senso conforme, T.A.R. Sicilia, Catania, Sez. I, 9.6.2017, n. 1381, peraltro richiamata in sentenza.

[vi] Cons. Stato, Sez. V, 16.6.2009, n. 3885; Cons. Stato, Sez. IV, 4.12.2017, n. 5668.

[vii] Cons. Stato, Sez. IV, 18.12.2018, n. 7121; T.A.R. Lombardia, Milano, Sez. III, 2.12.2019 n. 2562.

[viii] E ciò in considerazione del fatto che: la ricorrente aveva operato in situ per lungo tempo; le indagini ambientali erano state effettuate quando ancora sull’area operava la ricorrente; l’attività principale svolta dalla stessa, ovvero quella di rifornimento di carburanti, comportasse l’utilizzo, almeno fino all’anno 1989 (anno in cui si è diffuso il commercio della benzina senza piombo), di idrocarburi pesanti, contenenti l’agente inquinante di cui ai risultati delle indagini ambientali svolte; il lungo periodo durante il quale era stata svolta la predetta attività consentiva di escludere fattori pregressi.

[ix] In questo senso la pronuncia in commento ritiene che il provvedimento impugnato sia sorretto da una “(relativa) solidità euristica“. Nel senso di ritenere maggiormente coerente con il principio “chi inquina paga” una prova certamente più rigorosa del rapporto causale tra la condotta del proprietario del fondo ed il danno ambientale si segnala, tra gli altri, Cons. Stato, Sez. V, 30 luglio 2015, n. 3756.

[x] E che, secondo l’impostazione della ricorrente, finirebbe esclusivamente per esporla ingiustamente a eventuali conseguenze di natura civile e penale.

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