di Giulia Bellini
CASSAZIONE PENALE, Sez. III – 15 settembre 2021 (dep. 22 novembre 2021), n. 42631 – Pres. Lapalorcia, Est. Galterio – ric. M.B.
Per il perfezionamento del delitto di attività organizzate per il traffico illecito di rifiuti, previsto dall’art. 452 quaterdecies c.p. (già art. 260 D.lgs. n. 152/2006) è necessaria la sussistenza di una vera, sia pure rudimentale, organizzazione professionale con allestimento di mezzi ed impiego di capitali (cui è riconducibile la locuzione di “attività continuative organizzate”), mediante cui gestire in modo continuativo e illegale ingenti quantitativi di rifiuti. Ne consegue, ai fini del perfezionamento del reato, la necessità di una pluralità di condotte, tra loro in continuità temporale, relative a una o più delle diverse fasi nelle quali si articola la gestione dei rifiuti.
Trattandosi di reato abituale, e non invece di reato continuato, la prescrizione decorre dalla cessazione della complessiva attività organizzata finalizzata al traffico illecito, senza avere riguardo alle singole condotte – eventualmente solo in parte – illecite che la compongono.
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- Premessa.
Con la sentenza n. 42631 del 22 novembre 2021, la Terza Sezione della Corte di Cassazione ha avuto modo di tornare sulla fattispecie di attività organizzate per il traffico illecito di rifiuti ex art. 452 quaterdecies c.p., soffermandosi in particolare sulla struttura di tale delitto e sul concetto di “ingente quantitativo”, requisito essenziale di fattispecie.
- Il caso in esame.
La Corte di Cassazione è stata chiamata a pronunciarsi sul ricorso promosso avverso la sentenza della Corte d’Appello di Firenze, che aveva confermato la condanna dell’imputato per il delitto ex art. 260 D.lgs. n. 152/2006[i], limitandosi a ridurre la pena comminatagli dal Tribunale di Firenze.
L’imputato era stato dedotto in giudizio con l’accusa di aver gestito in modo abusivo, in qualità di Presidente del Consiglio di Amministrazione del Consorzio Conciatori di Fucecchio e in concorso con il Direttore Generale dell’ente, ingenti quantità di rifiuti liquidi provenienti dall’attività produttiva propria e di terzi, al fine di far conseguire al Consorzio un ingiusto profitto, tra il 2006 e il 5 ottobre 2012; in particolare, aveva omesso di utilizzare i quantitativi necessari ad abbattere la portata inquinante di tali rifiuti, falsificato i campioni raccolti durante le verifiche effettuate dall’Agenzia Regionale per la Protezione Ambientale della Toscana e alterato i risultati delle analisi di laboratorio effettuate dal Consorzio.
I primi tre motivi di ricorso proposti dall’imputato hanno dato ai giudici di legittimità lo spunto per ripercorrere i tratti salienti del delitto di attività organizzate per il traffico illecito di rifiuti.
In particolare, con il primo motivo il ricorrente, qualificata la fattispecie criminosa in esame come reato abituale improprio, eccepiva l’intervenuta prescrizione degli episodi verificatisi in data antecedente al 7 settembre 2010, ritenendo che la disciplina prescrizionale di tale tipologia di illecito debba essere assimilata a quella del reato continuato[ii] e non, invece, a quella del reato permanente; in caso contrario, infatti, il reo sarebbe esposto – come accaduto nel caso di specie[iii] – agli effetti pregiudizievoli derivanti dalla successione di leggi più sfavorevoli nel tempo occorsa in costanza della condotta antigiuridica.
Con il secondo motivo, il ricorrente lamentava poi l’omesso accertamento dell’effettivo carico inquinante dei rifiuti da parte della Corte territoriale, che aveva fondato la propria valutazione circa la sussistenza del requisito dell’ “ingente quantitativo” ex art. 452 quaterdecies c.p. esclusivamente sul dato ponderale.
Da ultimo, il ricorrente lamentava che, in assenza di tale accertamento, non fosse stata raggiunta in giudizio la prova del pericolo cagionato dalle condotte criminose all’integrità dell’ambiente.
- La struttura del reato: reato continuato o condotte in continuità?
La prima e fondamentale questione su cui si concentra la Corte riguarda la struttura del reato di cui all’art. 452 quaterdecies c.p., nell’ottica di valutare la fondatezza delle argomentazioni dedotte dal ricorrente con riguardo alla individuazione del dies a quo per il computo del termine prescrizionale.
Nel disattendere la tesi difensiva, che – come accennato – postulava una equiparazione del reato abituale al reato continuato agli effetti dell’individuazione del tempo di decorrenza della prescrizione, la Cassazione precisa che il delitto di attività organizzate per il traffico illecito di rifiuti è reato abituale proprio[iv], in quanto tale “caratterizzato da una pluralità di condotte, alcune delle quali, se singolarmente valutate, potrebbero non costituire reato”, condotte che si pongono tra loro “in continuità temporale” ed attengono a una o più delle varie fasi in cui si declina la complessa attività di gestione dei rifiuti (i.e. cessione, ricezione, trasporto, e, ancora, esportazione o importazione, etc.).
Ne deriva che l’illiceità penale ai sensi e per gli effetti della norma incriminatrice de qua è da attribuirsi alle diverse condotte intese nella loro continuità e globalità, secondo una prospettiva unitaria che priva di autonoma rilevanza la singola azione.
In questo senso, secondo la Corte, la parificazione del reato abituale al reato continuato propugnata dal ricorrente risulta del tutto destituita di fondamento: mentre la prima figura criminosa presenta una configurazione unitaria, entro cui trovano sì collocazione condotte illecite, ma ad esse possono affiancarsi, in continuità, anche condotte del tutto lecite, la seconda ha, invece, un’anima composta da una pluralità di condotte tutte illecite e tra loro unificate al solo scopo di riconoscere al reo un trattamento sanzionatorio più mite, giustificato dalla ricorrenza di un medesimo disegno criminoso.
Chiarite le differenze strutturali tra reato abituale e reato continuato, ed escluso quindi che alla prima tipologia di illecito penale possa applicarsi – pur in presenza di un vuoto normativo – il regime per il computo della prescrizione del reato continuato, la Cassazione richiama l’orientamento sviluppatosi sul tema nella dottrina e giurisprudenza prevalenti, spingendosi financo in un excursus della giurisprudenza sovranazionale sull’individuazione del tempus commissi delicti nei reati di durata.
Più in dettaglio, in motivazione viene chiarito che il reato abituale, agli effetti della prescrizione, è equiparabile a quello permanente, con cui condivide appunto la natura di reato di durata, di talché il dies a quo per tale illecito viene identificato con il “giorno dell’ultima condotta, la quale chiude il periodo consumativo iniziatosi con la condotta che, insieme alle precedenti, forma la serie minima di rilevanza ai fini dell’abitualità”[v].
La Corte conclude dunque affermando che ai fini del decorso del termine prescrizionale per il delitto di cui all’art.452 quaterdecies c.p. deve aversi riguardo alla cessazione dell’attività organizzata finalizzata al traffico illecito[vi] complessivamente intesa, e non, invece, alle singole condotte – eventualmente solo in parte – illecite che la compongono.
- L’ingente quantitativo: metodi di accertamento.
Come accennato in premessa, la Corte di Cassazione si è poi soffermata sul concetto di “ingente quantitativo”, elemento costitutivo centrale della fattispecie incriminatrice in commento.
A parere della difesa la Corte territoriale aveva errato nel valorizzare esclusivamente il dato ponderale, omettendo invece di accertare la natura e il carico inquinante dei rifiuti e finendo così per bypassare il complessivo giudizio sulla pericolosità di essi per l’integrità dell’ambiente e la salute pubblica, giudizio rispetto al quale l’elemento quantitativo rappresenta solo uno dei parametri da prendere in considerazione.
La motivazione dei giudici di legittimità smentisce la tesi del ricorrente anzitutto in punto di fatto, ripercorrendo una serie di elementi che, a ben vedere, non consentirebbero di affermare che il giudice di secondo grado si sia focalizzato sul solo dato ponderale: la Corte spiega che, nel caso di specie, “il carico inquinante deriva dalla stessa natura di rifiuto dei reflui trasportati dalle autobotti”, che “la sua eccedenza sul piano quantitativo risulta, a tacer d’altro, dallo sforamento costante da parte dell’impianto di depuramento dei limiti previsti dall’autorizzazione integrata ambientale” e, ancora, che le analisi di ingresso dei rifiuti, peraltro effettuate solo a campione, venivano falsificate, come emerso da “molte delle schede sequestrate [che] riportavano correzioni manoscritte a matita con valori ridotti rispetto a quelli indicati nella scheda”, circostanza quest’ultima che, nella lettura dei giudici del merito, aveva costituito prova tangibile del consapevole superamento dei limiti di accettabilità delle sostanze inquinanti da parte del ricorrente.
Ad avviso della Cassazione, dunque, la Corte d’Appello – in linea con i principi affermati dalla giurisprudenza di legittimità in tema di accertamento di tale requisito[vii] – era giunta a definire “ingente” il quantitativo di rifiuti gestiti dall’imputato non solo sulla scorta del dato ponderale, bensì alla luce di uno spettro ben più ampio di elementi probatori, correttamente parametrati all’attività abusiva complessivamente intesa.
Il dictum della Corte si pone sostanzialmente nel solco delle precedenti sentenze soffermatesi sul punto: il concetto di “ingente quantitativo” fa riferimento al quantitativo globale di rifiuti trattati attraverso la pluralità delle operazioni svolte e al più o meno lungo arco temporale in cui esse si sono collocate, anche quando queste ultime, singolarmente considerate, possono essere ritenute di modesta entità[viii].
Nonostante la linearità dell’elaborazione giurisprudenziale su tale nozione, non ci si può esimere dall’esprimere perplessità sulle conseguenze cui essa, in ipotesi, conduce: rimettere la sussistenza del dato quantitativo in commento alla discrezionalità del giudicante è esercizio di per sé assai rischioso, e lo è ancor di più ove la valutazione venga effettuata in rapporto alle attività che l’impresa svolge sui rifiuti considerate nella loro globalità, atteso che qualsiasi impresa a ciò autorizzata gestisce necessariamente quantitativi di rifiuti che possono essere definiti “ingenti”.
- La natura del reato: pericolo presunto o concreto?
Nel valutare il terzo motivo di ricorso, la Corte si sofferma poi brevemente sulla natura del delitto in commento.
In particolare, l’imputato lamentava la mancata dimostrazione della minaccia per l’ambiente asseritamente derivante dalle condotte contestate, sulla scorta dell’assenza di qualsivoglia accertamento del carico inquinante dei rifiuti liquidi da parte del giudice del merito.
L’argomentazione viene tuttavia superata in modo tranchant dai giudici di legittimità che, in tale frangente, riaffermano la natura di reato di pericolo presunto che connota il delitto in analisi.
Alla luce di ciò, ribadisce la Corte, ai fini dell’integrazione del reato di attività organizzate per il traffico illecito di rifiuti non è necessario accertare che le condotte criminose abbiano messo concretamente in pericolo i beni giuridici tutelati da tale norma, andando a cadere il danno ambientale e la minaccia grave di esso al di fuori del perimetro di tipicità della fattispecie in parola[ix].
Né, secondo i giudici di legittimità, a tale conclusione osta la previsione di ripristino ambientale contenuta nel comma quarto dell’art. 452 quaterdecies c.p.: tale disposizione, infatti, lungi dal postulare la necessaria verificazione di un danno ai fini dell’integrazione di tale fattispecie incriminatrice, si limita a prendere in considerazione l’eventualità in cui, nel caso concreto, il pregiudizio o il pericolo si siano effettivamente verificati[x].
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bellini – nota a Cass. 42631-21
Per il testo della sentenza (estratto dal sito istituzionale della Giustizia Amministrativa) cliccare sul pdf allegato.
Cass. pen., Sez. III, 42631_2021
[i] Come noto, l’art. 260 D.lgs. n. 152/2006 è stato abrogato dall’art. 3 D.lgs. n. 21/2018, concernente “Disposizioni di attuazione del principio di delega della riserva di codice nella materia penale a norma dell’articolo 1, comma 85, lettera q), della legge 23 giugno 2017, n. 103”, e il suo contenuto è contestualmente confluito nell’art. 452 quaterdecies c.p., introdotto nel Codice penale dal medesimo decreto.
[ii] Si evidenzia che all’epoca dei fatti (2006-2012), in forza delle modifiche apportate all’art. 158 c.p. dalla L. n. 251/2005 (c.d. Legge ex Cirielli), il termine prescrizionale del reato continuato decorreva dal giorno della commissione di ciascuno dei reati avvinti dal vincolo di continuazione. L’art. 158 c.p. è poi stato nuovamente modificato dalla L. n. 3/2019 (c.d. Legge Spazzacorrotti), che, ripristinando la disciplina ante 2005, ha ricondotto il dies a quo della prescrizione di tale figura delittuosa al momento della cessazione della continuazione.
[iii] In particolare, la difesa lamentava come la L. n. 136/2010, intervenuta nell’arco temporale in contestazione, avesse raddoppiato i termini di prescrizione del delitto ex art. 260 D.lgs. 152/2006 e portato alla condanna del ricorrente anche per i fatti antecedenti al 7 settembre 2010, che, forza del termine di legge previgente, sarebbero invece risultati prescritti al momento della sentenza di secondo grado.
[iv] Nello stesso senso, ex multis, si vedano anche Corte Cass. pen., Sez. III, 23 maggio 2019, n. 43710; Corte Cass. pen., Sez. III, 28 febbraio 2019, n. 16056; Corte Cass. pen., Sez. III, 25 ottobre 2018, n. 58448.
[v] Così, in motivazione, Corte Cass. pen., Sez. VI, 23 settembre 2011, n. 39228, citata dalla sentenza in commento. Volendo astrarre dal caso concreto, può trarsi che dinnanzi a diverse condotte criminose, in cesura temporale tra loro, non potrà ritenersi integrato un unico reato abituale: ciò accade allorché le condotte “non occasionali” siano tenute da soggetti che, a fini di ingiusto profitto, si cimentano nella illecita gestione dei rifiuti realizzando attività tra loro distinte, con modalità diverse e in tempi diversi (rectius, interrotte nella loro continuità). Sul punto, A. Galanti, Il traffico illecito di rifiuti: il punto sulla giurisprudenza di legittimità, in Arch. Dir. Pen. Cont., 2018, 12, p. 34. In tal senso si veda anche, con riguardo all’art. 260 D.lgs. 152/2006, Corte Cass. pen., Sez. III, 6 ottobre 2010, n. 35805.
[vi] Corte Cass. pen., Sez. III, 28 febbraio 2019, n. 16036.
[vii] La Corte cita alcuni suoi precedenti: si veda, ex multis, Corte Cass. pen., Sez. III, 14 maggio 2021, n. 23347: “Tale situazione non può essere individuata a priori, attraverso riferimenti esclusivi a dati specifici, quali, ad esempio, quello ponderale, dovendosi al contrario basare su un giudizio complessivo che tenga conto delle peculiari finalità perseguite dalla norma, della natura del reato e della pericolosità per la salute e l’ambiente”. Conformi, Corte Cass. pen., Sez. III, 30 settembre 2019, n. 39952; Corte Cass. pen., Sez. III, 9 novembre 2016, n. 46950; Corte Cass. pen., Sez. III, 6 novembre 2012, n. 47229.
[viii] In tal senso, Corte Cass. pen., n. 46950/2016, cit.
[ix] Ha sottolineato la riconducibilità del delitto ex art. 452 quaterdecies c.p. alla categoria dei reati a consumazione anticipata Corte Cass. pen., Sez. III, 24 febbraio 2017, n. 9133.
[x] La sentenza in commento richiama espressamente Corte Cass. pen., Sez. III, 20 dicembre 2012, n. 19018. Sul punto, si vedano anche Corte Cass. pen., Sez. III, 25 ottobre 2018, n. 58448; Corte Cass. pen., Sez. III, 16 dicembre 2005, n. 4503.