Intangibili dal legislatore regionale il provvedimento unico, la conferenza di servizi ed il campo applicativo della procedura di v.i.a.

16 Set 2019 | giurisprudenza, corte costituzionale

Di Matteo Ceruti

CORTE COSTITUZIONALE – 19 giugno 2019, n. 147 – Pres. Lattanzi, Est. Barbera – Presidente del Consiglio dei Ministri (Avv. Stato) c. Regione Autonoma Valle d’Aosta (Avv. Guzzetta).

Sono illegittimi gli artt. 10, 12 e 13 della legge regionale Valle d’Aosta n. 3 del 2018, per contrasto con l’art. 117, comma 2, lettera s) della Costituzione con riferimento al decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152,  laddove le norme regionali impugnate configurano il provvedimento di valutazione di impatto ambientale come autonomo rispetto agli altri atti autorizzatori connessi alla realizzazione dell’opera in deroga all’assetto unitario e onnicomprensivo del provvedimento unico previsto dall’art. 27-bis del Codice dell’ambiente, oltreché nella parte in cui relegano la conferenza di servizi ad un ruolo meramente consultivo e marginale del procedimento di valutazione di impatto ambientale regionale, in contrasto con l’art. 27-bis del d.lgs. n. 152 del 2006 e con l’art. 14, comma 4, della legge n. 241 del 1990 secondo cui invece la conferenza di servizi assurge a indispensabile sede decisoria di adozione del provvedimento di VIA regionale.

E’ altresì illegittimo l’art. 16, comma 1, della legge regionale Valle d’Aosta n. 3 del 2018 per contrasto con l’art. 117, comma 2, lettera s) della Costituzione con riferimento al decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, laddove individua tipologie di progetti sottoposti a VIA regionale o a verifica di assoggettabilità a VIA regionale non corrispondenti alle fattispecie contenute nel Codice dell’ambiente, ovvero con soglie dimensionali inferiori a quanto previsto dalla disciplina statale, ovvero anche progetti non indicati dagli allegati alla Parte II del Codice dell’ambiente medesimo, in quanto così facendo la normativa regionale interferisce con procedimenti riservati allo Stato.

Con la sentenza in commento la Corte Costituzionale ha accolto il ricorso promosso dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri contro alcune disposizioni in materia di valutazione dell’impatto ambientale della legge della Regione autonoma Valle d’Aosta 20 marzo 2018, n. 3, (recante “Disposizioni per l’adempimento degli obblighi della Regione autonoma Valle d’Aosta/Vallée d’Aoste derivanti dall’appartenenza dell’Italia all’Unione europea”), per contrasto con l’art. 117, comma 2, lettera s) della Costituzione con riferimento al decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, le cui disposizioni in materia di VIA sono ormai ascritte dalla giurisprudenza della Corte alla categoria delle cd. “norme fondamentali di riforma economico-sociale” (oltreché di diretta conseguenza dell’attuazione degli obiettivi posti dalla direttiva 2011/92/UE), come tali capaci di imporsi anche sulle regioni a statuto speciale (sentenze n. 198 del 2018 e n. 229 del 2017).

La Consulta ha dichiarato fondato il ricorso governativo innanzitutto laddove, nell’impugnata normativa regionale valdostana, il provvedimento di VIA era concepito come autonomo rispetto agli altri atti autorizzatori connessi alla realizzazione dell’opera, “in evidente deroga all’assetto unitario e onnicomprensivo del provvedimento unico previsto dall’art. 27-bis del Codice dell’ambiente”.

Viene poi cassato dall’Alta Corte, sempre per violazione del parametro dell’art. 117, comma 2, lettera s) della Costituzione, anche l’art. 10 della medesima legge regionale il quale prevedeva che gli enti competenti in materia territoriale ed ambientale potessero esprimere il proprio parere ai fini della VIA regionale (non necessariamente, ma) anche nell’ambito della conferenza di servizi indetta dalla struttura competente. Invero così disponendo, la conferenza veniva dunque relegata ad un ruolo “meramente consultivo e marginale” del procedimento di valutazione di impatto ambientale regionale; e ciò in contrasto col disegno normativo del ricordato art. 27-bis del d.lgs. n. 152/2006 in forza del quale la conferenza di servizi, ove sono chiamate a partecipare tutte le diverse amministrazioni interessate a vario titolo alla realizzazione del progetto, assurge invece ad obbligatoria sede decisoria di adozione del provvedimento di VIA regionale “secondo una previsione teleologicamente connessa agli effetti unitari di detto provvedimento”.

Viene dunque dichiarata dalla Corte l’intangibilità da parte del legislatore regionale -anche a statuto speciale- delle disposizioni “quadro” del Codice dell’ambiente che disciplinano la valutazione di impatto ambientale regionale prevedendo, da un lato, il conclusivo provvedimento di autorizzazione unica e, dall’altro, il modulo procedimentale della conferenza dei servizi.

A tale ultimo proposito si tratta, più precisamente, della conferenza di servizi simultanea in “modalità sincrona” disciplinata dall’art. 14-ter l. n. 241/1990, come espressamente previsto dall’art. 14, comma 4, della legge n. 241 del 1990 (nella versione novellata dal d.lgs. n. 104 del 2017) secondo cui “Qualora un progetto sia sottoposto a valutazione di impatto ambientale di competenza regionale, tutte le autorizzazioni, intese, concessioni, licenze, pareri, concerti, nulla osta e assensi comunque denominati, necessari alla realizzazione del medesimo progetto, vengono acquisiti nell’ambito della conferenza di servizi, convocata in modalità sincrona ai sensi dell’articolo 14-ter, secondo quanto previsto dall’articolo 27-bis del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152″.

Dopo aver preso in esame (e censurato) le disposizioni regionali riguardanti il procedimento ed il provvedimento conclusivo di VIA, nella sentenza in commento si passa ad esaminare le doglianze formulate dal ricorso governativo nei confronti delle norme della Regione Valle d’Aosta afferenti il campo applicativo della procedura.

Anche in questo caso la Consulta dichiara fondate le questioni di costituzionalità proposte dal Governo, in primo luogo laddove la medesima legge valdostana individuava tipologie di progetti sottoposti a VIA regionale ovvero a preliminare verifica di assoggettabilità regionale già previste come di competenza statale dal Codice dell’ambiente ovvero non coincidenti per tipo e dimensione a quelli previsti dal d.lgs. n. 152 del 2006 (negli allegati alla Parte II).

In entrambi i casi la Corte perviene dunque ad una nuova declaratoria di incostituzionalità evidenziando che dalla ratio della nuova allocazione dei procedimenti di VIA tra Stato e Regioni introdotta dal d.lgs. n. 104 del 2017 (evidenziata nella già citata sentenza n. 198 del 2018), discende l’illegittimità delle norme regionali che interferiscono con i procedimenti che il Codice dell’ambiente riserva allo Stato, o perché individuano tipologie di progetti non perfettamente corrispondenti alle fattispecie contenute nel d.lgs. n. 152 del 2006, o perché indicano soglie dimensionali inferiori a quanto previsto dalla disciplina statale (senza peraltro contestualmente stabilire “limiti” massimi idonei ad evitare sovrapposizioni)[1].

Ma ad analoghe conclusioni la Consulta perviene anche per i progetti che la legge regionale impugnata sottoponeva a VIA regionale o a verifica regionale di assoggettabilità a VIA non indicati dagli allegati alla Parte II del Codice dell’ambiente, ritenendo anche tali fattispecie illegittime poiché comunque si allontanano dalla disciplina statale, la quale richiede uniformità di trattamento normativo nell’allocazione dei procedimenti tra Stato e Regioni, in virtù della competenza esclusiva di cui all’art. 117, secondo comma lettera s) Cost.

In quest’ultimo caso però il ragionamento dei giudici costituzionali si fa più articolato e complesso, dovendo tener conto del tradizionale principio della derogabilità della legislazione statale ove la scelta regionale sia volta a tutelare in melius i valori ambientali[2]. Principio quest’ultimo che risulta ribadito nella sentenza in esame, ma con l’assegnazione di spazi assai ristretti di concreta applicabilità. Per cui, in sostanza, secondo la Corte, l’innalzamento dello standard ambientale statale presuppone pur sempre l’esercizio di una competenza legislativa regionale[3] (che nella specie è stata ritenuta insussistente, pur rientrando -si osserva- tra le competenze statutarie della Regione Valle d’Aosta, inter alia, l’urbanistica e la tutela del paesaggio). E comunque, aggiungono i giudici costituzionali, tale possibilità è da escludere allorché le norme statali riguardino -non la disciplina di specifici settori ambientali, ma- “le stesse procedure volte all’emersione e alla individuazione di tali valori, come, ad esempio, nel caso delle regole istituzionali per la valutazione di impatto ambientale” perché in questi casi siamo in presenza di una “materia in sé conclusa che non attraversa altre competenze”.

Il fondamento di tale rigoroso esito interpretativo, che parrebbe escludere qualsiasi margine di intervento regionale in funzione di un’implementazione del campo applicativo della VIA (e della procedura preliminare di screening) in quanto suscettibile di alterare il “punto di equilibrio” della tutela ambientale conseguito a livello statale, viene individuato dalla Consulta nelle previsioni dell’art. 7-bis, comma 8, del Codice dell’ambiente (introdotto dal d.lgs. 104/2017) ove, secondo la sentenza in esame, la potestà regionale di introdurre in materia di VIA “regole particolari ed ulteriori” (rispetto alla legislazione statale ed europea) può essere esercitata “solo e soltanto” nei ristretti ambiti indicati dalla norma (ossia per la semplificazione dei procedimenti, per le modalità della consultazione del pubblico e dei soggetti pubblici potenzialmente interessati, per il coordinamento dei provvedimenti e delle autorizzazioni di competenza regionale e locale, nonché per la destinazione dei proventi derivanti dall’applicazione delle sanzioni amministrative pecuniarie).

Ci si domanda se a questo punto debbano dunque considerarsi superate -e tamquam non essent– le previsioni contenute nel D.M. Ambiente 30 marzo 2015 (recante “Linee guida per la verifica di assoggettabilita’ a valutazione di impatto ambientale dei progetti di competenza delle regioni e province autonome”) secondo cui, “motivando adeguatamente le scelte operate”, le regioni e province autonome, ove ritenuto necessario, in materia di screening di VIA “riducono ulteriormente le soglie dimensionali di cui all’allegato IV della parte seconda del decreto legislativo n. 152/2006 o stabiliscono criteri e condizioni per effettuare direttamente la procedura di VIA per determinate categorie progettuali o in particolari situazioni ambientali e territoriali ritenute meritevoli di particolare tutela dagli strumenti normativi di pianificazione e programmazione regionale” (così il § 6 dell’allegato al decreto).

In termini più generali rimane da comprendere quale margine di effettiva operatività permanga per un principio (quello della tutela più rigorosa al livello territoriale inferiore) che è stato a lungo considerato “uno dei cardini fondamentali –e, in fondo, quasi scontati- del sistema di governo dell’ambiente”[4].

Per il testo della sentenza (estratto dal sito istituzionale della Corte Costituzionale) cliccare sul pdf allegato

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[1] La declaratoria di incostituzionalità si inscrive nel solco di una giurisprudenza della Corte che in diverse occasioni ha dichiarato l’illegittimità di norme di legge regionale che introducevano soglie di applicabilità della VIA ovvero dello screening di VIA inferiori a quelle stabilite dalla legislazione statale. Cfr. ad es. Corte Costituzionale, 26 febbraio 2010, n.67, in Riv. giur. ambiente, 2010, 6, pag. 970, con nota di M. CERUTI, Corte costituzionale e valutazione di impatto ambientale: due severi moniti al legislatore regionale.

[2] Vds. ex multis Corte Costituzionale, 11 novembre 2010, n.315, in Riv. giur. ambiente 2011, 2, pag. 253 con nota di P. BRAMBILLA.

[3] Principio quest’ultimo già enunciato dalla Corte in diverse altre pronunce, menzionate al § 4.5.1 della sentenza in esame.

[4] Così M. CECCHETTI, Principi costituzionali per la tutela dell’ambiente, Milano 2000, 341.

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