Installazione di impianti fotovoltaici in aree agricole

24 Ott 2021 | corte costituzionale, in evidenza 2, giurisprudenza

di Federico Peres 

Corte Costituzionale, 30 luglio 2021, n. 177 – Pres. Coraggio, Red. Navarretta – Presidenza Consiglio dei Ministri (Avvocatura generale dello Stato) c. Regione Toscana (avv. Cecchetti)

È costituzionalmente illegittimo l’art. 2 della legge regione Toscana che, in materia di installazione di impianti di produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili, introduce modifiche all’art. 9 della legge regionale n. 11 del 2011 prevedendo che nelle aree rurali: 1)  sia ammessa la realizzazione di impianti fotovoltaici a terra fino alla potenza massima, per ciascun impianto, di 8.000 chilowatt elettrici; 2) per gli impianti fotovoltaici a terra di potenza superiore a 1.000 chilowatt elettrici, l’autorizzazione unica alla costruzione ed esercizio sia rilasciata previa intesa con il comune o i comuni interessati dall’impianto; 3) le precedenti disposizioni si applichino anche ai procedimenti in corso, relativi all’autorizzazione unica o al provvedimento autorizzatorio unico regionale.

  1. La normativa nazionale

La Consulta è intervenuta su una legge della regione Toscana che ha introdotto limitazioni sostanziali e procedurali alla costruzione e all’esercizio di impianti alimentati da fonti rinnovabili collocati in aree agricole.

Le norme nazionali rilevanti richiamate in sentenza sono, innanzitutto, quelle dettate dal d.lgs. n. 387/ 2003[i]. L’art. 12 del decreto qualifica come “di pubblica utilità, indifferibili e urgenti” le opere necessarie per realizzare impianti alimentati da fonti rinnovabili e le sottopone ad autorizzazione unica rilasciata dalla regione[ii] previa convocazione della conferenza dei servizi e a seguito di un procedimento unico da condurre nel rispetto del principio di semplificazione e con le modalità stabilite dalla legge n. 241/1990. Aggiunge il comma 7 che gli impianti di produzione di energia elettrica di cui all’articolo 2, comma 1, lettere b) e c)[iii] possono essere ubicati anche in zone classificate agricole[iv] e infine il comma 10 prevede l’approvazione, in Conferenza unificata Stato-Regioni, di specifiche linee guida per lo svolgimento del procedimento di cui al comma 3[v]. In attuazione di tali linee guida, le regioni possono indicare aree e siti non idonei alla installazione di specifiche tipologie di impianti[vi].

Le linee guida sono state approvate con il d.m. 10 settembre 2010 composto da quattro allegati: Allegato 1 (punto 13.2) Elenco indicativo degli atti di assenso che confluiscono nel procedimento unico[vii]; Allegato 2 (punti 14, 15 e 16.5) Criteri per l’eventuale fissazione di misure compensative[viii]; Allegato 3 (paragrafo 17) Criteri per l’individuazione di aree non idonee; Allegato 4 (punti 14.9, 16.3 e 16.5) Impianti eolici: elementi per il corretto inserimento nel paesaggio e sul territorio.

In particolare, sempre ai fini che qui rilevano, il punto 17.1. del d.m. conferma quanto previsto dall’art. 12 co. 10 del decreto del 2003 circa la possibilità per le regioni, con le modalità di cui al punto 17.1 e sulla base dei criteri di cui all’Allegato 3, di indicare aree e siti non idonei alla installazione di specifiche tipologie di impianti. Sempre il punto 17.1 chiarisce poi che «L’individuazione della non idoneità dell’area è operata dalle Regioni attraverso un’apposita istruttoria avente ad oggetto la ricognizione delle disposizioni volte alla tutela dell’ambiente, del paesaggio, del patrimonio storico e artistico, delle tradizioni agroalimentari locali, della biodiversità e del paesaggio rurale che identificano obiettivi di protezione non compatibili con l’insediamento, in determinate aree, di specifiche tipologie e/o dimensioni di impianti, i quali determinerebbero, pertanto, una elevata probabilità di esito negativo delle valutazioni, in sede di autorizzazione. Gli esiti dell’istruttoria, da richiamare nell’atto di cui al punto 17.2, dovranno contenere, in relazione a ciascuna area individuata come non idonea in relazione a specifiche tipologie e/o dimensioni di impianti, la descrizione delle incompatibilità riscontrate con gli obiettivi di protezione individuati nelle disposizioni esaminate».

Il punto 17.2 precisa che le regioni devono conciliare le politiche di tutela dell’ambiente e del paesaggio con quelle di sviluppo e valorizzazione delle energie rinnovabili attraverso atti di programmazione congruenti con la quota minima di produzione di energia da fonti rinnovabili loro assegnata (burden sharing)[ix], assicurando uno sviluppo equilibrato delle diverse fonti. Le aree non idonee – proseguono le linee guida – sono, dunque, individuate dalle regioni nell’ambito del suddetto atto di programmazione dove sono definite le misure e gli interventi necessari al raggiungimento degli obiettivi di burden sharing (con tale atto – conclude il punto 17.2 – la regione individua, infatti, le aree non idonee tenendo conto di quanto eventualmente già previsto dal piano paesaggistico e in congruenza con lo specifico obiettivo assegnatole).

Vanno infine richiamati gli artt. 5 e 6 del d.lgs. n. 28/2011[x] che confermano quanto previsto dal d.lgs. n. 387/2003 e dalle linee guida in merito al regime autorizzatorio.

  1. La normativa della Regione Toscana

In Toscana la materia ha trovato regolazione con la legge regionale n. 11/2011[xi]. Al punto 12 del preambolo, prima della modifica di cui ora si dirà, si leggeva che «La Regione intende promuovere lo sviluppo degli impianti di produzione da fonti rinnovabili attraverso il migliore contemperamento delle esigenze disviluppo economico e sociale e delle esigenze di tutela dell’ambiente, del paesaggio, del territorio e di conservazione delle risorse naturali e culturali nelle attività regionali amministrative e di programmazione» e all’art. 9, composto inizialmente di un solo comma, trovava disciplina l’ampliamento degli impianti autorizzati o già realizzati entro i limiti di potenza previsti nella stessa normativa locale.

Come detto, la legge regionale del 2011 è stata modificata dalla successiva n. 82/2020[xii] sulla quale è poi intervenuta la decisione qui in commento. Innanzitutto a chiusura del preambolo era stato inserito il punto 16bis: «Al fine di preservare le aree agricole dagli effetti negativi di uno sviluppo non controllato delle installazioni di pannelli fotovoltaici posizionati a terra, viene definito un quadro di prescrizioni per la tutela delle stesse aree agricole da eccessivi consumi di suolo derivanti da grandi installazioni espansive di fotovoltaico posizionato a terra». Mentre all’art. 9 erano stati aggiunti tre nuovi commi che interessavano, appunto, le aree rurali:

  • «1 bis. Fatte salve le aree individuate all’articolo 5, nelle aree rurali come definite dall’articolo 64 della legge regionale 10 novembre 2014, n. 65 (Norme per il governo del territorio) e identificate negli strumenti della pianificazione territoriale e negli altri atti di governo del territorio di cui alla stessa l.r. 65/2014, è ammessa la realizzazione di impianti fotovoltaici a terra fino alla potenza massima, per ciascun impianto, di 8.000 chilowatt elettrici.»;
  • «1 ter. Nelle aree rurali di cui al comma 1 bis, per gli impianti fotovoltaici a terra di potenza superiore a 1.000 chilowatt elettrici l’autorizzazione unica alla costruzione ed esercizio è rilasciata previa intesa con il comune o i comuni interessati dall’impianto.»;
  • «1 quater. Le disposizioni di cui ai commi 1 bis e 1 ter si applicano anche ai procedimenti in corso alla data di entrata in vigore del presente comma, relativi all’autorizzazione unica di cui all’articolo 12 del decreto legislativo 29 dicembre 2003, n. 387 (Attuazione della direttiva 2001/77/CE relativa alla promozione dell’energia elettrica prodotta da fonti energetiche rinnovabili nel mercato interno dell’elettricità) o al provvedimento autorizzatorio unico regionale di cui all’articolo 27-bis del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 (Norme in materia ambientale).».
  1. Il ricorso dell’avvocatura e le difese della regione

Ad avviso dell’Avvocatura ricorrente le modifiche all’art. 9 sarebbero in contrasto con l’art. 117, terzo comma, della Costituzione[xiii], in riferimento all’art. 12 del d.lgs. n. 387/2003 e alle richiamate linee guida del 2010. In particolare, il comma 1 bis avrebbe «introdotto in via legislativa un divieto di installazione di impianti fotovoltaici a terra di potenza superiore ad una determinata soglia, valevole, in via generale, astratta e aprioristica, non previsto dalla disciplina statale». Replica la regione Toscana osservando che il legislatore regionale non avrebbe inteso porre un limite alla installazione di impianti fotovoltaici in aree rurali, bensì avrebbe solo introdotto un dimensionamento (potenza non superiore a 8.000 chilowatt) degli stessi. In altre parole, si tratterebbe solo di una puntualizzazione, di una norma di dettaglio che si limiterebbe a impedire, nelle aree rurali, la realizzazione degli impianti in assoluto più impattanti, e ciò a fini puramente conservativi del paesaggio rurale toscano.

Quanto all’intesa preventiva con il comune prevista dal comma 1 ter, l’Avvocatura generale ravvisa il contrasto con le norme statali dalle quali emerge una vocazione della Conferenza dei servizi ad attrarre «tutti gli apporti amministrativi necessari per la costruzione e l’esercizio dell’impianto, delle opere connesse e delle infrastrutture indispensabili». Dissente la regione osservando che tale intesa potrebbe essere acquisita nell’ambito della conferenza dei servizi e, di conseguenza, non vi sarebbe violazione alcuna della disciplina prevista dalla legge dello Stato.

La parte ricorrente sostiene, infine, che i motivi di illegittimità costituzionale evidenziati sui primi due commi andrebbero a ricadere anche sul comma 1 quater che «estende la nuova disciplina anche ai procedimenti già avviati imponendo agli operatori economici un radicale cambio di prospettiva con il probabile azzeramento delle procedure in corso e con una sensibile alterazione dell’assetto regolatorio». Di contro, osserva la Regione che la disposizione transitoria recepirebbe un principio affermato in dottrina e in giurisprudenza in base al quale la norma sopravvenuta costituisce diritto applicabile da parte dell’amministrazione qualora non sia stato ancora adottato il provvedimento finale. Non sarebbe, infatti, corretto «considerare l’assetto normativo cristallizzato in via definitiva alla data dell’atto che vi ha dato avvio, con la conseguenza che la legittimità del provvedimento adottato al termine di un procedimento avviato ad istanza di parte deve essere valutata con riferimento alla disciplina vigente al tempo in cui è stato adottato il provvedimento finale»[xiv].

  1. La sentenza

Come anticipato, la Corte Costituzionale ha accolto il ricorso dell’Avvocatura generale dichiarando l’illegittimità dei tre commi aggiunti. Sul comma 1 bis la sentenza precisa che, secondo la costante giurisprudenza della Consulta, la disciplina dei regimi abilitativi degli impianti alimentati da fonti rinnovabili – riconducibile alla materia «produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia»[xv]deve conformarsi ai principi fondamentali previsti dal d.lgs. n. 387/2003 e alle linee guida (come già affermato, ex plurimis, dalle sentenze n. 258/2020, n. 106/2020, n. 286/2019 e n. 69/2018). In particolare tali linee guida, approvate in sede di conferenza unificata, (i) esprimono la leale collaborazione tra Stato e Regioni, (ii) sono vincolanti, in quanto «costituiscono, in settori squisitamente tecnici, il completamento della normativa primaria» (sentenza n. 86/2019), (iii) hanno natura inderogabile e (iv) devono essere applicate in modo uniforme in tutto il territorio nazionale[xvi].

Premesso quanto sopra, la Consulta richiama l’art. 12, comma 7, del d.lgs. n. 387/2003 e ricorda che, in attuazione di tale disciplina, le linee guida hanno confermato il potere delle regioni di indicare aree e siti non idonei alla installazione di specifiche tipologie di impianti (punto 17.1), ma secondo un preciso iter procedimentale. La regione deve, infatti, compiere l’apposita istruttoria prevista dal richiamato punto 17.1 e, una volta terminata, deve indicare, nell’atto di pianificazione, la non idoneità di ciascuna area in relazione a specifiche tipologie e/o dimensioni di impianti, motivando le incompatibilità con riferimento agli obiettivi di protezione perseguiti. Le aree non idonee – ricorda la Corte – confluiscono, pertanto, nell’atto di pianificazione, ovvero lo strumento con cui le regioni conciliano le politiche di tutela dell’ambiente e del paesaggio con quelle di sviluppo e valorizzazione delle energie rinnovabili (punto 17.2). Spetta, dunque, all’atto di pianificazione individuare le incompatibilità di determinate aree, in relazione al tipo e alle dimensioni (e, dunque, anche alla potenza) degli impianti[xvii].

Ma non solo. Aggiunge la Corte che l’atto di pianificazione, anche quando individua aree non idonee, non introduce un divieto assoluto, bensì – come si ricava dalle linee guida – segnala «una elevata probabilità di esito negativo delle valutazioni, in sede di autorizzazione» e, dunque, ha solo la funzione di accelerare la procedura (paragrafo 17.1); si tratta, in altre parole, di una valutazione di “primo livello” che impone poi di verificare «in concreto, caso per caso, se l’impianto così come effettivamente progettato, considerati i vincoli insistenti sull’area, possa essere realizzabile, non determinando una reale compromissione dei valori tutelati dalle norme di protezione (dirette) del sito, nonché di quelle contermini (buffer)»[xviii].

La Corte rimarca inoltre l’importanza dell’atto di pianificazione nel quale i tanti interessi coinvolti trovano un componimento, mentre invece il carattere generale e vincolante della disposizione impugnata cristallizza il precetto della «non idoneità» in tutto il territorio regionale e, pertanto, sfugge alla possibilità del bilanciamento in concreto degli interessi che il legislatore statale affida al procedimento amministrativo. Ricorda infine la Consulta che una normativa regionale che non rispetta la riserva di procedimento amministrativo impedisce di operare il concreto bilanciamento degli interessi (strettamente aderente alla specificità dei luoghi), ostacola la migliore valorizzazione di tutti gli interessi pubblici coinvolti e, di riflesso, viola il principio, conforme alla normativa dell’Unione europea, della massima diffusione degli impianti da fonti di energia rinnovabili[xix].

In ragione di quanto sopra, conclude la sentenza, il comma 1 bis della legge regionale impone un limite associato alla potenza dell’impianto fotovoltaico, quando, invece, in base alle linee guida, spetta all’atto di pianificazione escludere l’installazione in determinate aree di impianti, in relazione alla loro specifica tipologia o alle loro dimensioni. La norma introdotta con la legge regionale n. 82/2020 contrasta, pertanto, con l’art. 117, terzo comma, Cost. e con i relativi principi fondamentali della materia «produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia».

Anche il comma 1 ter viene dichiarato costituzionalmente illegittimo. La Corte richiama l’art. 12, comma 4, del d.lgs. n. 387 e osserva che la concentrazione di tutti gli apporti amministrativi nella sede della Conferenza dei servizi è funzionale all’attuazione del principio di massima diffusione delle energie rinnovabili, che si invera nell’ordinamento anche mediante la semplificazione e la razionalizzazione insite nel procedimento di autorizzazione unica. Ancora una volta si tratta di un principio già affermato: il procedimento di cui all’art. 12, comma 4 è ispirato alle regole della semplificazione amministrativa e della celerità ed è volto a garantire, in modo uniforme sul territorio nazionale, la conclusione entro un termine definito del procedimento autorizzativo[xx], in linea con il particolare favor riconosciuto alle fonti energetiche rinnovabili dalla disciplina interna e sovranazionale[xxi] e consente, in questo modo, di contemperare vari interessi, costituzionalmente rilevanti, attraverso l’incrocio di diverse tipologie di verifica, il cui coordinamento – in sede di conferenza dei servizi –  e la cui acquisizione sincronica non tollerano ulteriori differenziazioni su base regionale[xxii]. La previa intesa prevista dal comma 1 ter si pone, dunque, in contrasto con il modello del procedimento unico e rompe la sincronicità dell’acquisizione degli apporti amministrativi, tipica della conferenza dei servizi.

Infine, il comma 1 quater, limitandosi a regolare sul piano temporale le disposizioni limitative introdotte con gli altri due commi, ne condivide, di riflesso, i relativi vizi di illegittimità costituzionale.

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Peres commento ott21

Per il testo della sentenza cliccare sul pdf allegato (estratto dal sito https://www.cortecostituzionale.it/).

pronuncia_177_2021

[i] In attuazione alla direttiva 2001/77/CE Sulla promozione dell’energia elettrica prodotta da fonti energetiche rinnovabili nel mercato interno dell’elettricità.

[ii] Oppure rilasciate dalle province delegate. Per gli impianti con potenza termica installata pari o superiore ai 300 MW il rilascio dell’autorizzazione compete al Ministero dello sviluppo economico.

[iii] Art. 2 comma 1 lett. b) impianti alimentati da fonti rinnovabili programmabili: impianti alimentati dalle biomasse e alla fonte idraulica, anche tramite impianti di accumulo idroelettrico attraverso pompaggio puro, ad esclusione, per quest’ultima fonte, degli impianti ad acqua fluente, nonché gli impianti ibridi, di cui alla lettera d); lett. c) impianti alimentati da fonti rinnovabili non programmabili o comunque non assegnabili ai servizi di regolazione di punta: impianti alimentati dalle fonti rinnovabili che non rientrano tra quelli di cui alla lettera b);

[iv] Nell’ubicazione si dovrà tenere conto delle disposizioni in materia di sostegno nel settore agricolo, con particolare riferimento alla valorizzazione delle tradizioni agroalimentari locali, alla tutela della biodiversità, così come del patrimonio culturale e del paesaggio rurale di cui alla legge n. 57/2001 (artt. 7 e 8), nonché del d.lgs. n. 228/2001 (art. 14).

[v] Tali linee guida sono volte, in particolare, ad assicurare un corretto inserimento degli impianti, con specifico riguardo agli impianti eolici, nel paesaggio.

[vi] Precisa sempre il comma 10 che le regioni adeguano le rispettive discipline entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore delle linee guida. In caso di mancato adeguamento entro il predetto termine, si applicano le linee guida nazionali.

[vii] L’Allegato 1 punto 14.1 conferma che il procedimento unico si svolge tramite conferenza di servizi, che deve essere convocata entro 30 giorni dal ricevimento dell’istanza, nell’ambito della quale confluiscono tutti gli apporti amministrativi necessari per la costruzione e l’esercizio dell’impianto, delle opere connesse e delle infrastrutture indispensabili.

[viii] Il punto 15.3 ricalca il comma 7 dell’art. 12 del decreto 267/2003 ribadendo che gli impianti possono essere ubicati in zone classificate agricole dove si dovrà tenere conto delle disposizioni in materia di sostegno nel settore agricolo.

[ix] In applicazione dell’art. 2, comma 167, della legge n. 244 del 2007, come modificato dall’art. 8-bis della legge 27 febbraio 2009, n. 13, di conversione del decreto-legge 30 dicembre 2008, n. 208.

[x] Art. 5. Autorizzazione Unica. 1. Fatto salvo quanto previsto dagli articoli 6 e 7, la costruzione e l’esercizio degli impianti di produzione di energia elettrica alimentati da fonti rinnovabili, le opere connesse e le infrastrutture indispensabili alla costruzione e all’esercizio degli impianti, nonché le modifiche sostanziali degli impianti stessi, sono soggetti all’autorizzazione unica di cui all’articolo 12 del decreto legislativo 29 dicembre 2003, n. 387 come modificato dal presente articolo, secondo le modalità procedimentali e le condizioni previste dallo stesso decreto legislativo n. 387 del 2003 e dalle linee guida adottate ai sensi del comma 10 del medesimo articolo 12, nonché dalle relative disposizioni delle Regioni e delle Province autonome […]. Art. 6. Procedura abilitativa semplificata e comunicazione per gli impianti alimentati da energia rinnovabile. 1. Ferme restando le disposizioni tributarie in materia di accisa sull’energia elettrica, per l’attività di costruzione ed esercizio degli impianti alimentati da fonti rinnovabili di cui ai paragrafi 11 e 12 delle linee guida, adottate ai sensi dell’articolo 12, comma 10, del decreto legislativo 29 dicembre 2003, n. 387 si applica la procedura abilitativa semplificata di cui ai commi seguenti […].

[xi] Disposizioni in materia di installazione di impianti di produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili di energia. Modifiche alla legge regionale 24 febbraio 2005, n.39 (Disposizioni in materia di energia) e alla legge regionale 3 gennaio 2005, n.1.

[xii] Disposizioni relative alle linee guida regionali in materia di economia circolare e all’installazione degli impianti fotovoltaici a terra. Modifiche alla l.r. 34/2020 e alla l.r. 11/2011. Nelle premesse si legge che l’obiettivo dell’intervento va ravvisato nel «preservare, in modo sempre più efficace, le aree agricole dagli effetti negativi di uno sviluppo non controllato delle installazioni di pannelli fotovoltaici posizionati a terra». A tal fine – chiariscono sempre le premesse – la legge del 2020 va a definire «ulteriormente le prescrizioni da rispettare a tutela delle stesse aree agricole da eccessivi consumi di suolo derivanti da grandi installazioni espansive di fotovoltaico posizionato a terra».

[xiii] Sono materie di legislazione concorrente quelle relative a: rapporti internazionali e con l’Unione europea delle Regioni; commercio con l’estero; tutela e sicurezza del lavoro; istruzione, salva l’autonomia delle istituzioni scolastiche e con esclusione della istruzione e della formazione professionale; professioni; ricerca scientifica e tecnologica e sostegno all’innovazione per i settori produttivi; tutela della salute; alimentazione; ordinamento sportivo; protezione civile; governo del territorio; porti e aeroporti civili; grandi reti di trasporto e di navigazione; ordinamento della comunicazione; produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia; previdenza complementare e integrativa; coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario; valorizzazione dei beni culturali e ambientali e promozione e organizzazione di attività culturali; casse di risparmio, casse rurali, aziende di credito a carattere regionale; enti di credito fondiario e agrario a carattere regionale. Nelle materie di legislazione concorrente spetta alle Regioni la potestà legislativa, salvo che per la determinazione dei princìpi fondamentali, riservata alla legislazione dello Stato.

[xiv] La regione richiama a sostegno dalla propria tesi la sentenza del Consiglio di Stato, Sez. V, n. 2171/2018 che ha ribadito il seguente principio di diritto: «la corretta applicazione del principio tempus regit actum comporta che la Pubblica amministrazione deve considerare anche le modifiche normative intervenute durante il procedimento, non potendo considerare l’assetto normativo cristallizzato in via definitiva alla data dell’atto che vi ha dato avvio, con la conseguenza che la legittimità del provvedimento adottato al termine di un procedimento avviato ad istanza di parte deve essere valutata con riferimento alla disciplina vigente al tempo in cui è stato adottato il provvedimento finale, e non al tempo della presentazione della domanda da parte del privato, dovendo ogni atto del procedimento amministrativo essere regolato dalla legge del tempo in cui è emanato in dipendenza della circostanza che lo jus superveniens reca sempre una diversa valutazione degli interessi pubblici».

[xv] Art. 117, terzo comma, Cost.

[xvi] La Corte richiama la sua precedente sentenza n. 106/2020 dove si legge: «La disciplina del regime abilitativo degli impianti alimentati da fonti di energia rinnovabili è riconducibile alla materia della produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia, i cui relativi principi fondamentali sono dettati dall’art. 12, comma 10, del d. lgs. n. 387 del 2003 e dalle Linee guida di cui al d.m. 10 settembre 2010, adottate in sede di Conferenza unificata e quindi espressione della leale collaborazione fra Stato e Regione, di natura inderogabile e da applicare in modo uniforme in tutto il territorio nazionale. Le Regioni (e le Province autonome) possono soltanto individuare, caso per caso, aree e siti non idonei alla localizzazione degli impianti, all’esito di un’istruttoria, volta a prendere in considerazione tutti gli interessi coinvolti, la cui protezione risulti incompatibile con l’insediamento, in determinate aree, di specifiche tipologie e/o dimensioni di impianti, valutazione che può e deve utilmente avvenire nel procedimento amministrativo. Ne consegue che le Regioni non possono prescrivere limiti generali inderogabili, valevoli sull’intero territorio regionale, specie nella forma di distanze minime, perché ciò contrasterebbe con il principio fondamentale di massima diffusione delle fonti di energia rinnovabili, stabilito dal legislatore statale in conformità alla normativa dell’Unione europea. (Precedenti citati: sentenze n. 286 del 2019, n. 86 del 2019 e n. 69 del 2018)».

[xvii] La Corte Costituzionale richiama sul punto diversi precedenti della giustizia amministrativa, segnatamente Consiglio di Stato, Sez. IV, sent. n. 2848/2021, TAR Abruzzo, Sez. I, sent. n. 363/2020, TAR Molise, Sez. I, sent. n. 281/2016.

[xviii] Anche in questo passaggio la Corte Costituzionale richiama sentenze conformi della giustizia amministrativa, ovvero TAR Sardegna, Sez. II, sent. n. 573/2020, in senso analogo, Consiglio di Stato TAR Abruzzo e TAR Molise riportate nella nota che precede.

[xix] La Corte richiama la sua precedente sentenza n. 286/2019 e in senso analogo, ex multis, le sentenze n. 106/2020, n. 69/2018, n. 13/2014 e n. 44/2011.

[xx] Vengono citate a sostegno le sentenze n. 177/2018 e n. 156/2016.

[xxi] La Corte richiama la sentenza n. 106 del 2020 (già riportata in nota 16).

[xxii] Viene richiamata a sostegno la sentenza n. 267 del 2016.

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